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Il sorriso dei bambini che ho avuto la fortuna di incontrare riesce a
cambiarti le giornate, a scardinare punti di vista e pensieri negativi e
dà la carica per andare avanti sempre e comunque.
L’uomo ha sempre riso, e anche di cuore, senza mai porsi tanti
problemi. Ridere ci fa stare bene, ci rende attivi e ci colma di energia;
l’umore migliora e ci sentiamo più positivi nei confronti del futuro e
delle persone che ci circondano: tutto questo può essere confermato da
chiunque. Ma che il riso potesse diventare veramente una terapia utile
per accelerare il processo di guarigione anche dei mali fisici più gravi,
è una convinzione piuttosto recente e, a mio avviso, è stata una grande
intuizione.
Secondo alcuni studiosi, tutti noi nasciamo con una naturale
tendenza verso il gioco ed il divertimento in generale, ma purtroppo,
quando si diventa adulti, questa naturale inclinazione viene sostituita
spesso e volentieri da ansia, depressione e paura, anche se,
fortunatamente, questi nuovi umori il più delle volte non riescono a
sopprimere completamente il nostro potenziale creativo.
La prima domanda che viene spontaneo porsi è : “Come fa il
ridere a diventare una terapia?” e ancora “Cosa succede al nostro
corpo nell’arco di tempo di una risata?”. Verrebbe da rispondere: “Di
tutto e anche di più!”. Tutti i nostri grandi sistemi sono coinvolti, dal
muscolare, al facciale, al cardiaco, in fasi successive. Infatti, in un
primo momento è come se una sorta di “mano invisibile” ci
accarezzasse con estrema dolcezza. Poi, l’aumento di ossigeno del
sangue nel nostro organismo ci porta ad una condizione di completo
rilassamento, grazie anche ad una liberazione delle vie respiratorie
superiori. Si potrebbe paragonare la risata ad un vero e proprio
“massaggio interno”, senza dover ricorrere ai farmaci!
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Credo sia un peccato che nella nostra tradizione occidentale la
risata venga spesso considerata come indice di poca serietà, al
contrario di quanto sostiene la cultura orientale (si pensi che secondo
il Buddismo Zen quindici minuti di risate corrispondono addirittura a
ben sei ore di meditazione…). Fortunatamente, non tutti la pensano
all’occidentale, tant’è che da qualche tempo diversi specialisti hanno
iniziato lo studio sperimentale del ridere e dell’umorismo: il concetto
di base è che questi ultimi riducono le conseguenze deleterie della
tensione. Si assiste, dunque, allo sviluppo di una nuova branca di
studi, la Gelotologia, la quale approfondisce i processi, le cause, gli
effetti e l’importanza culturale della risata.
Essere felici è un diritto che appartiene ad ogni essere umano,
qualunque siano le sue origini, la sua cultura e la sua estrazione
sociale. Questo è il principio base che guida chi decide di portare un
sorriso in un posto così ricco di tristezza e malinconia com’è
l’ospedale. Qui la gente soffre, sia a livello fisico che psicologico-
emotivo e, spesso, si ritrova in un ambiente che non fa che alimentare
questo stato così cupo e così buio. Secondo alcuni filosofi, perseguire
la felicità dovrebbe essere il primo scopo della vita…Esistenza e
felicità dovrebbero essere addirittura sinonimi. Perché, allora, non si
porta gioia anche negli ospedali? Chi ha colto l’importanza di tutto
questo, ha pensato bene di non lasciare che restasse un’utopia, ma che
diventasse una realtà concreta, realizzabile.
Ridere sta diventando, così, una forma sempre più diffusa di
intervento terapeutico, con i clown nei reparti pediatrici e negli
ospedali in generale. Da qualche anno, anche in Italia, è stato concesso
a questi stravaganti personaggi l’incontro con i pazienti ospedalizzati,
naturalmente sempre sotto la supervisione medica e paramedica.
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L’input più forte per l’entrata dei clown in ospedale è venuto
dall’esempio dell’ormai conosciutissimo H. D. “Patch” Adams,
medico americano che da anni ha introdotto, soprattutto nei reparti
infantili, un approccio del tutto informale alla pratica medica
tradizionale. La clown therapy, che si potrebbe anche rinominare con
l’appellativo di “Patch therapy”, consiste a grandi linee in una
relazione più personale tra medico e paziente, basata sul “prendersi
cura con amore”, attraverso l’impostazione di un clima di serenità e di
buonumore, teso ad alleviare gli stati d’animo di paura e di
insicurezza, nei pazienti e nei loro familiari, di fronte alla malattia e
alle cure spesso dolorose. Il risultato più auspicabile è l’accrescimento
del livello di qualità nell’umanizzazione dei servizi ospedalieri,
naturalmente sempre in linea con gli obiettivi dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità.
Sulle orme di Patch Adams, la clown therapy si sta davvero
diffondendo in larga misura in tutto il mondo, che è poi quello che lui
ha sempre fortemente voluto, più di ogni altra cosa; si sta assistendo
ad un aumento notevole del tasso informativo (con articoli pubblicati
ormai molto spesso su riviste più o meno specializzate e sui
quotidiani), delle esperienze in diverse città d’Italia, oltre che ad un
aumento dell’interesse dei singoli e delle associazioni che se ne
occupano. Cresce, inoltre, il desiderio di capire la storia del
movimento, lo status attuale/corrente, nonché le prospettive future
all’interno dell’Organizzazione Sanitaria o, più globalmente ed
utopisticamente, per un futuro di “società umana”.
Qui di seguito, espongo una sintesi indicativa del percorso che
ho seguito nello sviluppo di questa dissertazione.
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La tesi si articola in quattro capitoli, grazie ai quali ho cercato di
offrire un quadro generale sul potere comunicativo del ridere, sulla
clownterapia e sui suoi protagonisti ma, soprattutto, ho tentato di
sottolineare la funzione educativa del clown e la sua valenza socio-
psico-pedagogica.
Nel primo capitolo ho presentato in modo generico che cosa si
intende per comicoterapia o terapia del sorriso; ho messo poi in
evidenza gli effetti terapeutici della risata; infatti, diverse ricerche
scientifiche hanno dimostrato che ridere provoca: l’aumento
dell’ossigenazione del sangue; la stimolazione della produzione di
serotonina, di endorfine, di anticorpi; il miglioramento del tono
muscolare; la neutralizzazione degli effetti dell’ansia e dello stress; il
miglioramento dell’autostima e via di seguito.
Il riso, come elemento costitutivo della natura umana, può
essere inserito a pieno titolo nei discorsi riguardanti la comunicazione.
E così ho parlato del sorriso come veicolo per un messaggio
universalmente utile ad inibire e disinnescare gli attacchi aggressivi.
Con il sorriso si può, dunque, instaurare un dialogo: ad un sorriso si
risponde con un sorriso, ed è questa particolarità che permette uno
scambio paritetico e antigerarchico.
L’aspetto comunicazionale del sorriso ci rivela come questo sia un
efficace elemento di comunicazione non verbale. Il linguaggio delle
parole si sostituisce con il linguaggio della mimica, della postura,
dell’intonazione, elementi, questi, che possono diventare
complementari alla comunicazione di carattere verbale.
La valenza del riso è certamente multipla e ciò significa che esso è in
grado di convogliare contemporaneamente diversi, talvolta opposti,
messaggi, di svolgere più funzioni ed esprimere più significati. Si può
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ridere per divertimento, oppure per uno stato ansioso, oppure ancora
come prodotto di uno stress intenso o di una forte emozione.
Non vi sono dubbi che l’umorismo sia una risorsa benefica e
ricca di prerogative, ma, di certo, non è unicamente innocente.
All’interno di un gruppo, l’uso dell’umorismo può aiutare a creare un
clima di distensione, tale da rendere ogni ambiente maggiormente
produttivo, anche se il riso non sempre è un fattore positivo:
utilizzandolo in modo esagerato, può diventare controproducente se
indirizzato a ridicolizzare l’altro. E’ importante “ridere con” e non
ridere di qualcuno; a dirla tutta, sarebbe più consigliabile ridere di se
stessi.
E se è vero che ridere e giocare da soli appare un’attività noiosa, farlo
in compagnia sembra essere tutta un’altra storia: l’umorismo come
elemento di coesione stimola la creatività e diminuisce le tensioni. Si
rilevano, infatti, numerose potenzialità benefiche dell’uso del comico,
che si possono osservare sia a livello fisiologico, che psicologico, che
sociale.
La risata è un fatto sociale, collettivo, in quanto ridere insieme è un
gesto di complicità.
Infine, dal punto di vista educativo, il riso è importante per
stabilire e mantenere un buon rapporto tra educatore ed educando. Ciò
che in questa parte ho sottolineato è che il sorriso è fondamentale in
tutti i momenti che scandiscono la relazione stessa fra le due parti:
all’inizio, esso permette all’educatore di avvicinarsi agli allievi per
poterli conoscere; è, infatti, per l’educatore stesso la migliore carta di
presentazione; in un secondo momento, il sorriso è importante perché
il valore sociale che possiede permette l’unione, la coesione, la
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collaborazione e fa sì, inoltre, che si crei quell’empatia necessaria
affinché educatore ed educando possano lavorare e crescere insieme.
Ho dedicato il secondo capitolo soprattutto alla figura di Patch
Adams, che è stato il primo medico ad entrare nelle corsie degli
ospedali vestito da clown e che ha rivoluzionato il concetto del
“prendersi cura” di coloro che soffrono. Egli ha fondato il Gesundheit
Institute, un ospedale con sede nella Virginia Ovest (USA), nel quale
le cure vengono offerte gratuitamente e prevedono l’uso del sorriso
come elemento integrante ed efficace della terapia medica.
Successivamente, ho sottolineato che in tutto il mondo e
recentemente anche in Italia, sono nate molte associazioni di clown-
dottori e in questo lavoro ne cito alcune.
Nell’ultimo paragrafo del capitolo ho esposto l’idea che il
Servizio Socio-Sanitario vada umanizzato attraverso una nuova
cultura dell’assistenza, che trovi importanti interpreti dentro e fuori gli
ospedali e le ASL: persone in grado di far vivere il concetto di
umanizzazione traducendolo in azioni concrete che prevedano il
passaggio da una concezione della persona di tipo meccanicistico ad
un rapporto di stretta fiducia e collaborazione, comprensione e rispetto
tra operatore sanitario e paziente (identificato per il suo essere persona
e non malattia).
Nel terzo capitolo ho presentato i protagonisti della clown
therapy: il bambino, sottolineando l’importanza che ha per lui il gioco
in ospedale, e il clown, evidenziandone caratteristiche generali, valori
e virtù e ponendo in risalto la sua funzione educativa.
I clown-dottori non sono veri dottori (ad eccezione di alcuni),
ma figure professionali e non, che per formazione e sensibilità
contribuiscono a migliorare la qualità della vita dei pazienti e ad
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armonizzare il loro rapporto con l’ambiente di cui sono ospiti, con i
loro familiari, con il personale che li assiste e con se stessi, rendendolo
sereno e stabile. Spesso, l’allegria e la gioia sembrano cozzare con ciò
che rappresenta l’ambiente ospedaliero; bisogna, invece, riconoscere i
benefici che il clown-dottore apporta ai piccoli e grandi pazienti che si
ritrovano in ospedale ad affrontare e a convivere con tutta quella serie
di emozioni e sensazioni che un ricovero comporta.
Infine, nell’ultimo capitolo presento l’Associazione VIP –
ViviamoInPositivo, le sue attività, i suoi progetti e i suoi valori, anche
attraverso la testimonianza diretta di Vincenzo Romano (in arte
“Claun Pizzarello”), Presidente dell’Associazione VIP di Bari, che ho
personalmente intervistato.
“Claun Pizzarello” rappresenta la voce di chi, ogni settimana, si reca
in ospedale o in altri luoghi in cui è protagonista la sofferenza,
cercando di far dimenticare, anche solo per pochi istanti, tutte le
paure, di trasformare in positivi i sentimenti e le emozioni negative, di
far sorridere visi tristi e sofferenti, portando colore, musica e
un’esplosione di gioia lì dove, troppo spesso, c’è grigiore, serietà,
silenzio e paura.
Con questa tesi, ho voluto divulgare informazioni sulla
clownterapia che, fortunatamente, sta prendendo sempre più piede nel
mondo, con l’intento e la speranza da parte mia di far conoscere e far
prendere coscienza all’opinione pubblica dell’importanza di essa.
Come insegna Patch Adams, l’uso della comicità come medicina non
è una terapia in concorrenza con le altre, ma un qualcosa che aiuta a
vivere in modo migliore la malattia.
E, per sottolineare ancor di più la bellezza, l’importanza, la
forza, la magia che il clown-dottore porta con sé quando va in
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ospedale o in qualsiasi altro posto in cui regna la sofferenza, voglio
riportare una frase di Jacopo Fo: “Dal giorno in cui qualcuno ha avuto
il coraggio di entrare in un reparto di terapia terminale con un naso
rosso e uno stetoscopio trasformato in telefono, il mondo è diventato
un posto migliore”
*
.
*
C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i
bambini, Sperling & Kupfer, Milano 2003, p. 13.
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CAPITOLO I
LA COMICITA’ E IL POTERE COMUNICATIVO DEL
RIDERE
1.1. La comicoterapia o terapia del sorriso
Il riso fa parte di ciò che noi chiamiamo comunicazione non
verbale ed è una caratteristica tipica della specie umana.
Si tratta di un comportamento innato nell’uomo perché non è
condizionato dall’ambiente, ma è riferibile ad un programma genetico
che esiste a priori: l’uomo produce e riconosce le risate sin da quando
nasce.
Nel riso ritroviamo sia l’aspetto fisiologico che quello
psicologico; esso fa sì che le tensioni emotive siano liberate. Se così
non fosse, esse rimarrebbero imprigionate dentro di noi ritorcendosi
contro la nostra salute.
Inoltre, molte ricerche hanno dimostrato che la risata ha anche
degli specifici effetti chimici sul nostro corpo.
Le prime scoperte in questa direzione furono fatte intorno agli
anni ‘70, ma hanno avuto maggiore risonanza dopo il caso di Norman
Cousins, di cui parlerò in seguito, ed hanno dato origine ad una nuova
disciplina chiamata Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI).
Secondo gli studiosi di questa nuova branca della medicina,
esiste la via emotiva che porta alla salute: si tratta di scoprire se
emozioni come l’ilarità, la gioia, la contentezza possano rappresentare
un’accelerazione di questo percorso verso la sconfitta dei mali che ci
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colpiscono. Secondo questi ricercatori ciò che conta maggiormente è
esprimere, avere la capacità e la forza di permettere al nostro
organismo di “buttare fuori” i propri turbamenti, la propria rabbia, la
paura, il dolore; bisognerebbe non imporsi mai comportamenti
contrari al proprio istinto, in quanto il trattenerli a lungo potrebbe
provocare stati depressivi che causano un grave abbassamento delle
difese immunitarie.
E’ quindi importante imparare a praticare un ottimismo
responsabile attraverso il continuo esercizio della speranza, della fede
nel futuro e, soprattutto, dell’autoironia, ovvero della capacità di
“ridersi addosso”, di guardarsi con occhi diversi, di considerare i
propri problemi come sfide e non come drammi insolubili
1
.
Tutte queste notizie positive sugli effetti del riso e le loro
possibilità applicative, anche se provvisorie, erano troppo allettanti per
attendere ancora, così negli ospedali e nelle cliniche degli Stati Uniti
si è lanciato questo nuovo filone, nel quale le emozioni positive, ed in
particolare lo humour, assumono un’importanza rilevante per la
qualità della salute: nasce la comicoterapia.
Come dice il detto? “Ridere fa buon sangue”. Questa, ridotta
all’osso, è la base su cui poggia la terapia del sorriso.
Questo tipo di approccio curativo si va diffondendo lentamente
in tutto il mondo a partire dalla sua nascita, nel 1986 a New York.
Qui Michael Christensen, clown professionista, impiegato
all’epoca al Big Apple Circus, insieme a Paul Binder fondò “The
Clown Care Unit” (“L’Unità di Clownterapia”) per portare il sorriso
negli ospedali pediatrici.
1
Cfr. S. FIORAVANTI, L. SPINA, La terapia del ridere, Red, Como 2002, pp. 44-45.
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La comicoterapia agisce dunque negli ospedali, e non solo, con
lo scopo di aiutare a stimolare la capacità di sorridere nei pazienti
adulti e bambini: in questo modo, contribuisce a rendere più piacevole
la degenza, rende l’istituzione-ospedale meno incombente, avvicina i
pazienti, ora solidali nel divertimento, non più nel dolore, e agevola
l’uso delle terapie mediche sui malati: ridere costringe ad un
cambiamento psicologico della persona.
Come afferma il Dottor Henry Rubinstein, celebre neurologo
francese, autore del saggio “Psicosomatica del riso, ridere per
guarire”: “Poiché il riso funziona come stimolante psichico,
disintossicante contro ansia e angoscia, quando si ride si attua anche
un vero e proprio jogging dello spirito che libera dalla depressione e
lubrifica le relazioni interpersonali”
2
.
Si è detto “non solo negli ospedali” perché oggi la terapia del
sorriso opera ovunque ci sia bisogno di ritrovare gioia: dagli
ambulatori alle case di riposo, dalle carceri agli ospedali, e in molti
altri ambiti.
La mia esperienza come volontaria di Servizio Civile Nazionale
presso l’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Monopoli, che
mi ha vista impegnata nel progetto “I diritti dell’infanzia nella città di
Monopoli”, quindi il mio contatto con le persone disagiate, mi ha
portato a comprendere che si possono trovare sempre in se stessi
motivi di sorriso. In ogni occasione, anche nella più difficile, si può
trovare un punto di vista umoristico.
Il carattere e a volte persino le imperfezioni fisiche, che spesso
condizionano l’esistenza, se considerati sotto una nuova luce, possono
2
H. RUBINSTEIN, Psicosomatica del riso, ridere per guarire, Elemond, Milano 1983, p. 15.
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scatenare l’ilarità e sbloccare timidezze, aiutando la persona a
crescere.
L’allegria e il senso dell’umorismo si possono allenare
sviluppando la fantasia e la creatività e spesso sono proprio le persone
in difficoltà che ci stimolano a farlo.
Si possono guardare gli avvenimenti della vita da un’altra
angolazione, smontarli e rimontarli secondo un’altra logica, con una
nuova ottica.
Sono una sostenitrice del pensiero positivo e credo che nel
ribaltamento della condizione tragica del vivere ci sia sempre una
soluzione positiva.
1.2. Effetti terapeutici della risata
La Gelotologia (dal greco “gelos” = riso) è una dottrina che
riguarda lo studio sistemico del ridere in relazione alle sue potenzialità
terapeutiche.
Questa disciplina risulta essere un ponte tra la biologia, la
psicologia, la pedagogia, la medicina, perché il riso e il sorriso restano
inafferrabili se studiati in una sola di queste prospettive.
Presupposto teorico della Gelotologia, come sostiene Susumo
Tonegawa, Premio Nobel per la Medicina, è che “Chi è musone, triste,
depresso, non riesce a tener lontane le malattie”.
“Anche se lo humour in se stesso è difficile da valutare, la
risposta allo humour – il riso – può essere studiata molto facilmente.