6
studiosi schierarsi su versanti opposti, lasciando aperta la discussione
sulla possibilità di una arena pubblica nella quale i dibattiti nazionali
possano confluire per acquisire una dimensione europea.
L’ipotesi di un’opinione pubblica europea è a sua volta connessa al
tema del multilinguismo, che sarà del pari affrontato nel I capitolo.
Si darà quindi conto degli strumenti fin qui usati dall’Unione per
raggiungere il grande pubblico, dalle antenne Europe Direct ai Centri
europei di informazione permanente, sino a strumenti come il portale
ufficiale EUROPA e i servizi audiovisivi. L’Unione ha anche messo a
punto uno strumento, l’Eurobarometro, atto a rilevare le tendenze
delle opinioni pubbliche nazionali e di cui si affronterà la
metodologia.
La panoramica sull’iter finora seguito dalle istituzioni europee, in
particolare dalla Commissione, nel gestire l’informazione e la
comunicazione destinati al grande pubblico, permetterà di introdurre
l’analisi non solo del Libro bianco citato, ma anche di altri due
importanti documenti che vanno a completare il quadro delle azioni da
attuare per rafforzare la trasparenza e l’apertura dell’Unione Europea
verso i suoi cittadini, ovvero il Piano d’azione della Commissione
relativo al miglioramento della comunicazione sull’Europa e il Piano
D per la democrazia, il dialogo e il dibattito. Si tratta di argomenti
tuttora aperti e in fase di evoluzione, che ciò nonostante permettono
ugualmente di ipotizzare eventuali percorsi e proposte attuabili in
futuro.
Una specifica sezione del III capitolo sarà dedicata alla Federazione
Europea delle Associazioni di Comunicazione Pubblica, la cui
creazione è sintomatica della sensibilità, avvertita non solo all’interno
7
della compagine istituzionale europea, nei confronti del tema di un
dibattito pubblico transnazionale.
8
I.
L’UNIONE EUROPEA E I SUOI CITTADINI:
COME RIDURRE LE DISTANZE
1. Comunicazione istituzionale dell’Unione Europea e legittimità
democratica: sfide parallele
Il 1° febbraio 2006 la Commissione ha presentato il Libro bianco su
una politica europea di comunicazione
1
. Il documento può
considerarsi la summa degli sforzi e delle proposte che hanno
riguardato negli anni le attività in campo di informazione e
comunicazione dell’Unione Europea. La Commissione vorrebbe
riuscire a creare i presupposti per conferire alla comunicazione lo
status di vera e propria politica, alla stregua delle altre politiche di cui
l’UE si occupa, per aumentare la consapevolezza delle altre istituzioni
europee e degli Stati membri in merito al fatto che un «dialogo
autentico» fra essi e i cittadini europei è direttamente funzionale alla
legittimità democratica che l’Unione aspira ormai da tempo ad
ottenere.
Si tratta perciò di affidare alla comunicazione un ruolo di funzione
strategica per la riuscita stessa del processo d’integrazione europea,
considerandola un elemento-chiave per la comprensione da parte dei
cittadini europei di cosa significhi realmente appartenere all’UE. La
proposta della Commissione mira dunque a ridurre le distanze fra
l’Unione Europea e i suoi cittadini, rilanciando il dibattito pubblico in
Europa.
1
COM(2006) 35 def. dell’1.2.2006.
9
Il primo quesito dal quale prende avvio la riflessione della
Commissione consiste nel chiedersi quali siano i motivi che hanno
allontanato e continuano ad allontanare i cittadini europei dall’Unione,
impedendo una piena adesione ad una dimensione sovranazionale che
dovrebbe teoricamente migliorare l’esistenza delle popolazioni degli
Stati membri. A questa domanda molti studiosi hanno cercato di dare
risposta nel corso degli anni, soprattutto dal momento in cui il
processo di integrazione ha iniziato a travalicare l’ambito puramente
economico per intraprendere un cammino che caratterizzasse l’Europa
come «politica», come unione di cittadini e di popoli.
Una delle più forti accuse mosse da sempre all’Unione Europea
riguarda il c.d. deficit democratico, considerato una delle principali
cause di allontanamento dei cittadini europei dall’UE. In termini
tecnici si trattava, già dai tempi della CEE, del difetto di legittimità del
processo decisionale comunitario, legato al fatto che atti comunitari di
natura sostanzialmente legislativa e suscettibili di esplicare la loro
efficacia nei confronti sia degli Stati membri che dei singoli erano
emanati da organi (Consiglio, su proposta della Commissione) non
eletti dai cittadini stessi e sottratti ad un effettivo controllo di tipo
parlamentare
2
. L’aspetto del deficit più enfatizzato dalla dottrina
sottolineava come il trasferimento del controllo diretto su politiche e
atti normativi dalle competenze dei parlamenti nazionali all’Unione
non aveva dato luogo all’assegnazione di un corrispettivo potere di
controllo al Parlamento europeo
3
. La limitatezza dei poteri del
Parlamento creava un gap democratico che poteva risultare tollerabile
2
U. DRAETTA, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Giuffrè Editore, Milano, 2004, p. 15.
3
F. ATTINÀ, «Democrazia, elezioni e partiti nell’Unione Europea», in Dalla Comunità all’Unione
Europea, a cura di Attinà F. e Velo D., Cacucci Editore, Bari, 1994, p. 49.
10
fintanto che l’integrazione conservava una vocazione prettamente
economica, ma è poi divenuto insostenibile a seguito del notevole
ampliamento delle competenze delegate dagli Stati membri alla
Comunità, competenze sottratte al controllo democratico cui sarebbero
invece state sottoposte se esercitate a livello nazionale
4
.
A partire dal Trattato di Maastricht
5
, e poi con i Trattati di
Amsterdam
6
e di Nizza
7
, si sono elaborate soluzioni concrete al
problema della legittimità democratica, in particolare con
l’introduzione di procedure legislative caratterizzate da una
partecipazione sempre più intensa del Parlamento
8
. È evidente, però,
che mentre i parlamenti nazionali detengono in via esclusiva la
competenza sulla legislazione, il Parlamento europeo è costretto a
condividere tale competenza con il Consiglio dell’UE nel caso della
legislazione ordinaria, e si trova estromesso a vantaggio del Consiglio
Europeo in ambito di legislazione costituzionale
9
. Attualmente il
Parlamento europeo detiene anche poteri di controllo di natura
politica, simili ai poteri di cui godono i parlamenti nazionali degli
Stati membri. La somiglianza è però del tutto formale in quanto questi
poteri non hanno nessuna delle caratteristiche sostanziali del controllo
parlamentare presente nei diritti interni. In particolare il controllo
politico non si esplica nei confronti dell’organo in ultima analisi
4
Il Trattato di Maastricht, in vigore dall’1.11.1993, ha istituito l’Unione Europea, termine che
racchiude il complesso delle relazioni degli Stati membri in tre diversi ambiti o pilastri, il primo
costituito dalle due comunità (CE e CEEA), il secondo dalla PESC (politica estera e di sicurezza
comune) e il terzo dalla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (U. DRAETTA, op. cit., p.
32).
5
Trattato di Maastricht, firmato il 7.2.1992 e in vigore dall’1.11.1993, in GUCE C 191 del 29.7.1992.
6
Trattato di Amsterdam, firmato il 2.10.1997 e in vigore dall’1.5.1999, in GUCE C 340 del 10.11.1997.
7
Trattato di Nizza, firmato il 26.2.2002 e in vigore dall’1.2.2003, in GUCE C 80 del 10.3.2001.
8
Alla semplice funzione di consultazione si sono affiancate la procedura di cooperazione e di
codecisione (la procedura di codecisione è oggi divenuta la regola per quasi tutti gli atti di natura
legislativa).
9
S. DELLA VALLE, Una costituzione senza popolo? La costituzione europea alla luce delle concezioni
del popolo come «potere costituente», Giuffrè Editore, Milano, 2002, p. 267.
11
responsabile dell’azione comunitaria, cioè il Consiglio, in cui siedono
i rappresentanti degli Stati membri
10
. Dunque anche il controllo
politico nel sistema comunitario appare viziato, se si pensa ai normali
meccanismi della democrazia rappresentativa. In conclusione, si può
affermare che le decisioni fondamentali della politica europea possono
essere influenzate dal Parlamento di Strasburgo, che non può però
determinarle in modo né decisivo né autonomo.
L’accusa di scarsa legittimità democratica coinvolge del resto anche le
altre istituzioni europee. Della Commissione europea si è spesso
parlato come della principale beneficiaria del trasferimento di poteri
dal livello nazionale a quello comunitario, pur difettandole totalmente
il requisito della legittimità fondata sulla responsabilità politica
11
. Si
tratta infatti di un organo collegiale di individui (uno per ogni Stato
membro) scelti «in base alla loro competenza generale» (art. 213, n.
1, TCE) e nominati a titolo individuale con una procedura complessa
dove l’ultima parola spetta al Consiglio e al Parlamento europeo
12
. Per
quello che riguarda il Consiglio dell’Unione Europea, anche su questo
versante la situazione è tutt’altro che soddisfacente. Il Consiglio ha il
compito di coordinare le politiche economiche generali degli Stati
10
D’altra parte occorre realisticamente ammettere che un controllo politico da parte del Parlamento
europeo sul Consiglio sarebbe incompatibile con la natura delle Comunità europee, che restano
organizzazioni internazionali costituite dagli Stati membri, ed avvierebbe queste ultime verso soluzioni
federali , le quali non appaiono al momento attuale viste con favore dai Paesi membri. In attesa di tali
evoluzioni, resta il grave problema della mancanza di controllo democratico sull’operato dell’esecutivo
in ambito comunitario (U. DRAETTA, op. cit., p. 115 e ss.).
11
La Commissione è considerata «guardiana» dei Trattati e ad essa spetta il potere di iniziativa, la cui
esclusività si è però andata erodendo a favore del Parlamento europeo, del Consiglio Europeo e della
BCE (U. DRAETTA, op. cit., p. 106).
12
La procedura di nomina della Commissione si svolge in più fasi. Il Consiglio, riunito nella
composizione dei capi di Stato e di governo e deliberando a maggioranza qualificata, designa la persona
che intende nominare Presidente della Commissione, designazione che deve essere approvata dal
Parlamento europeo. Di nuovo il Consiglio, sempre deliberando a maggioranza, di comune accordo con
il Presidente così designato, adotta l’elenco delle altre persone che intende nominare Commissari.
Infine, il Presidente e i Commissari designati sono soggetti collettivamente ad un voto di approvazione
da parte del Parlamento europeo. Dopo tale approvazione, l’intera Commissione è nominata dal
Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata (U. DRAETTA, op. cit., p. 88 e ss.).
12
membri, e l’art. 207 del Trattato CE gli attribuisce espressamente la
possibilità di agire in qualità di legislatore. È evidente che
l’affidamento di una funzione legislativa ad un organo non eletto dal
popolo aumenta l’ampiezza del deficit democratico: a tale riguardo,
sostenere che ogni membro del Consiglio è anche membro del
governo del rispettivo Stato di appartenenza, vincolato all’indirizzo
politico espresso dal parlamento nazionale democraticamente eletto,
non aiuta a mitigare il problema di una legittimazione solo di secondo
grado, anche perché il Consiglio è sottratto ad un vero controllo
politico sia da parte dei parlamenti nazionali, sia da parte del
Parlamento europeo
13
.
Si deve inoltre constatare l’assunzione di preminenza assunta nel
tempo dal Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato e di
governo, il quale, come sancito dall’art. 4 TUE, «dà all’Unione
l’impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti
politici generali»
14
. Il Consiglio Europeo non è di fatto un organo,
termine spesso usato impropriamente, ma una «riunione» di organi
degli Stati membri, al pari di una conferenza internazionale. Esso ha
di fatto svolto un ruolo di crescente impulso per l’attività comunitaria,
appropriandosi e al contempo andando a ridurre il potere di iniziativa
che i Trattati affidano alla Commissione. Inoltre, l’obbligo di dover
presentare al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle
proprie riunioni non si collega a precise conseguenze giuridiche, né da
esso deriva la possibilità per il Parlamento di svolgere un controllo
politico effettivo sulla sua attività, data la presentazione successiva
13
U. DRAETTA, op. cit., p. 80.
14
A. MANZELLA, «Gli equilibri costituzionali nell’Unione Europea», in Fondazione Lelio e Lisli Basso
– Sfera pubblica e Costituzione europea, Carocci Editore, Roma, Annali 2001, p. 24.
13
alle riunioni, e non preventiva, della suddetta relazione
15
. Se si guarda
al sistema istituzionale comunitario, alla confusione dei poteri che lo
caratterizza con pregiudizio dell’unica istanza autenticamente
democratica, l’UE appare lontana dai criteri che essa stessa ha
richiesto e continua a richiedere ai Paesi che vogliono aderirvi,
ingenerando il famoso paradosso per cui l’Unione non potrebbe
accettare se stessa fra i propri membri.
Una forte presa di posizione per la risoluzione del problema della
legittimità democratica si è avuta con l’apertura di un dibattito sul
futuro dell’Europa previsto nel Trattato di Nizza e avviato dal
Consiglio Europeo tenutosi a Laeken, in Belgio, nel dicembre 2001.
Nelle conclusioni del documento si annunciava l’istituzione di una
«Convenzione», composta dai rappresentanti del Parlamento europeo,
della Commissione, dei governi e dei parlamenti sia degli Stati
membri che dei dieci nuovi Stati allora candidati all’ammissione,
incaricata, fra l’altro, di migliorare l’assetto democratico dell’Unione;
nelle poche ma dense pagine della Dichiarazione di Laeken, che ha
definito il mandato della Convenzione, si fa infatti riferimento
numerose volte alla necessità di «legittimità democratica», «controllo
democratico», «valori democratici», a testimonianza del fatto che
questo era ed è considerato il nodo cruciale irrisolto della costruzione
europea
16
. I lavori della Convenzione hanno portato ad un progetto di
Costituzione europea, adottato dai Capi di Stato e di governo nel
giugno 2004, ma ancora in attesa di essere ratificato
17
.
15
U. DRAETTA, op. cit., p. 43 e ss.
16
U. DRAETTA, op. cit., p. 19 e ss.
17
Il Trattato costituzionale entrerà in vigore solo dopo essere stato ratificato da tutti gli Stati membri.
Nonostante le due vittorie dei «no» ai referendum di Francia e Paesi Bassi, svoltisi rispettivamente il 29
maggio e il 1° giugno 2005, il processo di ratifica prosegue. I Paesi che hanno attualmente ratificato la
Costituzione sono 15: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia,
Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia e Spagna.