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Introduzione
l presente lavoro è frutto di un lungo processo di studio e di
analisi, volto ad offrire al lettore un quadro completo di
come fare marketing oltre confine attraverso la
comunicazione, e di far comprendere che si tratta di un’attività
molto complessa, con implicazioni di varia natura, non solo
economiche.
Oggi fare marketing è un’attività d’impresa di natura quotidiana
con, alle spalle, decenni di evoluzione teorica. Dal punto di vista
pratico, parlando di marketing, è possibile distinguere due
grandi aree d’azione:
Analizzare il mercato per soddisfarne le esigenze;
Focalizzarsi su di un prodotto che già c’è e decidere
come comunicarlo al mercato.
Per quanto concerne la prima area, si tratta di svolgere analisi di
mercato, con lo scopo di capire quali siano le esigenze del target
e quali attributi ricerca nel prodotto, o meglio quali di questi
vanno ad incidere più di altri nella pulsione all’acquisto. Questo
è un modo di fare marketing di natura palesemente strategica: è
come se il mercato si riferisse all’azienda, suggerendole che
nella costruzione della sua gamma di prodotti deve basarsi su
I
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quei precisi attributi.
La seconda area, invece, riguarda l’attività di fare marketing
attraverso la comunicazione. Trovandosi nella condizione di
aver già sviluppato un prodotto, bisogna capire come
comunicarlo al mercato. Sicuramente tutta l’azione
comunicativa sarà svolta in modo tale da esaltare le
caratteristiche del bene, al fine di generare una qualità percepita
pari a quella che il consumatore vuole. Per far ciò, innanzitutto,
e fondamentale sapere come si comunica al mercato l’esistenza
di un prodotto e ciò che con esso l’impresa vuole comunicare.
Fare marketing in questo modo implica notevolissime capacità
gestionali da parte del management: si tratta di comprendere
quali sono gli strumenti di comunicazione adeguati per
raggiungere quel mercato, oppure in primis per promuovere
quel determinato prodotto.
Da queste considerazioni introduttive è facile intuire la criticità
delle scelte da intraprendere, anche perché logicamente da
queste derivano le maggiori o minori probabilità di
sopravvivenza della stessa impresa. Tutto ciò, sommato agli
ingenti investimenti necessari per comunicare, suggerisce
l’obbligo di svolgere, in via preliminare, complesse attività di
pianificazione per poter dare il via all’intero processo di
comunicazione. Oltre a pianificare tutti gli sforzi aziendali, si
rivelano vitali le attività di monitoraggio e analisi dei risultati, al
fine di verificare l’efficacia (valutazione dei feed-back) e
l’efficienza (confronto costi-benefici) della compagna
comunicativa. È palese che tutti questi sforzi diventano più
complessi quando il ricevente non appartiene al mercato
domestico ma ad uno straniero, ed in tal caso si parla di
comunicazione interculturale.
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Sostanzialmente, l’elaborato si struttura in due parti. Nella
prima (cap. 1 e 2) sono proposte le problematiche insite nella
comunicazione d’impresa oltre confine, le varie strategie che il
management può adottare, con specifico riferimento alla
dicotomia tra standardizzazione e adattamento. Dopo aver
chiarito la necessità di coordinazione e d’integrazione come
approccio alla politica di comunicazione, nel secondo capitolo,
sempre di natura teorica, è affrontato il tema dell’attività di
pianificazione della comunicazione internazionale di marketing,
formalizzata in un documento dal quale si procede praticamente
ad avviare tutte quelle azioni che permettono di concretizzare il
processo di comunicazione internazionale. In particolare, in
quest’ambito è stata data attenzione all’ipotesi di collaborazione
con agenzie di comunicazione esterne e alla scelta del
communication mix. La seconda parte del lavoro (cap. 3),
invece, è di natura esperienziale, poiché è presentato il caso
dell’azienda grossetana Vemar Helmets S.r.l., leader in Europa
nella produzione e nel commercio di caschi protettivi di
motociclisti. Un sincero ringraziamento è rivolto al dott. Nicola
Simoni, attuale amministratore unico della società che,
attraverso una preziosa e interessante intervista ci ha permesso
di capire in concreto quali siano le dinamiche di una politica di
comunicazione in ambito internazionale.
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Capitolo 1
LA COMUNICAZIONE
INTERNAZIONALE DI MARKETING
el marketing mix internazionale l’ultimo step è
rappresentato dalla politica di comunicazione,
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la quale
riveste, però, un ruolo strategico tale da influenzare
l’efficacia dell’intero piano di marketing. In generale, infatti, e
ancor di più fuori dal proprio mercato domestico, per avere
successo, non è sufficiente offrire un “buon prodotto”, a un
prezzo competitivo e distribuito in modo ottimale, ma è
necessario saper esternalizzare il valore di tutti gli sforzi
aziendali.
In altre parole, per ogni impresa risulta fondamentale saper
comunicare. In particolare la comunicazione di marketing è
strategica, perché “mira a creare e a diffondere la percezione del
valore dell’impresa e della sua offerta e a migliorare la capacità
della stessa di soddisfare le esigenze dei segmenti di domanda
obiettivo”.
Parlando di comunicazione di marketing, come premessa è utile
rifarsi al fondamento teorico del marketing stesso ossia il
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In generale la comunicazione rappresenta una delle leve operative del
marketing mix. In particolare da sempre la letteratura economico-aziendale
propone lo studio delle politiche relative alle 4 P del marketing operativo:
Product, Price, Promotion e Place.
N
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marketing concept, espresso per la prima volta da Peter Drucker
nel 1954 nel modo seguente:
“There is only one valid definition of business purpose: to
create a satisfied customer”.
Con questa definizione Drucker ha inteso sintetizzare la mission
di base di ogni attività di business. Si tratta di una vera e propria
“vocazione” delle imprese di porre al centro delle proprie
attività il cliente, organizzando di conseguenza le risorse
necessarie. “La comunicazione di marketing, dunque,
rappresenta uno dei processi manageriali atti a realizzare il
marketing concept e, ottenere un durevole vantaggio
competitivo”. È palese, quindi, la natura strategica della
comunicazione di marketing, per cui è opportuno offrire
un’analisi circa i suoi aspetti più importanti. Per quanto riguarda
il contenuto, questo è mutato nel tempo a seconda delle diverse
strategie di “approccio al mercato” adottate dalle imprese:
Nel caso del “marketing orientato alla produzione”,
tipico di un ambiente economico caratterizzato da una
domanda superiore all’offerta, l’approccio al mercato è
esclusivamente guidato dalla finalità di produrre in
condizioni di efficienza. Conseguentemente, il
marketing gioca un ruolo limitato e passivo: esiste solo
per vendere ciò che è stato prodotto. Il focus è quindi
sull’attività distributiva piuttosto che sulla
comunicazione, la quale in tal caso ha contenuti
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strettamente funzionali allo scambio, centrati sulle
caratteristiche del prodotto e sul prezzo;
Nel “marketing orientato alle vendite”, prevale ancora
una valenza tattica dei contenuti di marketing e, le azioni
di comunicazione svolgono prioritariamente una
funzione persuasiva, volta a convincere il mercato ad
acquistare il bene/servizio offerto, a prescindere dalla
capacità di quest’ultimo di rispondere alle reali esigenze
della domanda;
In ultimo vi è la visione più ampia ed evoluta, ossia
“l’orientamento al mercato”, in base al quale tutta
l’organizzazione imprenditoriale nell’attività di
sviluppo, distribuzione e promozione dell’offerta è
orientata al soddisfacimento dei bisogni della clientela.
In questo sistema di valori, la comunicazione di
marketing assume una valenza strategica ai fini di una
piena”traduzione operativa” del marketing concept:
creare un cliente soddisfatto. Pertanto, il contenuto
informativo, simbolico, persuasivo e di dialogo della
comunicazione di marketing è definito in relazione
all’obiettivo di ottimizzazione del valore reso al cliente,
da cui dipende largamente il livello di customer
satisfaction.
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In estrema sintesi, il valore reso può essere considerato il profitto del
cliente, rappresentabile come differenza tra il valore percepito di un
bene/servizio e il prezzo dello stesso. Per ottenere la soddisfazione della
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Inoltre, la comunicazione di marketing consente di costruire
l’infrastruttura relazionale dell’impresa, fondamentale per la
sua sopravvivenza. Lo scopo è di “identificare, stabilire,
mantenere, accrescere e, se necessario, interrompere le relazioni
con gli stakeholder, in modo da raggiungere gli obiettivi,
economici e non, di tutte le parti coinvolte, con il fine ultimo
della creazione di mutuo valore”.
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clientela è necessario che essa percepisca che il valore del prodotto
acquistato sia superiore al costo complessivo sostenuto per ottenerne la
disponibilità. Il valore percepito, pur fondandosi sul valore d’uso, ed essendo
quindi legato ad attributi intrinseci del prodotto, presenta elevati livelli di
astrazione e soggettività. Esso dipende, infatti, da numerosi elementi, quali:
la valutazione delle relazioni tra prezzo e qualità percepita, i significati
simbolici associati alla marca, gli atteggiamenti maturati nel contesto sociale
di riferimento, le specifiche condizioni psicologiche dell’individuo, la stima
del rischio e dei costi accessori connessi al processo d’acquisto e di consumo
ecc. Tutti fattori influenzabili dalla comunicazione di marketing che portano
a conoscenza del cliente finale il sistema di attributi del bene/servizio e lo
arricchiscono al contempo con valenze di tipo simbolico. Si può affermare,
dunque, che “la differenza tra valore intrinseco e valore percepito è in
massima parte legata a come si è comunicato il valore” e che, in questo
senso, la comunicazione di marketing “rende viva” la product offering. Cfr.
MATTIACCI A., “Il marketing consumer-based. Il modello della product
offering”, CEDAM, 2003.
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Un tale approccio segna un generale superamento della logica di tipo
transazionale, fondata sul concetto di scambio come punto di arrivo nel breve
periodo delle azioni di marketing. La logica, relazionale al contrario, adotta
una prospettiva di medio-lungo termine poiché presuppone che il vero fine
ultimo dell’attività di marketing non sia la singola transazione quanto
piuttosto lo sviluppo di relazioni durevoli con i clienti e gli stakeholder. Al
marketing relazionale hanno fatto seguito il one-to-one marketing, lanciato
da Peppers e Rogers nel 1993, e quindi il customer relationship management
(CRM). Vale a dire il sistema di gestione delle relazioni con la clientela. Il
CRM, basandosi sui valori del marketing relazionale, si è affermato come la
principale traduzione operativa della nuova filosofia di marketing,
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Questa piccola panoramica proposta ha come obiettivo quello di
rendere chiaro al lettore l’importanza, concettuale e funzionale,
della comunicazione di marketing. Inoltre, il richiamo al
concetto di relazione, mira a sottolineare la necessaria capacità
delle imprese di saper svolgere l’arte del comunicare.
Laddove, poi, le attività di comunicazione di marketing si
estendono oltre il mercato domestico (assunto teorico dell’intero
lavoro), la suddetta arte assume una veste ancor più importante,
nonché maggiormente complessa. La questione è legata al fatto
che le relazioni sono fortemente influenzate dall’eterogeneità
culturale. La cultura determina, infatti, un insieme di regole di
fondo circa le modalità d’interazione tra i vari stakeholder e
condiziona in modo incisivo le decisioni di consumo.
Di conseguenza, obiettivi, strategie e tattiche di marketing sono
influenzate dai valori e dalle norme tipiche di ogni paese.
caratterizzata dall’enfasi posta in particolare sul cliente e sulla dimensione
sociale insita nelle relazioni di business, siano esse di tipo BtoC o BtoB, nei
settori dei servizi come in quelli industriali. Cfr. GUMMESSON E.,
“Marketing Relazionale”, HOEPLI, 2006.
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1.1 COMUNICARE OLTRE CONFINE:
NECESSITÀ DI EMPATIA
Nel fare business spesso le imprese hanno la necessità di
cooperare e negoziare, perché sono consapevoli di dover “agire
con” per raggiungere determinati obiettivi che nessuna delle
parti, da sola, è in grado di conquistare. Tutto ciò,
indirettamente, implica un obbligo a comunicare. Al fine di
ottenere tali scopi è chiaro che bisogna comunicare in modo
costruttivo, ossia confrontarsi in modo tale da attivare uno
scambio significativo per poter “costruire qualcosa insieme”.
Realizzare una comunicazione di questo tipo non è semplice e
nel caso in cui ci si trova a cooperare con interlocutori stranieri
(comunicazione interculturale) diventa un’operazione davvero
ardua. La difficoltà deriva dall’eterogeneità culturale, la quale è
la principale fonte dell’incomunicabilità ossia quella condizione
che impedisce alle persone e quindi alle imprese di entrare in un
contatto profondo e condividere un pensiero. L’incontro tra
culture diverse, infatti, può essere tanto produttivo e ricco di
opportunità quanto aperto a rischi e problemi: partendo dalle
diversità culturali gli effetti dell’incomunicabilità si manifestano
come un circolo vizioso che porta al fallimento (fig. 1.1).
Il perché di tali effetti è da rintracciare nel concetto stesso di
cultura, che nelle scienze sociali e manageriali è intesa come il
modo di percepire il mondo, di dare un valore alle cose, alle
relazioni, alla vita. Oggi, avere la consapevolezza del significato
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di tale concetto è fondamentale per comunicare, poiché viviamo
e le imprese lavorano in una società sempre più multiculturale.
Fig. 1.1 Circolo vizioso dell’incomunicabilità.
Fonte: adattamento dell’autore da TREVISANI DANIELE, “La
negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali.
Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”, FRANCO
ANGELI, 2005.
In sostanza la premessa per affrontare il problema
dell’incomunicabilità è “comunicare consapevoli delle
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diversità, comunicare nelle diversità e nonostante le diversità”.
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È bene notare che l’incomunicabilità ha origini sociali. Sin da
piccoli la formazione culturale è frutto dell’educazione
familiare, della scuola, dei media e del contesto. È da questi
canali che si forma lo stato di coscienza che mette le persone
nella condizione di prestare più attenzione a certi aspetti del
mondo e di trascurarne o ignorarne altre.
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Allo stesso modo si
creano i cosiddetti stereotipi, i quali se non verificati attraverso
il confronto rimangono convinzioni psicologiche rigide che
impediscono di comunicare in modo costruttivo.
Il più delle volte i comportamenti educativi reali insegnano ed
essere chiusi, diffidenti, a non fidarsi. Quest’atteggiamento
caratterizza anche le imprese, nelle quali l’onestà altrui non è
mai data per scontata, creando così una condizione di allerta
4
Cfr. TREVISANI DANIELE, “La negoziazione interculturale.
Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle
trattative internazionali”, FRANCO ANGELI, 2005.
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Secondo Daniele Trevisani la comunicazione interculturale può essere
concepita come un contatto tra diversi stati di coscienza. Uno stato di
coscienza è ad esempio lo stato del sonno, oppure della veglia. La cultura
italiana è uno stato di coscienza, così come lo è la cultura americana o
cinese. Questo concetto è molto vicino alla Multiple Reality Theory, secondo
cui non esiste “una” realtà ma più realtà a seconda degli schemi mentali usati
per la percezione. Dieci persone diverse in un viaggio comune, ad esempio,
daranno dieci resoconti diversi dello stesso viaggio, pur essendo stati esposti
agli stessi fenomeni esterni. Dunque la presunta realtà oggettiva non produce
automaticamente la stessa esperienza soggettiva del fenomeno (realtà
percettiva). Questo per alcuni è inaccettabile, ma il rifiuto di tale concetto
produce rigidità umana e manageriale, conflitti, guerre, disastri economici e
fallimenti aziendali. Cfr. TREVISANI DANIELE, “La negoziazione
interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne
sino alle trattative internazionali”, FRANCO ANGELI, 2005.
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permanente. È necessario far sì che ci sia consapevolezza di tale
clima, però come se fosse una scelta tattica e non come un
blocco che impedisce il confronto. C’è bisogno di apertura al
dialogo, alla negoziazione, pena l’inefficacia della
comunicazione. L’obiettivo è, quindi, lo sblocco delle rigidità
cognitive, attivandosi nel riconoscere i propri stereotipi, al fine
di capirli e sfruttarli in modo positivo.
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In altre parole per comunicare con successo occorre: la volontà
di comunicare, la consapevolezza della dimensione
interculturale della comunicazione, l’essere consci della
propria cultura ed essere in grado di applicare osmosi positive.
Come nella cellula, non c’è nutrimento né eliminazione di
tossine senza scambio, così anche nella comunicazione
interculturale è necessario saper eliminare le tossine che
impediscono di aprirsi all’immissione di nuova conoscenza.
Concludendo è fondamentale trovare un equilibrio tra
l’ipocrisia culturale (tendenza all’accettazione incondizionata
della cultura altrui) e l’imperialismo culturale (tendenza
all’imposizione incondizionata della propria cultura ad altri).
In altri termini per comunicare oltre confine è necessario
istaurare un rapporto empatico con l’interlocutore interculturale
(sia esso consumatore finale o un intermediario), ossia riuscire a
6
Solo da un confronto aperto e da reali prove comportamentali si potrà
capire se la controparte ha intenzioni serie ed è affidabile. In una
negoziazione di acquisto, ad esempio, un buyer deve far sì che trovi “un
fornitore di professionalità” più che di merci.
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percepire il mondo attraverso gli occhi della sua cultura.
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Un approccio empatico quindi si configura come la chiave di
volta per gestire i rapporti di business in ambito internazionale,
in modo tale da ridurre al minimo il rischio d’incomunicabilità,
che da sempre minaccia le performance aziendali. Quando la
comunicazione è bloccata, infatti, le performance calano o si
annullano del tutto, nessun traguardo comune viene mai
raggiunto. Questo legame impone al management di dare il
giusto peso alle cross-cultural business interactions, avendo
come obiettivo il crearsi di ascolti empatici bidirezionali,
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minimizzando il più possibile le incomprensioni (frutto delle
barriere psicologiche) e i fraintendimenti (causate dalle barriere
linguistiche). Connessa a queste ultime considerazioni vi è la
questione della selezione e formazione del personale aziendale
addetto alla comunicazione interculturale. Troppo spesso una
buona preparazione sull’offerta aziendale è confusa con una
presunta capacità generale di negoziare e comunicare.
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Nel caso
tale presunzione risulti errata, avrebbe conseguenze ancor più
nefaste nell’ipotesi in cui il manager deve negoziare e
comunicare con interlocutori stranieri (a ogni errore
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Cfr. MARINO VITTORIA, ”Il governo dell’impresa nella prospettiva
sistemica delle relazioni internazionali”, FRANCO ANGELI, 2005.
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La bidirezionalità è alla base di un approccio win-win, in cui entrambi gli
interlocutori possano trarre beneficio dalla comunicazione. Punto di partenza
è avere la colpevolezza che per chiedere molto ci si deve preoccupare di dare
molto.
9
Cfr. TREVISANI DANIELE, “La negoziazione interculturale.
Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle
trattative internazionali”, FRANCO ANGELI, 2005.
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coinciderebbe un contratto in meno). Per questi motivi i
negoziatori interculturali devono essere adeguatamente
selezionati, valutando il grado di apertura alle culture diverse, la
flessibilità mentale, le competenze comunicative, considerando
quindi non soltanto la loro esperienza aziendale o la
preparazione sul prodotto. La questione non è da sottovalutare,
la mancanza di una formazione adeguata del negoziatore porta
al fallimento. Ricapitolando, per vincere la lotta contro
l’incomunicabilità, bisogna adottare un orientamento che porti
all’empatia. Indispensabile a tal fine, è approcciarsi con le
seguenti premesse:
Consapevolezza della dimensione interculturale della
comunicazione;
Avere apertura al dialogo, ossia volontà di comunicare;
Consapevolezza della propria cultura che consenta
l’attuarsi di osmosi comunicative positive;
Consapevolezza delle proprie abilità/carenze
comunicative.
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1.1.1 L’ETEROGENEA VISIONE DEL MONDO:
ISTRUZIONI PER COMUNICARE
La dimensione interculturale della comunicazione rende ancor
più complicata l’arte del comunicare, di per sé già difficile. Chi
comunica, infatti, ha un compito non facile, innanzitutto deve
avere la capacità di sapersi esprimere (competenze
comunicative), al fine di raggiungere i seguenti obiettivi:
FARSI ASCOLTARE E CAPIRE
CAPIRE E ASCOLTARE GLI ALTRI
Inoltre alla base di tutto bisogna avere la consapevolezza che
comunicare significa sedurre, si tratta di un’operazione
assibilabile al corteggiamento: il messaggio deve contenere
“appeal”, deve rispondere alle pulsioni e alle esigenze
dell’interlocutore. Da migliaia di anni i teorici riconoscono la
necessità di tarare la strategia comunicativa verso il pubblico di
riferimento, creando una comunicazione incentrata sui
destinatari.
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Indirettamente, in linea con quest’antica tendenza,
viene ulteriormente confermato che nella comunicazione
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Aristotele, nella Retorica, si occupa di seduzione pubblica e persuasione.
Egli invita il politico a usare dinamicamente ethos (credibilità), logos (arte
dialettica) e pathos (arte di suscitare emozioni), centrando il pubblico nel suo
essere più intimo.