Nel corso della storia lʼuomo ha sempre cercato di fornire una
risposta rapida ed efficace agli eventi catastrofici che minaccia-
no la sua esistenza, dai primi vigiles dellʼImpero Romano alle
sirene dellʼUnione Nazionale Protezione Antiaerea che, in
unʼItalia dilaniata dalla guerra, avvisavano la popolazione civile
che stava per essere colpita da un attacco aereo affinché si ri-
fugiasse al più presto in un luogo sicuro.
La società odierna ha raggiunto un altissimo livello tecnologico
e migliora ogni giorno la risposta agli eventi che ne minacciano
la solidità ma, proprio per questo costante sviluppo e per i nuovi
pericoli come il terrorismo, è necessario continuare la strada
verso la riduzione, se non lʼazzeramento, della vulnerabilità del-
la popolazione, delle attività economiche e della strutture politi-
che.
Alleati in questa sfida, anche se spesso poco considerati in
passato, ed in qualche modo successori delle sirene antiaeree,
sono i mass media che, con la loro diffusione capillare e le loro
doti comunicative possono risultare determinanti nel fornire in-
formazioni utili e dare indicazioni sul comportamento prima, du-
rante e dopo lʼevento. Può accadere però che il rapporto fra i
media e le istituzioni sia difficoltoso, se non addirittura conflit-
tuale e, nellʼambito di un lavoro che analizza proprio questo
rapporto, potrebbe essere opportuno introdurre un modello ad
oggi poco trattato nella letteratura inerente la comunicazione in
2
emergenza, almeno in Italia: i Media Emergency Forum del Re-
gno Unito.
Per evidenziarne al meglio le caratteristiche è opportuno utiliz-
zare lʼesempio degli attacchi al sistema di trasporti pubblici di
Londra del 7 luglio 2005 dove tale sistema trovò per la prima
volta applicazione su un evento di grandi proporzioni; successi-
vamente a tale evento fu inoltre istituita una commissione dʼin-
chiesta il cui rapporto finale risulterà molto utile alla compren-
sione del funzionamento, e soprattutto dei punti di forza, del
1
modello britannico di comunicazione in situazioni emergenziali.
Prima di addentrarsi nellʼanalisi della gestione dellʼinformazione
nel corso di questo evento è necessario fornire alcuni fonda-
mentali accenni teorici che aiutino a comprendere come la so-
ciologia e la psicologia sociale hanno fatto il loro ingresso nel
campo della risposta alle emergenze.
1
Greater London Authority, Report of the 7 July Review Committee, Greater London Authority, Londra 2006
3
1 Comunicare la crisi: la gestione mediale delle emergenze
“Per gestire correttamente una crisi occorre saper imparare rapidamente.
Per imparare rapidamente nel corso della crisi è necessario avere già im-
parato molto prima”
Patrick Lagadec
Lo studio della comunicazione in situazioni di emergenza, più
specificamente “crisis communication”, rappresenta solamente
una parte della disciplina del risk management.
In ambito accademico, nel nostro Paese si comincia a nutrire un
certo interesse per la comunicazione del rischio soltanto a parti-
2
re dagli anni settanta, dopo il disastroso terremoto del Friuli;
fino a poco tempo prima, infatti, non esistevano studiosi in Italia
che orientassero i propri sforzi in questa direzione.
La situazione è però variata sostanzialmente in quanto, da
quando è stata ampiamente riconosciuta la necessità di avere a
disposizione strategie e strumenti comunicativi allʼaltezza di af-
frontare una crisi, valutando anche gli enormi vantaggi econo-
mici, politici, sociali, sanitari e, non in ultimo, psicologici appor-
tati da unʼefficiente management dellʼemergenza e si è consta-
tato il potere esercitato dai media allʼinterno della nostra socie-
3
tà, si sta sviluppando anche in Italia lo studio della crisis com-
2
R. Strassoldo - B. Cattarinussi (a cura di), Friuli: la prova terremoto, Franco Angeli, Milano 1978
3
K.R. Popper, Cattiva maestra televisione, Marsilio, Venezia 2006
4
4
munication. Ad oggi però gli studi compiuti in questo campo re-
stano di fatto pochi, dato che pochi sono anche gli studiosi im-
pegnati in tal senso e conseguentemente quasi nulla è stato
realizzato a livello pratico anche perché spesso questa discipli-
na viene considerata parte delle strategie di risk management
aziendale; è tuttavia necessario riconoscere il valore e lʼorigina-
lità dei pochi studi di settore, molto spesso limitati ad un livello
accademico e prettamente teorico.
Nella prosecuzione di questo lavoro analizzeremo in modo più
approfondito le posizioni degli studiosi italiani ed europei sul-
lʼargomento, sottolineando la necessità di sviluppare lʼapplica-
zione pratica di tale disciplina per rivolgere uno sguardo appro-
fondito al metodo che più si avvicina allʼoptimum: i Media
5
Emergency Forum britannici.
6
1.1 Previsione, prevenzione, soccorso e ripristino
Prima di addentrarsi in modo più specifico nella crisis communi-
cation è necessario effettuare una preliminare distinzione fra le
più comuni definizioni di emergenza: la prima è quella detta
4
M. Lombardi, Gestione dellʼ informazione nelle emergenze di massa. Note attorno al caso Chernobyl, in
Studi di Sociologia, Vita e Pensiero, Milano 1988, pagg.216-227
5
London Resilience, Communicating with the public, Londra, 2008
6
Previsione, prevenzione, soccorso e ripristino sono le quattro principali fasi dellʼemergenza individuate dal
Dipartimento della Protezione Civile.
5
“frequentista”, risultato degli studi tecnici di ingegneria della si-
curezza effettuati negli anni sessanta mentre la seconda, de-
nominata “cognitiva”, deriva dallʼintroduzione delle materie
umanistiche e di un approccio più flessibile e social-oriented al-
7
lo studio dellʼemergenza. La differenza basilare fra i due ap-
procci consiste in una visione profondamente diversa del ri-
schio; i primi studi sulle emergenze, infatti, essendo nati in un
ambito strettamente ingegneristico, si basano su una concezio-
8
ne “tecnica” del rischio, considerato come un evento straordi-
nario ed improvviso che ha il potere di sconvolgere profonda-
mente la routine quotidiana e che deriva generalmente da un
grande evento come una catastrofe naturale o un evento antro-
pico di grandi proporzioni come un incidente industriale, un di-
9
sastro aereo o un attacco terroristico.
Secondo questa visione il rischio (R) viene definito con lʼequa-
zione:
R=F x M
dove F indica la frequenza reale o probabile di accadimento di
un dato fenomeno e M le proporzioni delle conseguenze di tale
7
M. Lombardi, Tsunami. Crisis management della comunicazione, Vita e Pensiero, Milano 1993
8
I primi studi in tal senso si possono ricollegare agli esponenti della scuola statunitense del Disaster Re-
search Institute dellʼUniversità di Delaware, attivo a partire dal 1985, mentre lʼapproccio social oriented deri-
va da studiosi europei.
9
M. Lombardi, Comunicare nellʼemergenza, Vita e Pensiero, Milano 2005
6
evento, escludendo così ogni altra variabile socioculturale.
Partendo da questo concetto, gli studiosi delle emergenze con-
centrano il lavoro in due direzioni principali: la riduzione delle
conseguenze dellʼevento e la diminuzione della frequenza di
accadimento.
Tali obiettivi, già a prima vista piuttosto elementari, risultarono
presto alquanto riduttivi poiché, nonostante costituiscano una
valida base di partenza per la previsione e la prevenzione delle
catastrofi, non prevedono lʼenorme corollario di effetti psico-so-
ciali provocati dal vero e proprio nucleo dellʼemergenza, durante
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e dopo lʼevento calamitoso; preso atto dei successi ottenuti
nel campo delle tecnologie e delle strategie impiegate per fron-
teggiare le calamità, fu subito chiaro che, per coprire lʼintero
spettro delle problematiche portate da una situazione di crisi,
era necessario introdurre un approccio multidisciplinare: a fian-
co di scienze statistiche e tecniche vennero quindi applicate
scienze sociali come sociologia, antropologia e psicologia so-
ciale che ampliarono la visuale dalla semplice considerazione
dei danni fisici ad unʼottica più vasta di risk management.
Lʼapproccio multidisciplinare conferisce importanza al contesto
socioculturale in cui accade lʼevento piuttosto che ai soli danni
da esso provocati, spostando il concetto di rischio dal mero
evento calamitoso ad un “evento stressogeno” preso in esame
a prescindere dalle cause, includendo così accadimenti prima
non considerati emergenze come situazioni politiche o guerre e
10
B. Cattarinussi - C. Pelanda - A. Moretti, Il disastro: effetti a lungo termine, Grillo, Udine 1981
7
riconoscendo lʼesistenza di una risk society in cui “il rischio è
una caratteristica costante dellʼazione umana che può essere
ridotta ma non eliminata del tutto perché imprevedibile è il risul-
tato di questa azione”.
La definizione di emergenza proposta dallʼapproccio multidisci-
plinare viene definita appunto “cognitiva” e si ricollega agli studi
sullʼevoluzione della specie da cui riprende la teoria secondo la
quale allʼinterno di un ambiente prevedibile le specie animali
presentano alte probabilità di sopravvivenza che sono però de-
stinate a diminuire con lʼaumento della complessità e dellʼim-
prevedibilità delle condizioni ambientali, portando ad una mag-
giore selezione della specie che sarà costretta ad assumere at-
11
teggiamenti adattivi per non soccombere.
Da qui lʼimportanza attribuita dallʼapproccio cognitivo al conte-
sto, considerato come fattore concorrente nel determinare gli
effetti di una crisi e la formulazione di emergenza quale “evento
non dominabile cognitivamente”, ovvero come “assenza di do-
minio cognitivo del sistema sullʼevento”.
Per comprendere lʼimportanza del contesto nel determinare gli
effetti della crisi, è sufficiente osservare come due calamità, di
uguale magnitudo secondo una misurazione tecnico-scientifica,
possano avere come risultato una diversa “magnitudo” sui diffe-
renti sistemi sociali che vanno a colpire: un terremoto di mede-
11
E. Borghi, Bioterrorismo: il ruolo dei media nella gestione delle emergenze, Ce.Mi.S.S., Roma 2005
8
sima intensità produce effetti profondamente diversi in Irpinia ed
12
in California.
Lʼemergenza quindi porterà a una serie di effetti intrinseci nel
sistema colpito che presenterà di conseguenza una specifica
vulnerabilità a seconda dellʼevento scatenante; per unʼefficiente
gestione della crisi sarà opportuno sviluppare strategie di ge-
stione volte a fornire a ogni diverso sistema le conoscenze di
base per fronteggiare diversi eventi al fine di evitare il totale
caos.
Secondo gli studi basati sullʼapproccio multidisciplinare è quindi
possibile e auspicabile la creazione di una “subcultura del-
lʼemergenza”, detta anche, negli ambienti operativi italiani, “cul-
13
tura di Protezione Civile”, che comprenda le strategie e le tec-
niche fondamentali per ridurre la vulnerabilità del sistema, por-
tando quindi a una potenziale riduzione degli effetti dannosi.
La vulnerabilità del sistema può essere definita con unʼequa-
zione che, contrariamente a quella proposta dalla teoria fre-
quentista, prevede anche il concetto di vulnerabilità che rappre-
senta la differenza fra la domanda e lʼofferta di risposta allʼeven-
to in un dato momento. Avremo quindi:
R=P x I x V
12
M. Lombardi, Comunicare nellʼemergenza, Vita e Pensiero, Milano 2005
13
Regione Piemonte, Diario di Protezione Civile, Torino 2008; pubblicazione rivolta a bambini e famiglie allo
scopo di far nascere e sviluppare una cultura dellʼemergenza.
9
dove P è la probabilità che si verifichi un dato evento, I indica
lʼintensità associata allʼevento stressogeno e V la vulnerabilità,
caratteristica intrinseca del sistema.
Possiamo quindi concludere che, mentre P e I sono caratteri
propri dello stressore, V appartiene alla vittima che ne mantiene
il controllo.
Tale idea di prevenzione, svolta a livello generale con il fine di
svilupparlo e migliorarlo, affianca al successo del crisis mana-
gement la capacità di controllare le risposte comportamentali
fornite dal sistema e, in particolare, dai singoli individui che ne
rappresentano le particelle fondamentali: le risposte costitui-
scono però una fase di incertezza durante la quale i processi
cognitivi ed organizzativi rischiano di sfuggire al controllo delle
autorità, alterando così lʼentropia del sistema.
Proprio per questi motivi appare necessario disporre di misure e
strumenti di risposta e prevenzione adatti a particolari tipologie
di crisi e alla subcultura a cui si rivolgono; la comunicazione può
quindi essere un efficace metodo di gestione dellʼemergenza e
inoltre può facilmente assumere il ruolo di strumento educativo
per diffondere una cultura di Protezione Civile volta a ridurre la
vulnerabilità dellʼintero sistema.
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