imprese di costruirsi un marchio cui venga associata un’immagine forte che evochi, di
volta in volta, qualità, valori, emozioni, status.
Il tema trattato nel presente lavoro - la comunicazione di marketing nell’impresa
internazionale - è stato scelto per la sua grande attualità ed in coerenza con il piano di studi
triennale appena terminato , dal nome “Istituzioni e mercati internazionali”.
Il lavoro si articola in tre parti.
Nella prima parte si analizzano tre concetti indispensabili per delineare l’ambito entro il
quale si svolgerà il lavoro: il processo di globalizzazione dei mercati, le caratteristiche
delle imprese internazionali e le diverse forme di comunicazione dell’impresa.
Si inizia da una fotografia del momento storico, caratterizzato, dal punto di vista
economico, dall’ampliarsi delle prospettive di mercato delle aziende in conseguenza
dell’integrazione politica che ha portato alla nascita dell’Unione Europea e delle continue
innovazioni tecnologiche.
Naturale conseguenza di questi eventi è stata un’espansione in senso internazionale delle
imprese. Si analizzano, pertanto, le caratteristiche e le modalità di espansione delle imprese
internazionali e le varie configurazioni che esse possono assumere (multinazionali, globali,
transnazionali).
Si passa poi alla definizione delle diverse forme di comunicazione aziendale dell’impresa
internazionale (interna, economico-finanziaria, istituzionale, sociale, di marketing),
distinguendole in base alle rispettive caratteristiche ed ai pubblici-obiettivo cui si
rivolgono.
Nella seconda parte del lavoro si definiscono le peculiarità della comunicazione di
marketing nell’impresa internazionale. Si inizia analizzando i motivi per cui essa appare
necessaria e le difficoltà che l’impresa che opera in più paesi-mercato incontra
nell’imbastire una campagna di comunicazione.
5
Successivamente si esaminano le posizioni presenti in letteratura relativamente alla scelta
tra standardizzazione e differenziazione della comunicazione di marketing in relazione ai
diversi contesti socio-economici cui deve relazionarsi l’impresa che internazionalizza
l’attività.
Si passa poi al tema dell’immagine aziendale, che determina il modo in cui l’azienda e la
sua offerta sono percepite dai pubblici-obiettivo.
Nel paragrafo quattro ci si sofferma sul ruolo che la marca può assumere nel comunicare
gli elementi che differenziano l’offerta di un’impresa, sulle alternative che si presentano
all’impresa nella politica di branding internazionale, sul processo che porta alla scelta del
nome di marca (naming).
Infine, ci si rivolge alle forme di comunicazione a scopo promozionale.
Il quinto paragrafo è interamente dedicato alla pubblicità: si effettua l’analisi della scelta
tra standardizzazione e differenziazione della campagna pubblicitaria internazionale, della
scelta del messaggio da inviare e del linguaggio da adottare in relazione alle culture dei
diversi paesi-mercato, dei media disponibili, delle restrizioni imposte dalle differenti
normative.
Nel paragrafo che chiude la seconda parte del lavoro vengono sinteticamente analizzate
alcune forme di promozione non pubblicitaria dell’impresa internazionale: il personale di
vendita, gli incentivi agli acquisti, le comunicazioni dirette, le fiere, le sponsorizzazioni, il
merchandising ed altri elementi del marketing mix usti con finalità persuasive.
Nella terza ed ultima parte del lavoro si presenta un caso aziendale: la Renée Blanche s.r.l..
Il reperimento delle informazioni presentate è stato effettuato attraverso la realizzazione di
un’intervista alla Sig.ra Ersilia Missano, amministratore delegato della società.
6
Parte Prima
Nozioni preliminari
1 Il processo di globalizzazione dei mercati
Un’analisi del ruolo della comunicazione all’interno dell’impresa internazionale non può
essere svolta senza una precedente contestualizzazione dell’argomento nello specifico
momento storico. A partire dagli anni novanta, infatti, è in corso un processo di
globalizzazione che consiste nell’affermazione del modello del libero mercato su scala
internazionale e nell’accesso aperto e non regolamentato ai mercati mondiali.
Ne sono derivati un aumento della pressione concorrenziale, un ampliamento delle
prospettive di mercato e la necessità, per le imprese, di ricercare la massimizzazione delle
proprie performance in una dimensione globale (Valdani, 2000, p. 14). Ciò ha comportato
un notevole aumento dei flussi commerciali e finanziari anche tra Paesi molto distanti tra
loro.
Il processo di globalizzazione dei mercati ha avuto grande impulso in particolare grazie a
due fenomeni che hanno caratterizzato quest’ultimo secolo: l’integrazione politica,
economica e sociale ed il progresso in campo tecnologico.
Con il termine “integrazione” si indica il processo di pacificazione tra i popoli ed il
conseguente aumento delle relazioni tra di essi. Tale processo è iniziato nel 1951, pochi
anni dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, con la nascita del mercato
comune del carbone e dell’acciaio (CECA), cui aderirono Francia, Germania, Italia e
7
Benelux
1
, ed è proseguito con l’istituzione del mercato comune dell’energia atomica
(CEEA
2
), con il trattato CEE
3
nel 1957, con altri accordi commerciali (Uruguay Round,
GATT, ecc.) e con la creazione dello SME nel 1978, il Sistema Monetario Europeo che
introdusse l’ECU (European Currency Unit), moneta europea operante solo contabilmente.
Il processo d’integrazione ha subito una notevole accelerazione con la caduta del muro di
Berlino, nel novembre del 1989, che ha sancito la fine della guerra fredda
4
.
Pochi anni dopo, nel 1992, è stato siglato a Maastricht un accordo
5
tra i Paesi della
Comunità Europea (allora dodici), sancendo la trasformazione della Comunità in Unione
Europea (UE) e la creazione di una nuova istituzione sovranazionale, la Banca Centrale
Europea, incaricata di condurre la politica monetaria dell’Unione. Il Trattato di Maastricht
ha previsto l’adozione di una moneta unica (l’Euro) ed ha stabilito alcuni criteri di
convergenza che i Paesi che aspiravano ad accedere all’Unione Monetaria Europea (UEM)
avrebbero dovuto rispettare (Blanchard, 2003, p. 322):
ξ il tasso di inflazione nell’anno precedente all’ammissione non può superare di 1,5 punti
percentuali la media dei tassi di inflazione dei tre Paesi membri con inflazione più
bassa;
1
Il Benelux è un’unione commerciale nata nel 1944, allo scopo di uniformare le legislazioni sul commercio
di Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi.
2
Noto anche come Euratom.
3
Comunità economica europea. Alcuni dei più importanti obiettivi del trattato CEE (Comunità Economica
Europea) erano: la creazione di una politica agricola comune, l’attuazione di una politica comune dei
trasporti, il divieto degli accordi tra imprese con lo scopo di limitare la produzione, lo sviluppo tecnico, gli
investimenti, il divieto di ripartirsi i mercati e le fonti di approvvigionamento, l’armonizzazione delle
legislazioni economiche e sociali.
4
La “guerra fredda” indica il periodo compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del
muro di Berlino e dei vari regimi comunisti dell’Europa orientale. Durante questi anni il mondo si è
idealmente diviso in due blocchi: quello occidentale, cui facevano capo gli Stati Uniti, e quello orientale, il
cui stato più importante era l’ex Unione Sovietica. Le relazioni commerciali si erano ridotte al minimo, così
come quelle diplomatiche, portando fame, sottosviluppo e assenza delle libertà fondamentali nell’Est
europeo.
5
Il nome ufficiale dell’accordo è “Trattato dell’Unione Europea”.
8
ξ il tasso di interesse nominale a lungo termine non può essere superiore di oltre 2
punti percentuali alla media dei tassi di interesse a lungo termine dei tre Paesi membri
con il più basso tasso di inflazione;
ξ il tasso di cambio deve essersi mantenuto, nel corso dei due anni precedenti
l’ammissione, all’interno delle normali bande di oscillazione stabilite dallo SME.
Inoltre, durante lo stesso arco di tempo, il Paese non può aver svalutato la propria
parità centrale;
ξ il rapporto tra disavanzo pubblico annuale ed il Prodotto Interno Lordo (deficit/PIL)
non deve superare il 3%;
ξ il rapporto tra debito pubblico complessivo e il Prodotto Interno Lordo non deve
superare il 60%.
Le nazioni facenti parte dell’Unione Monetaria Europea che rientravano in questi
parametri hanno poi sottoscritto, nel 1997, il Patto di Stabilità e Crescita, allo scopo di
preservare l’equilibrio economico dell’Unione
6
.
Dal punto di vista politico, inoltre, il processo di integrazione si è rafforzato con la recente
firma (2004) di un’unica carta costituzionale nella quale si identificano ben venticinque
Paesi
7
.
La crescente proiezione internazionale delle politiche governative, l’abbattimento delle
barriere geografiche rappresentate dalle dogane e la conseguente abolizione di dazi, tasse e
contingentamenti hanno determinato una graduale ma inarrestabile apertura delle
economie, che ha propiziato la nascita di nuovi mercati e l’internazionalizzazione degli
6
Il Patto ha stabilito, tra l’altro, le misure che possono essere adottate dalla Banca Centrale Europea nei
riguardi dei Paesi che, ammessi all’area dell’euro in quanto riconosciuti in linea con i criteri di convergenza,
tendessero successivamente ad allontanarsi da tali condizioni positive.
7
Gli Stati firmatari sono: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia,
Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria.
9
stessi. La liberalizzazione della circolazione di merci, capitali e lavoratori ha aperto nuove
prospettive di sviluppo economico.
Si sono ampliate le potenziali aree d’affari delle imprese, che possono indirizzare il proprio
business oltre i confini nazionali, ad esempio de-localizzando nelle nuove aree ad
economia di mercato molte attività produttive o anche articolando in più località attività
della stessa filiera (Stampacchia, 2003, p. 91). Dall’altro lato, si è avuto il rischio di un
aumento della concorrenza che mette a dura prova soprattutto le piccole e medie imprese a
conduzione familiare, le quali devono fronteggiare sul mercato colossi internazionali che
possono offrire ai clienti condizioni più vantaggiose (prezzi più bassi grazie alle notevoli
economie di scala, rateizzazione dei pagamenti, assistenza post-vendita, ecc.).
La riduzione delle distanze tra i mercati, inoltre, ha comportato la riduzione delle
differenze tra le preferenze dei consumatori a livello nazionale o regionale, che
consentivano alle imprese, ad esempio, di vendere i prodotti superati o qualitativamente
inferiori nei Paesi meno sviluppati.
L’altro aspetto fondamentale della globalizzazione è senz’altro lo sviluppo e la diffusione
della tecnologia
8
, probabilmente la determinante che maggiormente ha inciso
sull’internazionalizzazione dell’economia e delle attività delle imprese e che ha spinto il
mondo verso modelli sempre più uniformi e convergenti (Levitt, 1988, p. 19).
Lo sfruttamento della tecnologia permette la nascita di una nuova realtà commerciale e
l’emergere di mercati globali, in particolare per i prodotti di consumo standardizzati, di
dimensioni inimmaginabili in precedenza. Le imprese che dispongono di innovazioni
tecnologiche possono migliorare qualitativamente i propri prodotti, rendere maggiormente
efficiente la struttura organizzativa, beneficiare di considerevoli economie di scala nella
8
Daniel J. Boorstin ha affermato che il nostro tempo è guidato dalla “repubblica della tecnologia”, la cui
legge suprema è la convergenza, ossia la tendenza di ogni cosa a diventare sempre più simile ad ogni altra. In
campo economico, questa tendenza spinge i mercati verso un’uniformità globale (Levitt, 1988, p. 21).
10
produzione, nella distribuzione, nel marketing, nella gestione in generale. Traducendo
questi vantaggi in termini di prezzo, possono decimare quella concorrenza che ancora
opera secondo una visione limitata del mercato mondiale (ibidem, p. 20).
Lo sviluppo tecnologico è divenuto un fenomeno marcatamente transnazionale ed
interaziendale, sottratto al dominio di un singolo Paese od operatore. Nessun’impresa
dispone, infatti, di risorse e capacità sufficienti per affrontare in piena autonomia i rischi
connessi con lo sviluppo di un sapere scientifico e tecnologico che è sempre più costoso e
sempre meno difendibile dall’appropriazione da parte di terzi
9
. Inoltre, nessun Paese può
ritenersi indipendente ed autosufficiente rispetto alle conoscenze tecnologiche sviluppate e
disponibili in altre nazioni. Emerge dunque con chiarezza che il sapere scientifico ed
informativo è una risorsa che si forma ed è acquisita non più all’interno della singola
impresa, ma sul piano dell’economia globale.
Nel settore dei trasporti, inoltre, la tecnologia ha ridotto sia il tempo sia il costo del
trasferimento delle merci, rendendo più accessibile lo sbocco e l’approvvigionamento di
risorse, componenti o prodotti finiti a livello internazionale.
Addirittura maggiore è stato il progresso nel campo delle comunicazioni
10
, in particolare
grazie alla diffusione di Internet, che permette alle imprese di raggiungere potenziali clienti
in tutto il mondo, mettendo a loro disposizione sevizi ed informazioni in tempo reale.
9
Ciò vale anche per le imprese di grandi dimensioni che operano nelle tecnologie di base, per le quali risulta
sempre più difficile mantenere il controllo esclusivo del know-how, sviluppandone in autonomia tutte le
potenziali applicazioni.
10
Solo negli ultimi venti anni, la rete globale di computer, televisioni e telefoni ha aumentato la sua capacità
di trasporto di informazioni di oltre un milione di volte.
11
La tecnologia applicata alle comunicazioni, inoltre, consente alle imprese di ottenere più
velocemente le informazioni necessarie a rimanere competitive a livello internazionale e
permette loro di essere più pronte a rispondere alle sollecitazioni dei mercati
11
.
Alla luce di quanto detto, l’internazionalizzazione sembra rappresentare per le imprese una
scelta quasi obbligata: essa non è più solo la condotta difensiva più efficace contro
l’aggressione dei concorrenti stranieri nel proprio mercato nazionale. La crescita
internazionale non è soltanto una delle opportunità a disposizione delle imprese, bensì una
componente strutturale ed ineliminabile delle scelte aziendali. Essere presenti nei mercati
esteri non è occasione per sfruttare un vantaggio competitivo “home-made”, ma condizione
necessaria (anche se non sufficiente) per acquisire tale vantaggio (Zucchella, 1999, p. 23).
11
La raccolta e l’analisi di informazioni relative ai mercati è indispensabile per le imprese, soprattutto
quando internazionalizzano la propria attività. H. Igor Ansoff osserva che le imprese che hanno una
consuetudine di analisi e di osservazione del proprio mercato naturale sono meglio preparate ad affrontare il
cammino dell’internazionalizzazione. Lo stesso W. G. Scott riconosce all’informazione un ruolo strategico
all’interno dell’attività dell’impresa internazionale, sottolineando la stretta relazione tra disponibilità di
informazioni e processo di internazionalizzazione (Scott, 1988, p. 128).
12