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Ciò può contribuire a spiegare storicamente l’essenza giuridica del
procedimento amministrativo quale strumento di raffronto e di
comparazione, se non di composizione, di situazioni giuridiche
congenitamente ed inevitabilmente contrapposte: quella del soggetto
titolare di interessi pubblici e quella del titolare di situazioni giuridiche
individuali.
Si ravvisa quindi nel procedimento amministrativo non solo un
connotato di garanzia di legalità ma un meccanismo di equilibrio e di
rilevanza tra potere discrezionale e situazioni giuridiche soggettive.
Il procedimento amministrativo (come aveva espresso M.S. Giannini) è
la sede di ponderazione degli interessi “in gioco” che presuppongono il
provvedimento: in tale sequenza di atti ordinata al raccordo di interessi
molteplici di diversa natura e riferibilità si raggiunge “la giustizia
attraverso il procedimento” mediante la comparazione e la ponderazione
di tutte le situazioni giuridiche a fronte del fine che è costituito dal
pubblico interesse concretamente e specificatamente individuato.
L’affermarsi, col tempo, della convinzione che la sede procedimentale
sia quella naturale del confronto e della selezione degli interessi ha
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portato: all’esaltazione del valore della partecipazione1; all’imporsi, in
luogo della considerazione formale del procedimento come sequenza di
atti eterogenei accomunati dall’unico fine, della riconsiderazione
funzionale del procedimento, come sede di confronto e di selezione degli
interessi; allo spostamento del “fuoco” dell’attenzione dal
provvedimento al procedimento, inteso non più come forma dell’azione,
ma sostanza e organizzazione dell’attività amministrativa : ossia non più
come insieme di modalità formali di estrinsecazione del potere, ma come
espressione del potere nella sua conformazione e momento di sintesi fra
principio autoritativo e principio democratico; all’evoluzione
dell’amministrazione-autorità in amministrazione-servizio, che trova
fondamento anche e soprattutto nella collaborazione e nel consenso e
non soltanto nel puro principio di legalità; al farsi strada, infine, della
1
L’auspicio di una legge che prevedesse la partecipazione dei privati nella
generalità dei procedimenti muoveva dall’esigenza di garantire soprattutto la
comprensibilità della condotta amministrativa, cioè la consapevolezza del
modo di svolgimento delle pubbliche funzioni con la connessa possibilità di
esercizio del controllo sociale sulle scelte compiute (così MARRAMA, La
pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione
del procedimento amministrativo; VILLATA, La trasparenza dell’azione
amministrativa, che sottolinea l’essenzialità del ruolo del controllo
6
convinzione che le scelte amministrative non sono più monopolio
dell’elemento burocratico, ma prodotto comune di questo e
dell’elemento partecipativo2.
L’evoluzione storica dei rapporti tra potere pubblico e cittadino può
suddividersi in tre fasi : la prima vede un ordinamento fortemente
autoritario, nella quale vi era una penetrante soggezione del privato al
potere amministrativo; ad essa è seguita una fase (apertasi ad inizio di
questo secolo), nella quale l’amministrazione è chiamata ad intervenire
nella vita sociale ed economica : aumenta il volume dei servizi erogati ai
privati, nonché la dimensione dell’apparato amministrativo; ai privati
vengono riconosciute vere e proprie posizioni pretensive in relazione
all’attività della Pubblica Amministrazione.
Nella terza fase (iniziata alla metà di questo secolo), si evidenzia un
progressivo complicarsi dei rapporti tra P.A. e privati ed in tale contesto
democratico della collettività sulla pubblica amministrazione reso operante
attraverso la pubblicità delle procedure, la partecipazione, la critica.
2
Così NIGRO, Il procedimento amministrativo tra inerzia legislativa e
trasformazione dell’amministrazione.
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assume rilievo il ruolo che il privato può giocare nell’ambito del
procedimento nel quale ”si forma” la volontà dell’amministrazione.
Il procedimento diviene il momento centrale del rapporto tra P.A. e
cittadini e si rovescia il rapporto tra atto e procedimento amministrativo :
il procedimento pur se nato al servizio dell’atto, diviene sempre più il
fulcro centrale dell’agire amministrativo. Esso trasformato in tecnica di
esplicazione del potere, in metodo di coordinamento dell’organizzazione
pubblica e momento di emersione di interessi, riduce il provvedimento
finale “a mero riepilogo di elementi preformati nel corso del
procedimento” (Nigro).
La legge 7 agosto 1990, n.241, “Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi”, rappresenta indubbiamente il risultato più significativo
in uno spirito di reimpostazione dei rapporti tra pubblica
amministrazione ed amministrati, informata alla trasparenza ed
all’efficienza dell’azione dei pubblici poteri, da intendersi sempre più
come “servizio” erogato alla collettività.
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Dal titolo della legge potrebbe desumersi che la stessa abbia inteso porre
la disciplina concreta del procedimento amministrativo, articolandone le
varie fasi, in maniera da fornire un modello generale, ma non di meno
suscettibile di utilizzazione per ogni attività procedimentale da parte di
tutti i pubblici uffici.
Al contrario, la nuova legge non si preoccupa di disciplinare in dettaglio
il procedimento, ponendo, invece, un insieme di principi configurabile
come un complesso normativo di base da osservare nello svolgimento
dell’attività procedimentale (e anche in quella che si origina all’infuori di
un procedimento in senso stretto), concernente, in altre parole, l’azione
amministrativa tout court. In tal modo ogni ente, organo, ufficio,
amministrazione pubblica sono vincolati all’osservanza di tale
complesso di principi, il quale costituisce una sorta di soglia minima al
di sotto della quale non è consentito scendere.
Invece, nei casi in cui certi enti siano detentori di competenze normative
al riguardo (si pensi alle regioni e a comuni e province), questi potranno
elevare la soglia di garanzia quanto a partecipazione, diritto di accesso,
ecc. ma non potranno modificare in pejus la normativa statale della 241.
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Basti rilevare che inutilmente si cercherebbe nella 241 una disciplina
articolata del procedimento, che non c’è (altre essendo le finalità della
legge) : la L.n.241/1990 è una legge breve, non è una legge generale
sull’azione amministrativa bensì detta alcuni principi dell’azione
amministrativa.
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CAPITOLO PRIMO
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Sommario: 1. La partecipazione procedimentale
2. Il modello di partecipazione accolto nel capo III della L. 241
3. Costituzionalizzazione del principio della partecipazione
4. La comunicazione di avvio del procedimento all’interno del
meccanismo partecipativo.
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1. La partecipazione procedimentale
Da anni ormai la domanda di partecipazione dei cittadini alla gestione
della cosa pubblica in modo da ridurre le distanze troppo spesso
eccessive e soprattutto l’estraneità tra governanti e governati, ha offerto
ampia materia di dibattito, sfociando finalmente in due diverse
normative (la Legge 8 giugno 1990, n.142 e la Legge 7 agosto 1990,
n.241), che affrontano in modo sostanzialmente satisfattivo la
complessità del fenomeno, cogliendone i vari aspetti essenziali rannodati
nel basilare concetto che i rapporti tra la comunità e l’apparato pubblico
non si debbano limitare soltanto al momento elettorale ma devono
assumere carattere permanente mediante l’istituzionalizzazione di un
complesso di strumenti di carattere procedimentale ed organizzatorio,
cosicché il contributo popolare non si esaurisce più solo nella
designazione del potere, ma si realizza anche e soprattutto nell’esercizio
del medesimo.
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Tra tutti i possibili interventi dei cittadini nella gestione della cosa
pubblica in cui la partecipazione può concretarsi, importante è la
partecipazione alla funzione ovvero alla attività amministrativa, in
quanto oggi la vera libertà, quella immediata e diretta e non già quella
astratta della Costituzione e delle leggi, si realizza proprio nella
quotidiana gestione amministrativa.
È sempre apparso evidente che un’azione innovativa in questo campo
dovesse passare attraverso una vera riforma della Pubblica
Amministrazione, del suo modo di operare, in quanto, nell’attuale
sistema amministrativo, ispirato alla concezione obiettiva del principio
di legalità ed alla prevalente unilateralità dell’azione amministrativa, è
proprio con il procedimento che si realizza il contemperamento del
momento autoritativo del soggetto pubblico con la libertà del privato,
assicurando al primo la supremazia del potere ed al secondo la garanzia
delle forme di tale supremazia.
In altri termini, è proprio il procedimento amministrativo l’unico
strumento in grado di consentire, nel divenire del provvedimento
amministrativo, una partecipazione degli interessati mediante la
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trasformazione del procedimento stesso in funzione di espansione del
consenso e,quindi, della democraticità della scelta.
La partecipazione del cittadino all’iter procedimentale, o principio del
contraddittorio o del giusto procedimento, non costituisce certamente
una novità per il nostro ordinamento. Già la Legge 25 giugno 1865 n.
2359, sulla disciplina delle espropriazioni, prevede ben due fasi in cui è
offerta al privato la possibilità di esporre le proprie osservazioni durante
il procedimento ablatorio (art.4, 5 e 18.).
Anche la Legge 20 marzo 1865 n.2248-all.E, abolitrice del contenzioso
amministrativo, ammette all’art.3 le deduzioni ed osservazioni per
iscritto delle parti interessate nel corso del procedimento, ma la
giurisprudenza ha escluso che tale norma sancisca l’obbligo
generalizzato di osservare il principio del contraddittorio in qualunque
tipo di procedimento. A sua volta, la l. urb. 17 agosto 1942 n.1150
prevede, agli art. 9 e 15, le osservazioni ed opposizioni dei privati nei
procedimenti pianificatori, concernenti le prime una forma di
collaborazione con la p.a. e la seconde una forma di tutela degli interessi
e diritti dei singoli.
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Con le due leggi del 1990 il fenomeno partecipativo, oltre a divenire di
applicazione generale, assume nuovi contorni e significato : da principio
meramente garantista, assume il ruolo di mezzo per avvicinare il
cittadino alla pubblica amministrazione, che in tal modo si apre agli
apporti collaborativi del privato, favorendo la procedimentalizzazione
degli interessi coinvolti. 3
Le leggi di riforma – 7 agosto 1990, n. 241, e 8 giugno 1990 n. 142 –
ribadiscono nel rispettivo Capo III il valore della partecipazione come
principio organizzativo fondamentale della Pubblica Amministrazione.
Le norme ad essa dedicate ne danno in effetti una piena affermazione,
non soltanto per ciò che concerne il profilo della difesa delle situazioni
giuridiche soggettive individuali nei confronti di un uso non corretto del
potere, ma anche con riferimento all’aspetto della collaborazione del
3
Il rilievo è stato evidenziato da R.VILLATA, Riflessioni in tema di
partecipazione al procedimento e legittimazione processuale,in Dir.proc.amm.
1992, 171 ss., che sottolinea che la partecipazione al procedimento, lungi dal
costituire un fenomeno unitario, assume caratteri distinti, secondo che sia
preordinata alla tutela degli interessi coinvolti dall’azione amministrativa,
oppure abbia finalità di collaborazione, nel senso che tende ad arricchire il
patrimonio di conoscenze, fatti, valutazioni a disposizione dell’organo
procedente.
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cittadino all’esercizio di quelle attività che si concretizzano in
prestazioni.
Le leggi in esame hanno un particolare “taglio” che le caratterizza : la
ricerca di un assetto procedurale e organizzativo in grado di
corrispondere alle esigenze di una società che concepisce in termini
diversi dal passato le relazioni tra collettività e pubblico potere.
L’obiettivo di fondo perseguito dalle due leggi in esame è, infatti, quello
di realizzare un nuovo tipo di rapporti fra Pubblica Amministrazione e
cittadino assicurando – insieme alla trasparenza, alla speditezza, alla
economicità dell’azione amministrativa – il coinvolgimento del cittadino
nella procedura.
Questa evoluzione nelle interazioni tra società e apparato consente di
considerare quest’ultimo non più semplicemente come struttura delegata
alla cura del fine indicato dalla legge, ma piuttosto come luogo di
mediazione degli interessi contrapposti e di composizione, in via
preventiva, dei conflitti fra le varie categorie coinvolte.
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Il procedimento di emanazione dell’atto amministrativo, all’interno del
quale si inserisce il momento della partecipazione, diventa strumento di
risoluzione dei contrasti, parallelo al rimedio giurisdizionale.