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INTRODUZIONE
Non si può non comunicare. Qualcuno ha autorevolmente sostenuto che
anche il silenzio, la solitudine, il non accorgersi della presenza di un
estraneo o il fingere di non vederlo sono forme di comunicazione. Ciò è
forse corretto, ma non implica certo che il comunicare sia sempre
egualmente importante; esistono circostanze nelle quali la rilevanza del
comunicare aumenta sensibilmente. Questo avviene, tra l’altro, quando si
è impegnati in contesti ad alto tasso di interazione, in iniziative di mercato
a carattere strategico; in breve, quando è elevato il numero sia delle
persone coinvolte, sia delle alternative da prendere in esame.
Tale stato di cose potrebbe essere spiegato sostenendo che
l’informazione cresce al crescere dell’incertezza e dunque sollecita una
maggiore esigenze del comunicare.
Il mondo delle organizzazioni è entrato in un processo di “liberalizzazione”
che, da un lato, ne semplifica ed appiattisce le complesse strutture,
dall’altro, lo rende assai più aperto e sensibile alla variabilità esterna.
Entrambe le circostanze hanno l’effetto di ridurre notevolmente le barriere
interne e di amplificare le reti di interazione. In altre parole, l’allentarsi
dell’apparato istituzionale e burocratico aumenta la ricchezza
dell’informazione e la complessità dei circuiti comunicazionali.
Ogni periodo storico è caratterizzato dall’ affermarsi nelle imprese della
prevalenza di una funzione aziendale e della sua impronta culturale,
rispetto alle altre che complessivamente rappresentano il mix delle
competenze necessarie per gestire un’impresa.
Così in Italia fino alla metà degli anni Sessanta è la produzione a
dominare la scena delle imprese, con un orientamento prevalente verso la
razionalizzazione dei processi, l’incremento dell’efficienza e la gestione
della manodopera attraverso schemi rigidi di qualifiche. Le logiche
commerciali si affermano nelle imprese e diventano dominanti
successivamente alla crisi economica che, proprio alla metà degli anni
Sessanta, mostra che la crescita dei mercati di sbocco non si mantiene
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solo con l’efficientismo produttivo; con lo shock petrolifero all’inizio degli
anni Settanta, è la finanza ad assumere un forte rilievo per la
sopravvivenza delle imprese, che vedono crescere a dismisura i loro costi
per il forte aumento del costo del denaro.
Negli anni Ottanta sono l’organizzazione e l’informatica a diventare le
funzioni e le competenze spesso dominanti, per l’aumentare della
complessità interna ed esterna alle imprese.
Negli anni Novanta si può affermare che la comunicazione si affianca alle
funzioni organizzative ed informatiche per gestire una competizione che è
diventata globale, ed una complessità organizzativa e gestionale sempre
più pervasiva.
Per questi motivi, la comunicazione, da strumento marginale per il
supporto dell’immagine aziendale, diventa una componente indispensabile
per il funzionamento dell’impresa.
Secondo la proposizione della diffusione generalizzata della
comunicazione interna, negli ultimi anni è in corso un fortissimo
incremento dell’attività di comunicazione interna in tutte le categorie
d’impresa. Il bisogno di comunicazione è talmente forte che la sua
diffusione non dipende più, come in passato, dall’elevato grado di
innovatività organizzativa delle imprese; infatti, se in un passato non
lontano erano le imprese più innovative che si dotavano anche di
strumenti comunicazionali per supportare l’innovazione, oggi i fattori che
contribuiscono a stimolarne l’impiego sono così tanti e diversi tra loro, da
rendere difficile l’identificazione delle caratteristiche specifiche di ogni
impresa che ne determina la diffusione. Pertanto non solo sono aumentate
le imprese che impiegano la comunicazione interna, ma esse non
appartengono più alla categoria delle imprese più innovative sul piano
organizzativo, produttivo e commerciale o delle imprese private che
appartengono ai settori produttivi più evoluti.
L’importanza e la centralità assunta dalla comunicazione interna è il frutto
di un’evoluzione nel tempo del concetto stesso di comunicazione. A tal
proposito, in estrema sintesi, può essere utile rivisitare il modo in cui il
concetto si è evoluto nel tempo.
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Come qualcuno ha autorevolmente sostenuto, l’impresa è comunicazione
perché è stata proprio la comunicazione nel lavoro a determinare la
nascita dell’impresa; infatti prima della comunicazione l’impresa non c’era:
c’era la piccola bottega artigiana in cui il genitore era anche il capo, i figli
erano i lavoratori e lo spazio abitativo coincideva con quello lavorativo.
In questo micro sistema non vi erano problemi di comunicazione, perché il
potere derivava naturalmente dal fatto che l’uno era il padre e l’altro era il
figlio.
Il problema della comunicazione è nato quando è nata l’impresa, quando
migliaia di persone non figli dello stesso padre e dello stesso imprenditore,
non coincidenti più con la famiglia, ma spesso in lotta tra loro, sono
entrate a far parte di un sistema.
Naturalmente, la consapevolezza della comunicazione giunse molto dopo;
Taylor, infatti, sosteneva che l’impresa fosse “uomini, macchine e capitali”,
senza alludere a nessuna forma di comunicazione tra queste cose.
Il concetto di comunicazione diventa consapevole con il Tavistock Institute
di Londra, che introdusse il concetto di “sistemi socio-tecnici”. Si capisce
che il rapporto tra l’uomo e la macchina è un rapporto comunicativo tra
una macchina predisposta a recepire messaggi e degli uomini formati ed
addestrati a trasmetterglieli. Così si comincia a far strada l’idea
dell’impresa come comunicazione.
Peraltro il “sospetto” era nato prima, negli anni Trenta, quando la Scuola
delle Relazioni Umane sostenne che senza comunicazione non vi era
motivazione, ossia non si poteva essere motivati per una missione che
non si conosceva. Fu così che la comunicazione divenne un fatto
importante.
Un ulteriore sviluppo della comunicazione si è avuto quando l’azienda si è
destrutturata nel tempo e nello spazio, e gli uffici si sono sparsi in tutto il
mondo. Allora i problemi di comunicazione hanno riguardato la lingua, i
fusi orari, i mezzi, la velocità.
La comunicazione interna, come la intendiamo oggi, è il dunque il frutto di
un’evoluzione relativamente recente. E’ negli anni Ottanta, infatti, che la
comunicazione raggiunse un più ampio sviluppo, sia sotto il profilo della
forma che dei contenuti. Dovendo parlare a persone sempre più coinvolte
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dalla rapida evoluzione dei mass media, anche la comunicazione
aziendale si adegua alle nuove tendenze: come forma adotta un nuovo
linguaggio, più semplice e meno formalizzato; sul piano dei contenuti
fornisce informazioni più complete e trasparenti. E’ la stagione delle
relazioni interne e la comunicazione diventa una leva di gestione del
personale ed una skill dei ruoli manageriali.
E da tutto questo si partirà per svolgere la seguente tesi.
Innanzitutto si tenterà, nel primo capitolo, di spiegare l’importanza e
l’esigenza del comunicare, di fornire alcune definizioni di “comunicazione”,
della comunicazione organizzativa e alcune categorizzazioni proposte che
vedono il concetto stesso presentarsi come interpretabile sotto più punti di
vista. In secondo luogo si prenderanno in considerazione le varie teorie
organizzative che si sono succedute nel corso del tempo e il loro
cambiamento in relazione allo sviluppo del nuovo paradigma della
comunicazione organizzativa e ai cambiamenti avvenuti nel modo di
comunicare le varie esigenze e i vari bisogni.
Nel secondo capitolo, intitolato “la comunicazione aziendale”, si cercherà
di prendere in esame il contesto sociale attuale, il comportamento del
consumatore in base alle sue scelte di consumo, e il comportamento dei
mercati dati alcuni fenomeni che ne hanno caratterizzato la
destabilizzazione. Si prenderà in considerazione l’importanza della
comunicazione cosiddetta “integrata”, l’importanza di internet e dei vari
nuovi mezzi di comunicazione che mettono a disposizione dell’impresa
sempre nuove modalità di comunicazione in grado di offrire quanto più
un’immagine completa e soddisfacente dell’impresa stessa.
A sostegno di ciò si esporranno quelli che possono essere considerati gli
obiettivi principali che la comunicazione aziendale deve prendere in
considerazione, i modi per elaborare e scegliere una strategia e il mix di
strumenti che l’impresa può utilizzare per parlare e far parlare di sé.
Nel terzo capitolo si prenderanno in considerazione gli aspetti più salienti
della comunicazione aziendale interna, i cambiamenti che ha subito nel
corso del tempo in concomitanza ai mutamenti subiti dagli scenari interni
ed esterni all’azienda. Si spiegheranno in particolare le esigenze di
comunicazione interna, le tecniche di analisi delle stesse, gli obiettivi, le
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strategie, le tipologie e gli strumenti che l’azienda può utilizzare per
comunicare al suo interno.
Per quanto riguarda il quarto e ultimo capitolo si prenderà in
considerazione il caso concreto delle Banche di Credito Cooperativo, con
un breve excursus storico che ne spiega la nascita e i motivi correlati ad
essa. Si cercherà di spiegare, in breve, come un’ impresa commerciale
come appunto la Banca in questione utilizza la comunicazione al suo
interno e al suo esterno.
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Capitolo primo
“LA COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA”
1. “COMMUNICO”
L’importanza e l’esigenza del comunicare sono temi che oggigiorno
vengono da più parti invocati, nonostante ancora tanti anni dopo la
scoperta delle prime forme di comunicazione, non se ne riesca a dare una
definizione certa e univoca. La parola “comunicazione” ha radici
antichissime; deriva dal latino “communico” ossia il “mettere in comune,
condividere”, tanto è vero che, data la somiglianza del termine con quello
di “comunità” i due concetti sono stati più volte accostati, attribuendo alla
comunicazione il ruolo di rituale nel quale si doveva condividere, creare un
qualcosa in comune che fungesse da collante per la società. Diverse sono
state le definizioni date a questo concetto; la cultura occidentale ad
esempio, ha sempre visto la comunicazione come un mezzo per creare
consenso all’interno della società e scoprire verità sul mondo che ci
circonda; oppure c’è chi ha definito l’atto del comunicare come la semplice
trasmissione di informazioni. Altri ancora, come i semiotici, vedono la
comunicazione come un processo di trasformazione anzichè un processo
di trasferimento di informazioni. La definizione più accreditata sarebbe
quella dello psicologo Luigi Anolli, che interpreta la comunicazione come
“uno scambio interattivo osservabile tra due o più partecipanti, dotato di
intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di
far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e
convenzionali di significazione e di segnalazione”.
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Questa definizione racchiude in forma sintetica alcuni elementi
fondamentali per lo studio del processo comunicativo, ossia:
-la comunicazione viene definita come una forma specifica di interazione,
ovvero una relazione all’interno della quale ogni partecipante definisce il
proprio comportamento in relazione a quello dell’altro interlocutore;
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ANOLLI L. (a cura di) “Psicologia della comunicazione”, Bologna, Il Mulino, 2002
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-due o più partecipanti;
-un contesto nel quale la comunicazione può prendere forma;
-deve esserci l’intenzione, che significa partecipare con lo scopo di
condividere significati;
-è necessario che ci sia consapevolezza, ossia il rendersi conto che ciò
che avviene è una comunicazione e che anche l’interlocutore lo vive come
tale;
-il significato è condiviso grazie a sistemi simbolici che fungono da simboli.
E’ proprio la presenza di intenzionalità che traccia la differenza tra un
semplice scambio informativo e uno scambio comunicativo.
Da quanto detto finora, risulta chiaro che definire cosa sia la
comunicazione non è un’ impresa semplice; ogni volta che qualcuno ha
provato a cercare delle definizioni ne ha trovate più di cento, tanto è che si
è parlato anche di una “eccedenza” di definizioni. Persino la sociologia,
che pur avendo spesso a che fare con i fenomeni comunicativi, non si è
preoccupata efficacemente di trovarne una definizione che soddisfacesse
studiosi e non, anche se qualche tentativo lo si può ritrovare ad esempio,
negli studi di Talcott Parsons che utilizza il concetto di comunicazione solo
per spiegare il sistema di trasmissione di informazioni tra i diversi sistemi
dell’azione.
Nonostante tutto ciò, è doveroso affermare che la comunicazione è
l’elemento indispensabile del nostro vivere quotidiano; qualsiasi
comportamento esprime sempre una forma di comunicazione, anche nei
casi in cui una persona si sforza di non comunicare. Ovviamente anche
nel caso in cui non volessimo comunicare, il nostro comportamento, in
qualsiasi forma esso si esplichi, parlerà per noi più di quanto vorremmo.
Concludendo, si potrebbe dare ragione ai precursori della Scuola di Palo
Alto nell’affermare che: è impossibile non comunicare.
1.2. ALCUNE PROSPETTIVE SULLA COMUNICAZIONE
Da quanto detto finora quindi si capisce che diverse sono state le
definizioni e gli approcci sulla comunicazione; ognuno di questi, pur
essendo molto diverso dall’altro, ha sempre messo in luce almeno un
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aspetto importante dell’atto del comunicare. Ogni approccio che verrà
esposto contiene alcuni degli elementi più significativi della
comunicazione, le diverse modalità in cui questa entra in contatto con le
organizzazioni, e il modo in cui quest’ultima viene percepita dai soggetti.
1.2.1. LA CATEGORIZZAZIONE DI KRONE, JABLIN E PUTNAM
La categorizzazione proposta da questi autori viene definita “classica”, in
quanto da un lato riassume i risultati di studi precedenti sull’argomento e
dall’altro è considerato il criterio migliore per interpretare la comunicazione
organizzativa. Gli approcci individuati sono quattro e ognuno si differenzia
dall’altro perché prevede un diverso locus della comunicazione che ne
costituisce il carattere specifico:
1- l’ approccio meccanico vede la comunicazione umana come un
processo di trasformazione di un messaggio che va da un punto all’altro
attraverso un canale; in questo caso il locus della comunicazione è
rappresentato sia dal canale che dal messaggio che viene trasferito.
Proprio per questo si suppone, in questo approccio, che ci sia un rapporto
causale e lineare tra il contenuto del messaggio che viene emanato e il
risultato della comunicazione, ossia il contenuto del messaggio che viene
percepito dal ricevente;
2- l‟approccio psicologico afferma che la comunicazione, nel momento in
cui passa da un punto ad un altro, è influenzata da alcune caratteristiche
personali dell’individuo, quali percezioni e atteggiamenti che
involontariamente vengono messi in atto dall’individuo per selezionare gli
stimoli della realtà e che per questo motivo vengono definiti “filtri
concettuali”. Il locus della comunicazione, come si può ben capire in
questo caso, è rappresentato dai filtri concettuali che influenzano il
contenuto del messaggio.
3- l‟approccio interpretativo-simbolico, a differenza dei due precedenti,
attribuisce alla comunicazione una funzione importante, ossia la capacità
di modellare e influenzare l’ organizzazione. In questo caso il locus della
comunicazione è rappresentato dal ruolo giocato dai soggetti nel momento