2
Nello stesso tempo, la consapevolezza del progressivo ridursi delle risorse finanziarie statali ha reso
opportuno favorire una gestione del trasporto aereo basato su criteri di economicità ed
imprenditorialità; ciò al fine di permettere ai vettori (le compagnie di trasporto aereo) di conseguire
l’equilibrio economico attraverso l’offerta di servizi a prezzi in grado di coprire i costi di
produzione, oltre a garantire loro il conseguimento di un adeguato margine di profitto in modo tale
da poter remunerare il capitale investito nonché far fronte, in futuro, a quegli investimenti ritenuti
necessari per poter offrire servizi di elevato livello qualitativo.
Proprio basandosi su questo principio molti paesi, in linea generale, si sono dimostrati restii a
sovvenzionare i vettori aerei, considerato che tali sovvenzioni incidono negativamente sul bilancio
pubblico e che finiscono con il far gravare il costo del servizio su tutti i cittadini (attraverso le
imposte necessarie a finanziare le sovvenzioni) e non solo sugli utilizzatori dello stesso.
Da un altro verso peraltro le finalità di interesse pubblico, connesse all’espletamento di servizi di
trasporto aereo accessibili al maggior numero possibile di utenti, non sempre si conciliano con una
gestione dello stesso secondo una logica esclusivamente imprenditoriale; per questo, pur partendo
dal presupposto che il servizio pubblico non costituisce più sinonimo di gratuità della prestazione,
sorge la necessità di conciliare le due componenti (interesse pubblico, da un lato, e gestione
economica, dall’altro), al fine di ottenere la soluzione più vantaggiosa per la collettività: appare
evidente infatti che lo Stato, anche se sussistono ragioni sociali, non può, in mancanza di apposite
sovvenzioni, imporre alle compagnie aeree di applicare prezzi sociali non remunerativi,
costringendoli ad operare in perdita.
Oltre che per le sopra menzionate ragioni di carattere, sociale, l’intervento dello Stato trova
giustificazione anche nelle caratteristiche economiche del settore stesso, caratteristiche che rendono,
in concreto, improbabile l’instaurarsi di un regime effettivamente concorrenziale. La naturale
presenza, ad esempio, di barriere all’entrata nel settore (dovute principalmente alla presenza di
economie di scala implicanti ingenti investimenti che alcune imprese, specie se di modeste
dimensioni, possono non essere in grado di sostenere) e la limitatezza delle infrastrutture
aeroportuali rappresentano fattori che ostacolano l’operatività di un elevato numero di imprese di
trasporti aereo sullo stesso mercato. Pertanto queste ultime sono spinte ad accordarsi tra loro al fine
di conseguire profitti più elevati, evenienza questa che finisce inevitabilmente con il danneggiare gli
utenti del servizio.
Infine il controllo statale sull’espletamento dei servizi di trasporto aereo si ritiene necessario, oltre
che per ragioni politiche e militari, anche per garantire un sufficiente standard qualitativo delle
prestazioni, condizione indispensabile ai fini della sicurezza dei voli e per conservare la fiducia, da
parte degli utenti, nel settore del trasporto aereo.
3
1.2 L’evoluzione del sistema normativo nei traffici aerei internazionali
Una disamina del sistema legislativo e regolamentare nel settore dei trasporti aerei e della sua
evoluzione nel corso del tempo non può prescindere, analogamente a quanto accade in altri settori
del trasporto, da uno sguardo allo scenario internazionale ed, in particolare, alla posizione assunta
dagli Stati Uniti. Le vicende occorse oltreoceano, infatti, hanno influenzato il modo di operare della
Comunità europea, la quale, a sua volta, è intervenuta per dettare le linee guida a cui i singoli stati
membri debbono adeguarsi.
1.2.1 La Convenzione di Chicago del 1944 ed i successivi accordi bilaterali
La convenzione di Chicago del 1944, dopo aver sancito il principio della completa ed esclusiva
sovranità di ogni Stato contraente sullo spazio aereo sovrastante il suo territorio, definisce, tra
l’altro, le modalità di sorvolo dello stesso da parte di aeromobili di altri Stati contraenti impiegati in
servizi aerei internazionali registrati e non registrati.
Per quanto concerne l’aspetto delle modalità di svolgimento del trasporto aereo internazionale, lo
svolgimento dei voli tra due Stati sovrani era legato rigidamente alla stipulazione di accordi
bilaterali tra i due paesi; per quanto riguarda gli aspetti tariffari, questi ultimi sono stati oggetto di
discussione durante la conferenza che ha preceduto l’elaborazione del testo definitivo della
Convenzione: mentre alcuni Stati hanno giudicato opportuno un intervento pubblico in materia
tariffaria, altri si sono dimostrati favorevoli ad una libera fissazione dei prezzi da parte delle
compagnie aeree. Mancando un orientamento maggioritario sulla questione, nella Convenzione di
Chicago non è stata introdotta alcuna disposizione in materia di tariffe, rinviando così ad un
secondo momento una presa di posizione per quanto riguardava questo aspetto.
Negli anni seguenti sono stati stipulati una serie di accordi bilaterali per la gestione del traffico
aereo, i quali, oltre a regolamentare le capacità e le frequenze, hanno anche affrontato la questione
tariffaria. Il principio base, su cui normalmente si fondano tali accordi, è quello della c. d. “doppia
approvazione”: le tariffe, predisposte dalle associazioni dei vettori aerei (tra le quali la più
importante è la IATA, l’ International Air Transport Association, fondata nel 1945), per entrare in
vigore devono ottenere l’approvazione di entrambe le autorità competenti dei due Stati capolinea.
4
1.2.2 Gli accordi delle Bermuda
Tra i numerosi accordi, stipulati a seguito della Convenzione di Chicago, un posto di rilievo hanno
assunto i cosiddetti “accordi delle Bermuda”, firmati tra Stati Uniti e Regno Unito. Tali accordi
confermavano la presenza di accordi bilaterali tra i due come cornice necessaria per l’espletamento
del servizio di trasporto aereo tra i due paesi mentre, sotto il profilo tariffario, non si discostavano
dal sopra menzionato principio della doppia approvazione, stabilendo che le tariffe dovevano essere
fissate dalle associazioni dei vettori aerei, e precisamente dalla IATA, ed approvate, entro un
periodo di tempo di solito di trenta giorni, dalle Autorità pubbliche dei due Stati capolinea
interessati.
Con il meccanismo della doppia approvazione si è assistito, dunque, ad una chiara distinzione di
ruoli tra le associazioni dei vettori, a cui competeva la determinazione delle tariffe, e le autorità
pubbliche, a cui spettavano il compiti di regolamentazione e controllo. Lo scopo era quello di
cercare di garantire che i corrispettivi del servizio di trasporto, pur stabiliti dagli operatori,
risultassero rispondenti all’interesse pubblico; di solito si prevedeva che la tariffa dovesse essere
fissata ad un livello ragionevole, comprendente i costi operativi, più un adeguato margine di
profitto, mentre alle autorità statali spettava il compito di verificare il rispetto di tali criteri di
calcolo da parte della IATA.
Restava, tuttavia, la difficoltà concreta di stabilire parametri obiettivi per il calcolo delle tariffe: la
stessa previsione di un utile ragionevole ed adeguato poteva risultare suscettibile di differenti
interpretazioni; a ciò si aggiungevano le difficoltà che le autorità pubbliche finivano inevitabilmente
per incontrare nel reperire informazioni precise su tali costi.
In ogni caso, attraverso il criterio della doppia approvazione si era voluta trovare una soluzione
intermedia tra la rigida fissazione delle tariffe da parte dell’autorità statale e la libera
determinazione delle stesse ad opera dei vettori; per poter realizzare un compromesso tra queste due
differenti filosofie, gli accordi delle Bermuda contenevano clausole elaborate in termini vaghi e
generici, in modo tale da potersi adattare con flessibilità alle diverse circostanze. Tali accordi hanno
costituito un utile e frequente punto di riferimento nelle relazioni internazionali bilaterali
concernenti lo scambio dei diritti di traffico aereo tra Stati Uniti ed altri paesi e tra questi ultimi.
Intorno agli anni Settanta si è avuta una svolta in quanto si è verificata una grave recessione
mondiale che ha ridotto drasticamente il numero di persone che, fino a quel momento, avevano
utilizzato il mezzo aereo soprattutto per fini turistici. La crisi economica ha posto i vettori aerei in
serie difficoltà finanziarie, aggravate da un improvviso ed inaspettato aumento del costo del
carburante.
5
La congiuntura economica negativa ha implicato la necessità di rivedere gli accordi delle Bermuda
allo scopo di introdurre una disciplina tariffaria che limitasse maggiormente il potere dei vettori
aerei, i quali, per non operare in perdita, erano portati ad aumentare il corrispettivo del trasporto. Il
23 luglio 1977 sono stati firmati tra Stati Uniti e Regno Unito i cosiddetti accordi delle Bermuda II;
questi ultimi si caratterizzavano per il riconoscimento di un maggiore potere delle autorità
pubbliche le quali, oltre ad approvare le tariffe, partecipavano più direttamente al processo di
formazione delle stesse.
Gli accordi di Bermuda II, diversamente rispetto ai precedenti, non hanno ottenuto un notevole
successo, né hanno rappresentato un modello di riferimento per la stipula di successivi accordi
bilaterali.
1.2.3 Dal dirigismo statale alla deregolamentazione dei traffici aerei
statunitensi
Alla fine degli anni Settanta si è pervenuti, negli Stati Uniti, anche a seguito di un’incisiva reazione
dell’opinione pubblica contraria ad un eccessivo dirigismo statale, ad un’improvvisa deregulation
dei traffici aerei di linea interni. In quegli anni andava sempre più diffondendosi la convinzione che
una deregolamentazione avrebbe sortito migliori effetti in termini di efficienza dei servizi aerei
forniti e, quindi, si sarebbe tradotta in evidenti vantaggi per gli utenti.
Fu così che, nel 1978, si è pervenuti all’emanazione dell’Airline Deregulation Act, il quale ha posto
le basi per una totale liberalizzazione dei traffici aerei di linea all’interno degli Stati Uniti
eliminando le barriere all’accesso di nuove compagnie nel settore aereo; lo scopo era quello di
favorire una concorrenza effettiva e potenziale tra i vettori aerei, in modo tale da incentivare
l’offerta di servizi di miglior qualità a minor costo. Due anni più tardi con l’emanazione, il 15
febbraio 1980, dell’ International Air Transport Competition Act, si sono poste le basi per una
liberalizzazione dei traffici aerei tra gli Stati Uniti e i paesi terzi.
Sotto il profilo tariffario, dal 1° gennaio 1985, a seguito della soppressione del Civil Aeronautic
Board, negli Stati Uniti è venuta meno ogni forma di approvazione e le tariffe sono state
nuovamente fissate liberamente secondo il gioco del mercato per cui i vettori hanno potuto
determinare i corrispettivi a loro discrezione, senza necessità di particolari preavvisi o
autorizzazioni da parte dell’autorità aeronautica competente; le pratiche tariffarie discriminatorie e
predatorie continuano ad essere combattute non attraverso un rigido dirigismo economico, bensì in
base alle disposizioni contenute nella legislazione statunitense antitrust.
6
Per quanto concerne, invece, gli accordi bilaterali stipulati dopo il 1978, essi sempre più
frequentemente hanno teso ad essere maggiormente liberali (c.d. accordi di “open skies”), basandosi
sul principio del non intervento per quanto riguarda sia la ripartizione delle capacità, sia la
fissazione delle tariffe.
1.2.4 Il processo di liberalizzazione del trasporto aereo nella Comunità
europea: l’eliminazione delle restrizioni alla libertà d’accesso
La questione dell’opportunità di una deregolamentazione del trasporto aereo di linea ha iniziato a
porsi all’interno della Comunità europea all’inizio degli anni ottanta, sulla base dell’esperienza di
liberalizzazione degli Stati Uniti.
La deregulation statunitense ha dimostrato che, a ben vedere, le caratteristiche del trasporto aereo
non ostano, in assoluto, alla creazione di un regime di libera concorrenza; tuttavia suddetta
deregulation, se nel breve periodo ha prodotto degli effetti positivi con un iniziale aumento della
concorrenza (grazie alla libertà di accesso al mercato introdotta con l’Air Deregulation Act) e un
conseguente diminuzione dei prezzi del servizio di trasporto aereo associata ad un aumento della
qualità dello stesso, nel lungo periodo ha portato a conseguenze negative dal momento che
l’instaurarsi di un’accesa concorrenza sui prezzi ha portato a guerre tariffarie e a politiche di
riduzione dei costi che hanno interessato non solo quelli superflui ma anche quelli essenziali,
connessi alla qualità e alla sicurezza dei voli, per conquistare nuove fette di clientela. La price
competition ha portato col tempo all’uscita dal mercato di un elevato numero di compagnie aeree e
alla creazione di un regime di oligopolio, con notevoli aumenti dei prezzi e quindi svantaggi per gli
utenti.
Gli effetti negativi che suddetta deregulation ha comportato hanno portato quindi la Comunità
europea a riflettere sugli errori compiuti dal legislatore statunitense, errori che sono stati individuati
nella volontà di dar vita ad un generalizzato processo di liberalizzazione in modo troppo brusco e
repentino; in altre parole, ci si è resi conto che, per beneficiare dei vantaggi arrecati
dall’introduzione di un regime concorrenziale, sarebbe stato necessario procedere ad una
liberalizzazione graduale, programmata per successive tappe, ed inoltre che sarebbe stato opportuno
lasciare alla autorità pubbliche non solo poteri di controllo dell’andamento del mercato, ma anche
facoltà di intervento e di restrizione della libera concorrenza nei casi in cui quest’ultima, per le
caratteristiche del settore, avesse rischiato di sortire effetti negativi pregiudizievoli degli interessi
collettivi.
7
Dunque, solo a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta è stato avviato un graduale processo di
liberalizzazione dei traffici aerei intracomunitari; fino a allora il mercato aereo intra-comunitario
aveva pedissequamente seguito la regolamentazione, presente a livello mondiale, stabilita alla
Convenzione di Chicago del 1944, risultando disciplinato da una fittissima rete di accordi bilaterali
in vigore tra ogni coppia di Stati membri. In seguito all’approvazione, nel febbraio del 1986,
dell’Atto Unico Europeo, in cui un emendamento del Trattato di Roma considerò esplicitamente il
trasporto aereo come parte integrante del mercato interno comunitario, nel dicembre del 1987 il
Consiglio dei Ministri dei Trasporti CEE adottò una serie di misure denominate Primo Pacchetto
sulla riforma del trasporto aereo. A partire dal 1° gennaio 1988, vennero quindi gettate le prime
sottili e timide basi per la costruzione del nuovo ambito competitivo europeo.
Il Primo Pacchetto, noto anche come Fase 1, ammorbidì soltanto le norme fino ad allora operanti;
non risolse infatti, eliminandolo, il regime bilaterale vigente.
Vennero comunque con esso in gran parte soppresse le restrizioni che avevano impedito a più di un
vettore nazionale di operare una determinata rotta: ciò aprì la possibilità anche alle aerolinee non di
bandiera, dette non flag carrier, di inserire nel proprio network rotte internazionali. Scomparvero,
inoltre, molte restrizioni riguardanti la capacità, ovvero la possibilità di mutare la frequenza di
operazioni su una determinata rotta: ogni vettore fu quindi posto nella condizione di poter scegliere,
e soprattutto variare, la propria offerta di servizio senza più una previa approvazione governativa.
In vista della scadenza del Primo Pacchetto, prevista per il 31 ottobre 1990, nel settembre 1989 la
Commissione CEE presentò al Consiglio un nuovo pacchetto di regole, il Secondo Pacchetto o Fase
2; quest’ultimo, approvato dai Ministri dei Trasporti CEE il 18 giugno 1990, si proponeva di
regolamentare, o, per meglio dire, deregolamentare la disciplina per gli anni 1991 e 1992. Il
Secondo Pacchetto incrementò ulteriormente lo spazio di flessibilità all’interno del quale le
aviolinee avrebbero potuto definire la loro offerta di servizio, ma sostanzialmente non introdusse
alcuna novità sostanziale rispetto al Pacchetto precedente.
Solo con l’approvazione del Terzo Pacchetto nel giugno del 1992, il settore venne infatti
definitivamente deregolamentato, sulla scia di quanto già accaduto un decennio prima negli Stati
Uniti: le misure contenute nel Terzo Pacchetto, infatti, portarono alla definitiva scomparsa del
regime bilaterale e all’affermazione di un sistema multilaterale, improntato al consolidamento del
principio di libero accesso al mercato; in base a quanto stabilito dalla Fase 3, qualsiasi vettore in
possesso di licenza per operare servizi aerei avrebbe avuto il completo, assoluto ed insindacabile
diritto ad accedere a tutte le rotte intra-comunitarie senza alcun vincolo di capacità o frequenza,
fatta eccezione per le rotte domestiche di un altro paese (rotte di cabotaggio o ottava libertà
dell’aria).
8
Per queste ultime il Consiglio stabilì un approccio di tipo gradualistico, prevedendo una completa
liberalizzazione del traffico di cabotaggio solo a partire dal 1° aprile 1997: a partire da tale data si è
realizzata la piena liberalizzazione dell’esercizio del trasporto aereo nell’ambito dei confini
dell’Unione europea.
La legislazione comunitaria si è anche occupata della questione della concessione dei diritti di
occupazione degli spazi aeri (slots); la materia è regolata dalla Legge Comunitaria n. 95/23: essa
non affronta la questione della “compravendita” di diritti allocati, tuttavia ne limita la facoltà di
cessione tra vettori, introduce norme e sanzioni per quanto riguarda l’ effettivo utilizzo degli slot
allocati (la normativa prevede, quale sanzione per il mancato utilizzo degli slot assegnati alle
compagnie aeree, la riassegnazione degli stessi ad altri operatori, secondo il principio “you use it or
you loose it”) e una regolamentazione più restrittiva per quanto riguarda i nuovi entranti sul
mercato.
1.2.5 Il processo di liberalizzazione del trasporto aereo nella Comunità
europea: la riforma del sistema tariffario
Sotto il profilo tariffario, il processo di liberalizzazione ha comportato il passaggio da un regime di
doppia approvazione delle tariffe alla libera determinazione delle stesse in base al meccanismo delle
forze del mercato, processo che si è sviluppato parallelamente a quello di liberalizzazione
dell’accesso al mercato comunitario attraverso tre fasi distinte.
ξ La prima fase della liberalizzazione: la Direttiva CEE 14 dicembre 1987, n. 601
La prima fase della liberalizzazione delle tariffe aere in ambito comunitario, avviata con i Reg. CEE
3975/87 e 3976/87, è stata completata con l’emanazione della Direttiva CEE 14 dicembre 1987 n.
601, la quale – diversamente dai Regolamenti precedenti, che hanno come destinatari le imprese e
le pratiche anticoncorrenziali dalle stesse poste in essere – era rivolta agli Stati membri, con lo
scopo di introdurre principi di flessibilità nella fissazione delle tariffe.
In questo contesto, la Comunità europea si è dimostrata consapevole del fatto che un meccanismo di
eccessiva rigidità nella fissazione delle tariffe, non permettendo un adeguamento delle stesse
all’evoluzione del mercato, finiva, in concreto, con lo svantaggiare sia i vettori aerei che gli utenti;
d’altra parte, però, conscia delle conseguenze negative che, come aveva insegnato l’esperienza
statunitense, avrebbero potuto verificarsi nell’ipotesi di una improvvisa liberalizzazione della
formazione dei prezzi, essa ha preferito procedere con gradualità, mantenendo, in un primo
momento, un regime di fissazione autoritativa delle tariffe, ma cercando, nel contempo, di
introdurre procedure più flessibili allo scopo, da un lato, di offrire ai vettori aerei una maggiore
possibilità di sviluppare i mercati e, dall’altro, di soddisfare le esigenze degli utenti.
9
In altri termini, il legislatore comunitario ha cercato di conciliare gli interessi dei vettori con quelli
degli utenti, interessi che, avendo diversa natura, non sempre risultano facilmente conciliabili. A tal
fine le tariffe, ai sensi dell’art. 3, dovevano risultare in congrua correlazione con i costi totali di
lungo termine del vettore aereo; lo stesso articolo inoltre stabiliva la necessità di tener conto delle
esigenze degli utenti e, nel contempo, di permettere al vettore di conseguire una soddisfacente
remunerazione del capitale, valutando la situazione concorrenziale e cercando di combattere
qualsiasi pratica di dumping (cioè di politiche predatorie dei prezzi).
Peraltro, per evitare che uno Stato decidesse di non approvare determinate tariffe solo perché
maggiormente concorrenziali e, quindi, lesive degli interessi di alcune categorie di imprese di
trasporto, l’articolo in esame sanciva che, ai fini del rifiuto dell’approvazione, non era sufficiente il
fatto che una tariffa risultasse inferiore rispetto a quella praticata da un vettore che offriva servizi
aerei analoghi sulla medesima rotta: il rifiuto dell’approvazione era legato all’accertamento
dell’esistenza di una pratica di dumping, non potendosi, viceversa, sanzionare un vettore che, grazie
ad un’organizzazione efficiente, fosse stato in grado di offrire agli utenti tariffe più basse di quelle
di un concorrente.
In effetti, se la volontà del legislatore comunitario di tutelare sia i vettori, sia gli utenti, appariva
meritevole di apprezzamento, non erano stati forniti parametri precisi per riuscire realmente a
realizzare tali obiettivi, essendo stati utilizzati termini alquanto generici e, come tali, suscettibili di
diverse interpretazioni ed applicazioni con il rischio di restare, nella pratica, lettera morta.
ξ La seconda fase della liberalizzazione: il Regolamento CEE 24 luglio 1990,
n. 2342
Il Regolamento CEE 24 luglio 1990, n. 2342, ha rappresentato il secondo stadio del graduale
processo comunitario di liberalizzazione delle tariffe del trasporto aereo di linea tra aeroporti ubicati
in diversi Stati membri; come la direttiva precedente, il Regolamento non ha trovato applicazione
nei confronti delle tariffe per il trasporto merci, né di quelle relative ai voli di cabotaggio, ai voli
charter ed, infine, ai voli effettuati tra la Comunità Europea ed i paesi terzi.
Nella sostanza, il Regolamento non differiva molto da quanto stabilito nella precedente direttiva, di
cui esso riprendeva i punti fondamentali; l’obiettivo di fondo sembrava essere sempre quello di
favorire un graduale processo di liberalizzazione delle tariffe, introducendo margini di maggiore
competitività e nello stesso tempo vigilando costantemente affinché non si verificassero squilibri
tali da condurre alla determinazione di tariffe pregiudizievoli per gli utenti o per i vettori.
Sotto questo profilo il Reg. CEE 2343/90, dopo aver affermato che nell’approvare le tariffe le
autorità degli stati membri dovevano valutare numerosi fattori, quali i costi complessivi di lungo
termine, la necessità di garantire una remunerazione adeguata del capitale, le esigenze degli utenti,
10
le caratteristiche concorrenziali del mercato e così via (art. 3, par. 1 e 2), aggiungeva che suddette
autorità potevano rifiutarsi di rendere operative le tariffe che si dimostrassero essere eccessivamente
elevate per gli utenti o ingiustificatamente basse rispetto alla situazione concorrenziale del mercato
(art. 3, par. 3).
Nello stesso tempo, al fine di introdurre, in questa seconda fase, una maggiore concorrenzialità
tariffaria, accanto ad una tariffa ridotta e ad una fortemente ridotta era stata introdotta una tariffa
normale in classe economica ed era stato anche ampliato lo scarto percentuale che caratterizzava
ciascuna zona tariffaria. Fino al 31 dicembre 1992, per le tariffe che non possedevano le condizioni
per essere approvate automaticamente, rimaneva il principio della doppia approvazione; tuttavia, al
fine di abbreviare ulteriormente i tempi necessari all’entrata in vigore di una tariffa, in modo tale
che questa fosse maggiormente corrispondente alle condizioni di mercato in quel determinato
momento storico, il termine entro quale le autorità aeronautiche dei due Stati capolinea potevano
manifestare la loro intenzione di non approvare le tariffe era stato ridotto da trenta giorni a ventuno.
In conclusione, il Reg. CEE 2342/90, limitando il potere delle autorità degli Stati membri di
approvare discrezionalmente le tariffe ed introducendo maggiori margini di possibilità per i vettori
aerei di scegliere entro zone di più ampia flessibilità, ha costituito un ulteriore piccolo passo verso
la liberalizzazione delle tariffe, aprendo la strada per l’adozione di nuove misure normative. Esso,
peraltro, aveva lasciato ancora notevoli margini di manovra agli Stati membri, sottraendo agli
operatori la possibilità di pervenire ad una libera determinazione della tariffe.
ξ La terza fase della liberalizzazione: il Regolamento CEE 23 luglio 1992, n.
2409
Con il Regolamento CEE 23 luglio 1992, n. 2409, si è completata la liberalizzazione delle tariffe in
ambito comunitario. Il Regolamento presenta una portata notevolmente innovativa rispetto ai testi
normativi precedenti: infatti, non solo estende il suo campo di applicazione in modo tale da
disciplinare, oltre alle tariffe per il trasporto di linea di passeggeri e bagagli, anche quelle relative al
trasporto delle merci ed a quello charter, ma stabilisce, altresì, che le tariffe debbono essere, almeno
come principio generale, liberamente determinate dalle forze di mercato, superando, in questo
modo, i previdenti sistemi di doppia approvazione e disapprovazione delle stesse da parte delle
autorità competenti dei due Stati capolinea.
In questo modo le imprese di trasporto riacquistano la possibilità di determinare, in base alle proprie
valutazioni, il prezzo del servizio, rendendo lo stesso appetibile all’utente e, nello stesso tempo,
ottenendo un’adeguata remunerazione. Ciò appare condizione indispensabile al fine di creare un
mercato effettivamente concorrenziale, in quanto risulta evidente che non può esistere effettiva
concorrenza allorquando non sia riconosciuta ad un vettore la possibilità di agire sul fattore prezzo.
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Tuttavia i trasporti aerei presentano caratteristiche tali (prima tra tutte quella di rispondere ad
esigenze di pubblico servizio e di sicurezza), che spesso finiscono con il contrastare con gli interessi
di un vettore, il quale opera seguendo esclusivamente una logica imprenditoriale; in questo
contesto, introdurre un principio di libera concorrenza senza regole potrebbe innescare una serie di
effetti negativi a danno degli interessi della collettività.
Il legislatore comunitario, consapevole di questo rischio, si è preoccupato di introdurre alcune
deroghe al principio generale di libera formazione dei prezzi del trasporto aereo intracomunitario.
Innanzitutto, non rientrano nel campo di applicazione del Reg. CEE 2409/92 le tariffe aeree
passeggeri e merci fissate nel quadro di un onere di servizio pubblico. In altri termini, in sede
comunitaria ci si è resi conto che un vettore, se agisse esclusivamente per convenienza economica,
non sarebbe portato ad offrire servizi di trasporto aereo in zone scarsamente remunerative; in questo
contesto, il libero gioco della concorrenza rischierebbe di condurre, come è avvenuto negli Stati
Uniti a seguito della deregulation, all’abbandono delle rotte poco allettanti sotto il profilo
economico, ma di fondamentale importanza per garantire a tutti i cittadini il diritto di circolare, a
pari condizioni, nel territorio di uno Stato. Si comprendono, pertanto, le ragioni per cui appare
necessario un intervento da parte dello Stato interessato, al quale deve essere riconosciuta la
possibilità di imporre al vettore, che intende esercitare una determinata rotta, il rispetto di oneri di
pubblico servizio.
Appare, pertanto, evidente il filo conduttore della politica comunitaria; il regime di mercato che, in
primo luogo, riscuote il favore della Comunità europea è la libera concorrenza; il che, peraltro, non
si traduce in un incondizionato laissez faire, ma richiede l’intervento statale nel momento in cui il
mercato, lasciato a se stesso, finirebbe inevitabilmente con il generare situazioni pregiudizievoli per
il benessere della collettività.
In tale ottica si collocano anche le altre deroghe al principio di libera determinazione delle tariffe
aeree nei traffici intracomunitari contemplate nel Regolamento; a tale riguardo l’art. 6 contempla la
facoltà di uno Stato membro di intervenire sul versante tariffario, al fine di:
a) ritirare una tariffa che, tenuto conto dell’intera struttura tariffaria per la rotta in questione e della
situazione concorrenziale del mercato, sia eccessivamente elevata in confronto ai costi di lungo
termine del vettore aereo e che rappresenti, quindi, con buone probabilità, un abuso di posizione
dominante sul mercato da parte di un vettore che sia riuscito a conquistare la stessa, e che imponga
prezzi di trasporto eccessivamente elevati, nella certezza che gli utenti dovranno rivolgersi a lui a
meno che non vogliano rinunciare al servizio;
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b) bloccare in modo non discriminatorio ulteriori riduzioni di tariffe su un mercato quando le forze
del mercato hanno prodotto una persistente tendenza verso il ribasso delle tariffe aeree che si
discosta significativamente dai movimenti stagionali dei prezzi comportando perdite generalizzate
per tutti i vettori aerei che svolgono i servizi aerei in questione. In questa situazione, la presenza di
un numero elevato di compagnie di navigazione aerea sulla stessa rotta potrebbe aver condotto ad
un’accesa concorrenza sui prezzi, che finirebbe con il tradursi in un impoverimento della qualità del
servizio offerto (anche sotto il profilo della sicurezza), nonché nel fallimento e nell’abbandono del
mercato da parte di numerosi vettori aerei con la conseguenza che, in un secondo tempo, potrebbero
crearsi forme di oligopolio con successivo aumento dei prezzi.
In questo contesto un intervento dello Stato sul piano tariffario appare opportuno al fine di tutelare
gli interessi tanto degli utenti, quanto dei vettori; occorre, tuttavia, che la riduzione del corrispettivo
sia significativa e persistente, altrimenti si rischia di colpire quei vettori che, grazie ad
un’organizzazione efficiente, riescono ad offrire tariffe maggiormente competitive.
Peraltro non possono sottacersi le difficoltà per gli Stati membri di verificare se una determinata
tariffa aerea, presente sul mercato, sia troppo elevata o, viceversa, troppo bassa rispetto ad un livello
normale. Tale verifica, infatti, implica la necessità di conoscere con precisione l’organizzazione
dell’impresa di trasporto, la struttura dei suoi costi, nonché le caratteristiche del mercato in quel
determinato momento storico, informazioni che l’autorità pubblica non sempre riesce facilmente a
reperire, anche perché i vettori sono spesso restii a fornire dati che, se divulgati ai propri
concorrenti, potrebbero recare loro danno.
Il Reg. CEE 2409/92 costituisce un fondamentale punto di arrivo nel processo di liberalizzazione
delle tariffe nel trasporto aereo intracomunitario, processo teso a favorire il libero gioco delle forze
di mercato ed a comprimere la libertà delle parti solo nel momento in cui un regime di libera
concorrenza non sia in grado di sortire effetti positivi per il benessere collettivo. Ne consegue che
l’intervento statale in materia tariffaria dovrebbe avere una portata meramente residuale,
ammettendosi soltanto allorquando il mercato, in presenza di distorsioni causate da pratiche
tariffarie abusive o predatorie, non riesca ad autocorreggersi o, comunque, non sia possibile porre
termine a tali pratiche attraverso l’applicazione di norme antitrust.
Quanto sopra sembra testimoniare un nuovo modo di concepire il ruolo svolto dallo Stato nel
settore dei trasporti: da un potere di determinazione tariffaria si è passati ad una funzione di
vigilanza e controllo, finalizzata ad accertare il corretto funzionamento delle dinamiche di mercato
nella formazione dei prezzi.