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collaborazione, la quale è necessaria per affrontare nel modo migliore le sfide che la
globalizzazione ci sta ponendo.
In modo particolare l’attenzione oggi è rivolta ai temi dell’internazionalizzazione e
dell’innovazione. Innanzitutto è cresciuta la competizione sui mercati internazionali dovuta alla
sempre maggiore presenza di Paesi emergenti (Cina su tutti) che possono contare su condizioni
microeconomiche e strutturali vantaggiose che hanno permesso a tali paesi di conquistare sempre
maggiori quote del mercato mondiale. Va inoltre sottolineato il fatto che oggi tali paesi hanno la
capacità e il merito di aver fatto crescere l’economia mondiale negli ultimi anni assumendo sempre
più il ruolo di paesi trainanti (oltre il 40 % crescita del PIL mondiale dipende da questi “nuovi
paesi”), ruolo che fino agli anni novanta era stato degli Stati Uniti. L’Italia come gli altri Paesi
dovrà trovare nuove soluzioni per contrastare questi nuovi concorrenti e per farlo è necessaria una
forte coesione tra tutte le componenti del sistema paese e soprattutto la voglia di affrontare in
maniera decisa la sfida dell’internazionalizzazione. Come vedremo ampiamente nei capitoli
dedicati, quello che le nostre imprese devono fare è capire quali processi siano da presidiare e
quindi eseguire all’interno dell’impresa e quali invece devono essere esternalizzati non solo
ricorrendo ad una sub-fornitura nazionale, ma bensì sfruttando tutte le possibilità che vengono
dall’esterno. Vedremo infatti gli aspetti positivi di una delocalizzazione di una o più fasi di
produzione all’estero, vedremo inoltre l’importanza degli investimenti diretti esteri (IDE), e come
tali strumenti possano essere implementati anche dalle piccole imprese.
La seconda sfida che coinvolge le economie avanzate e in modo particolare l’Italia si gioca sul
piano dell’innovazione. Con questo termine ci si riferisce non solo al fatto che l’Italia spenda poco
in ricerca e sviluppo ed è scontato dire che debba fare si più sotto questo profilo, ma al fatto che sia
necessaria una riorganizzazione del “modo di fare impresa” delle nostre imprese manifatturiere ed
un ridirezionamento verso fasce di produzione a maggior valore aggiunto, senza peraltro
abbandonare i nostri settori tradizionali che per noi sono una ricchezza e come tale deve essere
salvaguardata (e su questo punto come vedremo in seguito vi sono pareri contrastanti).
Lo scenario che oggi si prospetta alla miriade di piccole e medie imprese italiane è molto meno
favorevole di quanto ci si aspettasse cinque o sei anni fa. La questione è capire se tali difficoltà sono
conseguenza di un generale declino dell’economia italiana o se siano causate dal fatto che il nostro
sistema industriale sia strutturalmente incapace di inserirsi nelle nuove reti mondiali. L’Italia infatti
è contraddistinta da una realtà industriale costituita da numerosi distretti industriali composti
prevalentemente da piccole-medie imprese che operano principalmente nei settori tradizionali del
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“Made in Italy”. Per quanto innovative e in grado di applicare le più avanzate tecnologie alla
produzione, non sono in grado di affrontare da sole processi innovativi “formali”
1
e di conseguenza
si limitano a una mera innovazione basata su continui miglioramenti di prodotto o di processo. Tale
impossibilità non dipende solo dalle ridotte risorse finanziarie e/o monetarie a disposizione della
piccola impresa, ma soprattutto quello che realmente manca è la collaborazione tra imprese-
università, imprese-laboratori, e la volontà di unire gli sforzi individuali su progetti comuni che
possano generare esternalità positive (conoscenza) da cui tutti possano attingere.
Questo elaborato ha l’obiettivo di approfondire tali temi al fine di identificare le soluzioni più
appropriate per far riconquistare all’Italia la vivacità che per anni l’ha contraddistinta e che le ha
permesso di raggiungere la posizione di paese leader in molte produzioni ed essere uno dei paesi più
industrializzati d’Europa e del mondo. Si parte analizzando la struttura del sistema manifatturiero
italiano (capitolo 1), i suoi fattori di successo ma anche i suoi punti di debolezza, per arrivare al
nodo della competitività le difficoltà attuali e le soluzioni per tornare a crescere (capitolo 2). Con
questa panoramica sul modello distrettuale italiano e la posizione che l’Italia occupa a livello
internazionale si chiude la prima parte. Continua l’analisi prendendo in considerazione il tema
centrale dell’intera riflessione che riguarda appunto l’importanza dell’internazionalizzazione delle
nostre imprese e il ruolo dell’innovazione con particolare riguardo al ritardo italiano nei settori della
ricerca e dello sviluppo e quindi la necessità di recuperare terreno (capitolo 3), sempre restando in
tema di internazionalizzazione delle reti produttive, particolare attenzione verrà posta alla
competitività della Cina e alla sua per così dire “concorrenza asimmetrica” , che sta mettendo in
seria difficoltà le imprese del Made in Italy (capitolo 4)
1 Con il termine “formale” ci si riferisce,come vedremo nel capitolo 4, alla ricerca esplicita effettuta nei laboratori e nelle Università. Questa si
contrappone a quella detta “sommersa” effettuata dalle imprese, le quali non hanno interesse a esternalizzarla.
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PARTE PRIMA
Il modello economico italiano e il problema della competitività del nostro Paese
Capitolo I
La struttura del sistema manifatturiero italiano: i distretti industriali, le PMI e il Made in Italy
1. Caratteristiche del sistema manifatturiero italiano.
Dal 1990 ad oggi sempre più spesso si sente parlare di distretti industriali come vere e proprie realtà
economiche di successo nel panorama economico italiano. I distretti sono delle agglomerazioni di
piccole e medie imprese, che si insediano laddove sono presenti altre imprese simili per tipo di
specializzazione e di produzione, generando quindi un polo distrettuale. Il fatto che imprese simili si
concentrino vicino una all’altra è dovuto principalmente ad una sorta di complementarietà
produttiva, per cui si tende a creare un rapporto di collaborazione-integrazione delle singole
produzioni, tanto che molto spesso l’output di un’impresa costituisce l’input di un’altra. Data la
limitata dimensione delle imprese operanti, talvolta si verifica una scomposizione delle operazioni
produttive sulla base di un criterio di specializzazione favorendo la nascita di nuove imprese che
considerate nel loro insieme costituiscono l’indotto per l’industria principale. La specializzazione
produttiva impone anche un certo livello di interscambio tra le imprese appartenenti ad un unico
ciclo produttivo. Tali agglomerati hanno consentito per molti anni al nostro Paese di conseguire
elevati livelli di sviluppo e di far raggiungere all’Italia posizioni di leadership in Europa e nel
Mondo in molte produzioni. La realtà basata sui distretti e divenuta il carattere peculiare del nostro
tessuto produttivo e imprenditoriale.
I distretti si formano grazie alla stretta complementarietà tra produzioni e territorio, per cui una
particolare produzione si localizza sempre in un determinato contesto (territorio), il quale ne diventa
la principale determinante. Si contraddistinguono per la presenza di una sorta di sussidiarietà
orizzontale
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vista come una combinazione di diversi fattori imprenditoriali, sociali ed economici
che fa dei distretti un vero e proprio modello organizzativo. I distretti industriali e le loro imprese
nonostante la loro ridotta dimensione sono riusciti ad assumere un ruolo predominante all’interno
del Paese. Da soli i quasi 200 distretti industriali presenti sul territorio italiano coprono oggi oltre un
2 Quadrio Curzio (2000) in “Il made in Italy oltre il 2000” , Collana Fondazione Edison, Bologna, Il Mulino
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terzo delle nostre esportazioni e permettono il raggiungimento di due importanti obiettivi e pilastri
dell’Unione Europea: una forte coesione sociale e il principio di sussidiarietà già dinanzi citato
3
.
Le società locali distrettuali possono contare su un elevato grado di integrazione sociale tra gli
imprenditori e gli altri operatori economici e sono caratterizzate da un mercato del lavoro
abbastanza flessibile (a livello locale) che agevola la mobilità intra-settoriale dei lavoratori e
permette un continuo scambio di informazioni tra le imprese accrescendo così l’interdipendenza a
tutti i livelli mediante il coinvolgimento di comparti produttivi e settori complementari rispetto alle
produzioni di originaria specializzazione, attirandoli all’interno del distretto. Questa
interdipendenza così stretta tra le imprese agevola la creazione di reti di interscambio delle
conoscenze che sono fondamentali per il successo del distretto stesso, e proprio questo continuo
intrecciarsi di relazioni tra le imprese è allo stesso tempo il risultato e la causa di alcuni effetti
dinamici e interattivi del processo di sviluppo e crescita del distretto. E’ attraverso tali relazioni che
si generano dei processi diffusivi/imitativi delle conoscenze che danno vita a dei veri e propri
cluster basati sullo scambio di informazioni a basso costo che determina l’emergere di vantaggi
competitivi e di economie esterne all’impresa che le genera, ma interne al distretto. Tali conoscenze
sono delle risorse specifiche e non standard che fanno del distretto una realtà a se visto che non
sono facilmente replicabili e/o utilizzabili altrove. Sono proprio la complementarità tra le imprese e
la forte interazione tra mondo produttivo e sistema istituzionale locale (scuole, università, enti
pubblici) che permettono, mediante l’utilizzo di logiche di problem solving di risolvere i problemi a
livello locale nell’interesse e a vantaggio di tutti.
Ciò che caratterizza i distretti è anche l’elevato “tasso di natalità” di nuove imprese con la
possibilità di riproduzione di capacità organizzative-imprenditoriali efficaci ed efficienti che
mediante processi diffusivi possono assorbire le “risorse” (conoscenza) necessarie allo svolgimento
della propria attività. La gran parte dei nuovi imprenditori sono ex lavoratori dipendenti che dopo
aver appreso l’esperienza sul campo, decidono di intraprendere l’attività imprenditoriale
assumendone i rischi che ne derivano. Tali individui sono consapevoli del fatto di non essere soli
ma di fare parte di una realtà in cui vi sono le condizioni adatte per crescere e avere successo. Una
realtà contraddistinta da numerose imprese, simili per grado di specializzazione produttiva e/o
tecnologica, e un mercato del lavoro strutturato in modo tale da offrire alle imprese lavoratori con le
giuste competenze.
3 Beccatini G. (1998), Mercato e forze locali nel distretto industriale, Bologna, Il Mulino
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Come conclusione a tale analisi
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sui distretti industriali si possono individuare le seguenti variabili
cruciali di tale modello:
o processi diffusivi/imitativi
o integrazione sociale tra le imprese
o capacità di autoalimentarsi
I processi diffusivi/imitativi che scaturiscano dalle relazioni tra le imprese costituiscono il vantaggio
competitivo del distretto, questo può essere visto come un processo dinamico e continuo che
permette alle imprese di crescere e ottenere maggiore competitività. La replicabilità delle
conoscenze all’interno del distretto, fa di queste, importanti risorse radicate nel territorio e quindi
non trasferibili e adattabili in altri contesti.
Come scrive Garofoli
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la rilevanza delle economie esterne presenti nel distretto si può misurare solo
a posteriori e cioè quando le imprese che hanno avviato processi di internazionalizzazione si
accorgono di non riuscire a trovare le stesse condizioni (risorse,relazioni) disponibili invece sul
territorio originario e la cui assenza non permette l’organizzazione di un’attività altrettanto
efficiente.
Tra le imprese che formano il network distrettuale si instaurano, come già ampiamente illustrato,
una molteplicità di relazioni che generano feedback che permettono continui miglioramenti (up-
grading) delle tecnologie di produzione e di prodotto. Tutto ciò comporta un aumento della
competitività dell’intero sistema locale, in cui ciascuna impresa fa propri i miglioramenti apportati
dalle altre imprese e partecipa in modo attivo nella implementazione di nuove soluzioni e
innovazioni. Per Garofoli il distretto si configura come un sistema integrato in cui le imprese sono
unite e collaborano con l’obiettivo di accrescere la competitività del distretto.
La stretta interdipendenza tra il sistema produttivo e il sistema socio-culturale (e con questa
espressione ci si riferisce non solo alle istituzioni scolastiche) agevola i processi di cambiamento e
di innovazione assicurando al sistema distrettuale di autoalimentarsi, permette inoltre di innescare
processi di continuo miglioramento e arricchimento delle competenze professionali dei singoli attori
e la nascita di nuova imprenditorialità.
L’aumento della complessità del sistema economico locale, con il progressivo coinvolgimento di
nuovi comparti produttivi e nuovi settori, può portarci a considerare il distretto come una sorta di
4 G. Garofoli (2000) in “Il made in Italy oltre il 2000”, collana Fondazione Edison, Bologna, Il Mulino
5 G. Garofoli (2000) in “Il made in Italy oltre il 2000” , Collana Fondazione Edison, Bologna, Il Mulino