INTRODUZIONE 1
INTRODUZIONE
Oggetto di questa trattazione è la competenza per territorio nell’ambito
del rito del lavoro, disciplinata dall’art. 413 c.p.c.
Dopo più di 30 anni dall’introduzione del rito speciale e dopo quasi 10
dall’ultima modifica dell’articolo, parrebbe esserci poco spazio per nuovi
spunti argomentativi. Verificheremo il contrario, analizzando nel dettaglio
la portata applicativa e i problemi legati ad ogni singolo punto della norma.
L’apporto nuovo al tema è costituito proprio dalla sistematicità della
ricostruzione (considerando che la disciplina è peculiare rispetto al rito
ordinario ed è diversamente modulata in relazione alle differenti categorie di
lavoratori). Si cercherà un modello interpretativo unitario, orientato, per
quanto possibile, alla ratio della materia. Senza aver timore di assumere,
ove necessario, una posizione contraria agli orientamenti prevalenti della
dottrina e della giurisprudenza.
Lo sforzo di approfondimento è giustificato considerando che, con
buona approssimazione, i criteri analizzati continueranno a regolare il tema
ancora per diverso tempo, posto che l’ennesimo Disegno di Legge di
riforma del processo del lavoro (attualmente il D.d.L. 1047 presentato
1
al
Senato il 25 ottobre 2006) non si occupa nemmeno marginalmente della
competenza per territorio.
Si sceglie di lavorare riferendosi preliminarmente alla lettera della legge
con attenzione alla sua evoluzione nel tempo, richiamando anche gli istituti
e le norme collateralmente connessi alla disciplina principale. Si procederà
ponendo al vaglio l’opinione della dottrina ed esaminando il parere della
giurisprudenza. Al termine di ogni paragrafo, separatamente, saranno
espresse le nostre riflessioni e conclusioni, tenendo a mente la materia nel
suo insieme, quindi con continui confronti con i commi successi e
precedenti delle norme e verificando le conseguenze pratiche delle diverse
interpretazioni anche con degli esempi. Si segnala, per un problema
1
Cfr. Atto del Senato n. 1047, XV Legislatura, in www.senato.it, sez. leggi e documenti,
http://www.senato.it/loc/link.asp?tipodoc=sddliter&leg=15&id=26797, (29/12/2006): il
progetto vede tra i cofirmatari anche TREU.
INTRODUZIONE 2
specifico, l’utilizzo di un approccio desueto consistente nell’applicazione
degli strumenti della grammatica della lingua italiana: analisi grammaticale
e analisi del periodo.
Strutturalmente la tesi apre considerando brevemente la competenza per
territorio come regolata dalle disposizioni generali del diritto processuale
civile, per proseguire, al capitolo successivo, con una panoramica sulle
regole di competenza nell’ambito del processo del lavoro, evidenziando le
ragioni e le radici di una disciplina diversificata. Lo studio si svilupperà
dedicando i capitoli susseguenti ai vari commi in cui è strutturato l’art. 413
c.p.c., raggruppati secondo le categorie di: lavoratori subordinati, lavoratori
parasubordinati, lavoratori dipendenti di enti pubblici. L’istituto della
prorogatio verrà affrontato a parte in virtù dei particolari problemi che lo
stesso pone. Chiude la trattazione un capitolo dedicato ai fori residuali e
all’inderogabilità della disciplina.
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 3
CAPITOLO I
LA COMPETENZA PER TERRITORIO
IN GENERALE
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Nozione di competenza per territorio. - 2.1. Regole di
distribuzione interna. Sezioni distaccate. - 3. Foro generale. - 3.1. Residenza, domicilio,
dimora delle persone fisiche. - 3.2. Sede della persona giuridica. - 4. Foro facoltativo. - 5.
Foro speciale o esclusivo. - 5.1. Foro erariale. - 6. Foro convenzionale.
1. PREMESSA.
Si affronta la disamina del criterio di competenza per territorio in
generale, (si precisa la competenza per i processi civili di cognizione
regolata dalle disposizioni generali del libro I c.p.c.), al fine di meglio
evidenziare, nel corso dell’esposizione, i tratti di comunanza e le
disuguaglianze dello stesso nell’ambito processo del lavoro. Si consideri
ancora che la disciplina speciale fa diretto ed esplicito riferimento a quella
generale, tale costituirà anche il limite dell’indagine esposta nel capitolo.
2. NOZIONE DI COMPETENZA PER TERRITORIO.
Presupposto il concetto di giurisdizione
1
, la competenza è il criterio con
cui si stabilisce quale tra i diversi giudici ordinari è predestinato a decidere
una controversia concreta
2
.
1
Per una definizione classica, CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, 4ª Ed.,
Napoli, Jovene, 1928, p. 291, “l’attuazione della volontà concreta della legge mediante la
sostituzione dell’attività di organi pubblici ad un’attività altrui, sia nell’affermare
l’esistenza della volontà della legge, sia nel mandarla praticamente ad effetto.”; in generale
sulla giurisdizione; cfr. anche MONTELEONE, Diritto processuale civile, 3ª Ed., Padova,
Cedam, 2002, p. 1 e ss.: “Il concetto di giurisdizione, del quale è da ritenere impossibile
una definizione con formula sintetica, a sua volta implica necessariamente una visione
determinata e generale dell’intero ordinamento giuridico, di cui costituisce una delle
proiezioni più essenziali.”
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 4
“La competenza è definita come la ripartizione interna del potere
appartenente a ciascun settore giurisdizionale (giurisdizione amministrativa,
ordinaria, tributaria, etc.)”
3
.
L’ordinamento giudiziario italiano, nell’ambito della medesima
giurisdizione, è composto da diversi tipi di giudici, caratterizzati da
specifica struttura (ad es. giudici unipersonali e collegiali) e funzionamento
(ad es. giudice di pace e cassazione). Esistono inoltre tanti giudici dello
stesso tipo in tanti esemplari, distribuiti nel territorio nazionale, ciascuno
con un proprio ambito
4
.
La distribuzione del potere tra i giudici dello stesso tipo è conosciuta
anche come un problema di ripartizione orizzontale
5
, risolto dal criterio di
competenza territoriale.
I parametri per collegare una controversia ad una delle circoscrizione in
cui è diviso il territorio nazionale potrebbero essere molteplici: soggettivi,
considerando cioè i soggetti della lite; oggettivi, con riferimento al petitum o
alla causa petendi
6
. Rispetto ai primi (applicabili all’attore o al convenuto)
gli specifici criteri adottabili sono: domicilio, residenza, dimora, sede della
persona giuridica; con riferimento ai secondi si può considerare, per il
petitum, ad es., il luogo dove si trova la cosa, quanto alla causa petendi, ad
es., il luogo dove è sorta l’obbligazione
7
.
2
Cfr. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. I, 15ª Ed., Torino, Giappichelli, 2003, p.
217, che afferma: “Poiché i giudici ordinari non sono uno solo, ma sono molti, occorre
stabilire a quale tra i diversi giudici spetta il potere di decidere quella determinata causa. E’
questo il problema della competenza, che è dunque un problema di distribuzione del potere di
decidere tra i diversi giudici dell’ordinari; più precisamente, un problema di ripartizione della
giurisdizione; ed in questo senso va intesa la comune affermazione secondo cui la competenza
sarebbe la misura della giurisdizione, o meglio quella frazione di giurisdizione che in
concreto spetta ad un determinato giudice rispetto ad una determinata causa.”
3
Così LUISO, Diritto processuale civile: principi generali, Vol. I, 3ª Ed., Milano, Giuffre,
2000, p. 77
4
Cfr. MONTELEONE, Op. cit., p. 51 e ss.
5
Cfr. MANDRIOLI, Diritto processuale cit., Vol. I, p. 219.
6
Con riguardo a petitum e causa petendi, MANDRIOLI, Diritto processuale cit., Vol. I, p.
150 e ss., afferma: “L’oggetto, o petitum è, come dice la parola, ciò che si chiede con la
domanda. E, poiché la domanda è rivolta non a un soggetto solo, ma a due soggetti (al
giudice ed all’altra parte) ai quali si chiedono cose diverse, il petitum assumerà, in concreto,
due aspetti diversi. Innanzitutto in via immediata, la domanda si rivolge al giudice al quale
si chiede non la cosa o la prestazione oggetto del diritto, ma un provvedimento. […] In
secondo luogo, ossia in via mediata, la domanda si rivolge alla cosiddetta controparte, che è
per lo più il convenuto: e a questo soggetto non si chiede un provvedimento, ma si chiede
un bene della vita.”, e ancora, “Causa petendi significa ragione del domandare; e
naturalmente ragione giuridica o titolo giuridico (non il motivo interno per il quale si è
ritenuto di porre la domanda), la ragione obbiettiva su cui la domanda si fonda: in altri
termini, il diritto sostanziale affermato in forza del quale viene chiesto il petitum.”.
7
Cfr. MONTELEONE, Op. cit., p. 54.
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 5
La nostra procedura civile è orientata al criterio soggettivo, ma temperato
da molte eccezioni ispirate prevalentemente a criteri oggettivi.
“Per la competenza territoriale dobbiamo distinguere tre fori: quelli
disciplinati dagli artt. 18-19 c.p.c. che sono il foro generale rispettivamente
delle persone fisiche e degli altri soggetti che non sono persone fisiche; il
foro facoltativo dell’art. 20 c.p.c. per le cause di obbligazione; i fori
esclusivi degli art. 21-22-23-24 c.p.c. Il foro generale si applica, appunto in
generale, là dove non vi siano altre previsioni di competenza territoriali.
Esso dà una regola di carattere residuale, applicabile a tutte le controversie
per le quali non vi sia una regolamentazione diversa. Il foro facoltativo ha la
caratteristica di aggiungersi al foro generale: i criteri del foro facoltativo si
cumulano con quelli del foto generale. [..] Il foro esclusivo esclude il foro
generale [..] Non si deve confondere il foro esclusivo con il foro
inderogabile
8
[..] L’espressione foro esclusivo indica soltanto una
competenza territoriale, esistendo la quale non si applicano le disposizioni
relative al foro generale”
9
.
La determinazione della competenza, secondo il nuovo testo
10
dell’art. 38
, ultimo comma, c.p.c., è decisa in base a quello che risulta dagli atti
(riferendosi a quanto affermato nella domanda) e, quando sia reso
necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte
sommarie informazioni
11
.
Quanto al momento determinante, la competenza, secondo il disposto
dell’art. 5 c.p.c., si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di
fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno
rilevanza i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.
La corretta determinazione della competenza costituisce un requisito
indispensabile perché il rito possa procedere e cioè il giudice possa
8
La differenza consta nel fatto che il foro esclusivo, pur rendendo inapplicabili i fori
generali, può ammettere la deroga. Per esempio, il beneficio del foro erariale (come
argomentato al § 6 di questo capitolo) è rinunciabile da parte della p.a.
9
Così LUISO, Diritto processuale cit., p. 98.
10
Articolo sostituito dall’art. 4 della L. 26 novembre 1990, n. 353.
11
Cfr. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile: principi, 5ª Ed., Milano, Giuffre,
1992, p. 51, in cui si afferma. “come la giurisdizione, anche la competenza si determina
sulla base della domanda che viene proposta al giudice, poiché è su di essa che egli deve
pronunciare per giudicarla fondata o infondata; e con riguardo allo stato di fatto esistente al
momento della sua proposizione, e non hanno rilevanza gli eventuali mutamenti successivi,
che la farebbero venir meno (art. 5 c.p.c.).”
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 6
esaminare il merito. La tradizione identifica le questioni che condizionano
l’emanazione di una pronuncia sul merito presupposti processuali
12
.
2.1. REGOLE DI DISTRIBUZIONE INTERNA. SEZIONI DISTACCATE.
Le regole per la ripartizione dei poteri decisori all’interno dello stesso
ufficio giudiziario (in senso verticale, tra tribunale in composizione
monocratica e in composizione collegiale; in senso orizzontale, tra le sezioni
distaccate in cui è divisa la circoscrizione territoriale del tribunale stesso),
sono estranee alla disciplina della competenza
13
. Si tratta di una espressa
previsione legislativa, in senso verticale disciplinata dal c.p.c. ( sez. IV capo
I titolo I), in senso orizzontale dalla legge sull’ordinamento giudiziario
14
.
“In relazione a molti tribunali sono previste sezioni distaccate, che però
si considerano articolazioni dell’unico ufficio e non uffici giudiziari
autonomi. La ripartizione degli affari fra le varie articolazioni dell’unico
ufficio (la sede centrale e la o le sezioni distaccate) è prevista dagli artt. 48
quater e 48 quinquies dell’ordinamento giudiziario. Di regola sono trattate
nella sede centrale le controversie per le quali è prevista la decisione
collegiale ai sensi dell’art. 50 bis., nonché quelle in materia di lavoro e
previdenza. Le altre controversie sono invece ripartite fra le varie
articolazioni dell’ufficio in base alle stesse regole che disciplinano la
competenza territoriale. L’art. 48 quinquies, peraltro, prevede che il
presidente del tribunale possa derogare alle regole sopra esposte, sia in
relazione alle singole controversie, sia in relazione a gruppi omogenei di
esse”
15
.
12
Cfr. in tema di presupposti processuali LUISO, Diritto processuale cit., p. 48 ss.;
13
Cfr. LA CHINA, Diritto processuale civile, disposizioni generali, Milano, Giuffre, 2001,
p. 247 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale cit., Vol. I, p. 220.
14
Cfr., MANDRIOLI, Diritto processuale cit., Vol. I, p. 218, in particolare circa
l’ordinamento giudiziario afferma: “L’ordinamento italiano vigente in Italia è ancora
quello disciplinato dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 [..] il suddetto decreto ha subito negli
anni diverse modificazioni [..] L’art. 48 dell’ordinamento giudiziario come modificato dal
D.Lgs. 51/1998, contiene ora l’enunciazione che il tribunale giudica di regola in
composizione monocratica, salvo i casi previsti dalla legge, mentre gli artt. 48 bis e ss.
configurano l’istruzione delle Sezioni distaccate del tribunale secondo un’apposita tabella
allegata al decreto. Al riguardo il nuovo art. 83 ter. disp. att. c.p.c. stabilisce appositamente
che le questioni di ripartizione sono estranee alla competenza, possono essere sollevate non
oltre la prima udienza e vanno eventualmente risolte dal presidente con provvedimento non
impugnabile.”
15
Così LUISO, Diritto processuale cit., p. 103
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 7
3. FORO GENERALE.
I cosìddetti fori generali
16
, espressione del criterio soggettivo, sono
regolati dagli artt. 18 e 19 del c.p.c.; come evidenziato dal termine
“generale” utilizzato nel codice, si tratta di criteri di principio. Tra i due
soggetti, attore e convenuto, la legge ha scelto di favorire il secondo, sulla
considerazione, di origine romanistica, per cui è l’attore a turbare la quiete
giuridica del convenuto che subisce in un certo senso l’azione. Assunto
cristallizzato nel brocardo “Actor sequitur forum rei”, letteralmente: "l'attore
segue il foro del convenuto”.
Foro generale significa anche: “quello avanti al quale una persona può
essere convenuta in ogni causa che non sia espressamente deferita ad altro
foro”
17
.
Recita l’art. 18 c.p.c., rubricato “foro generale delle persone fisiche”, che,
“salvo la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui
il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti,
quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora. Se il convenuto non ha né
la residenza né domicilio in Italia, e la dimora è sconosciuta, è competente il
giudice del luogo, ove l’attore ha la propria competenza.”
L’ultima parte dell’art. 18 evidenzia ancora come la prima sia solo un
principio, invertendo il soggetto favorito, in via sussidiaria, per il caso in cui
il convenuto non abbia i requisiti previsti.
Il secondo, rubricato “foro generale delle persone giuridiche e delle
associazioni non riconosciute”, stabilisce che: “è competente il giudice del
luogo dove la persona giuridica ha la sede ed inoltre il giudice del luogo ove
la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a
stare in giudizio per l’oggetto della domanda. Ai fini della competenza le
società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i
comitati hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo.”
La legge si riferisce alla sede e in via alternativa, sullo stesso piano, al
luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante
autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.
16
Cfr. in tema di fori generali LA CHINA, Op. cit., p. 274 e ss.; MONTELEONE, Op. cit.,
p. 64 e ss.
17
Così ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Vol. I, 2ª Ed., Napoli,
Jovene, 1943, p. 83.
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 8
3.1. RESIDENZA, DOMICILIO, DIMORA DELLE PERSONE FISICHE.
Il legislatore della competenza ha collocato sullo stesso piano la
residenza e il domicilio, mentre ha posto in subordine la dimora.
I concetti giuridici di residenza e domicilio ci sono dati dall’art. 43 c.c., il
quale dispone che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha
stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (vedi anche Cap. V §
3.). La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Domicilio, residenza e dimora rappresentano le coordinate tipiche con
cui si esprime il rapporto fra un soggetto e lo spazio; il soggetto che esercita
la titolarità di posizioni giuridiche attive e passive, lo spazio nel quale si
colloca la persona fisica
18
.
“Il concetto di domicilio, secondo i giudici italiani, si fonda in misura
prevalente, se non esclusiva, sull’elemento soggettivo: la volontà, intesa
quale intenzione di costruire e mantenere in un luogo la sede centrale dei
propri affari e interessi. Al momento volitivo [..] corrisponde poi - ma in un
secondo piano – quello oggettivo, rappresentato dall’avere la persona
stabilito appunto in quel luogo il centro delle relazioni che lo riguardano”
19
.
Il dato del domicilio, indicato dal c.p.c. con la dizione “ha stabilito”, non
deve far pensare ad una scelta espressa in modo formale, si tratta,
conformemente a quando esposto, del un riflesso di un dato di fatto
20
.
“La residenza [..] si fonda, nella costruzione giurisprudenziale, su due
elementi: l’uno oggettivo materiale, la permanenza, con sufficiente stabilità,
in un luogo [..] e l’altro subiettivo, quell’intenzione di dimorare che si
intende fusa e compenetrata nel primo momento”
21
.
La cosiddetta residenza anagrafica o amministrativa non è, di per sé,
determinante, anche se è idonea a fondare una presunzione (una presunzione
semplice contestabile con ogni mezzo di prova)
22
.
18
Cfr. MONTUSCHI, Commento agli art. 43-78 in Commentario del codice civile, libro
primo delle persone fisiche, a cura di SCIALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, Zanichelli-
Foro italiano, 1970, rist. 1981, p. 1 ss.
19
Vedi ancora MONTUSCHI, Op. cit., p. 5., che afferma, a riguardo dell’inciso “affari e
interessi”: “in tale ambito rientrano, secondo i giudici italiani, non solo i rapporti giudici
patrimoniali, ma anche quelli morali che attengono al consorzio di vita coniugale e che
confluiscono normalmente nel luogo in cui vive la famiglia”.
20
Vedi CANDIAN, voce Domicilio, residenza, dimora , in Dig. disc. priv., sez. civ., Vol.
VII, Torino, Utet, 1991, p. 116.
21
Così MONTUSCHI, Op. cit., p. 7.
22
Così afferma MANDRIOLI, Diritto processuale cit., Vol. I, p. 233, nota 56, dove si fa
riferimento a Cass. 8 novembre 1989, n. 4705.
CAPITOLO I: LA COMPETENZA PER TERRITORIO IN GENERALE 9
Da questa norma la dottrina ricava, per esclusione, anche la nozione
giuridica di dimora, distinta dalla residenza in ragione della sua non
abitualità, in quanto sede occasionale, temporanea o rapsodica della
persona: come potrebbe essere, ad esempio, l’ospitalità concessa per
qualche giorno presso l’abitazione di un parente
23
. “Nella dimora si coglie il
più tenue rapporto che possa instaurarsi fra una persona fisica ed un luogo;
la localizzazione più modesta che abbia rilievo, sia pur in misura limitata,
nell’ambito del diritto positivo”
24
.
Si comprende per logica come la competenza sia orientata alla dimora
solo come criterio residuale, nei casi in cui non sia stato possibile
determinare la residenza o il domicilio.
3.2. SEDE DELLA PERSONA GIURIDICA.
Come già affermato, con riferimento alla competenza, la sede della
persona giuridica è posta sullo stesso piano dello stabilimento e del
rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.
Analizziamo più da vicino il concetto di sede e quello di stabilimento (nel
suo rapporto con il rappresentante).
Inizialmente i lavori preparatori
25
al c.p.c. indicavano il foro generale
delle persone giuridiche riferendosi alla “sede legale oppure la sede centrale
della sua amministrazione”. In punto di discussione il progetto definitivo
spostò l’attenzione sulla sede principale e sulla sede secondaria con un
rappresentante. Gli interpreti hanno iniziato a discutere se intendere la sede
come legale oppure effettiva. Si parte dal presupposto che la persona fisica
ha una serie di localizzazioni materiali nello spazio; mentre per la persona
giuridica il collegamento - seppur non inesistente - viene a sfumarsi, tenuto
conto della sostanza incorporea di un ente.
La sede della persona giuridica risulta da dati formali
26
.
23
Cfr. MOROZZO, Il diritto alla residenza, un confronto tra principi generali, categorie
civilistiche e procedure anagrafiche, in Riv. trim. dir. fam., 2003, 1013.
24
Così MONTUSCHI, Op. cit., p. 25.
25
Cfr. per i lavori preparatori dell’art. 19 del c.p.c. ANDRIOLI, Commento cit., Vol. I, p.
85.
26
Con riferimento all’obbligo delle società di iscrizione al registro delle imprese (art. 2200
c.c.) e alla costituzione mediante contratto o atto unilaterale denominato atto costitutivo
(art. 2328 c.c.). Anche le società semplici, il cui contratto non è soggetto a forme
particolari, sono tenute all’iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese. Le
associazioni e le fondazioni devono essere costituite per atto pubblico (art. 14 c.c.). Le