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Introduzione
La storia del cinema mondiale annovera centinaia di film dedicati al mondo
giovanile. Nella sua straordinaria capacità di descrivere le grandi
trasformazioni sociali, il cinema ne ha seguito la parabola, le problematicità,
i cambiamenti, le crisi.
A partire da una gioventù spensierata, come quella del cosiddetto
“neorealismo rosa”, che, nel secondo dopoguerra, dimentica i rigori e le
sofferenze del conflitto mondiale e si dedica agli amori, alle abitudini, alle
piccole gelosie. Si fa largo la descrizione di un rapporto con la realtà come
deformazione caricaturale dei suoi aspetti più pittoreschi e innocuamente
popolari, che trova il proprio sfondo ideale in una provincia dominata dal
campanile e da antichi e solidi valori contadini, appena turbati dall'incedere
della modernità. Diversa la situazione nel cinema hollywoodiano degli anni
’50. Attraverso i volti dei nuovi divi Marlon Brando e James Dean, i timori
dell’America maccartista si traducono cinematograficamente nella
descrizione di vite disordinate, anticonvenzionali, sradicate da qualsiasi
contesto. L’effetto è piuttosto antirealistico in verità, a causa di una
recitazione da Actor’s studio fatta di mimica plateale, discorsi retorici ed
eccessiva stilizzazione. E anche il messaggio è contraddittorio,
all’apparenza contestatario ma sotto sotto profondamente conservatore: la
ribellione non è contro lo status quo, ma contro la difficoltà di farne parte,
aspirazione che i giovani protagonisti continuano ad esprimere. E
Hollywood suggerisce come la soluzione e la scelta giusta sia la fiducia nel
potere, nell’autorità, pacificante e chiarificatrice.
Parallelamente il melodramma, su tutti i drammi di Douglas Sirk, descrive
lo sgretolamento della famiglia patriarcale di stampo borghese nell’impatto
con l’economia industriale. Il quadro è ancora molto convenzionale e
5
perbenista, basato sui valori americani di pace, tranquillità e fratellanza, con
dilemmi etici che si giocano all’interno del codice morale borghese.
Invece in Italia, un film ingiustamente sottovalutato di Antonioni, I vinti
1
,
anticipa le tematiche della violenza insensata, dello scollamento
generazionale, della crisi dei valori tradizionali borghesi.
Gli anni ’60 propongono in chiave iperrealistica tematiche legate alla
sessualità, alla violenza, alla mancanza di scrupoli, al cinismo, privandole di
chiavi di lettura univoche o presentandole in modo ridanciano e
ammiccante. Mentre in Francia Truffaut consegna alla storia uno dei suoi
capolavori, I quattrocento colpi
2
, sulle vicende di un ragazzo “difficile” nel
rapporto con le istituzioni, negli Stati Uniti Roger Corman dà il via al filone
del cinema adolescenziale, del tipo campus movie.
Gli anni ’70 registrano il riflusso post sessantotto ed esprimono il disagio
esistenziale, la disillusione e la crisi di quei valori che avevano alimentato
ideali e speranze. Le tematiche e i registri si fanno più esplicitamente
filogiovanili: l’infrazione della regola è descritta con le modalità tecnico-
figurative dei prodotti televisivi, il teleobiettivo e il montaggio rapido e
alternato. Questa politica degli studios non rappresenta in verità un
sostanziale rinnovamento. Il tema giovanile è sfruttato per le sue
potenzialità mitologiche ma si è ben lontani da una proposta sociale
meditata, in scena va solo una sorta di riformismo sconclusionato.
Gli anni ’80 rappresentano il trionfo della corporeità, come mostruosità
celata nel new horror, come culto della forza vendicatrice negli action
movies e come esasperazione iperrealista nel cinema erotico alla Gerard
Damiano e alla Russ Mayer. Il cinema a sfondo giovanile e scolastico si
caratterizza per un umorismo volgare e sbracato, per lo scherno nei
1
I vinti, diretto da Michelangelo Antonioni, 1953, Italia/Francia.
2
I quattrocento colpi, titolo originale Les quatre cents coups, diretto da Francois Truffaut,
1959, France.
6
confronti della cultura, per la totale assenza di autorità. Difficile stabilire la
maggiore consistenza cerebrale tra uno zombie di George Romero e un
ragazzo di Porky’s
3
. Per quanto riguarda invece le tendenze contemporanee,
appare più arduo offrire un quadro sintetico, vista l’esplosione e la
contaminazione dei generi, la libertà espressiva, le spinte al rinnovamento e
al ritorno nostalgico verso moduli del passato. Ma qui interessa più tirare le
fila di un discorso generale su cinema e adolescenza, come si sia sviluppato
nel corso dei decenni, e a tal proposito appare chiaro come la complessità
della tematica giovanile, al di là delle scontate demagogie buoni/cattivi, sia
difficilmente rappresentabile nelle immagini sintetiche di un film.
L’immagine cinematografica, infatti, comporta spesso una definizione troppo
limpida dell’oggetto che descrive: così la nebulosità dei tratti, che appartengono al
vissuto e all’esperienza soggettiva, tende a rarefarsi, imprigionata in un disegno
dai contorni definiti e comprensibili e in un racconto del dolore che tende a
svilupparsi dentro una trama di certezze e causalità, che nella realtà non sono mai
così scontate e prevedibili. (Bellisario Laura, Cinematografia e adolescenza:
immagini della sofferenza, in Vergerio Flavio [a cura di], Cinema e adolescenza.
Saggi e strumenti, Moretti & Vitali, Bergamo, 2000)
Proprio per questo sono particolarmente pregevoli quei film che riescono,
pur con i loro limiti, ad offrire dell’argomento uno spaccato ricco, articolato,
aperto all’interpretazione. Questo il primo criterio di selezione dei film qui
presi in esame. In secondo luogo si è scelto, per delimitare un campo
potenzialmente infinito, un determinato taglio per la trattazione, come
illustrato nel primo capitolo. Il principio dominante è che il disagio, la
sofferenza, il gesto violento compiuto da un adolescente o dall’adulto che
quell’adolescente diventerà, non sono frutto di una tara, di una disposizione
caratteriale o altro. Sono la diretta conseguenza di situazioni infantili di
3
Porky’s questi pazzi pazzi porcelloni, titolo originale Porky’s, diretto da Bob Clark, 1982,
Canada/USA.
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carenza, di subita violenza, legate sia al disagio sociale che a quello
famigliare. Questo visione, se pur acquisita ormai da decenni, merita di
essere riconfermata con forza, data la protervia con cui l’adulto benpensante
continua ad additare il ragazzino deviante come “mostro”, come
inspiegabilmente cattivo, come responsabile del suo male.
E ancora più urgente è parlare di quelle situazione in cui l’effetto del
rapporto bambino-ambiente non è così scontatamente meccanicistico, in cui
la violenza non si concretizza palesemente nelle percosse, nell’abuso
sessuale, nella trascuratezza. Ci sono forme di violenza più sottili,
aggiornate ai tempi che cambiano, ma che sembrano avere ancora più
potenziale traumatico.
Si ribadirà più volte come non sia questione di forza o indole il reagire
all’evento traumatico con positività o meno. Perché
quando la violenza agisce sulla mente del bambino in misura tale da diventare
traumatica, l’intero suo sviluppo psichico prende nel suo insieme un corso diverso,
nel senso che tutte le singole funzioni che ne fanno parte ne risultano influenzate.
(Novelletto Arnaldo, Biondo Daniele, Monniello Gianluigi, L’adolescente
violento. Riconoscere e prevenire l’evoluzione criminale, Franco Angeli, Milano,
2000 pg.186)
Tutti i film presi in considerazione sono accomunati dal risvolto
psicopatologico e quasi tutti dalla risoluzione violenta. Non è un modo di
fare degli inutili allarmismi. Ma è necessario prendere atto di quei
meccanismi perversi che nelle famiglie, nelle scuole e negli altri ambienti
extrafamiliari privano l’individuo della possibilità di soddisfare i bisogni
primari (sostegno, riconoscimento, identificazione), compromettendo il
successivo percorso maturativo.
Le differenze tra i film analizzati, per anno di realizzazione e per
ambientazione spazio-temporale, permettono di offrire un quadro ricco e
uno sguardo diacronico sui cambiamenti culturali ed educativi degli ultimi
8
decenni. Nonostante le singole tematiche si confondano e sovrappongano,
sono state selezionati quattro fenomeni caratterizzanti e ricollegati ognuno
ad uno dei film, quello che meglio lo rappresenta. Stereotipizzazione
rassicurante, provincialismo senza speranza, colpevolizzazione della
vittima, fenomenologia del vuoto interiore: quattro aspetti dell’esperienza
adolescenziale, nel confronto - scontro col mondo esterno. Quattro risvolti
di un modello educativo occidentale che, per il bene dei propri figli e della
società stessa , farebbe bene a ripensare radicalmente i suoi principi.
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Capitolo 1
L’inganno della violenza innata: esperienza umana e
ambientale nello sviluppo del Sé.
Difficile elaborare un quadro coeso e coerente quando l’oggetto della
trattazione è la complessa tematica dell’evoluzione adolescenziale.
Tanto si è scritto da Freud in poi, spinti di volta in volta da diverse urgenze
interpretative, e ancora l’immagine che emerge è quella di una fase
“parapatologica”
4
, fatta di trasgressioni, contraddizioni e comportamenti
devianti che restano sostanzialmente incompresi e temuti.
Un breve excursus teorico. L’elemento più macroscopico di questa fase
dello sviluppo è certo la maturazione sessuale che implica una
riorganizzazione pulsionale e la scelta di nuovi oggetti sui quali investire la
libido
5
. Un processo per niente scontato e lineare che passa per modalità
preadolescenziali di investimento indiscriminato a carattere regressivo
6
e
per meccanismi di difesa prepotenti rispetto al cambiamento psico-fisico e
alla disapprovazione del Super-Io quali rimozioni, formazioni reattive e
spostamenti. Melanie Klein parla di “ipercompensazione dell’angoscia”
7
4
La paura dell’adulto nei confronti dell’adolescente ˗ come elemento pericoloso per
l’equilibrio sociale ˗ è presente da sempre, ora come nelle società primitive dove veniva
esorcizzata con particolari rituali d’iniziazione, di allontanamento dalla tribù etc. In Gerald
Caplan, Serge Lebovici (a cura di), Problemi psicosociali dell’adolescenza. Torino,
Boringhieri, 1979. La società occidentale ha però progressivamente eliminato
l’assimilazione ritualizzata o istituzionalizzata dell’adolescente; questa libertà da rituali e
formalità offre l’occasione di uno sviluppo individualizzato ma “alla maggiore
differenziazione psicologica deve necessariamente accompagnarsi una maggiore labilità
psichica”. In Blos Peter, L’adolescenza: una interpretazione psicoanalitica, Franco Angeli;
Milano; 1971, pg. 30.
5
Come già sottolineato da Freud in Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, in Opere,
vol.4, Boringhieri, Torino, 1989.
6
Il carattere regressivo del comportamento preadolescenziale e adolescenziale si chiarisce
alla luce della necessità di risolvere i conflitti infantili prima di passare ad una
organizzazione sessuale genitale matura.
7
In Klein Melanie, La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze, 1969.
10
che si manifesta attraverso atteggiamenti di sfida e ribellione. Ma la
libidizzazione non interessa solamente l’altro come nuovo oggetto
pulsionale
8
: Guido Petter
9
sottolinea come l’egocentrismo intellettuale che
caratterizza l’adolescenza, con la ricerca di nuovi valori e l’innamoramento
per tematiche politiche o filosofiche, rappresenti l’estremo sforzo dell’Io di
dominare gli istinti attraverso il pensiero.
Sfide particolarmente travagliate e complesse considerando che, alla
maturazione sessuale e alla rielaborazione di un’immagine corporea
coerente coi cambiamenti in atto
10
, si somma la perdita degli aspetti
strutturali della personalità infantile, ovvero l’identificazione con la famiglia
e i suoi ideali. Anzi proprio nella svalorizzazione e nella ribellione verso la
famiglia e l’autorità in generale, che è corrispettivo nella società della figura
paterna, l’adolescente cerca un canale per l’autodefinizione, per delineare
un’identità propria fatta di modelli e valori altri rispetto a quelli della
coscienza infantile. Le relazioni che l’adolescente intrattiene in questo
periodo hanno una forte componente narcisistica. Nell’amico cerca la
comunanza di atteggiamenti e comportamenti, di interessi e punti di vista,
insomma un oggetto-Sé che rifletta e rinforzi il debole senso del Sé già
esistente.
Alla luce di quanto detto si potrebbe definire l’adolescenza come somma dei
tentativi di adattamento che l’individuo mette in atto nei confronti delle
nuove condizioni endogene ed esogene che si trova ad affrontare
11
.
In quest’ottica anche i comportamenti devianti più estremi si configurano
come strategie per garantire all’Io un senso di padronanza rispetto alle
8
Nella prima adolescenza, al di là della tensione propriamente sessuale, la libido viene in
buona parte investita in rapporti amicali idealizzati che assorbono la spinta narcisistica e
omosessuale contribuendo alla formazione interiorizzata dell’Ideale dell’Io
9
In Petter Guido, Problemi psicologici della preadolescenza e dell’adolescenza, La Nuova
Italia, Firenze, 1968.
10
Su questa tematica, che sarà costante riferimento per le analisi cinematografiche dei
capitoli a venire, si veda Ferrari Stefano (a cura di), Il corpo adolescente. Percorsi
interdisciplinari tra arte e psicologia, Clueb, Bologna, 2007.
11
Blos Peter, L’adolescenza, cit.
11
vicissitudini interiori e uno spazio di autodeterminazione rispetto al proprio
corpo
12
. Manifestazioni masochistiche come l’abuso di sostanze
stupefacenti, la manipolazione del corpo con piercing, branding etc., la
ricerca di emozioni estreme in ambito sportivo, le fantasie suicide,
l’abbuffata bulimica sono quindi, in fondo, positivi e incoraggianti,
testimonianza di una volontà di reagire e superare, anche se con mezzi
discutibili e pericolosi, l’impasse evolutiva raggiunta
13
.
Violenza, psicopatologia, rabbia, omicidio.
Si apre una falla nel quadro delineato. Come si inseriscono questi elementi,
quali le motivazioni, le cause scatenanti, il giudizio della gente? Le
spiegazioni addotte fino ad ora ruotano attorno al nucleo psichiatrico
secondo una classica impostazione psicanalitica. Anche la violenza, da
questo punto di vista, è il risultato di conflitti intrapsichici o,
freudianamente, prodotto della pulsione di morte
14
. Ma la violenza, la
distruttività umana hanno una lunga tradizione di interpretazioni di
12
E’da sottolineare come il mondo adulto attribuisca eccessiva importanza anche a forme
superficiali di non conformismo (vestiti, taglio di capelli etc.) contribuendo ad alimentare lo
stereotipo dell’adolescente ribelle e sbandato. In Jan de Wit, Psicologia dell’adolescenza:
teorie dello sviluppo e prospettive d’interventi, Firenze, Giunti, 1993.
13
Come sottolinea Alessandra D’Agostino ne Il corpo “in gioco”: L’adolescente tra
defigurazione del reale e figurazione del possibile, in Ferrari Stefano (a cura di), Il corpo
adolescente, cit.
14
Negli studi freudiani il 1920 è un anno di svolta: Freud abbandona la visione di un
sistema pulsionale diviso tra pulsioni di autoconservazione e sessuali e introduce il concetto
di pulsioni di morte. Nella nuova concezione una pulsione sarebbe una spinta insita
nell’organismo vivente a ripristinare uno stato precedente, al quale l’essere vivente ha
dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici esterne. Per la natura conservatrice
delle pulsioni il fine dell’esistenza è una situazione antica di partenza: il ritorno alla stato
inanimato, l’autoannullamento, la morte. Il masochismo è quindi condizione primaria,
originaria dell’uomo; la pulsione di morte è però riequilibrata dalla libido narcisistica che
impedisce la distruzione del Sè. In ogni parte della sostanza vivente le due pulsioni sono
legate in un impasto pulsionale ma, attraverso un disimpasto, una delle due può prevalere
sull’altra. Per esempio gli impulsi distruttivi possono deviare e manifestarsi in relazione
all’oggetto. In Freud Sigmund, Al di là del principio di piacere (1920), in Opere, vol.9,
Boringhieri, Torino, 1986.