II
Un’ulteriore area di collaborazione descritta è quella della logistica, che riveste un ruolo
chiave per la gestione dei flussi di materiali, per far sì che vengano messi a disposizione
dei consumatori nei modi e nei tempi migliori, in modo tale da ridurre i costi di magazzino
dell’industria e da metterli nella continua disponibilità dei punti vendita incaricati della
distribuzione. Dopo una breve panoramica delle caratteristiche della logistica del
produttore e del distributore, si giunge così alla definizione della stessa in un’ottica di
supply chain management.
Infine, il capitolo si conclude con la descrizione di un importante progetto, definito ECR
(Efficient Consumer Response), facente capo ad un’omonima organizzazione
internazionale che si pone come obiettivo proprio quello di sviluppare progetti pilota e di
definire standard da applicare per condurre in maniera efficace strategie di tipo
collaborativo tra chi produce il bene e chi lo colloca presso l’utilizzatore finale.
La prima parte del lavoro si chiude, nel terzo capitolo, con una interessante rassegna delle
più importanti innovazioni tecnologiche attualmente a disposizione delle imprese, spinti da
una certezza: un rapporto realmente collaborativo non può aver luogo senza un adeguato
flusso e scambio di informazioni e, quindi, attraverso il necessario supporto hardware e
software.
Vengono così descritti i vantaggi apportati dall’analisi dei dati derivanti da Pos Scanner, lo
scambio degli stessi attraverso la tecnologia EDI, l’emergere delle tecnologie Rfid in
sostituzione del comunque ancora forte codice a barre, i sistemi ERP e quelli di pagamento
elettronico (EFT).
La seconda parte del lavoro, invece, è interamente dedicata a quella che può essere
considerata la più importante innovazione in tema di collaborazione tra industria e
distribuzione: il category management.
Si tratta di una innovazione di processo basata sulla gestione dei prodotti non come singole
referenze all’interno dell’assortimento, ma come vere e proprie categorie da gestire in
maniera globale, ognuna come Strategic Business Unit.
Per un tale tipo di innovazione, la suddetta collaborazione diviene fattore imprescindibile.
Si va così ad analizzarne, nel quarto capitolo, il contesto economico e congiunturale che ha
portato ad avvertire l’esigenza di una tale innovazione. Si prosegue con un tentativo
definitorio del category management, passando in rassegna le tante voci individuabili in
letteratura: si tratta di un fenomeno relativamente recente (primi anni Novanta) e i cui
confini sono, pertanto, non nettamente delineati.
III
Vengono poi analizzati i risvolti che tale innovazione ha dal punto di vista delle relazioni
tra fornitore e trade - particolare attenzione è rivolta in tal senso al fenomeno del category
captainship - ed alle implicazioni organizzative che una tale scelta strategica comporta per
le imprese che ne sposano la filosofia.
Il successivo capitolo, il quinto, analizza nel dettaglio le diverse fasi del category
management, passando in rassegna prima l’evoluzione del concetto stesso, e poi ogni
singola fase. Si parte dalla fase cruciale, quella di definizione della categoria,
analizzandola sia nelle imprese commerciali che industriali.
Si prosegue con le fasi intermedie, quelle di assegnazione di un ruolo alla categoria, di
valutazione delle categorie, di definizione delle strategie di categoria, di articolazione delle
tattiche da applicare sulle categorie.
Infine si descrivono le fasi conclusive, quella di implementazione del category
management e quella di verifica e controllo dei risultati raggiunti.
Il capitolo si chiude con un’analisi dei limiti riscontrati in tale processo e con la definizione
di un modello di category management elaborato sulla scorta di quanto studiato.
Infine, l’ultimo capitolo del lavoro si chiude con la trattazione di due casi aziendali, il caso
“Despar” ed il caso “Decathlon”.
Relativamente al primo di essi, numerose informazioni sono state attinte sui diversi siti
Internet collegati alla realtà di Despar, in Italia e nel mondo. Un ringraziamento particolare
va al Sig. Ciro Annunziato, dipendente di Cavamarket, grazie alla cui disponibilità e
gentilezza si è potuto effettuare un’intervista al dott. Giuseppe Cantone, Category
Manager dell’azienda. Si è voluto, attraverso un’intervista personalmente condotta e
numerosi altri contatti telefonici, investigare il modo in cui viene concretamente applicato
il category management in una realtà della distribuzione, quali difficoltà si incontrano,
dove c’è ancora da lavorare, confrontando i principi ispiratori della politica aziendale con
quelli individuati nel suddetto modello di category.
Gli stessi scopi sono stati perseguiti analizzando la realtà di Decathlon, azienda
specializzata nella distribuzione (e, in parte, produzione) di articoli sportivi. Attraverso
un’intervista in profondità al Direttore di Sede di Decathlon Casoria, il dott. Gianluca
Agnino, si è descritta la particolare conformazione che la filosofia di category management
ha assunto nell’azienda francese. Altri dati sono attinti dai siti Internet della stessa azienda.
Durante tutto il lavoro si è fatto ricorso a dei box allo scopo di illustrare, talvolta, notizie e
casi aziendali esemplificativi e di sostegno a quanto scritto nel testo, talvolta,
approfondimenti teorici sui diversi argomenti trattati. Si è cercato, inoltre, di fornire un
IV
valido sostegno grafico a quanto scritto, con figure esplicative delle idee sostenute dagli
autori consultati e di quelle frutto della propria analisi.
Vista l’ampiezza dell’argomento trattato, si è reso necessario un forte supporto
bibliografico e sitografico. Le tipologie di fonti adottate sono tre: testi, articoli di riviste
specialistiche e siti Internet.
Entrando nel dettaglio, sono stati tenuti in particolare conto i testi di Castaldo, S., Bertozzi,
P. (2000 - Category management. Creare valore per il consumatore, Mc Graw – Hill);
Cristini, G. (1998 - Il Category management, EGEA, Milano); Gennari, F. (2004 -
Category management e Vantaggio competitivo, Giappichelli, Torino); Lugli, G. (1998 -
Economia e gestione delle imprese industriali, Utet, Torino) e Pastore, A. (1996 - I nuovi
rapporti tra industria e distribuzione. Le aree e gli strumenti per la partnership, CEDAM,
Padova).
Di ancor maggiore importanza sono stati, poi, i contributi degli stessi e di altri autori
(Mauri, Kurtuls e Toktay, Verra et al.) e rinvenuti sulle riviste Trade Marketing,
Commercio, Economia e Management, Industria e Distribuzione, Largo Consumo, Journal
of Retailing, Journal of Marketing, Harvard Business Review.
Una inesauribile fonte è, però, stata Internet, grazie al quale si è potuto venire in possesso
di un elevatissimo numero di articoli di autori stranieri, in particolare americani ed
olandesi, altrimenti irraggiungibili. La fonte principale, in questo senso, è stato l’archivio
on-line dell’Erasmus Universitet di Rotterdam, con autori quali Janssen e Jonker.
1CAPITOLO I: L’EVOLUZIONE DEI RAPPORTI TRA INDUSTRIA E
DISTRIBUZIONE
1.1 Le caratteristiche della distribuzione
Il settore della distribuzione è sicuramente molto complesso, essendo molto numerosi ed in
continua evoluzione i canali dei quali possono servirsi le imprese per giungere al
consumatore finale. Si tratta senz’altro di un comparto fondamentale dell’economia, in
grado di sviluppare fatturati molto alti (spesso superiori a quelli delle maggiori imprese di
produzione) ed in grado di occupare, in Italia, circa quattro milioni di addetti in un milione
punti vendita.
L’attività prevalente svolta dall’impresa distributiva (che nel prosieguo del lavoro
chiameremo indifferentemente anche impresa commerciale) è la compravendita di beni. I
prodotti realizzati da più imprese industriali vengono messi a disposizione dei consumatori
proprio dalle imprese commerciali.
Un ruolo fondamentale è dunque quello svolto dai negozi, luogo in cui è materialmente
possibile il contatto tra il prodotto e il consumatore: il negozio è il vero e proprio anello di
congiunzione tra i produttori iniziali ed i consumatori finali. Le tipologie di negozi, o punti
vendita, esistenti sono diverse e possono essere classificati in base a vari criteri.
Una prima macro-classificazione è utile per suddividere i punti vendita in punti vendita
fissi, esercizi ambulanti e forme speciali di vendita
1
. I punti vendita fissi, a loro volta,
possono essere distinti a seconda della dimensione, della tipologia di prodotti venduti, della
clientela cui si rivolgono, della modalità di vendita.
Per quanto riguarda il primo di questi fattori discriminanti, la dimensione, è proprio la
legge a prevedere differenti classi dimensionali, dalle quali dipendono le assegnazioni e le
modalità per ottenere i permessi per nuove aperture.
Dal punto di vista dei prodotti distribuiti, si è soliti distinguere il settore distributivo in due
macro-comparti: quello Alimentare (prodotti alimentari e di largo consumo, come i
detersivi) e quello Non Alimentare (di non facile definizione e comprendente una pluralità
di settori per i quali è difficile individuare un minimo comune denominatore).
1
Castaldo, S. (2006), prefazione di Vicari, S., Management. Distribuzione, Università Bocconi Editore,
Milano, p. 4.
2In base alla clientela cui i distributori si rivolgono, è possibile distinguere tra punti vendita
al dettaglio (diretti alla clientela privata) e quelli all’ingrosso (destinati ad un pubblico
professionale: operatori dotati di partita IVA).
Altro fattore di differenziazione è la modalità di vendita, che permette di distinguere i punti
vendita self-service, nei quali il cliente effettua i propri acquisti in modo autonomo prima
di passare alla cassa, da quelli a vendita assistita, dove il personale addetto alla vendita
segue e consiglia la clientela.
Nel comparto distributivo è, dunque, possibile individuare diversi format distributivi.
Questi sono: il supermercato, l’ipermercato, il punto vendita a libero servizio, il superstore,
il discount, il convenience store, il cash and carry, il grande magazzino, la grande
superficie specializzata, il centro commerciale, il factory outlet center (si veda il seguente
box).
I diversi format distributivi
Il supermercato è un punto vendita al dettaglio, operante nel campo alimentare, organizzato a
self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita compresa tra i
400 ed i 2499 mq. Presenta un vasto assortimento di prodotti alimentari di largo consumo e di
articoli non alimentari di uso domestico corrente. Si tratta di una forma distributiva molto
importante in quanto, al momento della sua nascita, negli Stati Uniti intorno al 1930, ha portato
tre importanti novità nel settore commerciale: la vendita a libero servizio, i prezzi bassi e i
prodotti di marca.
L’ipermercato differisce dal supermercato prima di tutto per la maggiore superficie di vendita
che lo caratterizza, superiore o uguale a 2500 mq. Le altre principali differenze che è possibile
riscontrare tra questo format distributivo ed il supermercato sono: la presenza, accanto al
comparto alimentare, di un più nutrito comparto non alimentare; tale da permettere una netta
suddivisione della superficie di vendita in due comparti, appunto alimentare e non alimentare; la
dislocazione extraurbana; gli orari di apertura più estesi; la presenza di laboratori interni per la
preparazione dei cibi; la presenza di banchi per i prodotti freschi a vendita assistita; i prezzi
molto competitivi e l’elevato ricorso a promozioni di prezzo. Si tratta di una forma di vendita
fortemente legata alla Francia, in cui è nata intorno alla prima metà degli anni Sessanta e dalla
quale provengono le imprese leader del settore, come “Carrefour” e “Auchan”.
E’ invece considerato un punto vendita a libero servizio un esercizio di vendita al dettaglio
operante nel campo alimentare, organizzato a self-service e con pagamento all’uscita, che
dispone di una superficie di vendita compresa tra i 100 ed i 399 mq. All’interno di questa
categoria si possono distinguere due tipologie di negozi, la suprette e i minimarket, che sono dei
supermercati dalle dimensioni più piccole. La superette si definisce come un esercizio di vendita
al dettaglio operante nell’alimentare e organizzato a self-service e con una superficie di vendita
compresa tra i 200 ed i 399 mq. Il minimarket è invece un negozio al dettaglio che opera
nell’alimentare a libero servizio, la cui dimensione è compresa tra i 120 ed i 199 mq..
In tempi recenti è invece emerso il format del superstore, che identifica punti vendita al
dettaglio, organizzati a self-service, che trattano merceologie alimentari e non, di superficie
compresa tra i 2000 ed i 3000 mq, quindi di grandezza intermedia tra il supermercato e
l’ipermercato. Si tratta di un format nato in Inghilterra a opera di “Tesco” e “Sainsbury”, due
importanti insegne di supermercati nel Paese, e rappresentato in Italia da insegne quali “Sma”,
“Standa” e “Esselunga”. Nel nostro Paese i superstore mantengono generalmente le insegne e le
modalità gestionali del canale dei supermercati.
3Il discount è un punto vendita al dettaglio, a libero servizio, operante nel comparto alimentare.
E’ caratterizzato da: prevalenza di prodotti non di marca; allestimento essenziale; basso numero
di referenze. Può essere considerato un supermercato orientato alla convenienza, grazie
all’offerta di prodotti di media qualità ed al prezzo più basso possibile, ricercato attraverso una
logistica snella, l’offerta di soli servizi essenziali e l’inserimento di poche varianti di prodotti,
tutte non di marca. Queste strategie permettono di realizzare utili nonostante i bassi margini
dovuti alla politica di prezzo aggressiva. La nascita del discount è avvenuta in Germania, negli
anni Sessanta, con la “Aldi” e la formula dell’Hard Discount. Questo format, che propone al
cliente i prodotti ancora negli imballi originali, disposti in grandi pile, si caratterizza per
l’offerta di un servizio commerciale a prezzi molto contenuti, per una gamma limitata sia per
ampiezza che per profondità, per l’assenza di qualsiasi reparto assistito, per una forte riduzione
del personale e, ancora, per l’offerta di prodotti con marche poche note o del tutto sconosciute.
Il successo in Italia è arrivato negli anni Novanta con l’ingresso di “Lidl”, con il formato di Soft
Discount, caratterizzato da un allestimento leggermente più curato.
Una superficie di sole poche decine di mq caratterizza i negozi di prossimità (convenience
store). Sono posizionati in prossimità in zone ad elevato passaggio come le aree residenziali, i
centri di impiego, le stazioni ferroviarie. Vi fanno acquisti per lo più clienti di passaggio e gli
acquisti sono effettuati di impulso e d’emergenza. Sono diffusi soprattutto all’estero: in Italia,
possono essere assimilati ad alcune tipologie di Autogrill e negozi adiacenti alle stazioni di
carburante.
Il cash and carry (paga e porta via), rappresenta l’applicazione del libero servizio ad un
magazzino all’ingrosso. Diffuso in Italia a partire dagli anni Sessanta, è caratterizzato da negozi
non accessibili ai clienti privati, ma destinati a utenti professionali come esercenti e rivenditori.
Presentano caratteristiche molto differenti in relazione alla clientela e al “modus operandi” a
seconda selle varie aree geografiche. Anche questo format nasce in Germania grazie a “Metro”,
il leader mondiale del cash & carry.
Il grande magazzino è un esercizio per il commercio al dettaglio, operante nel campo non
alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq e di almeno 5 reparti
distinti, ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici
diversi e in massima parte di largo consumo. La vendita è solitamente assistita ed il reparto
portante è costituito dall’abbigliamento. Di solito sono collocati nelle aree di maggior pregio
commerciale delle grandi città all’interno di importanti edifici. Note sono le insegne del
“Gruppo Coin”, del “Gruppo Rinascente” e de “Le Galéries Lafayette”.
La grande superficie specializzata è un esercizio commerciale operante nel comparto non
alimentare che fa capo ad un’impresa che gestisce almeno 10 punti vendita e/o che ha che ha
una superficie di vendita superiore a 250 mq e che spesso supera anche i 10.000 mq. Si
distingue per la forte specializzazione su una determinata categoria di prodotto (elettronica di
consumo, articoli sportivi, abbigliamento, arredamento, ecc.), con assortimenti molto ampi e
prezzi contenuti.
Il centro commerciale al dettaglio è un complesso concepito, promosso, realizzato e gestito
con criteri unitari da una società che concede a terzi l’utilizzo di parte degli spazi per esercitare
l’attività di vendita. Vi si trovano almeno 10 negozi al dettaglio e sono disponibili infrastrutture,
servizi comuni, parcheggi molto ampi. Inoltre, l’offerta è integrata con attività paracommerciali
(bar, ristoranti…) e, eventualmente, extracommerciali (cinema, teatri…).
Infine, i factory outlet center (FOC), sono centri simili ai centri commerciali e operanti per lo
più nel settore dell’abbigliamento e degli accessori. Sono costituiti da negozi/spacci aziendali
allineati, che offrono numerosi marchi e prodotti. Propone, a prezzi scontati una selezione dei
prodotti della casa produttrice (articoli di fine serie o appartenenti a collezioni di anni
precedenti) esposti però all’interno di punti vendita esteticamente migliori degli spacci e non
localizzati in prossimità della fabbrica.
Fonti: Castaldo, S., prefazione di Vicari, S. (2006),op. cit.; Gregori, G. (1995), Aspetti economici e
gestionali delle relazioni tra imprese industriali ed intermediari commerciali, Giappichelli Editore,
Torino; Pellegrini, L. (2004), “La distribuzione moderna del Non Food”, dal Convegno “Valorizzare il
Non Food nel contesto Multicanale”, Teatro Studio, Milano, INDICOD, (20 Maggio);
www.acnielsen.com
41.2 Le tendenze della distribuzione moderna
La struttura del settore commerciale ha vissuto un periodo di forti innovazioni,
comunemente identificate con l’espressione “rivoluzione commerciale”, che ha trasformato
l’organizzazione delle aziende e delle formule distributive esistenti attraverso una continua
modernizzazione.
La modernizzazione della distribuzione è iniziata negli Stati Uniti, verso la metà del
Novecento, con la diffusione del supermercato, toccando l’Europa attraverso la diffusione
di questo format in Gran Bretagna, insieme alla nascita dei primi superstore e alla
diffusione degli ipermercati e delle grandi superfici specializzate
2
.
E’ infatti possibile distinguere tra punti vendita tradizionali e moderni. I primi sono
esercizi a vendita assistita, il cui personale è composto di solito dal proprietario-
imprenditore e dal suo nucleo familiare. La maggior parte delle volte sono di piccole
2
Il primo supermercato aperto negli USA, in realtà, risale al 1916, con l’insegna del “Piggy Wiggly Store”.
Tuttavia, si utilizza il 1930 come data di riferimento perché è solo a partire da quel periodo, dopo la crisi del
’29, che le esperienze nel settore sono divenute realmente significative e durature. In Europa vengono
introdotti nel secondo dopoguerra, in Italia nella seconda metà degli anni Cinquanta, grazie ad insegne come
Upim e Standa (Mismetti Capua, C. - 2007 - “Supermarket, la rivoluzione ha 50 anni”, su La Repubblica.
anno 32, n°87 - 12 Aprile - p. 37).
La struttura della Grande Distribuzione in Gran Bretagna
La distribuzione rappresenta uno dei settori trainanti dell’economia britannica con un fatturato
superiore ai 180 miliardi di sterline ed una forza lavoro di 2,4 milioni di addetti.
Negli ultimi 15 anni il settore si e’ trasformato in maniera significativa per rispondere ai
mutamenti della società, alle trasformazioni dell’economia globale, ed alle innovazioni
tecnologiche. La tendenza che maggiormente ha influenzato il sistema distributivo britannico,
in particolare nel comparto dei beni di consumo, è rappresentata dalla forte concentrazione ed
il costante calo dei punti vendita al dettaglio. Dal 1996 il Governo ha promosso una politica di
maggiore attenzione alla dimensione sociale del piccolo commercio per evitare la
desertificazione commerciale dei piccoli centri urbani.
“Tesco” è il più importante operatore nel settore della distribuzione alimentare in Gran
Bretagna. Questo primato e’ stato conseguito nella seconda metà degli anni ‘90 ai danni di
“Sainsbury”, allora leader di mercato, oggi retrocesso al terzo posto nella graduatoria della
GDO alimentare. Al secondo posto si attesta “Asda”, società controllata dal gruppo “Wal-
Mart”, leader mondiale della grande distribuzione organizzata. Al quarto posto troviamo il
gruppo nato dalla fusione di “Morrison” con “Safeway”. I supermercati “Marks & Spencer” e
“Waitrose” seguono ad un certa distanza i 4 maggiori gruppi distributivi, tuttavia hanno un
pubblico di profilo elevato e sono particolarmente presenti nel Sud est dell’Inghilterra, l’area
più ricca del paese.
Fonte: www.ildenaro.it
5dimensioni e molto diversi l’uno dall’altro, in quanto l’organizzazione e la struttura
rispecchiano i gusti del proprietario. Col termine di punti vendita moderni, invece, si
indicano quei punti vendita caratterizzati da tratti omogenei che li rendono facilmente
identificabili: dimensioni, localizzazione, presenza di un parcheggio,organizzazione
interna, ecc.
L’Italia è stata toccata dalla rivoluzione commerciale in tempi più recenti rispetto agli altri
Paesi industrializzati, dovendo attendere gli anni Novanta prima di poter parlare di
modernizzazione vera e propria
3
. In Italia, accanto al format di gran lunga prevalente del
supermercato, sono nati un discreto numero di ipermercati e discount, che convivono con
una quota ancora significativa di piccole superfici tradizionali
4
.
Tabella 1.1: L’evoluzione della distribuzione moderna in Italia.
Fonte: ACNielsen 2005
3
Sull’evoluzione della distribuzione moderna in Italia si vedano anche INDICOD (2002), “Verso la fine
dell’anomalia Italiana? Scenari della distribuzione grocery”, Istituto per le imprese di beni di consumo,
Centro per la diffusione del sistema EAN (19 Novembre); Pellegrini, L. (2004), op. cit.; Panizzolo, R. (2002),
“Forme di collaborazione tra medio-piccole imprese industriali e distribuzione moderna: primi risultati di una
ricerca empirica”, Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Gestionale e Meccanica, Università degli Studi di
Udine. Per una fotografia più dettagliata della distribuzione italiana si rimanda a Castaldo, S., prefazione di
Vicari, S. (2006), op. cit.
4
Si vedano anche Lecca, S. (1999), “La Distribuzione Commerciale”, relazione dell’Ufficio Studi, CCIAA,
Milano; Barlocchi, L. (2000), “Distribuzione. Lo scenario a cinque anni. Un mercato per 20 Italie”,
www.ildenaro.it.
Struttura della distribuzione moderna
2002 2003 2004
Totale 22.845 23.197 23.606
GD 2.454 2.549 2.705 Numero pdv
DO 20.391 20.648 20.901
Totale 70,1 71 71,1
GD 33 33,6 34,3
% giro d’affari
prodotti grocery
DO 37,1 37,5 36,8
GD 33,8 34,7 35,5
Ripartizione %
pdv
DO 66,2 65,3 64,5
6Come si evince dalla tavola 1.1, il trend di sviluppo della distribuzione moderna
5
in Italia è
rallentato negli ultimi anni, facendo registrare tassi di crescita molto lievi. All’interno di
questo settore, il comparto della Distribuzione Organizzata (DO) è quello prevalente,
incidendo per il 64,5% sul totale del fatturato.
La modernizzazione italiana è stata guidata soprattutto dal settore non alimentare: in
particolare, un ruolo di prim’ordine hanno giocato il comparto della fotografia, seguito da
quello dei piccoli elettrodomestici (figura 1.1).
Figura 1.1: La quota della distribuzione moderna nei principali comparti non alimentari.
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2003 2004
Fonte: Osservatorio Non Food Indicod-ECR 2005
Ancor più rilevante e di maggiore attualità appare un altro fenomeno, quello della
concentrazione
6
del settore, grazie all’aumento delle dimensioni di un numero ristretto di
imprese
7
. La crescita dimensionale delle imprese più importanti ha determinato la
5
Il tema della distribuzione moderna è affrontato anche in Cristini, G. (2003), Scenario di mercato tra
evoluzione e congiuntura: annotazioni dalla frontiera distributiva, in “Industria e Distribuzione”, n°2, pp. 9
ss.
6
Il grado di concentrazione dei venditori è uno dei fattori che servono ad individuare la struttura di un
settore. E’ descritto dal numero di venditori e dalla loro distribuzione per dimensioni. Per valutare la
concentrazione di un settore si fa ricorso ad indici come il Rapporto di concentrazione (Concentration Ratio)
e l’indice di Herfindhal-Hirschman (Sicca, L. - 2003 - La gestione strategica dell’impresa, CEDAM,
Padova, pp. 49, 50).
7
Secondo Beltramini e Gaeta, il sistema distributivo italiano presenta carenze dal punto di vista della
modernizzazione e anche della concentrazione, soprattutto se paragonato ad altri Paesi Europei. Alcuni
indicatori per valutare queste due variabili sono: la dotazione di metri quadrati di superficie a libero servizio
per abitante; la concentrazione della distribuzione alimentare; le quote di mercato delle forme
7scomparsa di alcuni attori di ridotte dimensioni che, avendo minor poter contrattuale nei
confronti delle imprese industriali, non avevano la possibilità di mantenere prezzi
competitivi per i clienti e, allo stesso tempo, mantenere i margini necessari a sopravvivere.
Un importante fenomeno concentrativo risale a soli pochi mesi fa, precisamente al 30
gennaio 2007, quando si è realizzato un grande accordo che ha sancito la nascita del
secondo gruppo della grande distribuzione italiana, attraverso l’intesa strategica siglata tra
“Conad” e “Interdis” (nota al pubblico con i marchi “Di Meglio” e “Sidis”), dando vita ad
un colosso che controlla circa il 19% del mercato nazionale con 6.788 punti vendita ed un
giro d’affari di 16,9 miliardi di euro. Quest’accordo prevede di mettere in comune le
strategie di marketing e commerciali e la funzione logistica, costituendo un polo
imprenditoriale capace di conseguire grandi risparmi sugli acquisti e una notevole
riduzione dei costi operativi. Questo è soltanto l’ultimo passo in tal senso compiuto da
“Conad”, azienda che si è distinta, negli ultimi anni, per la sua attenzione alla
concentrazione in atto nel settore distributivo. Il percorso di “Conad” è infatti iniziato nel
2002, con i primi accordi con il leader dei supermercati francesi, il gruppo “Leclerc”, e
proseguito nel febbraio del 2006, quando “Conad”, insieme al partner “Leclerc”, si è resa
protagonista di un accordo con altri tre grandi del mondo dei supermercati europei: la
tedesca “Rewe”, la belga “Colruyt” e la svizzera “Coop”. Quest’accordo ha costituito una
partnership strategico-operativa e commerciale creando il più importante conglomerato
distributivo europeo, secondo al mondo solo al colosso statunitense “Wal-Mart”.
Quest’accordo dovrebbe significare prodotti migliori e prezzi inferiori a vantaggio dei
consumatori, ma anche la possibilità di moltiplicare i punti di sbocco per i fornitori
nazionali: per i fornitori italiani, ad esempio, i punti vendita nei quali sarà possibile
collocare i propri prodotti aumentano da circa 3.000 a circa 17.000
8
.
Il fenomeno concentrativo sfocia, talvolta, nella costituzione delle cosiddette centrali
d’acquisto, ossia aggregazioni che rappresentano in modo unitario più imprese per la
definizione dei contratti con le imprese industriali. Grazie alle centrali d’acquisto le
imprese della distribuzione possono così accrescere in maniera esponenziale il proprio
potere d’acquisto nei confronti delle imprese di produzione
9
. La centrale d’acquisto mira in
sostanza al miglioramento dei prezzi d’acquisto delle aziende consociate, agisce per loro
conto e permette di analizzare le aspettative ed il comportamento dei consumatori in modo
distributive/aziendali più moderne (Beltramini, E., Gaeta, C. - 1994 - Il trade marketing, Etaslibri, Milano, p.
113).
8
Lonardi, G. (2007) “Nasce il numero due dei supermercati, su La Repubblica. Imprese e Mercati, anno 32,
n°26, (31 Gennaio), p. 44; www.ildenaro.it.
9
Castaldo, S. (2006), prefazione di Vicari, S.,op. cit., p. 22.
8da selezionare l’offerta degli industriali più adeguata al piano commerciale di ogni insegna
associata.
I vantaggi più rilevanti che possono derivare dall’adesione alle centrali d’acquisto e dallo
stringere accordi con esse sono
10
:
x la definizione di raccolte di prodotti che rispondono alle migliori aspettative dei
consumatori;
x la possibilità di adoperare i mezzi più adatti allo sviluppo dei mercati;
x il lancio di nuovi prodotti con la migliori possibilità di successo;
x la funzione logistica e la sua produttività e sempre tenuta nella debita
considerazione;
x la possibilità di esaminare i risultati ottenuti grazie agli impegni reciproci.
I campi d’azione nei quali opera una centrale d’acquisto sono
11
:
x lo studio dei mercati;
x il referenziamento del fornitore e dei suoi prodotti;
x l’innovazione e la qualità;
x lo stock generale della centrale d’acquisto;
x il contenuto della trattativa d’acquisto;
x l’accordo di cooperazione applicabile alle insegne associate;
x i nuovi prodotti;
x i prodotti a marca propria;
x gli stock stagionali.
Sia la modernizzazione che la concentrazione sono in realtà la conseguenza di due
fenomeni trasversali che hanno interessato il settore distributivo, ossia le liberalizzazioni e
l’internazionalizzazione.
La liberalizzazione del mercato distributivo, in Italia, risale al 1998 (Decreto Bersani)
quando l’abolizione dell’istituto della licenza ha reso più facile l’apertura di nuovi punti
vendita rendendo più variegato un settore che fino ad allora annoverava quasi
esclusivamente punti vendita di ridottissime dimensioni. Di conseguenza si è aperto per i
grandi distributori stranieri un nuovo mercato in cui espandersi: ciò rende l’idea di come il
processo di internazionalizzazione in questo settore sia stato subito più che promosso dalle
10
Beltramini, E., Gaeta, C. (1994), op. cit., pp. 95 ss.
11
Beltramini, E., Gaeta, C. (1994), op. cit., pp. 98 ss.
9aziende italiane. Tali mutamenti hanno condizionato l’evoluzione strutturale del comparto
distributivo italiano
12
.
Tra le altre tendenze in atto nella distribuzione vi è quella che porta l’impresa ad adottare
contemporaneamente due o più tipologie di canali, in modo da raggiungere differenti
mercati obiettivo. E’ questo il caso delle imprese i cui prodotti sono diretti sia ai
consumatori sia ai clienti business
13
.
Spesso è utilizzata la dual distribution (doppia distribuzione), che fa ricorso a due o più
canali di marketing per distribuire gli stessi prodotti sullo stesso mercato obiettivo
14
.
Quando i prodotti di un’organizzazione vengono distribuiti attraverso i canali di un’altra
organizzazione siamo, invece, in presenza delle alleanze strategiche di canale. In questo
caso i prodotti delle due imprese hanno in comune il consumatore-obiettivo o le funzioni
d’uso, ma non sono concorrenti diretti (ad esempio, un’impresa di bevande analcoliche può
sfruttare i canali utilizzati per distribuire acqua minerale)
15
.
All’interno di un canale di distribuzione ogni membro, oltre a svolgere un ruolo proprio,
assolvendo dei doveri e accettando certi diritti, responsabilità, remunerazioni e anche
eventuali sanzioni, soddisfa anche aspettative degli altri membri, portando a situazioni di
collaborazione formale tra i membri del canale. E’ questo il caso delle partnership di
canale, che permettono ai partner di stipulare accordi sugli obiettivi, sulle politiche e sulle
procedure per le attività di distribuzione fisica associate ai prodotti del fornitore. Queste
partnership hanno lo scopo di eliminare le ridondanze e rassegnare i compiti allo scopo di
massimizzare l’efficienza del sistema
16
.
12
Si veda Barlocchi, L. (2000), op. cit.
13
La Del Monte utilizza canali diversi per distribuire i propri prodotti ai ristoranti o alle istituzioni ed alle
famiglie.
14
La “Estée Lauder”, produttore di cosmetici di fascia alta, oltre che attraverso magazzini, sta iniziando a
diversificare i propri canali di distribuzione vendendo attraverso Internet ed attraverso punti vendita di
cosmetici monomarca. La “Kellog’s” vende i suoi cereali per la prima colazione sia alla grande distribuzione
organizzata (GDO) che a grossisti di alimentari, i quali poi li vendono ai dettaglianti.
15
Sono importanti esempi di alleanze strategiche quelle siglate tra Tesco e Nutricentre; Sainsbury’s e
Unilever; Marks&Spencer e Compass Food Service; WalMart e Mc Donalds; Sainsbury’s e Starbucks;
Safeway e Starbucks; Sainsbury’s e Boots (Cardinali, M. G. – 2004 - “Il processo di sviluppo
dell’innovazione nelle imprese distributive”, Dipartimento di Economia, Università degli Studi di Parma, p.
21).
16
Sulle partnership tra distributori e produttori si vedano Yadav, P., Schmidt, C. P. (2005), “Buy-back
contrats and forecasting incentives in a Supplier-Retailer Channel”, Zaragoza Logistic Center, University Of
Alabama, (September); Kalwani, M. U., Narayandas, N. (1995), “Long-term Manufacturer-Supplier
Relationships: do they pay off for supplire firms?”, in Journal of Marketing, vol. 59, (January).
10
Nel creare un rapporto di partnership, vengono dunque a crearsi delle diverse posizioni tra
i membri che generano comportamenti di leadership, di cooperazione o di conflitto.
Spesso, infatti, i canali di marketing sono coordinati da un unico leader, il leader di canale,
che può essere un produttore, un grossista, un dettagliante. I leader di canale possono
istituire politiche di canale, coordinare lo sviluppo del marketing mix, ma per diventare
leader di canale un membro deve aver la capacità e la volontà di influenzare la
performance complessiva del canale. E’ necessario, cioè, che possieda un determinato
potere di canale e la responsabilità che ne deriva, per permettergli di raggiungere gli
obiettivi prefissati.
Le partnership: il caso “Wal-Mart – Procter&Gamble”
Una delle partenrship più note è quella tra “Wal Mart” e “Procter&Gamble”. La
Procter&Gamble localizza una parte del suo staff in prossimità del dipartimento acquisti della
Wal-Mart, in Arkansas, per stabilire e mantenere una supply-chain. La Procter&Gamble,
condividendo informazioni attraverso un sistema di computer, monitora le scorte e altri dati di
vendita di Wal-Mart per determinare i piani di produzione e distribuzione dei suoi prodotti. I
risultati che ne derivano sono un aumento di efficienza, una riduzione dei costi delle scorte e un
aumento della soddisfazione per i clienti di ambedue le imprese.
Fonti: Pride W.M., Ferrell O.C. (2006), a cura di Podestà, S., Management. Marketing,Università
Bocconi Editore, Milano, pp. 461 ss.; Yadav, P., Schmidt, C. P. (2005), op. cit.
Il leader europeo della distribuzione: “Carrefour”
“Carrefour”, fondato nel 1959, è il più grande distributore europeo, ed è secondo al mondo
soltanto a “Wal-Mart” (Wal Mart è il gruppo leader mondiale del mercato della distribuzione,
con vendite che nel 2004/2005 hanno toccato quota 285 miliardi di dollari).
E’ presente in ben 30 Paesi, con più di 30.000 punti vendita che danno lavoro a circa 133.000
persone. Gli ipermercati sparsi nel mondo sono circa 840, oltre un quinto dei quali collocati in
Francia. Nel resto d’Europa sono presenti 321 ipermercati: 136 in Spagna, 56 in Belgio, 50 in
Italia. Il gruppo è presente anche in Asia (191 punti vendita) e in America del Sud (148).
Carrefour è stato il pioniere nell’introduzione dell’ipermercato, con l’apertura del primo punto
vendita nel 1963 a Sainte-Geneviève-des-bois in Francia.
La leadership nel settore è stata mantenuta grazie alle numerose aperture annuali: ben 45 nuovi
ipermercati nel corso del 2005.
Attualmente ha dato vita ad una partnership col distributore britannico “Tesco”, cui ha ceduto
15 supermercati in Slovacchia e Repubblica Ceca, a dal quale ha a sua volta acquisito 6
supermercati e due siti a Taiwan, ed incassando per l’operazione una differenza pari 57,4
milioni di euro.
Fonte: www.carrefour.com, www.ildenaro.it.
11
Altro fenomeno importante è quello dell’integrazione di canale: sotto la gestione di un
leader di canale, vari stadi di canale possono essere combinati orizzontalmente o
verticalmente.
L’integrazione verticale di canale combina due o più stadi del canale sotto un’unica
gestione. Può avvenire quando un membro di un canale di marketing acquista le operazioni
di un altro membro o ne svolge semplicemente le funzioni, eliminando la necessità di
quell’intermediario.
L’integrazione verticale comporta spesso una maggiore efficacia contro la concorrenza
grazie al maggior potere contrattuale e alla condivisione di informazioni
17
e responsabilità.
La combinazione di organizzazioni allo stesso livello della catena distributiva e sotto
un’unica gestione riguarda, invece, l’integrazione orizzontale di canale.
Un’organizzazione può integrarsi orizzontalmente fondendosi con altre realtà allo stesso
livello nel canale di marketing. Questa scelta strategica può portare, da un lato, efficienze
ed economie di scala negli acquisti, nella ricerca di marketing, nella pubblicità, dall’altro,
possono sorgere problemi in termini di flessibilità, coordinamento, aumento dei costi e
dello sforzo di pianificazione e ed organizzazione, dovuti alla crescita dimensionale.
17
Sull’integrazione verticale di canale e in particolare sulla condivisione delle informazioni lungo tali canali,
si veda Niraj, R., Narasimhan, C. (2006), “Vertical Information Sharing in Distribution Channels”, University
of Southern California - Marketing Department and Washington University.
L’integrazione verticale: i Sistemi Verticali di Marketing
L’istituzionalizzazione dei canali di distribuzione integrati verticalmente avviene attraverso i
Sistemi Verticali di Marketing (SVM), nei quali un singolo membro gestisce le attività canale
per raggiungere una distribuzione efficiente, a basso costo, diretta a soddisfare i clienti del
mercato obiettivo. La maggior parte dei sistemi verticali di marketing assume una di queste tre
forme: SVM aziendale, SVM amministrativo, SVM contrattuale.
Un SVM aziendale combina tutti gli stadi del canale di marketing, dal produttore al distributore
al cliente finale, sotto un unico proprietario.
Un SVM amministrativo, invece, è costituito da membri di canale indipendenti che
raggiungono, attraverso il coordinamento,un elevato livello di gestione interorganizzativa. I
singoli membri mantengono una propria autonomia, come nei canali di marketing tradizionali,
ma un membro in particolare assume il ruolo di leadership sugli altri e le sue decisioni
influenzano quelle degli altri.
Un SVM contrattuale, infine, è caratterizzato da legami legali che specificano i diritti e gli
obblighi di ciascun membro. Si tratta della forma di integrazione verticale di gran lunga più
diffusa, e le grandi organizzazioni di franchising ne sono un esempio.
Fonti: Kotler, P., Armstrong, G., Saunders, J, Wong, V. (2005), a cura di Scott, W. G., Principi di
marketing, Prentice Hall International, ISEDI, Torino, pp. 695 ss.; Pride, W. M., Ferrell, O.C. (2006), a
cura di Podestà, S., op. cit., pp. 464 ss.