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1. Premessa storica: il nuovo ordinamento augusteo
Caius Octavius
1
, futuro Augusto nonché figlio adottivo e successore
di Giulio Cesare, costruì il suo potere tenendo sempre presente gli
errori che condussero alla disfatta e morte del padre adottivo. Egli
infatti, dopo la battaglia di Azio (2 settembre 31 a.C.), nella quale
affrontò e sconfisse Marco Antonio, pose le basi per l’instaurazione
della pace e, al contempo, del suo velato primato su tutto l’impero.
Richiamando un’antica cerimonia, l’11 Gennaio 29 a.C., Ottaviano
ottenne che il Senato disponesse la chiusura del sacello di Giano
(Ianus Quirinus)
2
essendosi avverata la condizione posta dagli
antichi: la pax. Ecco, infatti, cosa lui stesso afferma nella sua
autobiografia politica:
Res Gestae Divi Augusti, 13
Ianum Quirinum, quem classum esse maiores nostri voluerunt cum
per totum imperium populi Romani terra marique esset parta
victoriis pax, cum prius quam nascerer a condita urbe bis omnino
clausum fuisse prodatur memoriae, ter me principe senatus
claudendum esse censuit.
3
1
Gaio Giulio Cesare Ottaviano era nato a Roma il 23 settembre 63 a.C. da una ricca famiglia
di Velletri, il cui padre, Gaio Ottavio anche lui, sposò Atia, figlia di Marcus Attius Balbus
(pretore forse nel 60 a.C) e di Iulia, sorella di Cesare. Ulteriori indicazioni in T. SPAGNUOLO
VIGORITA, La repubblica restaurata e il prestigio di Augusto. Diversioni sulle origini della
cognitio imperiale, in Studi per Giovanni Nicosia VII (2007) 527 ss.
2
Passaggio a doppia porta (anche Ianus Germinus, porta Ianualis) dedicato a Giano, dio
delle porte, dell’inizio e del passaggio, e sito nel Foro.
3
«Durante il mio principato il Senato per tre volte deliberò che dovesse chiudersi la Porta
2
Il fallimento cesariano, infatti, stava ad indicare che era sbagliato il
modo con il quale si era cercato di applicare alla realtà dello stato
romano quelle teorie e quei principi della regalità, tipici degli stati
ellenistici (l’ultimo dei quali, l’Egitto, finirà nel 30 a.C. proprio per
mano di Augusto).
La dittatura perpetua di Cesare e la sua aspirazione alla monarchia
erano stati errori fatali e per questo Ottaviano scelse una diversa via.
Cassio Dione inserisce nella sua “Storia Romana”
4
, all’anno 29
a.C., un dibattito tra Agrippa e Mecenate, che riflette la situazione a
Roma all’indomani della battaglia di Azio. Si tratta di un discorso
“immaginario ma non privo di una sua validità teorica”
5
, sulla forma
di governo da adottare per la nuova fase che stava aprendosi:
Agrippa consiglia ad Ottaviano il ritorno al regime repubblicano;
Mecenate, invece, si dichiara favorevole ad una forma di governo
monarchica
6
. Chiaramente non si ha alcuna informazione certa su
queste discussioni che si svolsero in ambito privato, ma era
senz’altro chiaro ai partecipanti che la strada praticata da Giulio
Cesare non era più percorribile.
Per questo Ottaviano propende alla fine per il ritorno al passato,
ovvero per la restaurazione (almeno esteriormente) della res
publica. In tale nuovo stato si realizzava la persistenza tradizionale
Quirina [Giano Quirino], che i nostri antenati vollero venisse chiusa quando in tutto
l’impero del popolo romano, in terra come in mare, dalle vittorie fosse stata generata la
pace, e che, a quanto si tramanda, prima che io nascessi era stata chiusa solo due volte
dalla fondazione della città».
4
Dione Cassio 52.19-41.
5
E. GABBA, L’impero di Augusto, in Storia di Roma, II. L’impero Mediterraneo 2. I principi del
mondo, a cura di A. MOMIGLIANO, A. SCHIAVONE (Torino 1991) 9 ss.
6
E. GABBA, Cassio Dione e l’Italia agli inizi del III secolo d.C., in ID., Italia romana (Como
1994) 149 ss.
3
del vecchio, anche se snaturato, nel nuovo; una rivoluzione effettiva,
ma nella continuità formale del regime repubblicano. Era questo il
progetto di Ottaviano, apparire tradizionalista assumendo
magistrature legittime e presentandosi come restauratore dell’ordine
sociale e politico, non soltanto in Italia, ma anche nelle province,
sconvolte anch’esse dalle guerre civili. La concezione di questa pace
e la sua realizzazione non erano che la base necessaria per
l’instaurazione dell’ordine nuovo.
Dall’Epiro, dove era stato inviato da Cesare a perfezionarsi nell’arte
militare e nella retorica, il giovane Ottavio, appresa la morte di
Cesare, parte per l’Italia e raggiunge Roma. Era stato aperto il
testamento di Cesare che lo adottava come figlio e lo nominava suo
erede. Ottavio perfeziona l’adozione con una lex curiata,
richiamando il vecchio istituto dell’adrogatio (ossia dell’adozione di
chi non era più soggetto alla patria potestas) e prende il nome di
Caesar.
Il 1 Gennaio 43 a.C. è cooptato in Senato, grazie al forte sostegno di
Cicerone, con il titolo di pro praetore ed è dispensato
dall’osservanza dei termini legali per adire le magistrature; lo stesso
anno, a soli vent’anni, è eletto console suffetto. È solo l’inizio di una
lunga serie di infrazioni alle norme della costituzione repubblicana.
Con la battaglia di Azio ed il suicidio, meno di un anno dopo, di
Antonio e Cleopatra, le guerre civili ebbero fine e da questo
momento e nel giro di un ventennio si passerà da una fase
costituzionale incerta ed agitata al definitivo assestamento di un
nuovo ordinamento
7
.
7
F. SERRAO, Il modello di costituzione. Forme giuridiche, caratteri politici, aspetti economico-
sociali, in Storia di Roma II, 2 cit. 25 ss.
4
Le riforme del 28 e 27 a.C.
8
furono l’inizio del processo di
legittimazione del potere augusteo.
Per prima cosa, Ottaviano dichiarò non valide tutte le misure di
emergenza adottate durante le guerre civili (considerandole per la
maggior parte “contrarie al diritto e alla giustizia”
9
), ripristinando la
legislazione ordinaria. Inoltre si fece iscrivere come primo nella lista
dei senatori (princeps senatus), con la facoltà di convocare il
consesso, di presiederlo e di proporre gli argomenti da discutere
(altri provvedimenti riguardarono l’amministrazione finanziaria, la
giurisdizione, il divieto dei culti stranieri)
10
.
Vi fu un vero e proprio programma di restaurazione repubblicana e
il 13 Gennaio 27 a.C., appena assunto il VII consolato, Ottaviano
tenta il gran colpo: conquistare tutti i poteri dicendo di non volerli.
Infatti, in un celebre discorso al Senato, dichiara di voler deporre
tutto l’imperium e di voler restituire al Senato e al popolo romano la
res publica (“le armi, le leggi, le provincie, nonché la libertà e la
democrazia”
11
), poiché essa poteva essere più rettamente governata
da molti e con il consiglio comune, anziché da uno
12
.
Con tale atto egli deponeva i poteri straordinari fino ad allora
conservati, relativi al comando della guerra contro Antonio, e quelli
di fatto assunti con la vittoria, ma non il consolato.
8
F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana IV (Napoli 1974) 146 ss.; D. MANTOVANI,
Leges et iura p(opuli) R(omani) restituit. Principe e diritto in un aureo di Ottaviano, in
Atheneum, 96 (2008) 5 ss. [= I tribunali dell’impero. Relazioni del Convegno Internazionale
di diritto romano (Copanello 7-10 giugno 2006), a cura di F. MILAZZO (Milano 2015) 41 ss.].
9
Dione Cassio, 53.2.5.; Tacito, Annali 3.28.2.
10
A. RAGGI, Il secolo di Augusto, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. Il mondo antico, I.
L’ecumene romana III. Da Augusto a Diocleziano VI, a cura di A. BARBERO (Roma 2006) 47
ss.
11
Dione Cassio, 53.4.3 e 53.5.4.
12
Dione Cassio, 53.8.7.
5
Il Senato chiese ad Ottaviano di rimanere a capo dello Stato e
quest’ultimo, dopo un rifiuto formale, accettò di prendersi la sua
parte di responsabilità nell’amministrazione delle province,
dividendole in due categorie: quelle pacificate (provinciae populi
Romani) e quelle che per diversi motivi non potendo ritenersi tali,
dovevano essere presidiate dalle truppe (provinciae Caesaris)
13
.
Le prime le restituì all’amministrazione senatoria, assumendo
l’imperium delle seconde per un periodo di dieci anni (ma il termine
fu poi, varie volte, e per tutta la vita prorogato). In questo modo
teneva imbelle il Senato e per sé il comando delle milizie
14
.
In virtù di tale gesto, il senato ed il popolo si sentirono obbligati a
conferire all’uomo che aveva portato la pace a Roma, diversi onori.
Ad Ottaviano, infatti, fu concessa la corona civica, alcune monete
riportarono la sua effige ed in senato venne affisso uno scudo d’oro
con incise le virtù che gli si riconoscevano. Ma più di tutti, non
potendo ricevere il titolo di Romolo (onde evitare l’accusa di voler
essere re), ricevette il cognomen di Augusto, che evocava sia la sfera
religiosa, richiamandosi le pratiche degli àuguri ed attribuendogli
così una posizione quasi divina, sia quella sociale, rappresentata
dalla auctoritas
15
, che designa la posizione di autorità morale e di
13
E. LO CASCIO, La creazione del principato e l’età augustea, in Introduzione alla storia di
Roma, a cura di E. GABBA (Milano 1999) 287 ss.; ID., Le tecniche dell’amministrazione, in
Storia di Roma II. 2 cit. 119 ss.
14
Dione Cassio, 53.12.
15
«Autorità» con cui lo stesso Augusto designa la posizione di supremazia e egemonia che
lo pone al di sopra di tutti i magistrati di radice repubblicana nonché come forza di
controllo di fronte al Senato stesso. Da un punto di vista linguistico sia Augustus che
auctoritas si ricollegano ad augeo e stanno ad indicare la posizione di preminenza, di
tutela e di garanzia che Augusto occupa di fronte a tutte le magistrature e gli organi
costituzionali. Da un punto di vista giuridico, invece, il termine riporta nel campo
pubblicistico all’auctoritas senatus e quindi quella funzione di controllo e ratifica delle
deliberazioni comiziali che il Senato aveva avuto nel corso della Repubblica, nel campo
privatistico, infine, all’auctoritas tutoris, con cui si indica la posizione di forza del tutore
6
prestigio che permise al princeps di superare tutti in influenza. Così,
infatti, emerge dal racconto dello stesso Augusto:
Res Gestae Divi Augusti, 34
In consulatu sexto et septimo, po[stquam b]ella [civil]ia
exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium,
rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani
arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatu[s consulto
Au]gust[us appe]llatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti
publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus
aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum pop[ulumq]ue
Rom[anu]m dare virtutis clementiaeque iustitiae et pieta[tis caus]sa
testatu[m] est pe[r e]ius clupei [inscription]em. Post id tempus
auctoritate [omnibus praestiti, potest]atis au[tem n]ihilo ampliu[s
habu]i quam cet[eri qui m]ihi quoque in magistratu conlegae
fuerunt
16
.
In questo modo, con una terminologia tecnica precisa e con perfetto
senso del diritto, Augusto contrappone la potestas delle magistrature
nei confronti del pupillo, nonché all’auctoritas del mancipio dans, ovvero alla garanzia che
il più antico venditore romano prestava al compratore in caso di evizione. In tutti questi
casi il termine indica una posizione di supremazia riconosciuta ad una persona o ad un
organo nei confronti di altre persone o altri organi costituzionali.
16
Traduzione di T. SPAGNUOLO VIGORITA, Le nuove leggi. Un seminario sugli inizi dell’attività
normativa imperiale (Napoli 1992) 112: «Nel mio sesto e settimo consolato, dopo aver
estinto le guerre civili, io, che in forza del consenso universale mi ero impadronito di tutto
il potere, trasferii la cosa pubblica dalla mia potestà nelle mani del Senato e del popolo
romano. Per questo mio merito fui denominato Augusto con senatoconsulto, il vestibolo
della mia casa fu ornato di allori per pubblica decisione, sulla mia porta fu appesa la
corona civica, e nella curia Giulia fu collocato uno scudo d’oro che il Senato e il popolo
romano mi avevano concesso per il valore e la clemenza, per la giustizia e la pietà, come
attesta l’iscrizione incisa sullo stesso scudo. Dopo di allora fui superiore a tutti in autorità,
ma, in quanto a potere, non ne ebbi di più di coloro che mi furono colleghi nelle singole
magistrature».
7
repubblicane all’auctoritas del principe e con esse il vecchio che va
tramontando e il nuovo che emerge prepotentemente.
Nasce così il Principato.
Altri eventi fondamentali nel processo di formazione della nuova
forma di governo si verificano nel 23 a.C.
17
, con un distacco più
preciso dalla tradizione repubblicana. In tale anno infatti, Augusto
rinuncia al consolato che aveva ricoperto ininterrottamente dal 31
a.C., e in cambio si fa attribuire:
la tribunicia potestas a vita, riconosciuta in quest’anno in tutta la
sua ampiezza. Nel 36 a.C., infatti, ad Augusto era stato conferito
solo il ius tribunicium, che gli attribuiva l’inviolabilità, ed il ius
auxilii (ad esso si riferiva Tacito, Annali, 1.2). Che lo stesso
Augusto, invece, facesse decorrere la piena tribunicia potestas
dal 23 a.C. risulta dalle Res Gestae Divi Augusti (4); con essa gli
vengono conferiti anche il ius intercedendi, il ius coercitionis e
soprattutto il ius agendi cum plebe. Tale potestas era uguale al
modello repubblicano per quanto riguarda il suo contenuto, ma
profondamente diversa per quanto riguarda la sua attribuzione. Il
suo conferimento ad un privato, infatti, e non ad un tribuno della
plebe, sarebbe stato per i vecchi repubblicani inconcepibile; unire
poi, in una sola mano, due potestà in antitesi, quella tribunicia e
l’imperium maius, un assurdo!
Il ius agendi cum patribus ovvero il diritto di riferire e provocare
la delibera del Senato (come se fosse console) a cui si aggiunse
il potere di convocarlo.
17
F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana IV cit. 168 ss.
8
L’imperium proconsolare maius et infinitum
18
, ciò significa che
Augusto non era tenuto a deporlo entrando nel pomerium e a
farselo rinnovare nell’uscire, che tale potere era esteso a tutte le
province e dichiarato superiore (maius) rispetto a quello dei
proconsoli repubblicani. In questo modo, Augusto ottenne un
diretto potere di governo sulle province imperiali ed un eguale
potere di controllo su quelle senatorie. Tuttavia per la sua
estensione, preminenza e durata nel tempo esso era un imperium
nuovo, diverso dai precedenti di età repubblicana e con la
sostanza di un supremo comando militare. Il princeps, in deroga
ad un’antichissima norma, non doveva dismettere tale imperium
neanche all’ingresso del pomerium: ma questo era solo un
riconoscimento onorifico, non poteva apertamente significare la
soggezione dell’Italia al potere proconsolare, che sarebbe stata
un’intollerabile violazione della tradizione repubblicana nonché
della supremazia di Roma e dell’Italia sulle province, in nome
della quale lo stesso Ottaviano aveva combattuto la battaglia
finale con Antonio
19
.
Con tali mutamenti il nuovo ordinamento assume il suo assetto
definitivo. La posizione di Augusto, infatti, riassume in sé i poteri
derivanti dal doppio ordine delle magistrature repubblicane: da una
parte quelli dei consoli e dei governatori delle province, dall’altra
quelli dei tribuni della plebe, riunendo nelle sue mani due poteri tra
18
Contro l’idea che l’imperium fosse infinitum: H. SIBER, Das Fuhreramt des Augusts, in JRS.
36 (1946) 26 s. ; M. GRANT, From imperium to auctoritas (Cambrige 1946) 417 ss.
19
Sull’argomento F. SERRAO, Il modello di costituzione cit. 35 ss.
9
loro in antitesi, senza rivestirne formalmente le cariche e quindi
incontrarne i relativi limiti della temporaneità e della collegialità.
Il quadro costituzionale è completo e ricevette l’ultimo tocco
importante con l’investitura popolare di Augusto a pontefice
massimo nel 12 a.C.
20
. Pertanto egli fu Imperator, Augustus,
Princeps e dal 2 a.C. venne nominato anche Pater Patriae su
acclamazione del senatus, dell’ordo equester e del populus
21
.
2. L’origine della cognitio imperiale e la situazione del
princeps legibus solutus
La casistica riconduce costantemente l’origine del nuovo processo
all’età del principato e ne ricollega le diverse applicazioni,
direttamente o per delega, ai poteri straordinari del princeps. Il
processo extra ordinem ci pone, alle sue origini, di fronte ad un
complesso di interventi isolati che troverebbero la propria
giustificazione nel principio per il quale il princeps, in quanto
legiubus solutus, è svincolato anche dalle leggi che regolano l’ordo
iudiciorum: il che implica, conseguentemente, che il suo intervento
avviene extra ordinem.
Relativamente al fondamento della giurisdizione del principe,
dobbiamo fare riferimento alla sua auctoritas che, come già
evidenziato, esprime il “carisma” della sua personalità e la pienezza
della sua “autorità”, fondata sulle sue posizioni di predominanza
20
A. RAGGI, Il secolo di Augusto cit. 47 ss.
21
Res Gestae Divi Augusti, 35.