2
propria attenzione solo su certi aspetti del rapporto, trascurandone
altri. Sebbene nessuno neghi l’importanza dell’obbligo di tutelare i
diritti di proprietà intellettuale ed il know-how del franchisor, così come
la rilevanza dei diritti inerenti alla concorrenza, la casistica dimostra
come questi temi non siano gli unici sui quali possa sorgere una
controversia. Il contratto deve essere redatto in maniera chiara e
completa in tutte le sue parti, tenendo in considerazione i suoi caratteri
peculiari e l’obiettivo che la singola previsione e l’intero accordo
intendono raggiungere.
La scelta di approfondire il tema della force majeure deriva dal fatto che
su tale previsione il lavoro svolto dalla dottrina fosse insoddisfacente:
nulla più di quanto fosse già stato detto generalmente sulla forza
maggiore veniva aggiunto con riferimento al contratto di franchising.
Approfittando di una conoscenza più profonda di questo istituto,
derivata dallo studio e dall’elaborazione di un paper su di esso in
occasione di uno scambio universitario presso la Boston University
School of Law, è stato deciso di trattare congiuntamente la suddetta
previsione ed il franchising, tentando di definire cosa i redattori di
questo contratto avrebbero dovuto tenere in considerazione prima di
elaborare una force majeure clause.
Bisogna ricordare che sebbene su ciascuno dei due temi esista
abbondanza di materiale bibliografico, tuttavia non c’è quasi nessun
documento che tratti entrambi gli istituti rapportandoli fra loro.
L’elaborato è stato strutturato in considerazione di questa situazione.
Il primo capitolo ha una funzione introduttiva. In esso vengono
introdotti a grandi linee i tratti salienti del franchising e le sue varie
tipologie. Dopodiché lo stesso viene fatto per la force majeure. Il fulcro
del capitolo risiede nell’individuazione dello scopo di tale clausola,
nonché della sua particolare utilità all’interno di questo tipo di accordo.
3
Il secondo capitolo è interamente incentrato sulla casistica. Le sentenze
analizzate permettono di riflettere su quali siano le obbligazioni del
contratto il cui inadempimento è più frequentemente giustificato con il
ricorso alla clausola di forza maggiore. Tale capitolo è un’occasione per
trattare più a fondo il tema dell’affiliazione commerciale, ed allo stesso
tempo per individuare le più comuni problematiche che possono
essere risolte con l’utilizzo di questa previsione di esonero. In questa
parte della trattazione alla indicazione della ratio utilizzata dalle corti
nei singoli casi si alternerà il commento alle principali fonti normative
inerenti al franchising, e la trattazione delle opinioni dottrinarie.
Il terzo capitolo è il cuore dell’elaborato. In esso la force majeure clause
verrà scomposta nelle sue caratteristiche fondamentali, che verranno
trattate separatamente. Possiamo dire che ciascun paragrafo sia
divisibile in due fasi: un primo momento in cui si osserva cosa dottrina
e giurisprudenza abbiano da dire in merito ad una determinata
caratteristica (ad esempio, l’imprevedibilità) della previsione. Questa
fase è anche occasione per confrontare le opinioni e i testi discordanti.
A ciò seguirà una fase più creativa: tenendo in considerazione le
caratteristiche del contratto di affiliazione commerciale, nonché le
problematiche emerse dall’analisi dei casi fatta nel capitolo precedente,
verranno indicate le soluzioni che, in termini di corretta redazione di
una force majeure clause, possano garantire alle parti la più ampia tutela
possibile, coerentemente alle peculiarità del rapporto contrattuale
intrapreso.
Il fine ultimo dell’elaborato sarà la creazione di una force majeure clause
specifica per il contratto di affiliazione commerciale, ossia una
previsione che in tutte le sue parti sia modellata in modo da far fronte
alle principali problematiche e peculiarità di questo tipo di accordo.
4
Capitolo 1: Il contratto di franchising ed
il suo rapporto con la force majeure:
panoramica generale
1) La crescente importanza del contratto di
franchising nel commercio internazionale
Il contratto di franchising internazionale è un istituto che in una società
come la nostra, in cui le barriere nazionali sono state pressochè
totalmente abbattute, non è più possibile ignorare. Questo fenomeno, le
cui origini sono riconducibili agli Stati Uniti, è adesso diffuso in tutto il
mondo: si può dire sia divenuto uno dei simboli della globalizzazione,
l’espressione di quello che i critici definiscono come un “livellamento”
sotto il profilo dei consumi e sotto quello culturale1. L’Uomo della
Strada, a prescindere dalle caratteristiche economiche e sociali del
Paese in cui vive, è bombardato da simboli e marchi che ormai è in
grado di riconoscere e con i quali ha inevitabilmente imparato a
convivere.
Il motivo di un simile successo di quello che alcuni definiscono, forse
in maniera riduttiva, business format2, di questa particolare struttura
1
Vaccà C., Franchising: una disciplina in cerca di identità, in Contratto e impresa, 2004,
pag. 870. L’autore giudica negativamente gli effetti della diffusione dell’istituto del
franchising nella società: in particolare ritiene questo istituto quale espressione di “un
modello di sviluppo, ammaliante ma fragile e non esente da critiche, affermatosi nel
mondo occidentale”.
2
J. Goyder, EU Distribution Law, 4th Ed., 2005, pagg. 150 ss. : in effetti, come sarà
possibile vedere successivamente, il Business Format Franchising è solamente uno dei
vari modelli di affiliazione commerciale che sono stati elaborati dalla pratica
contrattuale, nonché successivamente individuati dalla Camera di Commercio
Internazionale.
5
commerciale relativamente nuova, risiede in vari fattori che ne hanno
favorito l’affermazione: il processo di decentramento produttivo su
scala internazionale, la tendenza a standardizzare i rapporti
contrattuali, e una crescente omologazione in scala globale dei beni e
dei servizi, della loro modalità di offerta, persino dei gusti e dei
comportamenti dei consumatori3.
Conseguenza di questo panorama è stata una modifica alla radice
dell’organizzazione imprenditoriale, particolarmente nell’ambito della
distribuzione dei prodotti: dalla tradizionale catena di intermediazioni
che portava il bene dal produttore al consumatore finale si è pervenuti
ad un più stretto rapporto fra produttore e dettagliante che, secondo
alcuni, rischia di comprimere in misura eccessiva l’autonomia di quest’
ultimo4.
Per meglio comprendere l’entità di questo fenomeno può essere utile
osservare, dati alla mano, quanto influisca sulla economia di un paese.
Si potrebbero prendere come esempio gli Stati Uniti, nazione nella
quale il franchising è stato per la prima volta messo in atto, con risultati
a dir poco stupefacenti. Secondo l’International Franchise Association
(IFA), il 50% di tutti i beni venduti al dettaglio nel territorio
statunitense alla fine degli anni Novanta proveniva da negozi in
franchising, pari ad un fatturato di circa mille miliardi di dollari.
3
Vaccà C., Franchising:una disciplina in cerca di identità, in Contratto e impresa, 2004, pag.
870-871.
4
Questa è la ragione per cui in molti stati in cui il contratto di franchising ha ricevuto
una legiferazione si è voluto dare particolare importanza ala necessità di garantire
l’informazione salvaguardando l’autonomia imprenditoriale dei franchisees. In questo
ambito sono particolarmente importanti due interventi normativi: la Federal Trade
Regulation Rule statunitense del 21 ottobre 1979, all’interno della quale è previsto tra
le altre cose che le norme dei singoli stati che intervengano sul rapporto tra affiliante
e affiliati non possano derogare dalla normativa federale se non in senso più
favorevole agli affiliati; e la legge francese n. 89-1008 del 31 dicembre 1989, meglio
conosciuta come Loi Dubin, che interviene su qualunque tipo di accordo che comporti
la distribuzione di beni e servizi e che implichi la concessione in uso del marchio
dell’impresa fornitrice. Il tema è trattato più in dettaglio in Vaccà C., Franchising:una
disciplina in cerca di identità, in Contratto e impresa, 2004, pagg. 872-873 e Axelrad e
Rudnik, Franchising. A Planning and Sales Compliance Guide, Chicago, 1987.
6
Esistono nei soli Stati Uniti più di 600.000 attività commerciali in
franchising, un esercizio su 12, e circa 3000 franchisors5. Il franchising
negli USA dà lavoro a oltre 8 milioni di persone: molte famiglie
investono le loro risorse economiche per l’apertura di outlets e talvolta,
con i profitti derivanti da queste attività, creano piccole catene di
negozi. Al giorno d’oggi infatti il franchising non è più concepito come
un modello alla portata di poche grandi corporations, bensì il tipo di
struttura che nell’ambito delle piccole attività commerciali ha la
crescita più rapida6.
Anche in Italia il franchising, o affiliazione commerciale, è un fenomeno
largamente diffuso: basti pensare che nel 2001 si contavano 361 reti di
franchising operanti nel nostro paese, il 41% delle quali nell’ambito dei
servizi, e con un fatturato complessivo annuo di più di 7 miliardi di
euro7.
Perchè questo istituto ha così tanto successo? I motivi sono molteplici,
ma in prima approssimazione quello che immediatamente risulta
evidente è che esiste una amplissima gamma di prodotti e servizi il cui
5
Dati forniti da International Franchise Association, International Franchise Association,
Washington, 1999, consultabili mediante il sito internet www.franchise.org; Sharp A.,
Franchising – Types of Franchises, History Of Franchising, The Spread of Franchising, in
Encyclopedia of business, 2a Ed., 2007.
6
Secondo la U.S. Small Business Organization, negli USA il franchising è il business di
piccole dimensioni con la crescita più rapida. Ogni accordo con un nuovo franchisee
crea in media tra gli 8 e i 14 posti di lavoro. Il dato più stupefacente comunque resta
la velocità di diffusione: nei soli Stati Uniti si apre un nuovo esercizio in franchising
ogni 8 minuti circa per giorno di lavoro.
7
Dati Assofranchising, 2001; in Vaccà C, Franchising: una disciplina in cerca di identità,
in Contratto e impresa, 2004, pag. 872, e Amadei, Waste land, Nowhere land, Disneyland.
Le Possibilità di vita nei nuovi luoghi, in Città Costruita. Qualità del vivere. Desideri valori
regole, a cura di Caruso di Spaccaforno, Genova-Milano, 2002, pagg. 139 ss. si coglie
l’occasione per approfondire la critica all’eccesso di uniformazione di cui sono
vittime i centri storici delle grandi città: secondo Vaccà il continuo ripetersi delle
medesime insegne di fast-food, negozi di abbigliamento e noleggi di videocassette
“sembra annullare le distanze geografiche, la storia, le tradizioni, le specificità
architettoniche e culturali”. Amedei definisce queste zone senza più caratterizzazione
specifica e sempre uguali nel mondo “non luoghi”. Il filo conduttore della critica di
entrambi gli autori risiede nel ritenere che questi esercizi commerciali, da alcuni visti
come semplici elementi di “arredo urbano”, in realtà devastino l’ambiente in cui sono
inseriti, privandolo delle sue peculiarità e determinando l’estinzione delle attività
artigianali e del commercio tradizionale della zona.
7
commercio può essere realizzato tramite questa struttura. Se è
certamente vero che gli esempi più eclatanti di franchising si hanno
nell’ambito della ristorazione, da McDonald’s a Starbucks, da Wendy’s a
Burger King, tuttavia questo tipo di contratto è applicabile ai settori più
diversi, dalla moda ( Benetton), all’ambito alberghiero (Holiday Inn),
dalle scuole di ballo (Arthur Murray) alla fornitura di petrolio e gas
naturale. Per utilizzare un’espressione anglosassone, “from pet dogs to
hot dogs”8.
La prima difficoltà che si riscontra nel relazionarsi con questo
fenomeno è relativa all’insussistenza di una definizione realmente
unitaria, che ne comprenda tutti gli aspetti. Il problema risiede nel fatto
che al termine “franchising” corrispondano vari significati a seconda del
grado di sviluppo che questa forma di accordo ha raggiunto all’interno
della realtà economico-giuridica di un paese: si arriva in certi casi ad
inserire nella categoria del franchising anche contratti e sistemi
organizzativi che secondo il diritto di altri stati non vi rientrerebbero
affatto9.
Sicuramente una prima considerazione, per quanto quasi scontata, è
comune ai vari ordinamenti giuridici: in un franchising internazionale il
franchisor e i franchisees hanno sede ed operano in stati diversi10.
Detto questo, per quanto diverse fonti normative di natura
transnazionale abbiano tentato in vario modo di definire il fenomeno,
forse la formulazione più esauriente è quella che indica il franchising
internazionale come “un sistema di collaborazione, nelle situazioni che
implicano un conflitto di leggi, tra un produttore (o rivenditore) di beni
od offerente di servizi (il franchisor) ed un distributore (il franchisee).
8
Goyder J., EU Distribution Law, 4a Ed., 2005, pag. 149.
9
De Franchis F., Franchising in diritto comparato, in Dig. Priv. Sez. Com., 1991, IV, pag.
309 ; Peters L. e Shneider M., The Franchising Contract, in Uniform Law review, 1985, I,
pag 154 ss.
10
De Franchis F., Franchising in diritto comparato, in Dig. Priv. Sez. Com., 1991, IV,
pag.308.
8
Tali soggetti sono giuridicamente ed economicamente indipendenti
l’uno dall’altro, ma vincolati da un contratto, in virtù del quale il primo
concede al secondo la facoltà di entrare a far parte della sua catena di
distribuzione, con il diritto di sfruttare, a determinate condizioni e
dietro il pagamento di una somma di denaro, brevetti , marchi, nome,
ditta, insegna o addirittura una semplice formula o segreto
commerciale”11.
Innanzitutto è necessario chiarire il significato della parola
“franchising”: essa vuol dire letteralmente “privilegio”, o “franchigia”12.
Il franchising è dunque la concessione di un “ licensed privilege to do
business” come lo ha giustamente definito la International Franchise
Association, la quale però aggiunge alla definizione un ulteriore
elemento fondamentale di questo contratto. Oltre al privilegio di poter
distribuire un prodotto altrui, il franchisee dispone dell’assistenza del
franchisor nell’attività organizzativa, nella formazione del personale,
nella vendita e nella gestione dall’esercizio, “in exchange for fees and
royalties” 13 . Possiamo quindi osservare come le prestazioni del
franchisor siano piuttosto eterogenee, andando dalla semplice messa a
disposizione di diritti di proprietà intellettuale, fino al ricoprire un
ruolo di assistenza e sostegno attivo nei confronti del franchisee.
Avremo successivamente modo di osservare che esistono diversi tipi di
contratti di franchising, e questa è un’altra delle ragioni per cui è
11
Tonolo S., La legge applicabile ai nuovi contratti:i casi del factoring e del franchising
internazionale, in Contratto e impresa / Europa, 2003, Vol. I , pag. 545; Frignani A.., Il
franchising internazionale, in Factoring, Leasing, Leveraged buy-out, Hardship clause,
Countertrade, Cash and Carry, Merchandising, Know-how, Torino, 1993, pag. 330.
12
Come Gino Gorla ha avuto modo di osservare, in common law si utilizzano parole
di origine feudale per definire concetti giuridici all’avanguardia. De Franchis F.,
Franchising in diritto comparato, in Dig. Priv. Sez. Com., 1991, IV, pag. 309
13
Sharp, A., Franchising – Types of Franchises, History Of Franchising, The Spread of
Franchising, in Encyclopedia of business, 2a Ed., 2007. La definizione che viene data è “a
continuing relationship in which the franchisor provides a licensed privilege to do business,
plus assistance in organizing, training, merchandising, and management in exchange for fees
and royalties from the franchisee”.
9
difficile inserire in un testo normativo una definizione realmente
completa di questo istituto.
Sempre dalla nozione fornita dalla IFA desumiamo che una delle
prestazioni principali del franchisee, in prima approssimazione indicata
come il versamento di un quantitativo di denaro, possa avvenire sotto
due differenti forme: l’entrance fee, una somma versata a titolo di
ingresso nel rapporto di franchising, e le royalties, il cui pagamento è
invece periodico. Queste forme di pagamento possono essere
alternative o coesistere.
Un altro concetto che va precisato riguarda l’effetto che si produce nel
momento in cui il dettagliante entra nella catena di distribuzione del
franchisor: per quanto i due soggetti permangano in uno stato di
indipendenza giuridica ed economica, si viene a creare una rete, un
network14 tra il franchisor e i suoi franchisee, la cui caratteristica più
evidente agli occhi dell’Uomo della Strada è l’uniformità. Questo
carattere si può manifestare in vari modi: può risultare dall’aspetto del
punto vendita, dalle sue decorazioni interne e/o dalla divisa di chi vi
lavora, come nel caso di Starbucks; può essere una uniformità
desumibile dal fatto che in tutti i negozi vengano venduti gli stessi
prodotti, come per Burger King o la Standa; oppure può derivare
dall’utilizzo delle stesse metodologie di vendita o di prestazione di un
servizio, come nel caso di Arthur Murray.
Fatte queste premesse sarà più agevole comprendere il ruolo delle due
figure che intervengono in questo tipo di accordo.
Il franchisor, o produttore, è colui che crea il piano di mercato per il
commercio dei propri prodotti, mentre i franchisees o rivenditori ne
14
La rete commerciale, o network, si viene a creare nell’ipotesi in cui sussista più di un
franchisee. Essa può essere costituita mediante una serie di accordi bilaterali, o
mediante accordi cui partecipano più affiliati. Aleotti U., Il franchising e il diritto
comunitario, in Il diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1999, fasc. 1, pag. 7.
10
sono gli esecutori15: affinchè il piano venga posto in essere in modo
fedele, è necessario che i rivenditori si attengano ad una serie di
prescrizioni inerenti alle tecniche di mercato, alla formazione del
personale, all’arredamento del locale, alle modalità di pubblicizzazione
del prodotto e via dicendo. Le suddette prescrizioni sono inserite in
apposite clausole del contratto, quest’ultimo in molti casi consistente in
un modulo prestampato da compilare, come nel caso di McDonald’s.
Inoltre il franchisee è tenuto e riceve l’autorizzazione all’uso degli stessi
marchi di fabbrica del franchisor, e può porre presso il suo punto
vendita la stessa insegna del produttore. L’effetto che consegue a
queste due operazioni è l’uniformazione di cui sopra, il cui scopo è
quello di “ingenerare nei consumatori il convincimento che il
produttore stesso agisca come distributore dei prodotti”16. Una simile
strategia comporta vantaggi non indifferenti ad entrambe le parti del
contratto.
Occorre infine considerare che, salvo eccezioni, quanto detto fino ad
ora denota come il produttore si trovi in una posizione dominante
rispetto al rivenditore, facendo di quest’ultimo un suo “imprenditore
satellite”17.
15
In realtà non è sempre detto che franchisor e produttore o franchisee e rivenditore
siano figure che coincidono: come avremo modo di vedere analizzando i vari tipi di
accordi di franchising, l’affiliante può a sua volta essere un distributore di prodotti
altrui, così come gli affiliati possono essere incaricati della produzione di beni
dall’affiliante.
16
Galgano, Marrella, Diritto del commercio internazionale, CEDAM, 2007, pag. 391: gli
autori sottolineano che la situazione di uniformità che si viene a creare talvolta
riduce il franchisee in una condizione pressochè indistinguibile da quella di un
dipendente del produttore.
17
Si può tuttavia verificare anche il fenomeno opposto, ossia l’ipotesi in cui gli
imprenditori produttori si trovino ad essere in posizione di contraenti deboli rispetto
ad un grosso rivenditore: ciò avviene in particolare nell’ambito della grande
distribuzione, quando vasti capitali vengono investiti per creare potenti catene di
supermercati e ipermercati. In questi casi sono tali imprese, addette alla distribuzione
al dettaglio, ad avere la posizione predominante contrattualmente ed
economicamente, fungendo da committenti dei beni e imponendo le condizioni e il
prezzo di vendita di questi ai produttori agricoli e industriali.
11
2) Vantaggi e problematiche del contratto di
franchising
Sia il produttore che il rivenditore ottengono numerosi vantaggi da un
contratto di franchising18.
Per quanto riguarda il franchisor, innanzitutto un simile tipo di accordo
permette alla sua azienda di ampliarsi molto più rapidamente: una
delle ragioni della crescita rallentata di un’impresa è infatti la carenza
di capitale da investirvi e la poca disponibilità di personale. Grazie al
franchising, il produttore può contribuire in misura minore sia in
termini di denaro che di forza lavoro, in quanto i franchisees forniscono
entrambe in grande quantità. Tanto ampio sarà il profitto dell’affiliante,
quanto decisivo sarà il contributo di ciascuno degli affiliati.19 Inoltre il
franchising è l’unico mezzo che permette al produttore di accedere ad
ampi capitali d’investimento senza poi perdere il controllo dell’attività
che svolge: gestisce la propria rete con il denaro dei suoi rivenditori, e
non deve perciò vendere quote della sua società per ottenere nuovi
fondi.
Un ulteriore vantaggio per il franchisor sotto il profilo organizzativo
risiede nel poter disporre di managers competenti e molto motivati alla
gestione di ciascun punto vendita della rete: infatti egli può basare la
18
Naturalmente perchè questo avvenga resta comunque necessario scegliere
attentamente il business in cui attuare un franchising. In particolare è stato rilevato che
gli ambiti in cui questo istituto ha maggior successo hanno le seguenti caratteristiche:
sono attività che risultano aver già avuto un ampio margine di successo; ruotano
attorno ad un concetto, un bene, un servizio con caratteristiche peculiari, o uniche
(per esempio una bevanda particolare, come la Coca Cola); sono business che possono
coprire un territorio geograficamente vasto; sono esercizi relativamente facili da
condurre, e che comportano spese non troppo alte, in modo da essere accessibili al
maggior numero di potenziali franchisees possibile.
19
Sharp, A., Franchising – Types of Franchises, History Of Franchising, The Spread of
Franchising, in Encyclopedia of business, 2a Ed., 2007; International Chamber of
Commerce, ICC Model International Franchising Contract, 2000, pag. 10.
12
scelta dei propri affiliati su determinati standards qualitativi. Oltretutto
l’incentivo alla gestione del business nel miglior modo possibile è nel
franchisee certamente più sentito rispetto al semplice dipendente, in
quanto il primo dispone di una maggiore autonomia sul lavoro, anche
se questa lo rende ampiamente responsabile del successo o insuccesso
del singolo negozio. Ne consegue per il produttore una riduzione dello
sforzo necessario per il controllo delle operazioni giornaliere, rispetto
ad un punto vendita di cui fosse direttamente proprietario20.
Il franchising produce vantaggi anche per via della possibilità di
raggiungere un determinato target di consumatore in maniera più
efficiente, grazie ad una pubblicità frutto della cooperazione tra
franchisees e franchisor e ad una promozione del prodotto che si adatti
alle caratteristiche del luogo ove verrà lanciato21: in altre parole, il
prodotto potrà essere posto con successo su un mercato le cui
caratteristiche, inizialmente non conosciute dal franchisor, gli saranno
rese note dall’affiliato che in quel dato ambito territoriale e
commerciale ha maggior esperienza.
Per quanto riguarda una prospettiva più prettamente giuridica, il
franchisor è sollevato da alcuni degli obblighi legali necessari per
iniziare una nuova attività commerciale, come la richiesta di particolari
licenze e permessi. In alcuni stati infatti questi documenti possono
essere ottenuti più agevolmente da coloro che gestiscono un business
risiedendo in quella determinata giurisdizione, anche in virtù di una
loro maggiore conoscenza della cultura e soprattutto della burocrazia
locale. Invece per una impresa con sede in un altro stato tale
operazione può diventare molto difficile e dispendiosa, essendo
necessario anche l’utilizzo di intermediari che conoscano il sistema
20
Sharp, A., Franchising – Types of Franchises, History Of Franchising, The Spread of
Franchising, in Encyclopedia of business, 2a Ed., 2007.
21
International Chamber of Commerce, ICC Model International Franchising Contract,
2000, pag. 10.