Cap 1: La controversia Arabo-Israeliana
1.1 Dalla dichiarazione di Balfour ai giorni nostri
Il 2 novembre 1917, il primo ministro inglese Lloyd George incaricò il segretario degli Affari
esteri, Arthur Balfour, di scrivere una lettera che conteneva una importante dichiarazione: “Il
governo di Sua Maestà considera con favore l’insediamento in Palestina di uno Stato nazionale per
il popolo ebraico, e farà del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo”.
Questa dichiarazione, nota come “Dichiarazione Balfour”, impegnava la Gran Bretagna a favorire la
creazione di una national home ebraica in Palestina, e che a fronte della sua creazione, “niente sarà
fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in
Palestina”
1
Nell’ aprile del 1920 la Gran Bretagna divenne la potenza mandataria. Ma cosa è un mandato? Esso
consiste nella protezione che una potenza assume dei popoli che non sono ancora in grado di
governarsi da soli e ha per scopo una sacra missione di civilizzazione e cioè il benessere e lo
sviluppo di questi popoli
2
.
Gli arabi non erano stati informati ufficialmente della dichiarazione Balfour, ma la notizia era
comunque trapelata ed essi erano sospettosi e preoccupati, ma speravano ancora che la Gran
Bretagna avrebbe comunque riconosciuto la giustezza della loro causa. Il primo alto commissario
nominato in Palestina nel luglio del 1920 fu Sir Herbert Samuel, di religione ebraica. Ai sionisti
sembrò un segno promettente e agli arabi sinistro: l’alto commissario era favorevole alla
dichiarazione, ma nei cinque anni del suo mandato cercò di rassicurare gli arabi, poiché l’idea della
dichiarazione era semplicemente quella di creare un luogo in Palestina (ma non in tutta) dove gli
ebrei potessero vivere di diritto invece che esservi tollerati.
Nonostante questa rassicurazione gli arabi erano preoccupati dall’aumento della immigrazione
ebraica, che si accentuò negli anni trenta a causa della fanatica strategia antisemita di Hitler.
L’inquietitudine degli arabi era comprensibile: la minaccia tedesca avrebbe potuto favorire la causa
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K. ARMSTRONG, Gerusalemme – Storia di una città tra ebraismo, cristianesimo e islam. Mondatori editore
1999, pp. 351-352.
2
S. FERRARI, Vaticano e Israele. Sansoni Editore , 1991 , p.16.
Gli inglesi erano molto presi dalla responsabilità di amministrare i luoghi sacri; durante il controllo britannico
dal 1917 al Luglio 1920, al governatore militare, il tenente Storss, fu affidato come primo compito quello di riparare le
devastazioni causate alla città dalla guerra. Il tenete fondò una società con il compito di organizzare le opere di restauro
e di ammodernamento. Una delle ordinanze prescriveva che tutti i nuovi edifici della città dovessero essere costruiti con
la locale pietra rosa, direttiva che è seguita ancora oggi. (cfr K. ARMSTRONG, op. cit. , p. 352).
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sionista
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. Lo scontento arabo si trasformò dapprima in aperta disobbedienza civile durante lo
sciopero generale del 1936, poi , tra il ’36 e il ’38 in vera e propria rivolta. Il governo britannico
tentò di trovare una soluzione alla questione palestinese proponendo con la commissione Peel nel
1937, una divisione del paese che prevedeva da una parte uno Stato ebraico in Galilea e lungo la
zona costiera e il territorio rimanente assegnato agli arabi mentre Gerusalemme e la area sub urbana
sarebbero rimasti sotto il controllo britannico. I sionisti accettarono il piano anche se presentarono
un proprio schema di ripartizione per Gerusalemme, gli arabi non lo accettarono.
Quando le prime notizie sui campi di sterminio nazisti raggiunsero la Palestina, i sionisti
incominciarono a credere che solo uno Stato totalmente ebraico avrebbe potuto garantire un rifugio
agli ebrei. Intanto l’ ONU approvava la risoluzione 181, la quale prevedeva la creazione di uno
Stato ebraico e di uno arabo e un corpus separatum per Gerusalemme e Betlemme sotto il controllo
internazionale. Subito dopo l’approvazione del piano avvenuta il 29 novembre 1947, in Palestina
scoppiarono gli scontri. Ormai la situazione era ingovernabile: il 15 maggio 1948 quando gli inglesi
se ne andarono, (nell’aprile del 1947 la Gran Bretagna aveva rimesso il mandato all’ONU) le truppe
ebraiche erano pronte ad attaccare la Città Vecchia dove dimoravano numerosi arabi, ma furono
trattenute dall’ arrivo della Legione Araba Giordana e così dopo la firma di una tregua imposta dall’
ONU nel luglio 1948 la città fu divisa tra Israele (la nascita dello Stato di Israele era avvenuta il 14
maggio 1948 a Tel Aviv) e Giordania . Entrambi i paesi si rifiutarono di rispettare la risoluzione
303 che li invitava a lasciare la città e suoi dintorni per permettere a questa zona di diventare un
corpus separatum come era stato originariamente progettato.
Gerusalemme Est e la Cisgiordania furono dichiarati territori della Giordania mentre Ben Gurion
fece trasferire la Knesset e alcuni organisni di governo da Tel Aviv a Gerusalemme Ovest. Gli
israeliani, a dispetto della volontà della comunità internazionale si stavano adoperando per fare di
Gerusalemme Ovest la loro capitale e nel 1949 Israele e Giordania firmarono un trattato formale in
cui stabilivano le linee di confine tra i due paesi: la città fu tagliata in due lungo il muro occidentale
della Città Vecchia e una striscia di territorio desolato e in rovina, che divenne la Terra di nessuno;
alcune porte della città furono murate. L’unico punto di passaggio era la cosiddetta Porta di
Mandelbaum, dal nome del proprietario della zona in cui si trovava il passaggio. Intanto l’ONU
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Il padre del sionismo fu Moses Hess il quale sosteneva che gli ebrei dovevano fondare una società socialista in
Palestina. Nel 1899 i sionisti conquistarono una tribuna internazionale quando tennero il Primo Congresso Sionista a
Basilea, in Svizzera. In quegli anni il portavoce della causa sionista era Herzl il cui libro “ Lo Stato Ebraico” sarebbe
diventato un classico del sionismo. Egli prevedendo una imminente catastrofe antisemita lavorò per cercare un rifugio
per il popolo ebraico; tale rifugio non doveva necessariamente sorgere in Palestina, ma nel secondo congresso sionista
rimase scioccato dalla forza dell’opposizione al suo progetto di fondarlo in Uganda,e dovette rinunciare all’idea. (cfr.
K. ARMSTRONG , op. cit. , pp. 363-366).
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continuò a considerare illegale l’occupazione di Gerusalemme da parte israeliana e giordana, ma
dopo l’Aprile del 1950 non intervenne più nella vicenda.
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Con la “guerra dei sei giorni” del 1967 la scena mutò; alla fine di essa, infatti, Israele aveva
occupato Gerusalemme, la Cisgiordania, la striscia di Gaza, la penisola del Sinai e le alture del
Golan. Il 28 Giugno dello stesso anno la Knesset israeliana annetté formalmente la Città Vecchia e
Gerusalemme Est, dichiarandole parte dello Stato di Israele. L’annessione israeliana di
Gerusalemme non era ovviamente accettata dagli arabi ma neppure dalla comunità internazionale,
infatti l’ONU, nel luglio del 1967, ingiungeva a Israele di annullare l’unificazione e di rinunciare a
qualunque intervento che potesse cambiare lo status di Gerusalemme. La guerra e quello che ne era
conseguito avevano almeno attirato l’attenzione del mondo sulla situazione dei profughi palestinesi
espropriati; molte migliaia avevano lasciato i territori occupati e languivano nei campi di raccolta
dei paesi arabi circostanti.
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La rabbia della popolazione palestinese dei territori occupati, scoppiò il 9 dicembre 1987 nella
striscia di Gaza. Tale sollevazione, nota come “intifada”, ottenne risultati sorprendenti sul piano
internazionale: la comunità mondiale acquisì consapevolezza della natura aggressiva
dell’occupazione israeliana quando vide i soldati israeliani armati di tutto punto inseguire e uccidere
a colpi di arma da fuoco ragazzini che lanciavano sassi oppure spezzare loro le ossa delle mani. La
sollevazione era stata organizzata dalle generazioni più giovani di palestinesi, cresciute sotto
l’occupazione israeliana e prive di fiducia nelle politiche dell’OLP, l’ “Organizzazione per la
liberazione della Palestina”, che non era riuscita a raggiungere alcun risultato. Rabin, il ministro
della Difesa, era sempre stato un fautore della linea dura nella questione palestinese, ma alla fine
l’intifada l’aveva convinto che Israele non avrebbe potuto continuare a rimanere nei territori
occupati senza perdere la propria umanità.
Non si poteva ricorrere in eterno alla forza militare per costringere alla sottomissione le donne e i
bambini che partecipavano all’ “intifada” perciò quando Rabin divenne primo ministro nel 1992,
era pronto ad intavolare negoziati di pace con l’OLP.
L’anno successivo Israele e l’OLP firmarono l’accordo di Oslo, con il quale la striscia di Gaza e
parte della Cisgiordania (con effetto più immediato l’area intorno a Gerico) venivano cedute ad un
governo palestinese. Arafat e Rabin si strinsero la mano nel giardino della Casa Bianca a
Washington. L’accordo suscitò un forte malcontento. Entrambe le parti avvertirono che i loro
rappresentanti avevano fatto troppe concessioni mentre la discussione sul futuro di Gerusalemme fu
4
K.ARMSTRONG, op. cit. , pp. 363-366
5
K. ARMSTRONG , op. cit . , pp. 378-380.
4
rimandata fino a maggio 1996: una tacita ammissione del fatto che questa era la questione più
spinosa di tutte.
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Il 4 novembre 1995 Rabin fu assassinato alla fine di un discorso tenuto a un convegno per la pace a
Tel Aviv da uno studente ebreo il quale dichiarò di aver agito per impulso divino e che era
permesso uccidere chiunque fosse pronto a consegnare al nemico la sacra terra di Israele
7
. Tra l’11
e il 24 luglio del 2000 si svolse a Camp David un incontro tra il presidente americano Bill Clinton,
il primo ministro Barak e il presidente dell’Autorità palestinese Arafat. L’obiettivo era di arrivare
ad un accordo sullo status finale dei territori occupati da Israele nel giugno 1967. Fra le questioni da
risolvere vi erano lo status finale delle frontiere, Gerusalemme, il diritto di ritorno dei profughi
palestinesi e le risorse idriche. L’incontro naufragò con un nulla di fatto, e ancora oggi molti
sostengono che Arafat fu allora responsabile di aver rifiutato una generosa offerta israeliana. Anche
se è vero che a Camp David l’israeliano Barak offrì ad Arafat molto più territorio di quanto
avessero fatto i suoi predecessori e altrettanto vero che Barak non volle affrontare la questione dei
rifugiati palestinesi, rispettare la risoluzione 242 dell’ONU, affrontare la questione degli
insediamenti ebraici illegali. Un'altra data catastrofica nella storia di questo conflitto è il 28
settembre del 2000; quel giorno Ariel Sharon leader dell’opposizione israeliana di destra (likud)
“sfidò” i palestinesi sfilando a piedi con un esercito di guardie armate presso la moschea di Al Aqsa
a Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri della religione musulmana. La visita di Sharon sulla
spianata delle moschee apparì agli occhi dei palestinesi come un gesto di offesa e sfida; la rabbia e
le tensioni accumulatesi esplosero nella seconda e tuttora in corso intifada.
A differenza della prima intifada, questa sollevazione e assai più sanguinosa: da parte
palestinese c’è un uso massiccio di armi da fuoco contro i soldati israeliani e contro i civili, e
soprattutto c’è un marcato aumento di giovani kamikaze che si fanno esplodere massacrando civili
israeliani; da parte israeliana la repressione, le uccisioni di civili palestinesi, le devastazioni di aree
abitate e gli “assassinii mirati” di presunti terroristi non conoscono più limiti.
Allo scopo di limitare le incursioni terroristiche palestinesi, provenienti da territori occupati,
il governo israeliano decise nel 2002 di erigere una barriera di sicurezza. Il muro già in gran parte
edificato, separa Israele e il territorio ad esso annesso, dalla parte della Giordania e sotto la
giurisdizione dell’Autorità Palestinese. Quando sarà eretto anche l’ultimo tratto (alla fine dell’anno
in corso) la barriera sarà lunga più di 600 chilometri.
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6
ARMSTRONG, op. cit. , pp. 393-394
7
ARMSTRONG, op. cit. , p. 401
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http://www.grandinotizie.it/dossier/002/fatti-perche/003.html.
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