- 7 -
INTRODUZIONE
L’elaborato affronta un’indagine sulla Città metropolitana, ente locale che rivestirà
competenze di governo del territorio nei territori metropolitani delle maggiori città
italiane. Si tratta di un istituto che, nonostante sia stato introdotto nella legislazione
italiana già nel 1990, ha in seguito subito un percorso molto travagliato che lo ha por-
tato a mutare più volte caratteristiche e modalità costitutive senza però mai giungere a
compimento. Recentemente, nel 2012, si è aperta una nuova fase dell’annosa questione
che, attraverso ulteriori vicissitudini, ha condotto fino alla situazione attuale, nella quale
paiono sussistere sia una volontà politica a livello nazionale che un dibattito, più o meno
acceso a seconda dei casi, a livello locale.
La Città metropolitana nasce per offrire una nuova dimensione di governo urbano
a quelle città in cui la crescente urbanizzazione registratasi a partire dal dopoguerra è
giunta ad interessare un territorio molto più ampio dei confini comunali, divenuti oramai
inadeguati. La sua costituzione appare anzi oggi in forte ritardo rispetto alle esigenze
per cui è stata prevista. Usando approcci diversificati, altri paesi europei hanno infatti già
istituito organismi istituzionali paragonabili alla Città metropolitana, anche se in manie-
ra generalmente meno diffusa sul proprio territorio nazionale rispetto a quanto previsto
in Italia. Tuttavia l’azione esercitata localmente, talvolta anche con il supporto dallo
Stato, tramite l’associazionismo volontario e le diverse forme di cooperazione instaurate-
si in numerosi contesti, ha consentito di sopperire parzialmente a questo ritardo. In ogni
caso però la direzione che lo scenario geoeconomico internazionale sta intraprendendo
impone dopo tanti anni un rinnovamento strutturale dell’amministrazione locale delle
grandi città.
Obiettivo del lavoro è pertanto approfondire le conseguenze che l’entrata in funzione
del nuovo ente avrà sul sistema di pianificazione italiano e delineare alcuni suggerimenti
per la conseguente riorganizzazione dei piani a livello metropolitano.
I due casi studio sono stati inseriti nella loro qualità di riferimenti territoriali, ne-
cessari per evitare che l’analisi, priva di esempi concreti, si perda nell’impalcato teorico
e fallisca nell’offrire spunti operativi. Torino e Genova pertanto, tramite il loro modo
- 8 -
diverso di essere Città metropolitana, consentono di focalizzare come le indicazioni
ottenute attraverso l’analisi generale possano essere sfruttate al meglio articolandosi in
maniera differente a seconda del contesto.
L’elaborato, anche nelle sezioni e nei capitoli più analitici, non si sofferma molto
sulle cause e sulle forme dei problemi metropolitani preferendo piuttosto concentrarsi
sulle modalità con cui questi sono stati trattati. Anche quando si tratterà di strumenti e
metodologie utilizzati, l’attenzione sarà incentrata sulla governance che li ha permessi
o favoriti, entrando nel merito dei loro risultati effettivi solamente nella misura utile ad
offrire una valutazione funzionale agli obiettivi.
Nella prima sezione sarà proposta una ricostruzione accompagnata da un’indagine
critica del percorso storico che ha preceduto l’attuale fase normativa. In primo luogo
verranno analizzate le soluzioni sperimentate come risposta alle problematiche delle aree
metropolitane prima che l’ipotesi di un nuovo ente di governo del territorio fosse sentita
e si affacciasse nel dibattito parlamentare. Verrà quindi abbandonato il campo storico di
queste ipotesi, indagando le ragioni che hanno portato al superamento di questi modelli
in virtù di un nuovo dibattito teorico avviatosi negli anni ’80, che è stato alla base dell’i-
deazione della Città metropolitana, del quale verranno delineate le caratteristiche del
contesto e le principali posizioni. Si entrerà quindi nel merito del percorso legislativo
vero e proprio con l’analisi della legge 142/1990 istitutiva dell’ente e si proseguirà con
la lunga serie di provvedimenti legislativi successivi (la legge 436/1993; il TUEL; la
revisione costituzionale del 2004; la legge La Loggia del 2003 e la legge delega sul
federalismo fiscale del 2009).
La seconda sezione sarà completamente dedicata a far comprendere al meglio come è
strutturato l’attuale scenario. Il primo capitolo esplorerà le principali soluzioni ritenute
ancora attuali, sia di tipo strutturale che funzionale, che si sono sviluppate per il gover-
no del territorio metropolitano. Sono inserite in questa sezione poiché, pur essendosi
sviluppate negli ultimi decenni parallelamente all’evolversi del dibattito sulla Città me-
tropolitana, si propongono oggi come strumenti da utilizzare in qualità di contributo di
partenza o come affiancamento a quelli che avrà a disposizione il nuovo ente. A seguire
sarà gettato un breve sguardo sulle vicende connesse con l’attuazione nei contesti locali
delle diverse normative nazionali sulla Città metropolitana. Anche in questo caso è stata
significativamente scelta una collocazione nella sezione che descrive lo scenario attuale
poiché l’analisi non vuole entrare nel merito delle risposte locali ma ne considera le
dinamiche prevalenti a livello nazionale, con particolare attenzione ai rapporti di gover-
nance, considerandole come l’eredità che il dibattito ha lasciato dietro di sé. Seguirà una
ricostruzione delle vicende dell’ultima fase del dibattito normativo sulla Città metropo-
- 9 -
litana, quella aperta con il governo Monti e che attraverso diversi step ha condotto alla
situazione attuale. Chiuderà un capitolo di analisi critiche e proposte, che costituiranno
la parte centrale della tesi, indagando sulla struttura del piano metropolitano.
Infine le ultime due sezioni scenderanno nel particolare dei due casi studio (rispetti-
vamente Genova e Torino). La struttura dell’analisi riprende, seppur con un’organizza-
zione diversa, il filo conduttore seguito nella trattazione della situazione nazionale. I due
casi-studio sono introdotti da una rapida presentazione dei rispettivi contesti, valutati
dai punti di vista delle caratteristiche del territorio e del mosaico amministrativo attual-
mente vigente, soffermandosi sui tratti utili ai fini dell’analisi. Anche per i due casi di
studio sarà ricostruito il percorso di avvicinamento alla Città metropolitana attraverso
la descrizione delle esperienze che sono risultate più significative in termini di contribu-
to, sia teorico che pratico, offerto al dibattito. Gli ultimi capitoli di entrambe le sezioni
esordiranno con le analisi critiche dei percorsi svolti dai due contesti, sulla cui base si
svilupperanno le successive proposte. Queste, organizzate sotto forma di linee guida per
la pianificazione metropolitana, non soffermandosi ulteriormente su quanto già detto in
maniera generale nella seconda sezione, tenteranno di offrire qualche spunto legato alle
specificità dei due contesti. In entrambi i casi si concluderà con un approfondimento su
un aspetto particolare ritenuto importante per la riuscita del disegno di riforma.
- 11 -
1.1
LE RISPOSTE ALLA QUESTIONE
METROPOLITANA FINO ALLA CRISI
DEGLI ANNI ‘70
Il governo delle maggiori città italiane è stato un tema dibattuto, seppur con accezioni
molto diverse, per tutto il ‘900. Tuttavia, in una prima fase che si potrebbe definire
pre-metropolitana, che arriva fino agli anni ’50, il carattere delle città oggetto di studio
era relativo ad una dimensione ancora urbana. Le prime fra le esperienze che hanno
avuto dichiaratamente l’intento di migliorare l’amministrazione delle grandi città non
possono quindi certo essere viste in un’ottica di governo metropolitano. Tuttavia sono
il punto di partenza per la comprensione delle dinamiche più recenti poiché in queste
prime soluzioni individuate già si identifica il problema di una città che per poter gestire
le sue dinamiche necessita di guardare oltre i suoi confini comunali.
Solo a partire dagli anni ’60 è iniziata una seconda fase in cui si è iniziato a riconoscere
e trattare esplicitamente del fenomeno metropolitano. Questa fase si è sviluppata a parti-
re da una serie di studi condotti da istituti di ricerca italiani e stranieri su caratteristiche
e problematiche delle aree metropolitane nazionali, che hanno portato a risultati anche
molto diversi per via delle differenti metodologie adottate. (Dematteis 2011) Questo
quadro, seppur eterogeneo, raccontava una situazione di sviluppo metropolitano con la
previsione futura di una sempre crescente polarizzazione intorno ai sistemi esistenti e
la formazione di nuovi sistemi minori. Il retroterra teorico di questi studi era legato alle
precedenti teorie estere sullo sviluppo urbano in rapporto alla crescita industriale, in
particolar modo alla teoria dei poli di sviluppo di Perroux, che ha influito notevolmente
anche sulle riflessioni critiche e sulle conseguenti proposte. Il contesto era quello di una
crescita economica che sembrava inarrestabile, così come parallelamente la crescita delle
città.
Questo sfondo culturale ha innescato, nelle scelte pianificatorie fatte sulle aree metro-
politane, la ricerca del soddisfacimento di tre principali caratteri individuati da Mazza
(Giaimo 1999, p.58): dimensione, autonomia, spazio. La dimensione della città costituiva,
allora, una forza ed una risorsa: l’intero sistema di produzione e consumo era arricchito dalla
crescita della popolazione, che determinava l’aumento della domanda dei beni di consumo di base
e, in un certo senso, dilatava quindi il mercato del lavoro. Inoltre, il successo della Città metropo-
- 12 -
litana era basato sulla sua autonomia ovvero sulla sua capacità di agire come un magnete sulla
regione circostante e di subordinarla alle sue esigenze, di assorbirne le energie e di utilizzarla
come prima area di esportazione dei suoi prodotti. La prima risorsa del progetto metropolitano
degli anni ’60 era, pertanto, lo spazio circostante la città capoluogo. È facile aspettarsi per-
tanto, in questo periodo, soluzioni che facilitino il predominio gerarchico nelle decisioni
del Comune centrale rispetto all’area urbana circostante ed una pianificazione delle aree
metropolitane assoggettata alle sue politiche di sviluppo economico ed industriale. Le
attenzioni principali sull’assetto del territorio erano più che altro riferite al controllo di
questo sviluppo, favorendo una ridistribuzione di popolazioni ed attività internamente
all’ambito metropolitano.
Dal punto di vista operativo questi primi tentativi si sono rivelati quasi sempre
inefficaci, innescando i cambiamenti portati avanti successivamente negli anni ’80. La
prima motivazione riguarda proprio la continua prevalenza degli interessi del Comune
principale, più forte nel meccanismo decisionale, particolarmente evidente soprattutto
nell’analisi dei tentativi di pianificazione intercomunale. Non sono mancate anche episo-
diche azioni spontanee di collaborazione fra Comune principale e contermini ma si sono
rivelate comunque poco efficaci. In questo primo periodo analizzato le uniche proposte
efficaci diffuse in tutto il panorama italiano in termini di governo metropolitano sono
quasi esclusivamente quelle avanzate a livello di riorganizzazione interna comunale e
comunque solo dopo 1976, in seguito alla legge 278 di quell’anno, con la quale si resero
possibile alcune migliorie volte ad agire su alcuni settori risultati critici nelle grandi
macchine comunali delle grandi città. Si provvide ad alcune azioni fondamentali:
- Ridistribuzione poteri fra organismi comunali
- Decentramento degli organismi di autogoverno locale (costituzione delle
circoscrizioni)
- Allentamento del controllo sull’ operato dei Comuni da parte delle prefetture
1.1.1. Le annessioni comunali
Trattando dell’annessione di territori extracomunali relativamente alla questione
metropolitana, bisogna distinguere fra due tipologie di operazioni. La prima si riferisce
ad episodi isolati e contestuali che riguardano solamente un limitato numero di territori,
fatti che non esulano dalla normale storia delle amministrazioni locali italiane e non dis-
simili da quelle che avvengono senza soluzione di continuità da secoli anche in aree non
urbane. La seconda tipologia, invece, più interessante dal punto di vista di quest’analisi,
riguarda i grandi progetti unitari, quasi sempre promossi dall’amministrazione centrale
- 13 -
per la “costruzione” artificiosa di grandi unità amministrative. Forte impulso a questa
seconda modalità è stato dato dal fascismo soprattutto per motivi ideologici e legati
allo sviluppo industriale. Sono molti i capoluoghi di Provincia in seguito designati Città
metropolitane ad aver subito, nel periodo di dominazione fascista, un episodio di cor-
poso accrescimento del proprio territorio. Fra di essi i casi di Milano, Napoli, Genova e
Reggio Calabria sono i più rilevanti. Mentre isolati esempi di riadeguamento dei confini
sono proseguiti nel resto del mondo anche in tempi recenti (ad esempio sono ben noti in
letteratura i casi di Anversa nel 1983 e Toronto nel 1998), in Italia dopo gli anni ’30 non
si è più praticata questa via. I motivi principali sono due.
In primo luogo all’epoca di queste trasformazioni l’urbanizzazione era un fenomeno
molto più circoscritto per cui le iniziative di annessione, pur comprendendo un numero
di Comuni anche cospicuo, si limitavano alle aree limitrofe al capoluogo e nel complesso
il nuovo territorio comunale risultava avere una dimensione ancora gestibile da parte di
un’unica amministrazione municipale. Con l’urbanizzazione massiccia del dopoguerra al
contrario ulteriori assorbimenti efficaci e non solamente simbolici avrebbero aggravato,
anziché agevolato, le difficoltà del capoluogo a causa del territorio troppo vasto su cui
operare (oltretutto senza possibilità di decentramento, non previste dalla legislazione
fino al 1976).
In secondo luogo le esperienze degli anni ‘20 si sono avute in un contesto centralista
e dittatoriale, che aveva ignorato (e in parte eluso a priori tramite propaganda ed au-
toritarietà del regime) la resistenza delle popolazioni dei Comuni annessi. Fatta salva
la componente puramente campanilistica, la rivendicazione dell’autonomia da parte di
questi territori era soprattutto motivata dalla difesa delle proprie esigenze peculiari di
comunità, non contemplate nelle politiche portate avanti dal Comune principale che
vedeva principalmente i suoi nuovi sobborghi come uno sfogo per la localizzazione
di infrastrutture e nuove urbanizzazioni, data la saturazione dell’antico territorio. La
maggior parte dei problemi si sono avuti in queste aree proprio negli anni di maggiore
espansione dell’urbanizzato, attraverso lo snaturamento degli antichi centri storici, peri-
ferizzati attraverso demolizioni, rettificazioni delle strade, impianto di grossi stabilimen-
ti industriali in situazioni di difficile convivenza con le residenze, forte pressione edilizia
accompagnata dalla mancanza cronica di dotazioni di servizi.