4
aleatorio di quegli accordi tanto fragili quanto spettacolari
3
abbozzati con il
“Figlio del Cielo” a testimonianza di un rapporto che si andava spegnendo.
Fu la Compagnia delle Indie ad abbandonare per prima le relazioni
commerciali orientali considerate economicamente troppo rischiose.
In seguito anche la Compagnia di Gesù venne sciolta a causa delle proteste
pontificie riferite all’ eccessiva tolleranza dei Gesuiti nei confronti dei primi
convertiti, liberi ancora di onorare le loro antiche tradizioni verso l’
Imperatore e Confucio
4
.
L’Illuminismo guardava, però, con ammirazione a quei valori ispirati alla
tradizione confuciana: “giustizia, moralità, riverenza verso il cielo e verso il
capo della famiglia, sono i solidi fondamenti morali della Cina”; così
scriveva Voltaire nell’ Essai sur les moeurs et l’esprit des nations.
I Cinesi erano infatti un popolo di antichissima tradizione, erano apprezzati
per la solidità della morale e delle leggi che avevano avuto origine dal
“saggio magistrato”, Confucio, che altro non raccomandava se non i precetti
della virtù; “senza predicare nessun mistero”
5
, accontentandosi di impartire
degli insegnamenti per una sana condotta di vita.
Essa si fondava su leggi, costumi e abitudini che si tramandavano da oltre
4000 anni senza che il tempo avesse mai avuto la forza necessaria per
corroderli, tanto erano stati forgiati nell’animo di questo popolo che poteva
dunque già definirsi civile quando “noi eravamo ancora dei selvaggi”.
Vi era una cura continua da parte dell’Imperatore nei confronti dei sudditi
che potevano beneficiare di opere pubbliche che avrebbero poi favorito lo
sviluppo dell’agricoltura e delle tecniche.
3
D. ELISSEEFF-POISLE, Nicolas Fréret (1688-1749). Réflexions d’un humaniste du
XVIIIème siècle sur la Chine, XI, Paris, Mémoires de l’Institut des Hautes Etudes
Chinoises, 1978.
4
D. VENNER, Confrontations avec l’Occident, in « La Nouvelle Revue d’ Histoire », 19 /
2005.
5
F. CHABOD, Storia dell’idea d’Europa, Roma-Bari, Editori Laterza, , gennaio 2003, pp.
107-117.
5
Questo è l’ideale degli Illuministi di un re illuminato, di un re filosofo,
tollerante nei confronti delle diverse religioni, promotore delle arti e delle
lettere, che viva insomma per il benessere del proprio popolo.
Appare pertanto insopportabile, agli occhi del filosofo del tempo, il sistema
politico imperniato sull’assolutismo monarchico, originatosi con il Re Sole,
Luigi XIV, nella Francia secentesca, e che avrebbe perpetrato nei successivi
decenni disuguaglianze all’interno della società civile, senza riuscire
peraltro ad arginare la crescita e lo sviluppo di fanatismi religiosi.
Su quest’ ultimo punto, il contrasto appare fortissimo e l’avversione “a quei
tempi di guerra e di fanatismo sanguinario” non poteva non sfociare in una
protesta morale guidata da personalità del ceto aristocratico, influenti sul
piano politico quali Saint-Simon, Boulainvilliers, Fénelon e proseguita in
seguito con Voltaire, con l’auspicio di poter offrire alle generazioni future
una religione fondata semplicemente sull’etica e ispirata a “norme di vita”,
alta, pura e umana ad un tempo: ecco l’ideale degli Illuministi
6
.
Il confronto originatosi di lì a breve, con il popolo asiatico, ossia i nuovi
“selvaggi”, sarebbe divenuto presto insostenibile per diverse ragioni.
L’Occidente, infatti, non sembra condividere più, al di là della sua
superiorità tecnica e scientifica, quegli stessi valori di semplicità, umanità e
tolleranza, dai quali era derivata la morale cristiana. E’ già così forte, negli
animi di molti, la logica mercantilista da far trascurare ogni forma di rispetto
verso colui che non può difendersi, poiché incapace e sprovvisto di
strumenti.
La giustificazione ideologica del sistema coloniale era fondata proprio
sull’esistenza di un solo modello valido e attuale di civiltà, ovvero quello
nato in Europa
7
ed esportato dapprima nelle Americhe e in seguito in
estremo Oriente; di un solo modello socio-economico, quello della società
6
Ibid.
7
E. COLLOTTI PISCHEL, Storia dell’Asia Orientale, Roma, Carocci Editori, 1994, p.11
6
capitalistica sviluppatasi dapprima in Inghilterra e poi nell’ Europa
occidentale.
Il diritto del più forte, principio basato sulla forza militare ed economica,
avrebbe piegato quella civiltà millenaria, che non era riuscita a sfruttare
sapientemente le straordinarie conoscenze acquisite prima d’ogni altro
popolo della Terra.
Essi, si fermarono, non riuscendo più a progredire, come se le colonne
d’Ercole del sapere umano fossero per loro invalicabili
8
.
A differenza dei Cinesi, gli Europei oltrepassarono quelle frontiere e
continuarono ad avanzare secondo la direttrice del progresso.
Tuttavia è proprio tale opposizione che differenzia le due civiltà rendendole
diverse nella loro identità: la Cina non avrebbe mai pensato in termini di
“finalità”, ma in termini di “viabilità”, ovvero si concentrò sulla via che
avrebbe portato a tale conclusione… Un processo in se stesso senza alcun
obiettivo poiché non vi era altro fine se non quello del suo rinnovamento
continuo
9
.
Il pensiero cinese risulta dunque essere privo, nella sua essenza, del concetto
di progresso ma tale mancanza appare giustificabile per due ragioni: la
prima consiste nel rispetto per ciò che essi hanno appreso dai padri, quindi
un sapere che si tramanda rigorosamente di generazione in generazione;
l’altra, è la natura del proprio linguaggio come principio primo di ogni
conoscenza
10
.
La scoperta, pertanto, di un mondo così civilizzato nei propri costumi,
sviluppatosi in maniera del tutto indipendente dalle tradizioni alle quali
l’Europa appartiene e cresciuto in maniera del tutto estraneo ai capisaldi
della propria religione, non può non creare sorpresa nel XVII secolo,
8
F. BERNABE’, Riflessioni sull’impatto della crescita della Cina sul resto del mondo, op
cit., nel libro di C. DEMATTE’ La Sfida Cinese, Roma-Bari, Editori Laterza, 2005.
9
F. JULIEN, L’Europe, la Chine: une alternative pour la pensée, in Questions
Internationales, n.6, pag. 5, Paris, mars-avril 2004.
10
VOLTAIRE, Des Sauvages, cap.1.
7
quando le prime Compagnie di navigazione approdarono in Cina con
l’intento non solo di avviare scambi commerciali bensì con la prospettiva di
attuare futuri insediamenti costieri quali punti strategici per l’espansione in
tutto l’area orientale.
In quel territorio, duecento anni dopo la scoperta del Nuovo Mondo, ci si
accorse di una cultura ben più complessa e radicata nella storia, ci si
confrontò con un popolo probabilmente più ricco e vasto sotto questo
profilo, del proprio: non era più sufficiente creare qualche mito, come quello
del “buon selvaggio”, per poter decifrare questo “nuovo mondo”.
In questa terra i missionari dovranno imparare la lingua cinese, rispettare i
riti e onorare l’imperatore; si tratteranno gli scambi commerciali e non si
darà vita a guerre, la popolazione non subirà ingiustizie e i villaggi non
verranno depredati come era accaduto duecento anni prima nelle Americhe.
È in questo clima, di insicurezza e dubbio, di stupore e curiosità, che autori
quali Montaigne e Pascal, avevano messo in guardia l’Europa da un mondo
che probabilmente non si sarebbe convertito facilmente e in breve tempo
alla religione cristiana e alle usanze occidentali, il che avrebbe rimesso in
discussione il concetto di universalità proprio dell’Europa.
La stessa concezione è ripresa dal pensiero orientale che considera diverso,
alla stessa stregua degli Occidentali, lo straniero, realmente considerato
come “barbaro” se nasce aldilà dei confini dei cosiddetti stati vassalli:
Corea, Giappone ed Indocina (Vietnam, Khmer e Thai). Tale considerazione
si basa sulla logica dei cerchi concentrici che ha al suo centro, nel cuore del
mondo, Han ovvero la Cina. Aldilà del primo cerchio sorgono come detto
gli stati vassalli (periferia) e infine gli stati barbari ovvero l’ Europa, l’
Africa, il continente australiano e le Americhe, laddove sarebbe supposta
una situazione di superiorità evidente.
8
I fatti però hanno dimostrato il contrario: alla fine del XIX secolo la Cina si
trova sotto il fuoco delle potenze occidentali che tentano in ogni modo di
avvantaggiarsi delle sue ricchezze, usando a tale scopo anche metodi più
subdoli, capaci di colpire oltre alla stessa società il cuore direttivo del paese,
obbligandola così a firmare trattati ineguali, come quello di Nanchino del
1842, e a sottoscrivere diverse concessioni onerose (tariffe doganali
favorevoli per le merci inglesi e il pagamento di 21 milioni di dollari alla
Gran Bretagna a compensazione delle spese militari sostenute, dell’oppio
distrutto dalla Cina)
11
.
Quest’ evento si rileverà traumatico sia sotto il profilo sociale ed
economico, viste le moltissime perdite derivate dal commercio, sotto
controllo inglese, e dalle riparazioni di guerra, sia sotto il profilo della
concezione stessa della mentalità cinese.
La Cina si ritrova così sconfitta da una civiltà più forte dalla quale dovrà
imparare, per potersi a sua volta difendere da essa.
I nuovi avversari posseggono però una concezione di trasformazione
differente, basata sul progresso e non sulla regolarità e continuità delle
tradizioni.
È da quel momento, da quella scoperta di diversità, che la Cina deciderà di
voler intraprendere la strada già percorsa dagli stati occidentali, compresa
l’esperienza bolscevica che Mao Tse Tung adatterà alla situazione sociale in
Cina, terra di contadini.
La Cina imparerà, dunque, a camminare con “le sue proprie gambe” come
sostenuto dal politico cinese e cercherà di creare proprie leggi e di
sviluppare la propria economia, senza però dimenticare mai l’origine,
operando quindi alla propria maniera, e dunque diversamente dal mondo
occidentale.
11
E. COLLOTTI PISCHEL, op. cit., p.36-37.
9
Se per tutto il XX secolo la volontà della Cina era quella di “raggiungere e
superare” lo stile europeo, si assiste al giorno d’oggi a un livellamento
sempre più marcato di quelle differenze che hanno caratterizzato civiltà
secolari.
Siamo certamente di fronte a un punto di non ritorno, forse l’ inizio di un
processo oramai irreversibile e che dovrebbe significare, secondo gli
osservatori internazionali, l’atteso sorpasso cinese sull’Europa,
testimonianza di un progresso ormai sicuro e di raggiunta adattabilità
necessaria per un confronto aperto, di scambio reciproco, con le altre
popolazioni del mondo.
10
Parte Prima
LA POLITICA
I. Politica Interna
1.1 Il peso della tradizione e la Costituzione
“Confucio e la Costituzione non hanno alcun rapporto tra loro.
Egli è stato l’amuleto del dispotismo imperiale, la Costituzione è
la garanzia della libertà di una nazione moderna”
12
, così scriveva
nel 1917 Li Dazho, diversi decenni prima che il testo
costituzionale prendesse forma ed entrasse in vigore.
Li Zehou, il più importante filosofo della Cina contemporanea
13
,
contribuì negli anni Ottanta alla stesura della prima Costituzione,
un atto che permettesse finalmente al suo paese di confrontarsi
dal punto di vista sociale, culturale e ideologico con l’Occidente,
fornendo la base sulla quale edificare un progetto chiamato
democrazia.
Nel 1949 la Conferenza Politica Consultiva del Popolo
approvava il “Programma Comune”, ovvero una Costituzione
con carattere provvisorio, che stabiliva le linee fondamentali del
futuro sistema politico cinese.
In tale documento si affermava il diritto del popolo alle libertà
fondamentali nell’ambito di un centralismo democratico e nella
prospettiva di un passaggio verso il socialismo.
12
J.D. SPENCE, Chinese Roundabout, in Primavera e altri scritti, Parma, Pratiche
Editrice, 1994.
13
L. TAMBURRINO-A. POLLIO SALIMBENI, Il drago: Hong Kong, la Cina e
l’Occidente alla vigilia del nuovo millennio, Roma, Donzelli Editori, marzo 2003.
11
Nonostante questo progetto si basasse sulla collaborazione tra i
diversi gruppi politici, i fatti avrebbero dimostrato il contrario,
dato che il Partito Comunista assunse rapidamente il controllo
assoluto di tutte le direttive dello Stato
14
.
La prima e storica Costituzione della “Nuova Cina”
15
è stata
promulgata il 20 settembre 1954. Essa ricalcava il modello
sovietico, distaccandosene tuttavia sulla questione dell’unità
dello stato cinese, concezione differente rispetto alla struttura
federale sovietica.
La seconda prese forma alla fine della rivoluzione culturale, nel
gennaio del 1975, mentre la terza introduceva l’ascesa al potere
centrale da parte di Deng Xiaoping nel marzo del 1978.
Quest’ ultima sancì l’abolizione della definizione stessa di classe
sociale che aveva caratterizzato tale società sin dai tempi della
rivoluzione agraria.
Venivano così abolite le Comuni popolari, i Comitati
Rivoluzionari e, al fine di assicurare efficienza a tutti gli
organismi politici ed economici, s’inaugurava il sistema di
responsabilità dei capi, segnando in tal modo un ritorno alla
gerarchia e l’ abbandono del sistema assembleare
16
.
L’attuale Costituzione è invece di “recente” formazione rispetto
alle Costituzioni occidentali poiché la sua adozione risale al
dicembre del 1982.
Tuttavia, nonostante la brevità della sua storia, essa risulta essere
stata modificata già quattro volte.
14
P. CORRADINI, Riforme costituzionali, Saggi, in “Mondo Cinese”, 100 / gennaio 1999.
15
C.CHAIGNE, Révision constitutionnelle annoncée pour début 2004: un texte de
transition, Centre Asie Ifri, « Les Nouvelles de Chine », janvier 2004.
16
D. VENNER, Confrontations avec l’Occident, in « La Nouvelle Revue d’ Histoire », op.
cit., 19 / 2005.
12
L’ultima modifica risale al 14 marzo 2004, giorno di chiusura
della X Assemblea popolare nazionale (APN).
Tale attività riformatrice deve essere, aldilà della reale efficacia
all’interno del paese, considerata come un segno di apertura e di
volontà di aggiornamento del sistema ideologico e culturale
cinese e può essere dunque considerata di buon auspicio per lo
sviluppo del diritto e della protezione dei diritti umani
17
.
17
C. JIANFU, La dernière révision de la Constitution chinoise, in « Perspectives
Chinoises », 82 / mars-avril 2004.
13
1.2 L’eredità di Den Xiaoping e le riforme principali
La Costituzione promulgata nei primi anni Ottanta risente
particolarmente dei principi e delle idee di Den Xiaoping
18
.
Essa indica il compito fondamentale della nazione: gli sforzi
sulla costruzione della modernizzazione socialista, sviluppare il
socialismo sia sul piano materiale che su quello dei valori morali,
così da rendere la Cina un paese socialista dotato di una vera
democrazia
19
.
Il Preambolo sottolinea già la volontà di orientare lo Stato verso
un obiettivo di modernità dettato dalle necessità economiche
proprie di un paese che non può e non deve restare ancora al di
fuori delle relazioni internazionali e che non può rifiutare la
proprietà privata quale fondamento di una società moderna.
Infatti, nella prima revisione di tale testo, avvenuta nel 1988, due
articoli vennero modificati riguardo tale questione:
- fu aggiunto un nuovo comma all’articolo 11, secondo cui lo
Stato “permette al settore privato dell’economia di esistere e
svilupparsi nei limiti imposti dalla legge. Il settore privato
dell’economia è così un complemento dell’economia
socialista pubblica. Lo Stato protegge i diritti e gli interessi
legittimi del settore privato dell’economia, lo dirige, lo
controlla e lo amministra”. Di dubbia applicazione risulta
però la possibilità di intravvedere un settore privato
dell’economia se questi è diretto, controllato e amministrato
dallo Stato;
18
Ibid.
19
China Internet Information Center, Elaboration et modification de la Constitution
Chinoise, http://www.china.org.cn.
14
- il secondo articolo modificato riguarda invece il
trasferimento della terra e il concetto di proprietà privata.
L’articolo 10-1982 in origine prevedeva che “qualsiasi
organizzazione o qualsiasi individuo non deve occupare,
comprare, vendere, o affittare i terreni, oppure trasferire
illegalmente i terreni in altra forma. Lo stato, in conformità
alle esigenze dell’interesse comune, può requisire i terreni”.
Il nuovo testo aggiungeva la formula secondo cui “il diritto
all’uso della terra può essere trasferito in accordo con la
legge”
20
.
Scaturisce tuttavia la domanda relativa alla definizione di ciò che
s’intende in Cina per pubblico e privato. In realtà questo concetto
è stato oggetto di moltissimi dibattiti e slogan, a partire dal 1949;
molti Cinesi ricordano ancora oggi quell’ epoca in cui molti
avrebbero voluto “distruggere la parola privata appena essa
compaia”….
In sostanza il “diritto di uso” della terra restava come sempre di
proprietà dello Stato, ma esso, si impegnava a lasciare ai
contadini la cosiddetta “concessione” per un periodo di tempo
non precisato.
Nel 1993 appaiono nel nuovo testo due espressioni
particolarmente appariscenti, quali “socialismo dai colori cinesi”
nel settimo paragrafo del Preambolo e la formula “economia
socialista di mercato” che avrebbe sostituito quella di “economia
pianificata” all’articolo 15.
20
Ibid.
15
È sul finire del secolo scorso (1999) che la teoria di Den
Xiaoping acquisisce, con la nuova revisione, il carattere di
“costituzionalità”
21
.
Non va però trascurata un'altra importante modifica relativa ai
rapporti tra diritto e Stato: ossia l’introduzione della formula
secondo cui “il Partito Comunista governa il paese secondo il
diritto, e costruisce uno Stato socialista di diritto”.
Agli occhi degli esperti tale formulazione appare però ancora
ambigua, in quanto risulta difficile dare logica chiarezza alla
formula “Stato socialista di diritto”
22
.
È infine riconosciuto nuovamente valore al settore privato
dell’economia, considerato come “componente importante
dell’economia socialista di mercato”.
Il confine tra privato e non privato appare ancora piuttosto
incerto, ma ciò che al contrario si evince come assolutamente
determinante per lo Stato è che esso non è più un semplice
complemento dell’economia socialista pubblica ma un attore
fondamentale per la riuscita del paese.
Giunti nel nuovo millennio, una nuova corrente di pensiero
ispirata alla teoria della “tre rappresentanzioni” di Jiang Zemin,
completerà i pilastri portanti del pensiero cinese contemporaneo,
ovvero il riferimento al marxismo-leninismo, quello di Mao Tse
Dong ed infine la teoria di Deng Xiaoping.
21
M. BERGERE, La repubblica popolare cinese (1949-1989), Bologna, il Mulino, 1994.
22
C. JIANFU, art. cit..
16
1.3 La teoria delle “Tre Rappresentanze”
E’ nel febbraio del 2000 che l’allora segretario del Partito e
presidente della Repubblica, Jiang Zemin, pronuncia per la prima
volta la formula delle “Tre Rappresentanze”, con la quale il
Partito Comunista dovrebbe rappresentare “le forze produttive, la
cultura e gli interessi fondamentali del popolo”
23
.
In questa maniera il Partito non potrà farsi portavoce degli
interessi del solo proletariato ma di tutte le classi sociali esistenti.
Jiang Zemin ha però ottenuto il proprio successo politico già
prima dell’inserimento della sua teoria nella Costituzione, con
l’aggiunta di essa nello Statuto del Partito durante il XVI
Congresso, nell’autunno 2002.
Nella Costituzione, tuttavia, non appare il nome dell’autore
accanto a tale pensiero: Jiang Zemin non è citato accanto ai
“grandi nomi” del passato. I costituenti hanno infatti ritenuto di
dover qualificare questo pensiero con l’aggettivo “importante”,
tralasciando il nome di colui che l’aveva ideata, benché questi
fosse stato, come i suoi predecessori, segretario generale del
Partito.
Ora, giunti in un’epoca sicuramente differente da quella nella
quale si era originato il Partito, risulta evidente che per
confrontarsi a livello mondiale in ogni aspetto della quotidianità
appaiono necessari i contributi di tutte le categorie sociali.
L’allargamento della base sociale del Partito, confermata
dall’entrata di imprenditori privati, conferma questo
aggiornamento, a testimonianza di una politica avviata nel 1982,
ma bruscamente interrotta con gli avvenimenti di piazza
Tienanmen.
23
P. CORRADINI, Riforme costituzionali, Saggi, in “Mondo Cinese”, op. cit., 100 /
gennaio 1999.