4
e del 2/11/1998 n.361, quest’ultima, come criticamente osservato,
“pronunciata con il principio accusatorio sulle labbra, ma con il
principio inquisitorio nel cuore”, che hanno di fatto esteso
l’utilizzabilità di determinati atti anche al di fuori delle indagini
preliminari.
La dottrina recente, dunque, sempre più spesso rileva l’esistenza di
questa sorta di distorsione tra finalità e funzioni delle indagini
preliminari stabilite originariamente dal codice, da un lato, e quello
che risulta dalle modifiche e dalla prassi giudiziaria, dall’altro; con un
forte senso critico c’è chi ha affermato, in tal senso, che la “finalità
endofasica degli atti d’indagine proclamata dall’art.326 non
costituisce più un principio, pur suscettibile di deroghe, ma una
affermazione ingannatrice”, in quanto, se si guarda alla effettiva
natura delle cose, si deve ammettere che il p.m. è stato dotato, per
effetto delle sentenze della Corte costituzionale e dei successivi
provvedimenti legislativi, di strumenti per organizzare l’attività e la
strategia in funzione del giudizio.
Solo in questi ultimi anni, in un mutato clima socio-politico, il
legislatore si è nuovamente mosso per riaffermare la tendenziale
natura accusatoria del nostro sistema processuale, chiarendo in
particolare gli aspetti del “giusto processo”, con la l. 1/3/2001 n.63, in
attuazione della l. cost. 23/11/1999 n.2, che ha novellato l’art.111
Cost.: la legge 63/2001 è andata, infatti, a ridisegnare l’istituto della
testimonianza, con la creazione della figura dell’ ”imputato-
testimone”, con un rinnovato regime delle contestazioni e delle letture
5
ex artt. 500, 503, 513, con l’elencazione tassativa delle ipotesi
eccezionali, ex art.500 4°co., in cui l’utilizzabilità delle precedenti
dichiarazioni, se “vi sono elementi concreti per ritenere che il
testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa
di denaro…affinché non deponga ovvero deponga il falso”, assurga a
piena valenza probatoria.
Si tratta senza dubbio di un intervento fondamentale, volto a
riaffermare con fermezza l’inutilizzabilità, almeno di regola, degli atti
di indagine all’interno del dibattimento, a cui si deve quantomeno
affiancare la l. 7/12/2000 n.397 e la l.26/3/2001 n.128.
La prima ha finalmente dato dignità alle indagini difensive, abrogando
l’art.38 n. att., ed inserendo nel libro quinto del codice un “Titolo VI
bis” sulle investigazioni difensive, nell’ambito del perseguimento di
quel principio basilare per un processo accusatorio, che deve
assicurare una situazione di parità, di mezzi e facoltà, tra l’accusa, che
promuove l’azione penale, e la difesa, che opera producendo prove a
discarico dell’imputato.
La seconda norma, il cd. “pacchetto sicurezza”, costituisce invece il
frutto di un intento politico-criminale diretto a potenziare le facoltà
della polizia giudiziaria, in vista di una più efficace lotta alla
criminalità; trattasi dunque di un intervento finalizzato a consentire al
p.m. un coordinamento delle indagini che non si traduca in una
sostanziale paralisi dell’attività di indagine della p.g., alla quale viene
così riconosciuta un’attività parallela, purchè ovviamente non
incompatibile con le direttive eventualmente ricevute dal p.m. stesso.
6
Come può, dunque, vedersi la fase delle indagini preliminari ha subito
forti cambiamenti, che saranno considerati ed analizzati all’interno
della nostra trattazione: al fine di comprendere come possono
concludersi le indagini sarà necessario soffermarsi sul momento
iniziale delle stesse, verificare i vari passaggi e procedimenti che si
instaurano dal momento della acquisizione della notitia criminis da
parte della p.g. o del p.m., con l’analisi dell’attività e dei concreti atti
compibili da questi organi.
La notizia di reato, definita come l’informazione, scritta od orale, di
un fatto nel quale possono ravvisarsi gli elementi costitutivi di un
reato, rappresenta, infatti, l’avvio delle indagini, al cui esito il p.m.
dovrà poi dar conto al g.i.p., formulando una richiesta di esercizio
dell’azione o di archiviazione; problemi particolari sorgono, tuttavia,
in relazione a quelle “pseudonotizie” di reato, rappresentate da atti
informativi che, per la fonte da cui promanano, sono inidonei a porsi
come atto iniziale di un procedimento penale.
Tali sono quelle scaturenti da fonti anonime ovvero a queste
assimilabili, quali le dichiarazioni confidenziali (es. informazioni dei
cd. confidenti di polizia); anche questa categoria di atti tocca da vicino
la nostra analisi, poiché esiste il forte rischio che in tali situazioni il
p.m., compiute determinate attività investigative, decida non solo in
quale registro annotare la notizia stessa, ma vada anche ad
“autoarchiviare” la pseudonotizia, o ritenuta tale, il tutto senza alcun
tipo di controllo da parte del g.i.p., e senza, a maggior ragione, alcuna
possibilità di impugnazione di siffatta decisione, operandosi così,
7
come osservato, una sorta di “archiviazione non garantita”.
Non bisogna, del resto, trascurare quella necessaria completezza delle
indagini, additata dalla Consulta, cui il p.m. deve perseguire, al fine di
non instaurare processi superflui, idonei solo ad aggravare il carico
dibattimentale: in questo ambito si pone necessario un esame, ed un
confronto, tra il principio di obbligatorietà dell’azione penale (art.112
Cost.), e la disciplina stessa dell’archiviazione, la quale chiude la fase
delle indagini con una scelta di inazione da parte del p.m. .
Il p.m., infatti, alla fine delle indagini, dovrà decidere se esercitare
l’azione o se richiedere l’archiviazione della notizia di reato: la nostra
analisi si soffermerà, quindi, dopo aver affrontato gli aspetti
fondamentali delle indagini preliminari, sulla disciplina dei termini di
durata delle stesse, sulla loro ratio, e sulle finalità che tendono a
perseguire, senza mai trascurare i recenti interventi legislativi, quali,
ad es., l’avviso all’indagato della conclusione delle indagini
(art.415bis), introdotta dalla legge 16/12/1999 n.479 (cd. legge
Carotti), o l’informazione della persona sottoposta alle indagini sul
diritto di difesa (art.369bis), introdotta dalla l.6/3/2001 n.60, tentando,
nel contempo, di scorgere, in una prospettiva de iure condendo, le
eventuali proposte di riforma, come, ad es., quelle relative all’istituto
dell’autorizzazione a procedere, recentemente al centro di discussioni,
volte, probabilmente, a pervenire ad un nuova definizione dell’istituto
stesso.
Sarà, inoltre, necessario analizzare non solo la disciplina concernente
l’attività dell’autorità giudiziaria, con i relativi atti e provvedimenti,
8
ma approfondire anche le garanzie che sono riconosciute in particolare
alla persona indagata ed all’offeso dal reato, richiamarsi ad alcuni dei
più rilevanti interventi della giurisprudenza di legittimità, avvalendosi,
ovviamente, della “saggezza” e della professionalità della dottrina,
mettendo così in rilievo luci ed ombre di una disciplina sempre aperta
a successivi miglioramenti.
Le indagini preliminari, del resto, rappresentano la fase forse più
delicata di tutto il procedimento penale: dalla loro correttezza,
completezza, e, ovviamente, dai loro risultati dipenderanno le
valutazioni e le decisioni del p.m. sull’esercizio dell’azione penale.
9
Capitolo Primo
Premessa: Finalità delle indagini preliminari;
Profilo notizia di reato; Differenza azione-archiviazione
Accanto all’obbligo dello Stato di riaffermare l’ordine violato, ex
art.112 Cost.
1
, si rinviene l’esigenza della giurisdizione e del processo
quale suo mezzo attuativo.
Ed in riferimento a quest’esigenza, che si identifica in una serie
preordinata di atti intesi a verificare se il reato sia stato posto in essere,
sia attribuibile ad un soggetto individuato, ed accertare se debba
soggiacere alla sanzione prevista, si pongono le indagini preliminari.
2
Le finalità delle suddette, a differenza dell’art.299 cod. abrogato, non
sono quelle dell’ “accertamento della verità”, espressione del potere
del giudice di ricercarla pure ex officio, bensì stabilire “le
determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art. 326).
Il nuovo codice ha infatti operato la scelta, coerentemente ai requisiti
di un sistema di tipo accusatorio, di attribuire al p.m. solo i poteri di
svolgere indagini preprocessuali, atti di investigazione per decidere al
termine se esercitare o meno un’azione penale; il citato art. 326
verrebbe quindi ad “esprimere una netta cesura tra la fase delle
indagini ed il giudizio”
3
, essendo le prime al di fuori della
1
Art.112 Cost.: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.
2
Carli, “Le indagini preliminari nel sistema processuale penale”, Milano 1999, p.2ss.
3
Conso-Grevi, “Profili del nuovo codice di procedura penale”, Padova 1996, p.370.
10
giurisdizione, in quanto poste in essere senza contraddittorio e quindi
senza assicurare quel concorso paritario che caratterizza il giudizio.
Corollario basilare di questa costruzione non potrà non essere allora
l’inadeguatezza degli elementi rinvenuti a fornire prova da utilizzare
in giudizio, elementi che costituiranno invece solo “fonti di prova”,
necessari a rappresentare al giudice le ragioni a sostegno dell’accusa a
carico dell’imputato.
Il procedimento delle indagini preliminari inizia con l’acquisizione
della notitia criminis – di regola dal p.m. o dalla p.g. – e si conclude
con la richiesta di archiviazione o con l’esercizio dell’azione,
mediante uno dei riti speciali ovvero con la richiesta del rinvio a
giudizio, ex art.405 c.p.p., se ed in quanto, ovviamente, siano presenti
i requisiti richiesti.
In questa fase l’intervento del giudice, significativamente denominato
giudice per le indagini preliminari e non delle indagini preliminari, è
eventuale, e si presenta necessario ove occorra intervenire su diritti
costituzionalmente tutelati o per acquisire eccezionalmente un mezzo
di prova; quindi, come osservato
4
, questo “solco” segnato dalla
distinzione tra fonti di prova e la prova stessa può essere superato solo
dal compimento di atti non rinviabili o da un incidente probatorio: due
momenti straordinari che confermano l’attività preprocessuale delle
indagini preliminari.
Ma questa impostazione, che rientra nelle previsioni dello stesso
legislatore, in conformità, si diceva, ad un sistema processuale
tendenzialmente accusatorio, merita alcune precisazioni.
4
Cristiani, “Manuale del nuovo processo penale”, Torino 1991, p.281ss.
11
Bisogna chiarire che il processo può configurarsi come accusatorio
quando è retto dai principi della “oralità”, secondo il quale il giudice
si pronuncia in base a prove acquisite al suo cospetto, dell’
“immediatezza”, per l’identità del giudice super partes che assume la
prova e che decide, del “contraddittorio”, potendo le parti interloquire
in condizione di assoluta parità, ed, infine, dell’ “imparzialità”, non
essendo il giudice del dibattimento pregiudicato o limitato dall’attività
espletata in precedenza da altri organi
5
; il tutto, dunque, in una
situazione di parità, di mezzi e facoltà, tra l’accusa, che promuove
l’azione penale nella fase preprocessuale, e la difesa, che opera
producendo prove a discarico dell’imputato.
In verità la primitiva formulazione del codice già prevedeva una serie
di atti destinati a non esaurire la loro funzione all’interno delle
indagini preliminari (es. verbali di ispezioni, sequestri, intercettazioni
di conversazioni), e forti modifiche sono giunte in seguito al d.l.
306/1992, conv. in l. 356/1992, in particolare con riferimento alle
sommarie informazioni rese da testimoni nei procedimenti per fatti di
criminalità organizzata, e ad interventi della Corte Costituzionale, che
ha, ad esempio, dato la possibilità di introdurre nel dibattimento le
testimonianze rese agli ufficiali o agenti di p.g. tramite la deposizione
de auditu di tali funzionari
6
, nonché le dichiarazioni rese nelle
5
In tal senso, Amodio, “Il dibattimento nel nuovo rito accusatorio”, in GP 1989, III, p.580
6
Corte Cost., sent. 31/1/1992, n. 24, in GiC, 1992, p.124. L’art.195 4°co. vietava infatti queste
deposizioni; la ratio di tale norma, secondo Voena, “Investigazioni ed indagine preliminare”, in
DP, VII, Torino 1993, p.267, non era quella di sottrarre l’appartenente alla p.g. all’imbarazzo della
testimonianza, ma impedire che, per tale via, penetrasse nel materiale per il giudizio ciò che
l’organo pubblico avesse acquisito nel corso della sua attività investigativa. Di conseguenza, si era
inteso impedire un facile aggiramento dei divieti posti alla lettura della documentazione delle
indagini preliminari, ma la disposizione è parsa irragionevole alla Corte perché sarebbe
insostenibile ritenere gli ufficiali ed agenti meno affidabili del teste comune, “in insanabile
contraddizione con il ruolo e la funzione che la legge attribuisce alla p.g.”. La Corte ha però
12
indagini preliminari dal testimone o dalle parti private se utilizzate a
norma degli artt.500, 5° e 6° co., 503 e 513.
7
A ciò si aggiunga che le risultanze delle indagini sono pienamente
utilizzabili come prova – previo consenso delle parti – in sede di
giudizio abbreviato e di applicazione della pena su richiesta delle
parti, costituendo quindi esse fondamento probatorio della pronuncia
di condanna o assoluzione: non a caso, in riferimento al giudizio
abbreviato, si è osservato che l’abbassamento della soglia per
condannare è l’elemento che caratterizza questo istituto come giudizio
allo stato degli atti.
8
È pur vero che la Relazione al progetto preliminare del c.p.p.
specifica le finalità delle indagini preliminari chiarendo che esse, in
aderenza alla direttiva 37 della legge delega, sono rappresentate
esclusivamente dalla necessità di delibare la notizia di reato al fine di
configurarla entro precisa imputazione e scegliere un tipo di domanda
da proporre al giudice competente
9
, riconoscendo dunque a queste una
funzione meramente endoprocessuale, in cui gli elementi di prova
raccolti, traducendosi in operazioni gnoseologiche fornite di autonoma
rilevanza, sorreggono l’adozione di provvedimenti cautelari disposti
dal g.i.p., ma non possiamo neppure trascurare le modifiche apportate
trascurato che non era in gioco una presunzione di non credibilità di quel teste, ma proprio la
peculiarità della funzione esercitata. Non a caso il legislatore, volendo, come si vedrà tra breve,
riaffermare i principi del sistema accusatorio, è andato, con la l.63/2001, a modificare, all’art.4,
l’art.195 4°co., riaffermando il divieto di testimonianza indiretta di ufficiali ed agenti sulle
“dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt.351 e 357, comma 2, lett. a e
b”, e lasciando tale possibilità solo per gli altri casi.
7
Corte Cost., sent. 2/11/1998 n. 361, in GiC 1998, 3084.
8
Tra i tanti, Paolozzi, “Il giudizio abbreviato nel passaggio dal modello < tipo> al modello
pretorile”, Padova 1991, p.245.
9
Relazione al progetto preliminare al nuovo codice di procedura penale, in G.U. 24/10/1988
n.250, suppl. ord., p. 22,81 e 100.
13
all’impianto originario del codice, rivolte a dare forza e valore alle
determinazioni del p.m. anche al di fuori dell’ambito delle indagini
preliminari.
Finché, in effetti, sussistevano delle eccezioni alla formazione della
prova, giustificate dalla non ripetibilità dell’atto d’indagine, il modello
accusatorio non era intaccato nella sostanza, ma, se è vero che il grado
di accusatorietà o inquisitorietà di un processo dipende soprattutto dal
valore probatorio delle risultanze investigative, nel senso che più
queste assumono valore di prova ai fini della decisione in esito al
dibattimento più il processo si avvicina al modello inquisitorio, allora
“il sistema vigente presenta ormai un ridotto grado di accusatorietà,
giacché gran parte degli atti utilizzabili ai fini decisori sono compiuti
dalla p.g. o dal p.m.”
10
.
La dottrina recente, dunque, sempre più spesso rileva l’esistenza di
questa sorta di distorsione tra finalità e funzioni delle indagini
preliminari stabilite originariamente dal codice, da un lato, e quello
che risulta dalle modifiche e dalla prassi giudiziaria, dall’altro; con un
forte senso critico c’è chi ha affermato, in tal senso, che la “finalità
endofasica degli atti d’indagine proclamata dall’art.326 non
costituisce più un principio, pur suscettibile di deroghe, ma una
affermazione ingannatrice”
11
, in quanto, se si guarda alla effettiva
natura delle cose, si deve ammettere che il p.m. è stato dotato, per
effetto delle sentenze della Corte costituzionale e dei successivi
provvedimenti legislativi, di strumenti per organizzare l’attività e la
strategia in funzione del giudizio.
10
Ventura, “Escussione della prova e contraddittorio, in GiC 1998, p.3183
14
Il legislatore, inoltre, si è anche mosso nell’ambito del riconoscimento
di maggiore autonomia in favore della stessa p.g., in particolare con la
l. 26/3/2001 n.128, ma non possiamo nemmeno negare l’esistenza di
pressioni sempre più energiche nella società civile, che negli ultimi
anni ha chiesto, e chiede tuttora, una definizione più celere dei
processi ed una più pregnante azione preventiva e repressiva dei reati.
L’incedere del legislatore è stato, se non altro, giustificato da queste
finalità, che in ogni caso non intaccano (e non devono intaccare), a
nostro modesto avviso, la centralità e l’imparzialità del p.m. nelle
indagini preliminari, la presenza di un “garante”, qual è appunto la
figura del g.i.p., e tutto il sistema di garanzie previste in ogni
ordinamento democratico, come il nostro, per la persona sottoposta
alle indagini.
In questo clima di grande fermento socio-politico si inserisce, e si
spiega, la fondamentale l. 1/3/2001 n.63, emessa allo scopo di dare
concreta attuazione alla l. cost. 23/11/1999 n.2, che ha novellato
l’art.111 Cost.
12
, nella quale il legislatore ha chiarito gli aspetti del cd.
“giusto processo” ed ha inciso profondamente sull’intero assetto del
11
Voena, “Investigazioni ed indagine preliminare”, in DP, VII, Torino 1993, p.272.
12
Questi i nuovi commi: “La giurisdizione si attua mediate il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice
terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo
possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;
disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà,
davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo
carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni
dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete
se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La
colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera
scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo
difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per
consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata
condotta illecita” (art.112 Cost., commi 1-5).
15
processo penale e sulla sua (rinnovata) qualificazione accusatoria,
dopo aver pure dato, con la l. 7/12/2000 n.397, “dignità” alle indagini
difensive, abrogando del tutto l’art.38 n. att., ed inserendo nel libro
quinto del codice un “Titolo VI bis” sulle investigazioni difensive.
In effetti ci pare che il legislatore, preoccupato anche dagli ultimi
interventi della Consulta, in particolare dalla sentenza 361 del
2/11/1998, “pronunciata con il principio accusatorio sulle labbra, ma
con il principio inquisitorio nel cuore”
13
, che aveva esteso, alle parti
private e agli imputati in procedimenti connessi o per reati collegati, le
disposizioni di cui ai commi 2bis e 4 dell’art.500, con la conseguenza
di consentire, nel caso di rifiuto di rispondere e in mancanza
dell’accordo delle parti, la piena utilizzabilità delle precedenti
dichiarazioni sul fatto altrui, abbia voluto operare un temperamento di
tutti gli interventi volti a rendere utilizzabile in dibattimento il
materiale raccolto nella fase investigativa, andando in particolare a
limitare e a tipizzare questi casi, e, quindi, andando a limitare e
tipizzare le deroghe al principio del contraddittorio.
In questo contesto il legislatore è andato infatti a ridisegnare l’istituto
della testimonianza, con la creazione della figura dell’ ”imputato-
testimone”, con un rinnovato regime delle contestazioni e delle letture
ex artt.500, 503, 513, con l’elencazione tassativa delle ipotesi
eccezionali, ex art.500 4°co., in cui l’utilizzabilità delle precedenti
dichiarazioni, se “vi sono elementi concreti per ritenere che il
testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa
di denaro…affinché non deponga ovvero deponga il falso”, assurga a
13
Nobili, “L’accusatorio sulle labbra, l’inquisitorio nel cuore”, in CrP 1999, f.4/5, 16.
16
piena valenza probatoria; in queste disposizioni, dunque, cogliamo la
volontà del legislatore di riaffermare un regime tendenzialmente
accusatorio del sistema processuale, anche al fine di riconoscere
maggiori garanzie per l’imputato.
È, inoltre, innegabile che anche la l.397/2000 abbia fortemente
contribuito, riducendo notevolmente la distanza tra le posizioni di
accusa e difesa, a ristabilire la natura tendenzialmente accusatoria del
nostro processo penale.
In tal senso, pare quanto mai indicativo l’inserimento di una nuova
disposizione nel tessuto codicistico, l’art.327bis, in relazione al
riconoscimento del diritto del difensore di svolgere attività
investigativa: non a caso, infatti, tale disposizione è stata immessa tra
l’art.327, che riconosce al p.m. il compito di dirigere le indagini, e
l’art.328, che individua nel g.i.p. il naturale interlocutore di tutte le
domande e richieste formulate in tale fase dalle parti.
L’art.327bis viene allora a rivestire pure un forte significato
simbolico, in quanto il difensore passa da una visuale “statica” ad una
“dinamica”, eliminando il riconoscimento della facoltà di difesa
dall’angusta e marginale collocazione nel novero delle disposizioni di
attuazione, ed inserendolo tra le disposizioni generali del Libro V:
anche in tal modo la difesa viene ad avere pari dignità rispetto la sua
naturale controparte.
14
Il p.m. continua comunque ad essere un soggetto che non può (o non
dovrebbe), per l’imparzialità che gli deriva dall’investitura pubblica,
14
Così Tronci, “La tutela del cittadino imputato: dalla Carta Europea dei Diritti fondamentali alle
nuove disposizioni sulle indagini difensive: linee guida della legge 397/2000”, in CP 2001, p.2261.
17
trascurare di acquisire elementi dai quali può discendere la prova di
innocenza di chi è indagato (ex art.358)
15
; pare, in sostanza, profilarsi
una duplicità di ruoli svolti dal p.m., organo imparziale che mira alla
ricerca della verità nella fase investigativa e parte processuale durante
l’esercizio dell’azione, in veste di pubblico accusatore
16
, anche se non
mancano dubbi sulla effettiva realizzazione di tali principi.
Le discussioni sulla portata di tale disposizione sono destinate, del
resto, a continuare proprio a causa della l.397/2000, in quanto, la
nuova normativa, incidendo significativamente nella costruzione del
codice ed esaltando senza dubbio il ruolo della difesa, potrebbe
effettivamente collocare in posizione eguale e contraria il soggetto che
del difensore è il naturale contraddittore processuale; in realtà, come
evidenziato dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge
15
Il principio posto dall’art.358, pur se riconosciuto come validamente operante, è al centro di
forti discussioni. Dominioni, in “Le investigazioni del difensore ed il suo intervento nella fase
delle indagini preliminari”, Latina 1990, II, p.25, osserva che “chi conduce una indagine
giudiziaria, per spinta quasi naturale, per professionalità, per esigenze del tema di indagine che gli
è proposto, è orientato alla ricerca essenzialmente della prova a carico”; di analogo avviso lo
stesso Peroni, “Il contenuto positivo dell’art. 358 c.p.p.”, in DPP n.8/1995 p.966, ritiene che “il
vero punto di frattura all’interno del sistema si colloca nell’assenza di un efficace controllo sul
destino dei dati in bonam partem, dal punto di vista della loro effettiva incidenza - una volta che
siano stati acquisiti – sulle determinazioni del p.m. “. Di diverso avviso, ad es., Neppi Modona, in
“Profili del nuovo c.p.p.”, Padova 1996, p.405, secondo il quale il p.m. non potrebbe esercitare
l’azione penale in maniera corretta ove non si facesse carico di accertare gli elementi che
renderebbero inutile l’esercizio, consigliando, piuttosto, di presentare richiesta di archiviazione.
Acuti rilievi si ritrovano in Carulli, “Lineamenti del nuovo processo penale”, Napoli 1993, p.212-
213, che giustamente distingue la duplice attività del p.m. , il quale “nel momento dell’attività
d’indagine…potrà anche essere un organo imparziale o polivalente…al contrario quando procede
all’esercizio dell’azione penale diventa parte processuale in senso tecnico con interessi esclusivi e
di natura diversa”, divenendo cioè a tutti gli effetti pubblica accusa. Inoltre, prosegue l’Autore, se
è vero che nessuna sanzione processuale è prevista in caso di omissione, comunque potrebbe
profilarsi, se ne ricorrono gli altri presupposti, un reato di omissione di atti d’ufficio (art.328 c.p.)
o addirittura un falso per soppressione (art.490 c.p.) essendo egli un pubblico ufficiale.
16
Ne deriva, secondo la giurisprudenza, che la parzialità del p.m. anche quando si manifesta in
comportamenti ispirati a conflittualità eccessiva, è destinata rimanere estranea alle possibili
turbative al corretto esercizio della giurisdizione. Invero, durante le indagini preliminari il p.m. è
tenuto a ricercare tutti gli elementi di prova per una giusta decisione, ivi compresi gli elementi
favorevoli all’imputato, e riemerge,come si diceva, l’impostazione tendente ad attribuirgli veste di
parte cd. imparziale. Ma una volta iniziata l’azione penale il rappresentante della pubblica accusa
riacquista in toto la sua veste di parte in senso tecnico, spinta dall’unico interesse di veder
comprovata l’impostazione accusatoria (Cass., 23/2/1998, in CP 1998, 353, in tema di istanza di
rimessione del processo, promossa da Berlusconi ed altri).