che la Chiesa si trovava ad affrontare per la formazione di nuovi
preti.
Nel secondo capitolo si cerca di tracciare un quadro del
dissenso, partendo anche da quello non direttamente collegato alla
Chiesa, che attraverso personalità come p. Gleb Yakunin, Dimitij
Dudko, Nicolaj Esliman ed altri delinea le varie fasi dell’attività dei
dissidenti dalla nascita del dissenso fino alla sua repressione.
Nel terzo capitolo l’attenzione è puntata sulla vita religiosa
della Russia contemporanea, prendendo in esame innanzitutto la
situazione della Chiesa Ortodossa Russa per poi analizzare le altre
religioni, in modo particolare l’Ebraismo e l’Islam.
Per dare una visone più completa della realtà ortodossa si è
voluta aggiungere un’appendice che elenca la collocazione e la
situazione delle varie Chiese Ortodosse nel mondo.
La domanda che ci si pone è quale ruolo la Chiesa
Ortodossa Russa ha vissuto nell’epoca sovietica. Complicità,
asservimento, ricerca di una propria autonomia, opportunismo per
conquistarsi uno spazio nei confronti delle altre chiese approfittando
del particolare momento storico? Un’unica risposta non c’è;
esistono, nelle pieghe della vicenda della Chiesa Ortodossa Russa, in
questo periodo le sfaccettature combinate di tutti questi elementi che
possono prevale ora in un senso ora nell’altro. È certo che la
repressione ci fu e le Chiese dovevano trovare un modo per
sopravvivere. A volte l’opportunismo è significato avere una
possibilità di sopravvivenza nel futuro, laddove un’opposizione netta
avrebbe segnato una crisi più radicale.
Cosa ha prevalso? L’asservimento della Chiesa allo Stato
sovietico o la capacità di organizzarsi degli spazi di autonomia di
fronte alla repressione Governo? Anche qui non vi è una risposta. Se
vogliamo prendere in considerazione un’altra faccia dello stesso
aspetto è quello del dissenso esplicito, e qui non si tratta solo del
rapporto tra dissenso e Stato sovietico, ma del rapporto tra dissenso e
Chiesa ufficiale.
Come giustificare l’atteggiamento di quasi indifferenza della
Chiesa Ortodossa Russa davanti alle sofferenze dei dissidenti ? È
innegabile che delle connivenze con lo Stato da parte di alcune
figure della gerarchia ecclesiastica vi furono. Probabilmente, anche
qui, un atteggiamento di estrema prudenza ha salvaguardato
l’autonomia, anche se minima, goduta dalla Chiesa. Certo è
comprensibile il senso di isolamento del dissenso e il desiderio di un
appoggio ufficiale della Chiesa, vista anche la tragicità degli eventi
che gli occorsero.
È difficile per ciò esprimere un giudizio netto, perché ogni
parte esprime un suo particolare punto di vista e non può esistere, in
una storia così complessa come quella sovietica, una verità assoluta
anche se ogni parte in causa dallo Stato sovietico alla Chiesa
ufficiale e al dissenso ne proclamano una.
CAPITOLO 1
LA STRUTTURA, L’ORGANIZZAZIONE, I RAPPORTI CON
LO STATO, IL CULTO, LE CHIESE E LE DIOCESI
Il culto, la liturgia e ogni altra forma di preghiera e
venerazione, davanti alle numerosissime icone presenti in ogni casa
ortodossa sono il momento centrale della vita della Chiesa
Ortodossa. É così anche per la Chiesa Ortodossa Russa. Durante il
periodo sovietico la liturgia acquisisce ancora maggiore importanza,
essendo l’unico modo per poter manifestare la propria fede. Il
numero delle chiese “funzionanti”, così venivano chiamate, è
diminuito durante tutto il settantennio con un aumento delle
difficoltà per i credenti. Nel 1914 il numero delle chiese nell’impero
Russo, che includeva la Finlandia e parte della Polonia, ma non
l’Ucraina Occidentale, era di 54.147 più 25.593 cappelle. Nel 1961,
quando la Chiesa Ortodossa Russa entra a far parte del Consiglio
Mondiale delle Chiese, dichiarò di avere circa 20.000 chiese
funzionanti. Altre fonti del 1961 parlano di 11.000. Al termine della
campagna antireligiosa di Chruscëv le chiese aperte erano non più di
10.000. Anche se i confini erano cambiati, la diminuzione del
numero delle chiese resta un dato innegabile. Pare che nel periodo
immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, il numero
delle chiese sia sceso a 5250; qualcuno ipotizza anche che le chiese
aperte in questo periodo fossero 100. I dati sono comunque
contrastanti e lo saranno anche sino agli anni ’80, dove
comparazioni tra stime ufficiali e fonti samizdat portano la Ellis a
parlare di circa 6000 chiese aperte al culto. La maggiore
concentrazione di chiese si aveva in Russia, Ucraina, Moldavia e
Bielorussia, dove vivevano la maggior parte degli ortodossi anche
perché durante l’occupazione tedesca molte chiese di queste regioni
vennero riaperte al culto; queste chiese furono nuovamente chiuse,
durante la campagna antireligiosa portata avanti da Chruscëv tra il
1959 e il 1964, dopo periodi più o meno lunghi di attività.
Le diocesi, nel 1985, erano 73, 57 delle quali con Vescovi
diocesani in carica. Le 16 restanti erano vacanti: 11 amministrate
temporaneamente da Vescovi non titolari in attesa di nomina e le
rimanenti cinque sono poi state accorpate ad altre diocesi vicine.
LA VITA PARROCCHIALE
Ciascuna chiesa aveva la sua comunità parrocchiale. Questa
comunità partecipava al culto e doveva adempiere agli obblighi
finanziari ed amministrativi previsti dalla legge. L’unica attività
permessa ad una comunità parrocchiale, che doveva avere almeno 20
membri, la dvadcatka, e doveva essere regolarmente registrata era la
celebrazione del culto e l’amministrazione dei sacramenti,
all’interno di un edificio anch’esso regolarmente registrato.
Le associazioni religiose non potevano: creare iniziative
comuni, o in genere usare la proprietà a loro disposizione per altre
cose che non fossero la soddisfazione dei loro bisogni religiosi ;
fornire sostegno materiale ai loro membri ; organizzare preghiere
speciali o altri incontri per i bambini, i giovani e le donne, né
incontri generali sulla Bibbia, o di carattere letterario, artigianale,
lavorativo, catechistico o altri incontri di gruppi, circoli, dipartimenti
; non potevano organizzare escursioni e spazi da gioco per bambini,
né aprire biblioteche o sale da lettura, né organizzare ospedali o
centri di soccorso medico.
Negli edifici di preghiera si potevano tenere soltanto i libri
necessari allo svolgimento del culto. La legislazione civile era
costituita dalla legge sulle associazioni di religione del 1929,
emendata nel 1932 ed infine modificata nel 1975.
Ciò che caratterizzava la legislazione religiosa durante il
periodo sovietico era una parvenza di libertà di culto e una totale
assenza della possibilità di svolgere propaganda religiosa. Le glosse
alla Bibbia non erano ammesse perché erano considerate propaganda
religiosa ; ogni credente poteva possedere solo una copia della Sacra
Scrittura a patto che questa non fosse commentata e non poteva
possedere alcun libro nel quale si parlasse di religione.
L’Art. 52 della costituzione sovietica del 1977 lascia a tutti
libertà di culto o di propaganda atea, ma non di propaganda
religiosa. Le finanze della parrocchia erano amministrate da un
comitato eletto dalla dvadcatka e direttamente controllato dal C.A.R.
(Consiglio per gli Affari di Religione) locale.
Il Concilio dei Vescovi del 1961 cambiò radicalmente il
ruolo della parrocchia all’interno della Chiesa : il sacerdote
diventava un dipendente della comunità religiosa e non poteva più
amministrare le finanze parrocchiali. La dvadcatka poteva anche
chiedere al C.A.R. l’allontanamento del sacerdote. Questa pratica
comportò la chiusura di molte chiese perché nel momento in cui il
sacerdote veniva allontanato le autorità locali facevano in modo che
nessun altro sacerdote venisse nominato come suo sostituto,
cosicché la chiesa veniva presto chiusa perché considerata non
necessaria. Al sacerdote allontanato difficilmente veniva dato un
altro incarico e quindi poteva essere incriminato per parassitismo.
Nel Concilio del 1961, convocato dal Patriarca Alessio I, su
richiesta del C.A.R., senza che i Vescovi che vi parteciparono ne
fossero a conoscenza, furono dunque approvate queste modifiche
che mettevano il sacerdote in una condizione di ancora maggiore
sottomissione al C.A.R. ed ai suoi rappresentanti locali; infatti,
coloro che facevano parte della dvadcatka non sempre erano
cristiani o credenti e anche se lo erano non era detto che il loro scopo
fosse il bene della Chiesa. Erano, non tutti, spie governative, molte
delle quali facevano i propri interessi economici
.
IL CLERO
Il sacerdote, come abbiamo già visto era limitato nelle sue
attività. Veniva descritto come un dispensatore di liturgie perché i
suoi compiti erano limitati alla celebrazione ed all’amministrazione
dei sacramenti. Nelle predicazioni essi erano diffidati (dal CAR) dal
trattare argomenti sociali e politici. Potevano solo commentare il
Vangelo senza contestualizzarlo. Non si conosce precisamente il
numero dei sacerdoti durante il periodo sovietico. Fonti ufficiali
parlano di 5.994 preti nel 1974. Nel 1961, quando la Chiesa
Ortodossa Russa entrò nel Consiglio Mondiale delle Chiese dichiarò
di avere 30.000 sacerdoti. Le difficoltà per l’episcopato erano quelle
di coprire tutte le chiese in funzione, perché quando un sacerdote
moriva oppure andava in pensione non sempre ve n’era un altro che
poteva sostituirlo. Nel triennio 72-74 furono ordinati 438 preti e 537
morirono o andarono in pensione. I sacerdoti ricevevano un salario
medio più alto della media dei salari sovietici. Nel 1974 il salario
sovietico medio era di 141 rubli mensili e salì a 180 nel 1985. In
questo periodo un sacerdote riceveva come salario iniziali circa 200
rubli al mese. Questo perché i chierici erano considerati liberi
professionisti e venivano tassati secondo l’articolo 19 della legge
sulle imposte del 1943 ed i seguito secondo l’articolo 18. Questo
comportava il pagamento di tasse che andavano da una percentuale
del 24% fino all’81% a seconda del proprio introito. Naturalmente le
cifre considerate sopra avevano già subito le detrazioni fiscali. Il
governo traeva grandi benefici economici da queste tasse e ne traeva
ancora di maggiori dal contributo che la Chiesa era praticamente
costretta a versare al Fondo per la Pace. Per questo motivo non si
opponeva agli elevati salari del clero. La propaganda atea sfruttò la
situazione economica del clero per definire i sacerdoti finti religiosi
e attaccati solo al denaro. I sacerdoti potevano riunirsi
periodicamente in incontri decanali e diocesani, sotto il controllo del
commissario del CAR. Per dare una parvenza di religiosità a questi
incontri essi venivano aperti e conclusi con delle preghiere; gli
argomenti che venivano trattati spesso erano politici, vi era anche un
ringraziamento da parte di un ufficiale del Fondo per la Pace ed un
rappresentante del clero invitava ad aumentare lo sforzo della Chiesa
in questo campo. Le votazioni per l’approvazione di questo mozione
si svolgevano sotto il controllo del rappresentante del CAR.
Venivano sempre approvate. La propaganda antireligiosa ebbe il suo
culmine quando bisognava affrontare la situazione di sacerdoti
alcoolisti o presunti tali, maniaci e talvolta anche violentatori. Le
richieste da parti dei parrocchiani di rimuovere questi parroci non
trovavano risposta.