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Il problema, dunque, è: qual è il volto della Chiesa del futuro? Cioè, cosa vuol dire
essere una comunità cristiana nella realtà del Terzo Millennio?
In un’ottica strettamente teologica la questione fondamentale, come in ogni epoca, è
quello dell’evangelizzazione da affrontare con le conseguenze della modernità e con la
“svolta postmoderna” [Cfr. Colombo 1997]. Nell’ottica sociologica da noi adottata, il
nocciolo è in ultima analisi costituito da come la Chiesa si rapporta al mutamento sociale.
Soffermandoci su quest’ultima, facciamo notare che la storia del cristianesimo
occidentale si è sviluppata su due piani interrelati: quello istituzionale e quello intellettuale
[Lafont 1997, p. 23]. Mentre sul piano istituzionale “ci si trova di fronte a delle «strutture di
cristianesimo» nelle quali il religioso e il politico sono strettamente interconnessi” [ibid.], sul
piano intellettuale, “gli incontri con la cultura, quando hanno luogo, danno origine a «sistemi
di cristianesimo»” [ibid., p. 24] che sono dei veri e propri sistemi di pensiero. In altre parole,
per esistere nella concretezza di una società, il cristianesimo deve definire la sua collocazione
giuridica e culturale evidenziando la propria specificità rispetto alle altre istituzioni e agli altri
sistemi di pensiero esistenti. Così facendo “dichiara” la propria identità. Il mutamento sociale
trasforma le istituzioni e la cultura costringendo a modificare strutture e sistemi affinché non
diventino anacronistici e privi di senso. Nel Novecento ha creato le condizioni per la
revisione, appunto con il Vaticano II, del modello ecclesiologico pre-conciliare ed è ben lungi
dall’arrestarsi. Anzi, nella società contemporanea il mutamento è sempre più accelerato. La
fisionomia della Chiesa del futuro dipenderà pertanto dal modo di porsi nei confronti del
mutamento sociale.
Il presente lavoro cerca quindi di individuare alcuni elementi utili per una risposta
tramite lo studio di un caso localizzato e circoscritto.
Mi sono occupato della comunità parrocchiale di San Giacomo Maggiore, che si trova
nella città di Crema, esaminandone la vicenda dagli anni Settanta ad oggi. Le caratteristiche
della comunità, come ci sarà modo di constatare, la rendono particolarmente adatta a questo
tipo di indagine. Essa è infatti contraddistinta dal costante tentativo di interpretare le
trasformazioni socio-culturali del suo ambiente, a partire dalle quali imposta la propria azione
pastorale.
Si possono ricavare notizie attendibili da una ricerca del genere?
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Riprendendo un concetto espresso da Pierre Bourdieu [1995, p. 14], considero la tecnica
del case study da me applicata un'immersione "nella particolarità di una realtà empirica,
storicamente situata e datata, ma solo per costruirla come 'caso particolare del possibile',
(...) ossia come tipo di configurazione in un universo infinito di configurazioni possibili". E'
un approccio "che prende in considerazione un'area culturale particolare prefiggendosi di
cogliere, nella variante osservata, l'invariante, la struttura" [ibid.] o almeno un aspetto di
quest'ultima.
La storia recente della parrocchia che costituisce l'oggetto della mia ricerca è un
esempio di come il fenomeno religioso reagisce al processo di trasformazione globale che sta
investendo il sistema socio-culturale, si potrebbe altrimenti dire che ne è un annuncio.
Nell'ottica del "caso particolare del possibile", questa indagine illumina uno degli esiti della
menzionata riconfigurazione del fenomeno religioso e più precisamente uno di quelli relativi
alla religione cosiddetta tradizionale.
La sfera del sacro della comunità di San Giacomo (cioè, come spiegherò in seguito,
l'insieme di attori e di relazioni che gravitano attorno ad essa in quanto referente religioso)
nella sua dinamica si presenta come tensione verso una modalità di incontro tra le dimensioni
costitutive del religioso adatta a collocarsi attivamente nella molteplicità di dimensioni di una
società complessa in qualità di fonte di significati autorevole. E' un modello non ancora
realizzato che il caso in esame prefigura e che si pone agli antipodi della tentazione
fondamentalistica di rifugiarsi nell'unità di una dottrina o di una chiesa a cui ricondurre tutto
forzatamente.
Viceversa, si tratta di uno spazio aperto, flessibile, che trascende il particolarismo
ponendosi in rapporto di confronto e interdipendenza con altri spazi; la caratteristica
fondamentale è lo stile di rinegoziare e ridefinire i propri confini e riproporre la propria
identità, mettendosi profeticamente in discussione senza mai dare niente per scontato. La fede
non è perciò un'acquisizione aprioristica, ma il risultato mai definitivo di un processo che si
costruisce man mano all'interno di un campo relazionale fatto di scelte individuali e collettive.
Il tutto avviene nell’orizzonte di una struttura di cristianesimo che non è, come la intendono
molti, un’istituzione centralizzata che esercita un controllo autoritario, ma un punto di
incontro tra le diversità e che vuole a tutti i costi mantenere un potere detenuto.
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Il mantenimento della radice spirituale cristiana nella sua integrità consente di evitare
l'indeterminatezza e la frammentazione di una religione civile riducibile a un’etica
socialmente condivisa che non turba e non scandalizza perché riproduce il senso comune
senza rimandare all’Altro, al trascendente.
Ne emerge che la Chiesa, nella variegatezza dei paesaggi del sacro odierni, è sempre
meno plausibilmente percepibile come un attore unitario, omogeneo e indifferenziato. Il suo
"stare" nella società si articola ormai in forme e modalità diversificate.
Per quanto se ne possano cogliere delle tracce nel dibattito scientifico attuale, la
trasformazione della religione tradizionale è ancora sottovalutata. Ciò è dovuto a una
conoscenza imprecisa del fatto religioso che associa la religione tradizionale a un passato da
cui non ci si può che allontanare sempre di più e concepisce il presente in termini di
religiosità al di fuori delle religioni e di commistioni sincretistiche sempre più spinte [Pace
1997]. Sarebbe assurdo voler negare la realtà di tali fenomeni. La mia intenzione è più che
altro quella di mettere in rilievo che essi coesistono con una "nuova" presenza della religione
tradizionale, di cui la comunità di San Giacomo è una manifestazione.
Identificare la religione-di-chiesa con un sistema istituzionalizzato, volto a controllare
l’esperienza religiosa individuale, da cui l'uomo moderno sta via via prendendo le distanze
[Pace 1996, p. X], destinato tutt'al più a perpetuarsi in forme integralistiche e marginali o de-
sacralizzate e stemperate, è un luogo comune persistente che qui contesto. Senz'altro la
struttura di cristianesimo caratteristica del millennio che si sta chiudendo presenta alcuni
caratteri del genere ed è ancora presente, ma non è più l'unica e sta perdendo
progressivamente rilievo.
Nell'esporre le mie argomentazioni, assumerò come punto di partenza una panoramica
sulla riflessione sociologica contemporanea in materia di religione (Capitolo Primo) in cui
sarà mostrato che le diverse teorie sono da ritenersi parte di un più vasto sforzo conoscitivo
avente per oggetto la natura e il funzionamento della società nel suo complesso e risentono
del contesto culturale in cui sono elaborate.
Evidenzierò che si sono create le condizioni per un superamento, prima di tutto
culturale, della fase di questo settore di studi a cui attribuisco il nome di "fase della
secolarizzazione", dominante fino a un paio di decenni fa e di cui il luogo comune segnalato è
uno strascico.
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I segnali della "nuova presenza" ipotizzata sono individuabili, anche se poco
considerati, nel dibattito sociologico attuale e c’è pertanto bisogno di un modo diverso di
indagare la religiosità e la religione.
La ricerca sulla comunità di San Giacomo costituisce appunto un tentativo in tal senso.
A partire proprio dall'oggetto, dal momento che la quasi totalità delle ricerche connesse
con la religione trascurano campi di osservazione tanto ridotti. E secondo me si tratta di un
errore. In passato sono esistite valide ricerche inerenti la realtà parrocchiale, al punto da far
parlare di una vera e propria “sociologia della parrocchia” [Fichter 1951, 1954, 1959; per
l’Italia Azzali 1954], ma sono ormai teoreticamente e metodologicamente improponibili.
L’ultimo esempio di un certo spessore risale a più di trent’anni fa [Duocastella 1967].
Oggi come oggi prevalgono le grandi inchieste socio-religiose: coinvolgono una
diocesi, una regione o l’intero territorio nazionale e utilizzano strumenti statistici
indiscutibilmente efficaci e raffinati. Però, in tal modo, si soffermano solo su alcuni degli
aspetti che costituiscono la realtà dell’esperienza religiosa odierna e trascurano quelli che
possono essere colti solo tramite l’utilizzo di tecniche qualitative, irrilevanti nelle vecchie
ricerche, che prendono in considerazione gli attori individuali da una molteplicità di punti di
vista, cogliendone un’immagine più completa.
Negli ultimi anni non è mancato un rinnovato interesse alla comunità parrocchiale,
purtroppo limitato a lavori eccessivamente marcati in senso pastorale che non incidono sul
dibattito scientifico e si avvalgono poco degli strumenti concettuali e di ricerca che
quest’ultimo mette a disposizione. Il mio lavoro intende suggerire una “terza via” che superi
gli inconvenienti delle altre due.
Ho puntato il mio sguardo sul particolare, trattando la religione-di-chiesa non come un
attore collettivo unitario ed omogeneo. "L'attore collettivo è una realtà composita, costruita,
che si presenta tuttavia empiricamente come unità. (...) L'unità che osserviamo è il dato da
interrogare piuttosto che l'evidenza da cui partire" [Melucci 1991, p. 140]. La si può
riconoscere come il risultato di un processo di costruzione, in cui l'identità comunitaria si
definisce e si precisa, che ha per protagonisti gli attori individuali "attraverso l'attivazione
delle relazioni sociali" [ibid., p. 142].
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Sono riuscito, appunto a motivo della limitatezza del mio orizzonte di osservazione, ad
articolare l'indagine sui due livelli dell'unità e degli attori individuali le cui relazioni
illuminano aspetti dell'esperienza religiosa che si perdono nei grandi numeri delle inchieste di
portata nazionale. Credo di aver così evidenziato alcune motivazioni concrete possono
giustificare l’appartenenza ad una comunità cristiana e alcuni effetti sullo stile di vita che ne
derivano.
Un'altra particolarità è costituita da come il lavoro di ricerca è stato impostato
scegliendo l'approccio diacronico. Siccome la religione è un fenomeno in mutazione dentro a
una società che cambia, per comprenderlo è poco utile fotografare la situazione esistente in
un dato momento, proponendo una rappresentazione statica e congelata della realtà. Mi sono
convinto della necessità di soffermarmi sulle dinamiche, cercando di coglierle nella loro
fluidità, per afferrare il rapporto intercorrente tra mutamento religioso e mutamento sociale.
Ecco perché ho studiato la comunità lungo l’arco di tre decenni. Al di fuori della dimensione
diacronica, le conclusioni a cui sono arrivato risulterebbero prive di senso.
Gli strumenti di cui mi sono avvalso sono sostanzialmente tre: ricerca documentale,
questionario e intervista qualitativa.
Più che avere pretese di definitività, il mio lavoro intende suggerire possibili direzioni
di indagine. Mi auguro comunque, nonostante l’impostazione scientifica, di riuscire a
comunicare al lettore qualcosa della carica umana e di fede di questa comunità. Me ne sono
occupato perché ritengo che la sua storia, senza nasconderne le ombre, sia autenticamente
significativa e preziosa.
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Capitolo Primo:
La sociologia delle religioni e le sue fasi
L’intento di questo capitolo è di mostrare che i contenuti di teorie fino a poco tempo fa
dominanti negli studi sociologici sulla religione sono dovuti più all’influenza del contesto
culturale in cui si sono sviluppate che a una loro effettiva oggettività. Su questa base verrà
evidenziato che si sono ormai create le condizioni per un loro superamento in favore di un
diverso approccio, quello che ho tentato di applicare nella ricerca di cui renderò conto più
oltre.
1. Fuori dall'Eden: il pensiero sulla religione
Nel suo rapporto con la dimensione del sacro, il pensiero umano ha compiuto un
passaggio da pensiero religioso, inserito nel contesto di un ordine di conoscenza proprio di
una società organizzata su base religiosa (la cosiddetta cristianità), a pensiero sulla religione,
caratteristico del paradigma scientifico-razionale.
Infatti, la ragione sociologica, tra le altre, è stata resa possibile anche dalla crisi delle
strutture di legittimazione che traevano origine proprio dalla religione [Berger e Berger 1995,
pp. 23-27]. Quest'ultima faceva riferimento ad un ordine di natura divina, sopraordinato alla
società, che forniva una spiegazione per tutto ed in cui l'ordine umano si rispecchiava
traendone giustificazione; il suo indebolimento ha lasciato lo spazio per una riflessione sulla
società che non aveva più bisogno di chiamare in causa entità esterne ad essa.
Prima di tale rivoluzione un pensiero che prescindesse dal divino era inconcepibile
perché il sacro ed il religioso, nella loro forma dominante, facevano parte della naturalità
delle cose.
In quanto vero e proprio giardino di simboli la Bibbia ci fornisce le immagini più adatte
a raffigurare il passaggio di cui sopra.
L'evento dell'estromissione del religioso dall'orizzonte umano è assimilabile al dissidio
fra creatore e creatura del raccontato nella Genesi (3, 20-24). Prima della cacciata dall’Eden,
l’uomo era partecipe del progetto di felicità voluto da Dio [Gironi 1995] che si concretizzava
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in uno stato di armonia e di comunione con l’Ambiente, con il proprio simile e con il divino
[Ravasi 1991, p. 62]. Se ne allontana per perseguire un altro progetto, alternativo, in cui Dio
non trova posto [ibid., p. 62]; il peccato sancisce questa presa di distanze, tenendo presente
che l'etimologia ebraica di "peccare" ha il significato di "fallire la meta" e di "non riuscire in
un progetto" [Gironi, cit., p. 39].
Si tratta di un atto di Ragione senza fede che rompe la pace tra l'Essere e l'esistenza, tra
Dio e la coscienza dell'Io [Turoldo 1992] operando la prima e autentica scissione tra sacro e
profano, rompendo i ponti che saldavano la terra al cielo. E' una dichiarazione di autonomia
con cui l'uomo esce dallo spazio dell'incontro tra le dimensioni, l'Eden. Se l'Eden è il luogo
della comunione, la volontà di autonomia dell'uomo richiede una terra desacralizzata, un
mondo disincantato in cui l'Io e la Ragione non trovino limiti: l'uscita dal giardino è
inevitabile.
Il distacco dal senso religioso dell'esistere estromette il trascendente dalla visione del
mondo degli individui, oggettivizzandolo, per cui se ne parla dal di fuori e a partire dalla
natura, ormai disincantata, che è l'unica realtà presente alla sola Ragione.
Si è trattato di un processo molto lungo, articolatosi come distacco prima dalla tutela
dell’unica religione e poi dalla stessa fede, da cui ha avuto origine la modernità. Acquaviva,
in una sua analisi sulle dinamiche storiche dell’irreligione, ne ha riscontrato i prodromi già
intorno all’anno Mille [1961]. Tappe imprescindibili sono state la Riforma Protestante (che ha
svincolato l’esperienza religiosa dal principio istituzionale per porre in primo piano “il
principio della soggettività che è il principio stesso del moderno” [Bein Ricco 1994, p. 220],
l’illuminismo (che ha sottoposto la religione alla critica della ragione), la Rivoluzione
Francese (con cui è terminata la monarchia di diritto divino e, di conseguenza, sull’ordine
sociale del tempo, una crisi di portata tanto vasta da costringere il pensiero umano a
interrogarsi a fondo sul fondamento delle strutture sociali, consentendo la nascita della
sociologia) e l’idealismo tedesco che ha aperto la strada all’umanesimo ateo prima e al
nichilismo poi.
Dalla Rivoluzione, i filosofi tedeschi si attendevano la nascita di un nuovo stato di cose
in cui fosse lo spirito umano ad assurgere ad assoluto protagonista, pensandosi “come
totalmente indipendente e libero, come tale da non dovere che a se stesso il proprio essere e
di rifiutare ogni dipendenza da Dio e dalla Trascendenza come un’alienazione e un’offesa
intollerabile a un’autonomia ferocemente rivendicata” [Cottier 1981, pp. 34-35].
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Feuerbach ha potuto così dichiarare di porre al centro della propria opera la religione e
la teologia con l’intento esplicito di soppiantarle tramite l’ateismo che è “l’abbandono di un
Dio diverso dall’uomo” [Weischedel 1991, p. 241].
E' importante sottolineare sin da ora che il discorso sociologico non è sorto
spontaneamente dal nulla, ma è parte integrante di un orizzonte culturale più vasto che
comporta una precisa lettura del divino (inteso come falsa coscienza da cui prendere le
distanze) e del mondano (inteso come unico orizzonte di esistenza e di senso).
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2. Fase derivativa: i classici e le grandi correnti
Durkheim, Marx e Weber sono considerati i capiscuola di altrettante correnti
sociologiche. Ciascuna con un proprio distinto approccio alla tematica religiosa, ma tutte
accomunate dalla fede nel disincanto del mondo.
Alle origini della sociologia religiosa c'è l'opera di Comte che si pone a pieno titolo
nell'alveo della cultura positivista e della matrice evoluzionistica ed organicistica che
caratterizza uno dei filoni di studi sociologici. Riconoscendo come vera solo la conoscenza
scientifica, il positivismo pone le premesse per la nascita della sociologia in quanto disciplina
che si propone di studiare scientificamente la società. Il positivismo inoltre, constatando
l’impossibilità di verificare sperimentalmente il divino ne dichiara l’inesistenza relegandolo
nell’ordine della superstizione.
Nella legge dei tre stadi Comte individua la necessità che porterà al superamento della
religione; essa è una forma di conoscenza del reale propria di uno stadio di sviluppo
intellettuale che l’umanità ha già oltrepassato ed è destinata ad essere rimpiazzata dalla
scienza, identificabile come forma di conoscenza della maturità umana in quanto radicata
nell’oggettualità dei fatti. Siccome la società continua comunque ad aver bisogno di un
dispositivo di creazione e mantenimento del consenso sociale, tale è per lui la religione,
Comte propone addirittura una propria religione positiva, interamente desacralizzata [1969].
Comte viene considerato un precursore del funzionalismo che ha in Durkheim il suo
principale esponente. Accanto ad esso è possibile collocare l'approccio conflittuale e quello
simbolico-culturale associabili rispettivamente a Karl Marx e a Weber. Alla matrice
positivista si possono pertanto affiancare quella materialistico-dialettica e, in un momento
successivo, quella che fa riferimento alla teoria dell'azione [Acquaviva e Pace 1992; Crespi
1985; Martelli 1990; Wallace Wolf 1985].
Il funzionalismo pone al centro le funzioni sociali svolte dalla religione: quale simbolo
della società trasfigurata, che agisce da fattore coesivo e permette agli individui di sentirsi
partecipi della collettività, soddisfando il bisogno di una norma e di un fondamento condivisi.
Gli aderenti all'approccio conflittuale hanno invece una concezione negativa della
religione. Se ne possono rinvenire le radici nel pensiero di Hume e Voltaire.
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Entrambi, nonostante le differenti opinioni sul problema dell'esistenza di Dio,
condividevano la convinzione dell'illusorietà delle pretese di qualsiasi religione di essere
detentrice del messaggio divino e di amministrarlo dichiarandole contrarie alla ragione. Oltre
ad essere mistificatoria, la religione era da loro ritenuta fonte di intolleranza, il che la
renderebbe un limite alla libertà umana ed un ostacolo al progresso [Abbagnano 1969, §§ 473
e 486; Hume 1971; Voltaire 1972].
L'antropologia feuerbachiana ha da parte sua ispirato direttamente Marx
nell'elaborazione del concetto di alienazione in base al quale dichiara che la religione è
l'oppio dei popoli [Feuerbach 1969 e 1971; Morra 1976]. La critica marxista della religione
considera quest'ultima qualcosa da combattere, pur riconoscendo nella Riforma il momento
rivoluzionario più alto della storia tedesca.
In qualità di sovrastruttura, cioè prodotto fittizio della falsa coscienza che scaturisce
dall'alienazione economico-sociale indotta dalla struttura capitalistica, non fa altro che
giustificare i rapporti di classe in atto. Essendo finalizzata a deviare le istanze rivoluzionarie
della classe oppressa ed al mantenimento dell'ordine borghese, non ha spazio nella società
socialista. Sono i rapporti di produzione e l'attività materiale che ne consegue a determinare il
pensiero; quindi, con il compimento dell'azione rivoluzionaria la religione non può che
cessare di esistere [Marx 1972; Morra 1976; Marx e Engels 1979].
Negli sviluppi del pensiero di derivazione marxista, accanto all'assunzione dogmatica
del contenuto originario, trovano posto anche altre posizioni che arrivano a riconoscere
nell’esperienza cristiana, è il caso di Bloch [1971 e 1994], una tensione verso l’utopia e una
intenzionalità di trasformazione della storia tali da permettere a credenti e comunisti di
dialogare su una base comune. In proposito, si possono consultare Morra [cit.], Filoramo
[1980], La Rocca [1975], Martelli [1990, pp. 38-51], Penzo e Gibellini [1992, pp. 449-458].
L’approccio simbolico-culturale mette in risalto la capacità della religione di assegnare
significato e di costituire un serbatoio simbolico da cui l'identità e la condotta individuale e
collettiva traggono legittimazione. Al suo interno sono collocabili autori che non danno vita
ad una vera e propria scuola, ma che sono accomunati da orientamenti ed interessi molto
vicini fra loro.
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E' in un certo qual modo obbligatorio fare riferimento prima di tutto a Weber e
all'affinità elettiva da lui individuata tra l'idealtipo del capitalismo e quello dell'etica
calvinista. Il rapporto tra valori etici e fattori economici evidenzia come la religione e le idee
ad essa collegate accompagnano il cambiamento sociale e vi prendono parte.
Riguardo alla religione in senso stretto, Weber mette al centro della propria riflessione
la figura del leader carismatico a cui viene riconosciuto il possesso di facoltà straordinarie;
attorno a lui si verifica pertanto il coagulo di un gruppo di discepoli. Il portatore del carisma,
che nell'ambito religioso ha la veste del profeta, propone idee nuove da cui i suoi seguaci si
sentono coinvolti ed illuminati. Successivamente, la volontà di perpetuare la novità del
carisma sfocia nella routinizzazione di quest'ultimo che, nel caso della Chiesa cattolica, si è
presentata in forma di attribuzione del carisma ad un apparato istituzionale [Weber 1977,
1982; Cavalli 1968].
Nell'opera dei tre capiscuola è constatabile, come dichiarato nel paragrafo precedente,
che l'interesse per la religione è funzionale all'indagine sulle strutture sociali; ne costituisce un
aspetto ed è considerata epifenomeno di qualcosa d'altro. Quella dei classici e dei loro
continuatori può essere definita sociologia delle religioni per via unicamente derivativa
proprio perché il suo interesse per la religione deriva dall'interesse principale che è un altro.
Beckford [1991] lo identifica con la società industriale. La sociologia nasce infatti
dall’esigenza, provocata dall’avvento della modernità e dalle trasformazioni che essa ha
comportato, di produrre una riflessione sulla società che fosse immanente alla società stessa,
senza cioè fare ricorso a spiegazioni che chiamassero in causa fattori esterni, non appartenenti
al mondo dell’uomo che è l’unico esistente. Tale esigenza è comprensibile a partire dalla sua
collocazione entro l’orizzonte culturale a cui si è accennato nel precedente paragrafo.
Alla religione, nelle riflessioni sviluppate in questa fase derivativa, viene assegnato un
certo ruolo nell'ambito della teoria di riferimento di ciascun autore. Determinanti risultano
essere i presupposti culturali delle varie correnti che costituiscono dei veri e propri a priori.
Nonostante il passare del tempo, l'influenza degli approcci menzionati ha agito anche
sugli autori delle fasi successive per cui la sociologia delle religioni non si è sviluppata in
discontinuità assoluta con la sua fase derivativa iniziale
2
.
2
Conviene segnalare che una nutrita selezione di testi degli autori classici è racchiusa in un'antologia curata da
Dario Zadra [1969].
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Accanto agli autori classici citati, Martelli [1990, cit., pp. 212-229], Willaime [1996, pp.
23-26] e Cipriani [1997, pp. 110-116] pongono ad un pari livello la figura di Georg Simmel,
spesso penalizzato per la sua asistematicità e per la commistione tra prospettiva sociologica e
filosofica rinvenibile nelle sue opere. Eppure, sotto diversi aspetti egli ha anticipato istanze
caratteristiche degli studi odierni.
Questo autore ritiene che la religiosità sia la forma pura delle relazioni sociali e che in
essa abbia modo di trovare una ricomposizione il contrasto tra individuo e società: la religione
è un'espressione della religiosità che garantisce la coesione sociale salvaguardandola dalle
rivalità tra i singoli individui.
La prospettiva da lui adottata è relazionista, per cui considera sociologia, teologia e
filosofia forme culturali di pari dignità e pari grado ciascuna nel proprio ambito. Simmel
constata che il materiale fenomenico che prendono in esame è lo stesso; è la diversità degli a
priori con cui lo interpretano a dare luogo a risultati qualitativamente differenti: su questo
piano si colloca il dissidio tra religione e scienza.
L'a priori religioso, insito in ogni uomo, genera la religione quando ha a che fare con
determinate aree di esperienza (il rapporto con la natura, con la propria sorte e con la forma
della realtà) interagendo con le relazioni sociali particolari in atto [Simmel 1976 e 1993].
Quando una religione ha carattere universale come il cristianesimo, la pluralità di relazioni
sociali con cui entra in contatto dà vita a diverse forme culturali religiose complementari che
coesistono in una situazione di differenziazione e di pluralismo.
L'elaborazione simmeliana contiene intuizioni preziose per comprendere appieno il
cambio di paradigma che lo studio sociologico delle religioni sta attraversando in questi anni
e che descriverò quale preludio all'esposizione dei risultati della mia ricerca.
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3. Fase della secolarizzazione: ultimi cristiani?
Il filosofo francese Jean Guitton, ultranovantenne, ha dato alle stampe una raccolta di
lettere aperte che costituisce una sorta di bilancio della sua vita. In una delle più significative
si rivolge al reverendo Binon, parroco della località in cui si trova la sua casa di campagna,
disperato a motivo di quella che chiama la decristianizzazione della Francia.
La diocesi non ha più vocazioni, i maestri insegnano ai bambini
che ciò che viene detto loro a catechismo è rifiutato dalla scienza, la prima comunione è di
fatto l'ultima. Il filosofo riferisce l'immagine con cui il prete gli ha espresso il suo dolore: al
mattino egli dà ai parrocchiani un calice d'oro, la sera loro lo buttano via e lo fanno
irrimediabilmente a pezzi [1995, pp.46-48].
Quel breve testo sintetizza, dal punto di vista cattolico, la tematica che ha dominato la
seconda fase della sociologia delle religioni sviluppatasi dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Si tratta del fenomeno a cui è stato assegnato il nome di secolarizzazione.
Il vocabolo secolarizzazione è polisemico e fortemente ambiguo al punto da
sconsigliarne l’impiego per gli usi impropri che ne sono stati fatti. Tuttavia, ha conosciuto una
tale diffusione da renderlo imprescindibile. Vediamo allora di fare chiarezza.
I. Nel suo significato giuridico originario indica “il passaggio di persone dallo stato
clericale allo stato secolare, o il passaggio di beni ecclesiastici a proprietà secolare”
[Gibellini 1992, p. 129].
II. Nel suo significato culturale indica la laicizzazione della dimensione culturale del
vivere sociale (dunque politica, scienza, filosofia, arte, economia, costume) che si sottrae al
monopolio ecclesiastico. In tale accezione è un elemento caratterizzante la Modernità sia nel
senso della discontinuità (autonomia del mondo moderno dal cristianesimo e dalla Chiesa) sia
nel senso della continuità (permanenza di elementi cristiani laicizzati nel tessuto culturale
moderno) con il passato.
III. Il significato teologico iniziale è quello proposto dal pastore protestante Friedrich
Gogarten nella sua opera più conosciuta Destino e speranza dell’epoca moderna, il cui
sottotitolo è, appunto, La secolarizzazione come problema teologico [1972]. Egli considerava
la secolarizzazione, nella sua accezione culturale, una conseguenza necessaria e legittima del
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cristianesimo. La intendeva come universalizzazione di idee, conoscenze ed esperienze
originariamente cristiane. Questo fenomeno costituisce il realizzarsi della giusta distinzione
del mondo rispetto a Dio che lo ha creato: il cristianesimo pone fine alla divinizzazione del
mondo, propria del pensiero pagano e magico. Sottrae, quindi, l’uomo all’assoggettamento
alla legge e gli rivela di essere figlio di Dio, autonomo dal mondo e giustificato per fede. Il
mondo non esaurisce la totalità del reale, non è l’orizzonte ultimo dell’uomo che si scopre
così libero dal mondo (autonomo) e per il mondo (responsabile, in quanto figlio tra i figli,
della creazione affidatagli). E’ il dono della fede a giustificare l’uomo, rendendolo libero.
Gogarten distingue la secolarizzazione (libertà responsabile) dal secolarismo (libertà
arbitraria e sregolata) che valuta assai negativamente in quanto scristianizzazione e
degenerazione della prima.
Alcune di queste tematiche sono state prefigurate da Bonhoeffer nella sua trattazione
dell’etica, intesa come responsabilità, e nelle sue considerazioni sulla necessità di un
cristianesimo a-religioso in un mondo diventato adulto [1988]. Negli anni Cinquanta e
Sessanta, il dibattito teologico sulla secolarizzazione è stato molto acceso e ha coinvolto
parecchi studiosi appartenenti a varie chiese cristiane [Gibellini, cit., pp. 109-160].
Quel che ci interessa è il nocciolo, costituito dalla valutazione del rapporto tra fede
religiosa e Modernità che in quegli anni la teologia, in quanto riflessione della religione su se
stessa e sul mondo, ha percepito come decisivo. Era in gioco, insomma, il giudizio cristiano
sull’epoca moderna. Non a caso, quasi contemporaneamente a Gogarten, teologi cattolici del
calibro di Guardini e Rahner hanno affrontato la questione, pur senza usare il concetto di
secolarizzazione. dando risposte contrastanti. La pluralità di interpretazioni è semplificabile
raggruppandole in quattro orientamenti principali:
a) illegittimità della secolarizzazione come processo storico anticristiano (Guardini,
von Balthasar);
b) legittimità della secolarizzazione come processo storico anticristiano
(Blumenberg);
c) presa d’atto della secolarizzazione che comporta la necessità di un annuncio
cristiano slegato dalla tradizione ecclesiale e tradotto in termini “secolari”
(Robinson, Cox, Hamilton);
d) legittimità cristiana della secolarizzazione come processo storico messo in atto
dalla fede cristiana che richiede un aggiornamento pastorale, ma insieme,