3. Il concordato preventivo con cessione.
Fino a non molto tempo fa, l’unico strumento alternativo alla procedura fallimentare è stato il
concordato preventivo, istituto accessibile autonomamente dall’imprenditore in crisi e che
consiste in un accordo tra lo stesso e i suoi creditori basato sull’interesse del primo ad evitare il
fallimento attraverso una composizione concordata della crisi.
Come il fallimento, anche la disciplina concordataria è stata oggetto di forti modifiche a
partire dal 2005. Questi interventi hanno visto la volontà del Legislatore oscillare tra
l’esaltazione della negozialità, ergo l’interesse del debitore a regolare liberamente la propria
crisi, e l’esigenza di tutela del diritto di credito. Per questi motivi l’intervento realizzato
45 A chiusura di questa disamina è utile richiamare anche il disposto del comma 6 dell’articolo 47 L. 428/1990,
il quale attribuisce ai lavoratori non trasferiti a causa dell’accordo sindacale un diritto di precedenza nelle
assunzioni che il cessionario effettui entro un anno dalla data del trasferimento o nel periodo maggiore
stabilito dagli accordi collettivi, specificando comunque che nei confronti dei “vecchi” lavoratori neo-assunti
non trova applicazione l’art. 2112 c.c.
26
sull’istituto con il Codice della Crisi (precedentemente abbreviato CCII) va letto in un’ottica
positiva, ed è utile di conseguenza esaminare la disciplina anche antecedente all’entrata in
vigore del nuovo Codice, per quanto di interesse ai fini del presente elaborato.
Procedendo ad un esame comparato delle disposizioni relative al concordato preventivo
risulterà evidente come il Codice della Crisi abbia riorganizzato profondamente l’impianto
complessivo dell’istituto .
Le disposizioni di riferimento nel nuovo Codice si rinvengono nella Parte I, Titolo IV , Capo
III, articoli 84 ss. CCII. La differenza di formulazione dell’articolo 84 CCII (intitolato “Finalità
del concordato preventivo e tipologie di piano”) rispetto al precedente articolo 186-bis l. f. è da
subito evidente in quanto viene immediatamente sottolineata la possibilità, per l’imprenditore
richiedente, di proporre un piano concordatario <<che realizzi […] il soddisfacimento dei
creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale
mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad
un assuntore o in qualsiasi altra forma>>. In questo modo la continuità aziendale, diretta o
indiretta, assume un ruolo di primo piano tra le soluzioni alternative alla liquidazione
giudiziale e sarà perseguita laddove sia <<funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio
economico finanziario nell’interesse prioritario (ma non più esclusivo) dei creditori>>
46
.
Fatte queste dovute premesse, il raffronto tra la norma relativa al procedimento di cessione
unitaria dell’azienda nella disciplina fallimentare ex art. 163-bis l. f. e il nuovo articolo del
Codice sulle offerte concorrenti, art. 91 CCII, permetterà di percepire la quasi totale
uguaglianza delle disposizioni. Sebbene la forma sia sicuramente più ordinata nel nuovo art. 91
CCII è innegabile che il suo contenuto sia stato copiato integralmente dall’art. 163-bis l. f.,
senza apportare nulla di nuovo alla disciplina sotto quest’aspetto, ad esclusione del comma 10
dell’art. 91 CCII in cui viene specificato che, anche laddove venga indetta una gara per
l’aggiudicazione dell’azienda o del suo ramo, se non perverranno nuove offerte, il primo
offerente rimarrà vincolato nei termini di cui all’offerta presentata originariamente (ed inclusa
46 M. Greggio, “Il concordato in continuità aziendale”, in “Il nuovo codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza. La riforma del fallimento” (a cura di N. Abriani – S. Ambrosini) , supplemento a ItaliaOggi,
Milano, 23 Gennaio 2019, pag. 198.
27
nel piano di concordato). Probabilmente, l’inserimento del comma in questione è stato voluto
dal Legislatore per evitare l’insorgenza di dubbi circa la sussistenza di un obbligo del primo
offerente di aggiornare “automaticamente” la sua proposta all’apertura della gara, tuttavia la
dottrina antecedente al CCII aveva già considerato tale possibilità, scartandola (come osservato
nel paragrafo precedente).
La novità codicistica a cui prestare maggiore attenzione, viceversa, è costituita dal disposto
dell’articolo 84 CCII nella sua odierna formulazione. Più volte, nel corso della trattazione, è
stato sottolineato come il Codice della Crisi originario sia stato sottoposto a modifiche e
posticipazioni, prima di poter entrare definitivamente in vigore, e il primo articolo sul
concordato preventivo è uno dei frutti di questo processo.
Per distinguere l’ipotesi della continuità aziendale con cessione dell’azienda (cd. indiretta)
dall’ipotesi della continuità diretta il Legislatore aveva stabilito che, in riferimento ai rapporti
di lavoro, <<[…] è previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un
numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi
antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione>>.
Nella sua formulazione originaria la norma in questione aveva suscitato alcuni dubbi in
dottrina, specie in riferimento alla presunta assenza di tutele a garanzia della realizzazione
adeguata di questo strumento, la continuità indiretta, a salvaguardia del lavoratore. Una
riflessione simile dovrà ripetersi in riferimento alla tutela dei lavoratori nell’ambito
dell’Amministrazione Straordinaria, anche se le sfumature della questione sono differenti.
Mentre nell’A.S., ex art. 63 D.Lgs. 270/1999, l’obbligo di mantenere invariati i livelli
occupazionali (seppur per un periodo di tempo limitato) rientra tra gli obblighi contrattuali che
il futuro cessionario dovrà assumere nei confronti delle associazioni sindacali al momento della
cessione dell’azienda, nel vecchio progetto di concordato in continuità indiretta il
mantenimento dei lavoratori costituiva uno dei requisiti di ammissibilità della procedura, ergo
sarebbe dovuto sussistere finché il Tribunale non si fosse pronunciato sull’ammissione del
debitore al concordato (viceversa, se durante il concordato il debitore, o l’acquirente in caso di
cessione in corso di procedura, avesse operato licenziamenti ciò avrebbe costituito motivo di
28
revoca del concordato). Tuttavia, è sorta la questione di quali scenari si sarebbero potuti aprire
dopo l’omologazione. Secondo una parte della dottrina, il precetto in questione sarebbe stato
privo di efficacia
47
poiché la sua inosservanza non avrebbe causato la risoluzione del
concordato (l’obiettivo primario è sempre stato la soddisfazione dei creditori e, se questa non
fosse risultata intaccata da detta inottemperanza, non si sarebbe visto il perché avrebbe dovuto
risolversi il concordato).
In aggiunta, sarebbe stata bizzarra la risoluzione per una colpa addebitabile a un terzo
48
. La
dottrina di opinione opposta ha paventato, al contrario, che il concordato avrebbe potuto
risolversi “indirettamente” per inadempimento, anche del terzo cessionario. Secondo questi
interpreti l’inottemperanza della clausola occupazionale sarebbe valsa a trasformare il
concordato in liquidatorio
49
, e ciò avrebbe implicato il differente obbligo di rispettare le soglie
di soddisfazione percentuali previste per questa tipologia di concordato dal CCII (e in caso di
mancato rispetto di questi limiti il piano sarebbe stato rigettato per inammissibilità
sopravvenuta, oppure risolto, a seconda che la violazione si fosse verificata in data anteriore o
posteriore all'omologazione)
50
. Questa sarebbe stata, malgrado la correttezza del ragionamento,
un’ipotesi inverosimile: difficilmente i creditori avrebbero agito per la risoluzione se
l’inadempimento attuato non avesse inciso sulla loro soddisfazione, e poiché secondo l’articolo
47 G. B. Nardecchia, “Concordato preventivo e mantenimento dei posti di lavoro”, in “Il nuovo codice della crisi
d’impresa e dell'insolvenza. La riforma del fallimento” (a cura di N. Abriani - S. Ambrosini), Milano, 23
Gennaio 2019, pag. 187.
48 M. Arato, “Il concordato in continuità nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, in Il Fallimento, 7-
2019, pag. 855.
49 S. Renzi, “Una lettura lavoristica del concordato preventivo riformato dal Codice della Crisi d’Impresa e
dell’insolvenza”, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 4-2021, pag. 453 ss. sottolinea al riguardo <<[…]
come il vincolo sia utile al legislatore per perimetrare l'ipotesi di concordato «con continuità», alla quale si
applicano le misure premiali e non si applicano le soglie di cui al co. 4. In conseguenza di ciò, il mancato
rispetto del vincolo impedisce che venga integrata la fattispecie «con continuità», la quale sarebbe deficitaria
quanto al medesimo requisito occupazionale, con automatica applicazione della ben più gravosa disciplina di
cui al co. 4 sul concordato liquidatorio. Poco importa che il piano di concordato preveda, nella sostanza, la
prosecuzione dell'attività, dal momento che la qualificazione di «concordato con continuità», la quale porta in
dote l'applicazione della regolamentazione di favore sopra accennata, è riservata alle sole procedure che, inter
alia, rispettino l'anzidetto obbligo di mantenimento dei posti di lavoro. In altre parole, il requisito
occupazionale, siccome concorre a definire l'istituto del concordato «con continuità», ove non venga rispettato
impedisce l'integrazione della fattispecie e il concordato dovrà dirsi liquidatorio, almeno secondo un canone
tassonomico, senza che rilevi l'eventuale mantenimento in essere di una parte, più o meno consistente,
dell'attività d'impresa>>.
50 S. Ambrosini, “Il nuovo concordato preventivo: "finalità", "presupposti" e controllo sulla fattibilità del piano
(con qualche considerazione di carattere generale)”, in www.ilcaso.it, 25 Febbraio 2019.
29
119 CCII solo loro avrebbero potuto in vario modo richiedere la risoluzione, il problema non
sarebbe sussistito nemmeno.
L’excursus descritto permetterà una comprensione approfondita dell’inversione di rotta del
Legislatore e, quindi, delle ragioni alla base dell'odierna formulazione dell’articolo 84 CCII.
Per mezzo della disposizione del comma 2, per il quale la differenza tra continuità diretta e
indiretta risiede unicamente nell’identità del soggetto cui sarà affidata la prosecuzione
dell’attività d’impresa (<<l'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero
[...] soggetto diverso dal debitore in forza di cessione>>), oltre al disposto per il quale la
continuità, in senso assoluto, preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro, sono state
risolte le problematiche evidenziate dagli interpreti. In primo luogo, adesso non esiste più la
differenza di trattamento tra le due varianti di continuità ma, soprattutto, si è individuata una
soluzione al problema della possibile inottemperanza della salvaguardia dei lavoratori
semplicemente delegandola alla norma di raccordo col “sistema lavoristico”, l’articolo 368
CCII, recante le modifiche all’articolo 47 L. 428/1990. Il sistema di cui agli articoli 2112 c.c. e
47 L. 428/90 contempla, infatti, un principio di continuità
51
riferito all'interezza dei rapporti di
lavoro, i quali, nelle procedure conservative, transitano completamente al cessionario. Sul
punto non possono esservi ormai dubbi, vista anche la modifica del comma 4-bis dell'art. 47 L.
428/1990, per la quale, qualora venga raggiunto un accordo con i sindacati, l'art. 2112 c.c.,
trova applicazione, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni
che l'accordo preveda, dunque eventualmente anche derogando al medesimo art. 2112 c.c., ma
<<fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro>>. Parimenti, ove il trasferimento
d'azienda avvenga, sia pure in vista del piano di concordato, ma prima della presentazione del
ricorso, non operando il comma 4-bis, ma solo il disposto dell'art. 2112 c.c., nessuna deroga
alla norma che impone il trasferimento integrale dei rapporti di lavoro potrebbe essere
consentita
52
. In questo modo può dirsi risolta anche la questione dell’incompatibilità tra le
discipline degli articoli 84 CCII e 47 L. 428/1990, causata della presenza del “vincolo”
51 A. Preteroti,“Il principio di continuità dei rapporti di lavoro nella disciplina del trasferimento d'azienda in
crisi”, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1-2018, pag. 437 ss.
52 S. Renzi, “Una lettura lavoristica del concordato preventivo riformato dal Codice della Crisi d’Impresa e
dell’insolvenza”, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 4-2021, pag. 453 ss.
30
inerente alla tutela dei posti di lavoro solo “nella misura del possibile” (come disciplinato ex
comma 2 art. 84 CCII). In questo caso, così come avviene nella procedura di Amministrazione
Straordinaria, la disposizione del Codice della Crisi cede il passo al disposto dell’art. 47 L.
428/1990, norma inderogabile a tutela dei lavoratori subordinati nelle ipotesi di trasferimento
d’azienda (come si avrà modo di osservare nei capitoli successivi).
Per quanto riguarda la salvaguardia dei lavoratori post-perfezionamento della fattispecie
circolatoria, dunque per un fatto riferibile all'avente causa (cessionario, affittuario,
usufruttuario, etc.), non esiste ancora una norma che permetta di individuare un soggetto
specifico contro cui agire (cedente o cessionario) né quali potrebbero essere i parametri
dell'azione. Tuttavia, va precisato che qualunque causa di illegittimità del recesso dal rapporto
di lavoro interesserebbe solo un licenziamento eventualmente disposto per ragioni economiche,
dacché sarebbe irragionevole impedire all'imprenditore di licenziare un dipendente per motivi
disciplinari o ragioni soggettive che impediscano la prosecuzione del rapporto.
3.1 La cessione dell’azienda nel concordato preventivo secondo la disciplina della legge
fallimentare.
Sebbene il Codice della Crisi abbia riorganizzato sensibilmente la disciplina della cessione
d’azienda in seno alla procedura di concordato preventivo, come precisato in apertura del
paragrafo precedente, l’esame dell’istituto non potrebbe dirsi completo in assenza di
riferimento alla previgente regolamentazione. Grazie alla comparazione sarà possibile venire a
conoscenza di uno specifico profilo la cui utilità si spiegherà nel corso dello studio sulla
cessione delle aziende in esercizio nel corso della procedura di Amministrazione Straordinaria.
All’interno della legge fallimentare l’istituto del concordato preventivo è regolato dagli
articoli 160 l. f. e seguenti, che disciplinano, come per le altre procedure concorsuali, le
modalità di accesso, svolgimento, conclusione ed effetti della procedura in capo a tutti i
soggetti coinvolti
53
. Come per il fallimento, anche in questo istituto viene valutata la possibilità
53 Riassumendo sinteticamente, l’articolo 160 l. f. prevede che la procedura di concordato preventivo sia
ammissibile ove ricorrano determinati presupposti: a poter ricorrere alla procedura saranno solo gli
imprenditori che esercitano un’attività commerciale, con l’esclusione degli imprenditori agricoli e degli enti
31
che la crisi dell’imprenditore possa risolversi per mezzo del trasferimento di una parte o
dell’intero complesso aziendale a terzi cessionari. L’articolo a cui si sta facendo riferimento è il
186-bis l. f., introdotto dal D.L. 83/2012 e rubricato “Concordato con continuità aziendale”,
che al comma 1 stabilisce <<Quando il piano di concordato di cui all’art. 161, secondo comma
lett. e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione
dell’azienda in esercizio, […], si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può
prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio di impresa>>.
Le diverse ipotesi ex articolo 186-bis l. f. non costituiscono soluzioni differenti e dissociate
ma rientrano in un’unica fattispecie, la continuità aziendale, articolata in “sub-fattispecie”
54
definibili come continuità soggettiva, o diretta, e continuità oggettiva, o indiretta (cui fa capo
anche la soluzione del conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di
nuova costituzione). Su questa seconda soluzione si focalizzerà maggiormente l’attenzione.
Concluse queste dovute precisazioni, è necessario soffermarsi ulteriormente sul disposto
dell’articolo 186-bis l. f. per delineare un aspetto fondamentale del concordato in continuità
indiretta condiviso anche dalla disciplina della cessione aziendale nell’A.S., relativo
all’individuazione di quali imprese possono ricorrere a questa procedura. Infatti, affinché possa
parlarsi di cessione dell’azienda in seno al concordato preventivo in continuità è necessario che
l’azienda in questione sia “in esercizio”. Queste parole fanno riferimento ad un’azienda ancora
dinamica, funzionante e non statica
55
(con ciò riferendosi alla esclusiva esistenza dei beni
organizzati per l’esercizio d’impresa). Considerando che questi sono i due modi di concepire
l’azienda nelle diverse ipotesi in cui questa viene in rilievo, è irragionevole non soffermarsi
pubblici, come chiarisce in apertura il comma 1, articolo 1 l. f. (“Imprese soggette al fallimento e al
concordato preventivo); per quel che riguarda il profilo oggettivo, per essere ammesso al concordato
l’imprenditore deve trovarsi in stato di crisi (sebbene non vi sia un’esplicita definizione dello stesso nella
legge fallimentare, che si limita a prevedere che nell’ambito del concetto di stato di crisi è ricompreso anche
lo stato di insolvenza, che ne costituisce la fase più grave). Inoltre, affinché l’imprenditore venga ammesso
alla procedura di concordato, è anche necessario che rediga un piano di risanamento attraverso la
ristrutturazione dei debiti, ergo il soddisfacimento dei creditori, con le varie modalità già previste dal
medesimo articolo (tra cui rientra anche l’eventuale attribuzione delle attività delle imprese interessate ad un
assuntore).
54 V . Pettirossi, “Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità aziendale”, in Il Diritto Fallimentare,
2-2015, pag. 205 ss.
55 M. Greggio - R. Bonivento, “L’affitto di azienda e la continuità aziendale indiretta nel concordato preventivo:
opzioni interpretative e riflessi di natura fiscale”, ne www.ilcaso.it, 21 Aprile 2017.
32
sulla loro analisi per collegarli alla portata della norma in esame. Come avviene in altre
procedure concorsuali (nello specifico nell’articolo 63 D.Lgs. 270/1999, come si vedrà in
seguito) attribuire all’azienda la qualifica “in esercizio” impedisce l’inquadramento della stessa
tramite la nozione dell’articolo 2555 c.c., nel quale gli interpreti hanno individuato la
definizione di impresa “inerte”, proprio perché si fa esclusivo riferimento all’insieme dei beni
che potrebbero permettere l’esercizio di impresa vero e proprio. Viceversa, aggiungendo la
qualifica “in esercizio”, viene data vita all’impresa, con l’ulteriore precisazione che detta
vitalità è frutto dei rapporti che l’imprenditore instaura con terzi in funzione dell’esercizio
d’impresa
56
. Questa digressione consente di precisare che l’articolo 186-bis l. f. intende
“azienda in esercizio” come l’esercizio dell’attività d’impresa e quindi, affinché il concordato
preventivo possa essere qualificato in continuità aziendale, che esista un’attività economica di
cui l’azienda è <<momento […] essenziale e indeclinabile>>
57
che potrà essere veicolata a terzi.
La scelta legislativa di dare rilievo formale “all’azienda” (oggetto) piuttosto che “all’impresa”
(soggetto) ha una precisa giustificazione. Infatti da tempo persiste l’idea che non si possa
trasferire l’attività ma solo i beni tramite cui si realizza, poiché il titolo di imprenditore non è
“acquistabile”, ma sorge automaticamente in funzione proprio dell’attività svolta
58
.
4. Altre ipotesi di cessione dell’azienda.
Sebbene possa sembrare scontato, va chiarito che le procedure di liquidazione giudiziale e
del concordato preventivo non sono le uniche procedure concorsuali che prevedano la cessione
dei complessi aziendali. In questo senso, come si accennava all’inizio del capitolo, il Codice
della Crisi ha apportato notevoli trasformazioni all’impianto della precedente legge
fallimentare, anche attraverso l’introduzione di istituti volti ad anticipare la crisi delle imprese,
in modo da impedirne l’insolvenza. Nonostante questo, una volta limitato l’esame delle ipotesi
di cessione aziendale alle sole procedure “canoniche”, per tali intendendosi quelle regolate
56 L. Mandrioli, “L’affitto di azienda nel concordato preventivo”, in Giurisprudenza commerciale, 2-2019, pag.
364.
57 M. Casanova, “Impresa e azienda”, UTET, 1974.
58 T. Ascarelli, “Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa”, Giuffrè, 1962.
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