Introduzione. Finalità del lavoro. ii
marmi; all’estero tuttavia la pietra viene denominata in alcuni capitolati
“Marmo Travertino”, intendendosi per travertino il nome di origine
“Tiburtinus - Tivoli”.
Come materiale strutturale delle costruzioni del passato o come
materiale di rivestimento e di pavimentazione anche dei più significativi
edifici dei giorni nostri, il travertino ha sempre donato splendore
all’architettura ufficiale e celebrativa.
I materiali lapidei in generale, ed il travertino in particolare, rispondono
puntualmente a necessità di non provvisorietà ed a quel bisogno di autentico
calore e bellezza. Per i suoi caratteri di varietà di trama, di grana, di venatura,
di disegno, di sfumature, di colore e, in rapporto a questi, per i diversi modi di
lavorazione e finitura superficiale, esso si presta allo stesso modo sia per
decorazioni importanti che per ornamenti più semplici e familiari.
I pregi del travertino romano risiedono, in particolare, proprio nel buon
livello di prestazioni fisico-meccaniche che lo rendono un materiale di grande
versatilità.
Comunque, un discorso strettamente tecnico su questo materiale non
può trascurare quelle prerogative che affascinano l’uomo di oggi come quello
del passato e che hanno reso e rendono il travertino uno dei materiali lapidei
più pregiati ed apprezzati del mondo: la bellezza in assoluto ed il modo in cui
asseconda la ricerca espressiva di chi lo utilizza.
Le prospettive di sviluppo del suo impiego sono oggi orientate in modo
da comprendere quella che comunemente viene chiamata architettura minore o
architettura di tessuto.
Un aspetto particolare della competizione tra materiali da rivestimento
è rappresentato dal comportamento dei produttori di materiali ceramici, i quali,
per rispondere a una aspirazione del mercato, tendono sempre più a
incrementare l’imitazione delle superfici lapidee.
Introduzione. Finalità del lavoro. iii
Questo sta avvenendo in modo massiccio: sono imitati tutti i litotipi,
con la riproduzione dei cromatismi superficiali, con il ricorso a un crescente
supporto tecnologico.
È così riconoscibile, pur nella concorrenza di mercato, un
atteggiamento di “resa” verso la figuratività dei materiali lapidei naturali che
sono stati sempre imitati.
Tra le caratteristiche, quella della colorazione è una delle più importanti
per il travertino.
La domanda crescente di prodotti dalle caratteristiche superficiali
affidabili, la già citata concorrenza dei materiali ceramici, la richiesta di
standardizzazione da parte di alcuni mercati esteri, Stati Uniti, Medio Oriente
e Giappone in testa, richiedono un salto di qualità ad un settore che in alcune
sue componenti risulta ancora legato alla tradizione.
L’intento del presente lavoro è quello di fornire agli addetti ai lavori
parametri oggettivi, convalidati scientificamente, che permettano, con l’uso di
elaboratori elettronici e apparecchi di ripresa digitali, la classificazione e
certificazione delle differenti tipologie estetiche del travertino, compito ancora
oggi affidato all’esperienza e all’occhio degli operatori esperti del settore.
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 1
Capitolo I
La storia del Travertino Romano
1.1 Le origini nell’acqua
Una delle manifestazioni più evidenti e peculiari dei fenomeni vulcanici
è offerta dal termalismo: sorgenti d’acqua, spesso ricche di zolfo, che
fuoriescono a temperature elevate e che sono la testimonianza tangibile di
un’antica attività vulcanica non ancora esaurita.
La località laziale senza dubbio più significativa a tal proposito è il
territorio dei comuni di Tivoli e di Guidonia. Qui, oltre ad abbondare sorgenti
termali solfuree, conosciute fin dall’antichità per le loro proprietà curative,
sono presenti estesi depositi di travertino. Le enormi bancate di questo
materiale, la cui formazione è iniziata circa 160.000 anni fa, sono state
sfruttate fin dall’epoca romana.
Il termine “travertino”, secondo la norma UNI EDL 0083, sta ad
indicare una “roccia calcarea sedimentaria di deposito chimico con
caratteristica struttura vacuolare, da decorazione e costruzione”.
Le emanazioni gassose dei vulcani nello stadio della loro maggiore
attività sono composte principalmente da: acido cloridrico, nitrico, solforoso e
solforico; al diminuire della forza dei vulcani subentrano l’acido solfidrico, i
carburi di idrogeno e successivamente prende il predominio l’acido carbonico.
Le acque circolanti nei terreni vulcanici nell’ultimo periodo di attività
delle forze endogene disciolgono grandi quantità di acido carbonico passando
così acidulate attraverso le rocce calcaree preesistenti caricandosi di carbonato
di calce, per deporlo successivamente appena giungono a contatto con
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 2
l’atmosfera, quando l’acido carbonico libero si sprigiona in seguito alla
decomposizione del bicarbonato.
I primi precipitati sono talora accompagnati da altri minerali quali
bassanite, gesso, zolfo. Dalle acque termominerali precipita un materiale ad
alto tenore di stronzio e a bassissimo residuo insolubile, che forma delle masse
notevolmente porose e permeabili. Nel caso di precipitati aragonitici, non
appena il materiale non è più a contatto con le acque “madri”, si verifica una
pressochè istantanea trasformazione in calcite accompagnata dalla perdita di
circa metà dello stronzio inizialmente presente.
Si stabilisce, quindi, una circolazione, anche di tipo carsico, delle acque
vadose che inizialmente si limitano ad una parziale dissoluzione della calcite
primaria e, successivamente, precipitano nelle parti sottostanti una calcite a
tenori meno elevati di stronzio.
Questo ciclo si ripete ad ogni livello della serie e pertanto si forma,
nelle parti più basse, un materiale più povero di stronzio per la precipitazione
di calcite più pura e a bassa porosità per l’occlusione di quella primaria da
parte della calcite secondaria e del residuo insolubile.
Durante la precipitazione del carbonato, nel sedimento rimangono
inglobati resti vegetali (foglie, ramoscelli) e animali (frammenti di ossa). La
composizione paleontologica è molto ricca: si tratta di microfauna terrestre e
di acqua dolce tipica di clima temperato freddo, Aegopis italicus e Helix
Pachyphallus ligata (gli ostacodi sono tipici di acque poco profonde).
La successiva decomposizione e dissoluzione dei resti organici
conferisce al travertino l’aspetto poroso e spugnoso.
Esistono casi in cui il processo evolutivo descritto non può verificarsi o
essere ridotto al minimo. Ad esempio, da acque a bassissimo residuo fisso si
originano i livelli di “onice” di calcite.
Questo tipo di materiale è caratterizzato da una porosità quasi nulla che
lo rende praticamente impermeabile. Il materiale resta pertanto escluso da
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 3
qualsiasi circolazione di acqua e conserva inalterate tutte le sue caratteristiche
primarie.
Un altro caso di interruzione dei processi evolutivi è osservabile quando
si verifica un forte apporto terrigeno nelle fasi immediatamente seguenti la
prima precipitazione.
Tale apporto, costituito essenzialmente da materiali argillosi, porta alla
occlusione della porosità rendendo impermeabile il materiale che, pertanto,
non può assumere le caratteristiche di un travertino “puro”.
Analisi chimiche hanno mostrato che il travertino è composto per il
90% da CaCO
3
. Le dimensioni dei cristalli vanno dal micron ai 0,5 mm; le
altre sostanze presenti sono: ossidi di ferro e di manganese, carbonato di
magnesio, dolomite, alluminosilicati e silice.
Le piccole quantità di ferro presenti potrebbero spiegare la variazione
notevole che si ha nella colorazione; si passa infatti, come già accennato, dal
bianco latte al nocciola, al rosso-bruno, colorazione questa che deriva
probabilmente dalla ossidazione del ferro inizialmente presente come solfuro
nella fase di deposizione.
Le diverse colorazioni possono essere esaltate ed accentuate dai vari
tipi di lavorazione e di trattamento delle facce esterne.
Il gioco di luci e di ombre sulla superficie esposta del materiale
contribuisce ad esaltarne gli effetti cromatici tendenti al chiaro o allo scuro-
bruno, in una gamma vastissima di varietà derivanti dalla combinazione
“colore del materiale - qualità del materiale - lavorazione delle superfici”; tali
varietà vanno dalla scorza (la parte grezza esterna del blocco), lasciata a vista,
alla lastra lucidata di materiale molto compatto.
Quanto alle caratteristiche prestazionali del materiale, la normativa
italiana prevede l’esecuzione delle seguenti prove, allo scopo di stabilirne
l’idoneità e la classe:
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 4
- prova a rottura;
- prova d’urto;
- prova a flessione;
- prova a gelività;
- prova di usura.
Quanto alla durevolezza del travertino, cioè alla permanenza nel tempo
delle prestazioni del materiale, essa viene confermata da innumerevoli e
spesso millenarie utilizzazioni.
Con il passare del tempo viene a mancare la lucidatura iniziale ed il
travertino acquista una opacità bruno-grigia, caratteristica questa sempre di
gradevole effetto.
Tornando alle proprietà del travertino, e quindi ai livelli prestazionali
offerti dal materiale, si riportano (tabella 1.1.1) i dati ricavati in uno studio
condotto dal Centro di Studio di Geologia Tecnica del C.N.R.
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 5
Tabella 1.1.1: Caratteristiche fisiche del travertino romano (Ed.Anis, 1984)
Caratteristiche
Valori
Medio Max Min
Peso specifico reale (kg/m
3
) 2,688 2,743 2,654
Peso specifico apparente (kg/m
3
) 2,466 2,548 2,376
Grado di compattezza 0,917 0,960 0,866
Coefficiente di porosità (%) 8,26 13,38 3,99
Peso d’acqua di cui si imbeve la roccia
in % del peso materiale asciutto
dopo 1400 h di immersione
0,85
1,07
0,77
Volume d’acqua di cui si imbeve la roccia
in % del volume di materiale
dopo 1400 h di immersione
2,09
2,64
1,90
Resistenza a compressione: (kg/cm
2
)
- parallelamente alla stratificazione
- perpendicolarmente alla stratificazione
1027
839
1080
860
969
724
Resistenza a flessione: (kg/cm
2
)
- parallelamente alla stratificazione
- perpendicolarmente alla stratificazione
109
117
117
129
97
102
Modulo di elasticità longitudinale: (kg/cm
2
)
- parallelamente alla stratificazione
- perpendicolarmente alla stratificazione
488700
584300
502000
623400
469700
547800
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 6
1.2 Il bacino delle Acque Albule
Si chiama “Bacino delle Acque Albule”, quello slargamento sulla destra
della bassa valle dell’Aniene ad ovest di Tivoli, in cui defluiscono le sorgenti
ipotermali omonime. Esso è limitato dai monti Lucretili e Tiburtini ad est; dai
Cornicolani a nord; dall’arco collinare che da Formello, passando per Castel
Arcione, si prolunga fino ai dintorni di Lunghezza ad ovest; dal corso
dell’Aniene fra Lunghezza e Villa Adriana e da qui fino alla regione Regresso,
a sud.
Questo bacino (figura 1.2.1) è di forma ovale, con l’asse maggiore
orientato ad E.NE-O.SO., lungo circa 9 km, e col maggiore asse trasversale
lungo 7 km. La sua estensione è di circa 45 km
2
e la pendenza generale va da
nord verso sud (81-59 m) e da est verso ovest (73-30 m).
Il bacino è a sua volta scomponibile in quattro unità morfologiche
distinte:
• uno scudo travertinoso poco elevato (74 m), compreso tra la cerchia
occidentale, l’Aniene e la piana di Guidonia;
• un rilievo ghiaioso-travertinoso, che si eleva rapidamente da Ponte
Lucano verso Tivoli;
• il costone travertinoso delle Caprine, allungato da nord a sud,
limitato ad est e ad ovest da piani alluvionali e sopraelevato sui
restanti travertini;
• un anello, ampio da 1 a 3 km, depresso nei margini occidentale e
meridionale, costituito da alluvioni recenti, separante i tre complessi
ora ricordati dalla cerchia esterna, terrazzata, ad infrastruttura
mesozoico-pliocenica.
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 7
La zona delle Acque Albule è un campo di doline, alcune trasformate in
laghetti ora attivi ora prosciugati. Tra i primi, quello di S. Giovanni, i laghetti
“della Regina” e “delle Colonnelle”, sorgenti delle acque sulfuree dette albule
per il loro colore biancastro, lattiginoso.
Figura 1.2.1: Estratto da: “Modello Litografico-Strutturale della Regione Lazio”
scala 1:250.000. (legenda in Tabella 1.2.2.1)
Alla costituzione geologica del bacino prendono parte terreni di diverse
età. A nord e ad est la cornice del bacino risulta di sedimenti mesozoici,
principalmente di calcari massicci del Lias inferiore nei Lucretili e nei
Cornicolani; di calcari marnosi grigi del Lias medio; di calcari e straterelli di
selce e di calcari tipo “maiolica” del Giurese e del Cretaceo nelle propaggini
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 8
dei M. Cornicolani, Lucretili e Tiburtini; di calcari marnosi e marne del Lias
superiore e, probabilmente, del Cretaceo medio-superiore dei monti
Cornicolani e Lucretili.
Il complesso calcareo mostra, nel versante occidentale del terrazzo di
Tivoli, strati orientati NO-SE e immersione generale, con pendenze quasi
verticali, verso SO. Sopra questa superficie limite dei calcari mesozoici
avviene attualmente il salto delle acque dell’Aniene in corrispondenza della
Grande Cascata. I calcari mesozoici hanno comportamento carsico molto
accentuato, soprattutto quelli assai idrovori del Lias inferiore; le acque
raccolte nella loro area concorrerebbero ad alimentare il sottostante bacino
delle Acque Albule.
La bassa cerchia del settore nord-orientale del bacino è formata
prevalentemente di strati sabbioso-ghiaiosi o sabbioso-argillosi, già riferiti al
Pliocene per i fossili marini così abbondanti. L’infrastruttura della cerchia
settentrionale e occidentale della regione, quindi, è costituita da rocce
clastiche, fortemente erose, i cui strati hanno leggera pendenza verso sud e
sud-est; tale complesso presenta comportamento semipermeabile.
La maggior parte dei terreni affioranti nel Bacino delle Acque Albule è
però di origine pleistocenica; vi sono rappresentati sedimenti di origine
alluvionale, vulcanica e di deposito chimico.
Tra i primi sono notevoli le ghiaie calcaree e subordinatamente silicee,
più o meno cementate. Si tratta di formazioni di origine mista: detriti di falda a
piè delle montagne calcaree; conoidi di deiezione in connessione con antiche
foci dell’Aniene e di altri corsi d’acqua. La formazione deriva talora dal
rimaneggiamento, a breve distanza, dei ciottoli dei conglomerati pliocenici,
spesso fortemente cariati e decalcificati. Tali rocce rientrano tra quelle
permeabili.
Nella regione in esame sono riconoscibili i prodotti lavici e tufacei
appartenenti a diverse fasi di attività dei vulcani del Lazio, specialmente di
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 9
quello “Laziale”. I tufi “antichi”, rappresentati dalla varietà “granulare”, talora
a struttura vacuolare per asportazione delle leuciti alterate, e dagli orizzonti a
pomicette bianchicce (il cosiddetto “granturco”), affiorano e scompaiono per
brevi tratti.
Del complesso piroclastico, che rappresenta le distinte fasi esplosive del
Vulcano Laziale, sono prevalentemente sviluppate la “pozzolana rossa” e il
“tufo litoide da costruzione”. Lo spessore della pozzolana è variabile fra 1 e 12
m; andando verso est, però, l’appoggio della pozzolana sui tufi antichi non è
più visibile, mentre si osserva sempre la copertura del tufo litoide,
saltuariamente con l’intermediario del conglomerato giallo e della pozzolana
grigia e nera. Il tufo litoide rosso riaffiora spesso sotto al travertino in alcune
cave.
Riassumendo si può dire che tutte le collinette, che seguono l’arco
esterno del bacino, hanno un nocciolo di sabbie gialle plioceniche o
calabriane, avvolto dalle pozzolane rosse, a cui generalmente succedono altri
tufi, soprattutto gli inconfondibili banchi di tufo litoide.
Le rocce effusive sono rappresentate dalla leucitite normale, sono
prevalentemente permeabili.
1.2.1 Il complesso travertinoso
Si chiama complesso “conglomeratico-travertinoso-tartaroso” quella
unità stratigrafica che, pur potendo differire localmente per i suoi diversi
elementi litologici, intesi in senso stretto e per particolari aspetti della loro
genesi, costituisce tuttavia una formazione caratterizzata, prevalentemente, dal
deposito chimico di carbonato di calcio più o meno puro, talora misto a
materiale clastico più o meno grossolano.
La formazione è di origine mista: alluvionale o chimico-lacustre da
acque fredde, chimica da depositi di acque termo-minerali.
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 10
La sua base appoggia verso est sui calcari mesozoici e sui conglomerati
pliocenici; nell’area centrale sui tufi litoidi da costruzione, mentre ad ovest
non sono chiari i rapporti di giacitura con le rocce più antiche a causa del
contatto da parte del materiale alluvionale più recente, che segue il contorno
della formazione travertinosa. Il complesso delle Acque Albule è quindi
discordante sui terreni più antichi e il suo deposito è perciò avvenuto dopo la
terza erosione, nella storia del Vulcano Laziale, susseguita al deposito del tufo
litoide.
Tra il salto del terrazzo di Tivoli e il ponte dell’Acquoria l’Aniene
scorre in una valle incisa in una formazione prevalentemente costituita da
calcari di incrostazione. Trattasi principalmente di strati orizzontali di un
travertino impuro, sabbioso o argilloso, gialliccio, formato da esili straterelli
alternati dei quali alcuni formati da cristallini di calcite disposti tra loro
parallelamente e normalmente ai piani di stratificazione. Tale roccia è
conosciuta nella zona di Tivoli con il nome di “tartaro”. Alternati si trovano
straterelli e spalmature a struttura cellulare o di aspetto di muschi; strati e lenti
sabbiose o argillose, talora calcaree polverulente bianchicce o rossicce; poco
frequentemente strati di travertino compatto.
Il terrazzo a pianta triangolare allungata, che è compreso tra il corso
dell’Aniene e la via Tiburtina, e fra Ponte Lucano e Tivoli, è costituito, in
superficie, da una caratteristica formazione in cui sono molto sviluppati i
calcari di incrostazione intorno a corpi cilindrici o ad accumuli di ghiaie.
Andando verso sud le ghiaie, talora fortemente cementate, diminuiscono,
passando a travertino sabbioso color marrone, molto o poco cementato. Sulla
riva destra dell’Aniene, invece, si è sviluppato un travertino granulare, quasi
arenaceo, di tipo oolitico, alternato al tartaro. Dagli affioramenti presenti nel
bacino deriva che il travertino stratificato è più antico di quello a incrostazioni
e ghiaioso.
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 11
Si conoscono diverse varietà di travertini: da quelli più o meno porosi, a
grandi e piccole cavità, ad altri aventi aree abbastanza compatte, a
stratificazione più o meno evidente, ma generalmente in banchi orizzontali o
leggermente inclinati verso sud, ricoperti spesso da “tartari”, di spessore
variabile fra qualche decimetro e alcuni metri.
È da presumere che i veri travertini siano poco sviluppati in profondità,
nel settore compreso tra l’Aniene, la via di Palombara e il versante nord-est
del Bacino delle Acque Albule. Il travertino giallastro o grigiastro, talora
friabile, quello compatto generalmente bianco, riappare, soprastante al tufo
litoide, da Ponte Lucano a Villa Adriana. Ad ovest di queste il travertino è
ricoperto da alluvioni sabbiose e da tufi rimaneggiati, per riaffiorare
nell’esteso settore delle Acque Albule, dove sono aperte le cave del Barco e
delle Fosse.
Alle Caprine il travertino ha notevole spessore, prevale quello duro,
grigiastro; i banchi presentano frequenti litoclasi verticali e cavernosità più o
meno accentuate, tappezzate di calcari concrezionati. Tali soluzioni di
continuità determinano una condizione di accentuata permeabilità idrica, per
cui la formazione, nell’insieme, è da considerarsi molto permeabile.
Nei travertini, fin dalla seconda metà dell’ottocento, sono stati rinvenuti
fossili di vegetali, invertebrati e vertebrati. La maggiore diffusione spetta ai
resti vegetali, sia in impronte, specialmente foglie, che in modelli esterni di
fusticini che si mostrano come cavità cilindriche, incrostate di straterelli di
carbonato di calcio alternatamente puro e bianchiccio, terroso e variamente
colorato. Impronte di foglie si trovano nel travertino grigio delle cave delle
Fosse e delle Caprine, insieme a fusticini di graminacee, coricati in direzioni
corrispondenti all’andamento delle correnti di acque incrostanti. I fusticini o i
grossi tronchi di piante sono frequentemente incrostati di tartaro, con
straterelli alternati che possono indicare periodi stagionali diversi in cui
Capitolo I. La storia del Travertino Romano. 12
l’acqua era più o meno torbida; talora rimane conservata la rugosità del tronco
o la sostanza carboniosa.
Tra i resti di invertebrati prevalgono i gusci sottili e bianchicci di
molluschi di acqua dolce.
Nei travertini delle Acque Albule non mancano, d’altra parte, resti
fossili di mammiferi, rinvenuti sia nel travertino compatto, che nel cosiddetto
“travertino rosso”, che costituisce un materiale di incrostazione e di
riempimento di spaccature nel primo.
Dall’elenco dei fossili vegetali e animali che è stato possibile rinvenire
nel Bacino, così simili a specie tuttora viventi e per la maggior parte ancora
abitanti nella regione, si deduce come il clima di formazione del complesso
travertinoso fosse leggermente più caldo di quello attuale.
1.2.2 Morfologia e idrografia del bacino delle Acque
Albule
Nel bacino delle Acque Albule la nota dominante della cornice calcarea
mesozoica è la profilazione di piani orizzontali allungati da nord a sud,
costituenti diversi ordini di terrazzi di modellamento pre-pliocenico.
A questi piani ne succedono altri, costituenti un sistema sui 250-180 m,
scolpiti sopra i calcari mesozoici, testimonianti superfici di abrasione del mare
pliocenico e relitti di erosione sui sedimenti lasciati da questo mare.
Le acque superficiali della regione in esame, eccetto il corso
meandriforme dell’Aniene che ha andamento quasi est-ovest, corrono in
generale secondo la direzione nord-sud. Ciò si verifica soprattutto per la
posizione dell’area travertinosa, i cui strati sono leggermente inclinati verso
sud; il rilievo di questa formazione, d’altra parte abbastanza idrovora,
costringe le acque superficiali a un decorso stentato ed a impantanamenti.