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INTRODUZIONE
«La difficoltà non sta nel credere alle nuove idee,
ma nel fuggire dalle vecchie»
J.M Keynes
Corre l’anno 2020: l’anno del caos, l’anno in cui persone molto diverse tra loro
per età, formazione, esperienze, mentalità, cultura, si sono trovate a dover
fronteggiare problemi inaspettati divenuti comuni, a dover combattere
quotidianamente con l’incertezza. Un’incertezza che, in realtà, è già da tempo
diventata parte integrante della vita di tutti noi: la tecnologia 4.0 sta
trasformando rapidamente interi settori, dall’industria alla sanità,
dall’intrattenimento alla finanza, dalla pubblica amministrazione alle aziende
private. Essa irrompe nella nostra quotidianità, cambia le nostre abitudini e i
nostri modi di pensare ed agire; incrementa la complessità della vita, delle attività
da svolgere e delle scelte da compiere. È oramai diffusa la consapevolezza
dell’importanza sociale del cosiddetto “triangolo della conoscenza” (istruzione,
innovazione, ricerca) nel promuovere la crescita economica e l’occupazione. Ai
sistemi educativi spetta il compito fondamentale di creare le condizioni ideali
per lo sviluppo di tutte quelle abilità trasversali (Soft Skills), capacità (pensiero
critico, creatività, problem solving, capacità d’indagine e di imparare nella
relazione) e attitudini richieste dal mondo del lavoro e dalla società stessa, realtà
in continuo e repentino mutamento. La domanda che sorge spontanea è: i
sistemi educativi, che devono garantire ad ogni individuo la possibilità di
realizzarsi nel proprio contesto di vita, sono in grado di insegnare a rapportarsi
con la complessità, con situazioni nuove, a orientarsi nel vasto mondo di scelte,
opzioni, cambi di rotta improvvisi? Possono rendere le persone in grado di
compiere il proprio percorso di vita in maniera positiva e significativa, nel
rispetto delle diversità?
Ciò che è stato possibile riscontrare in questi ultimi anni e che si è poi palesato
con forza durante la drammatica esperienza del lockdown, attuato in Italia e in
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Europa, per contenere il dilagare della pandemia Covid-19, è una profonda
distanza tra scuola, società e mondo del lavoro. Prevale un sistema educativo
basato ancora sulla linearità, sul conformismo, sul principio di prestazione e sul
“compromesso della risposta giusta”; una scuola che si accontenta della
riproduzione di un sapere decontestualizzato e astratto. La conoscenza
scolastica è ciò in cui si riesce bene a scuola ma che resta inerte al di fuori;
raramente uno studente sfrutta le conoscenze o procedure apprese a scuola per
affrontare situazioni o problemi reali; raramente è in grado di generalizzare e
attualizzare ciò che apprende in classe.
Questo elaborato è stato concepito proprio in un periodo di estrema incertezza
e complessità di cui ancora non è possibile prevederne le conseguenze. Esso
nasce da una consapevolezza: emerge una nuova configurazione della realtà
sociale, costantemente interconnessa e complessa, ed in conseguenza a ciò i
sistemi formativi hanno la necessità di adattarsi ai mutamenti cui stiamo
assistendo per rispondere adeguatamente ai bisogni emergenti delle comunità e
per affrontare le nuove esigenze educative della società complessa. Più facile a
dirsi che a farsi: la pandemia che ha colpito il mondo e costretto i sistemi
formativi di ogni ordine e grado a riorganizzarsi per assicurare continuità agli
apprendimenti, ha riportato in luce le principali criticità che caratterizzano
l’intero paradigma educativo: isolamento sociale e territoriale, autoreferenzialità,
scarsa conoscenza dei meccanismi basilari e degli aspetti emotivi
dell’apprendimento, scarsa attenzione alle variabili organizzative, diffidenza e
marginalità nell’uso delle tecnologie, resistenza alle spinte di innovazione
didattica, strutturale ed organizzativa, burn-out degli insegnanti, abbandono
scolastico e scarsa considerazione delle numerose sperimentazioni effettuate in
questi anni.
L’obiettivo generale di questo lavoro è partire dall’individuazione delle principali
criticità emerse nel mondo dell’istruzione durante il lockdown per sollecitare
una seria e profonda riflessione sulla necessità o meno di cambiare il paradigma
educativo, di individuare gli aspetti fondamentali su cui dovrebbe focalizzarsi la
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ricerca psicologica, pedagogica ed educativa, offrire spunti per nuovi progetti e
sperimentazioni riportando in luce anche teorie, modelli e paradigmi che seppur
datati (dalla pedagogia della Montessori e di Dewey al costruzionismo di Papert;
sino al modello di Ridescrizione Rappresentazionale di Karmiloff Smith; dal
modello di sviluppo cognitivo di Piaget alla teoria delle intelligenze multiple di
Gardner) si dimostrano estremamente attuali e mai applicati in maniera
significativa nonostante le evidenze empiriche e le conferme da parte di recenti
studi nel campo neuroscientifico e psicologico.
Le domande fondamentali su cui si incentra l’elaborato sono:
- È possibile e realmente necessario rivoluzionare l’intero sistema educativo e
d’istruzione?
- Cosa significa “rivoluzionare” il sistema educativo?
- Come può avvenire tale rivoluzione?
- Che ruolo ha la tecnologia in questa rivoluzione?
Attraverso un’analisi delle conseguenze e degli effetti psicologici della chiusura
delle scuole e delle università si è cercato di mettere in evidenza il ruolo centrale
che ha il sistema educativo nel preparare ogni individuo a vivere ed affrontare
l’incertezza del presente e del futuro. Sono stati descritti i principali progetti, le
iniziative e le risorse messe in campo a livello nazionale e mondiale per garantire
il diritto all’istruzione, soprattutto la didattica a distanza (DAD), illustrandone
le implicazioni operative e psicologiche e le principali criticità emerse. A tale
scopo sono stati riportati i risultati parziali di studi e ricerche condotti sia in
territorio nazionale che internazionale, ed ancora in corso; ma anche i risultati
di ricerche-azione in ambito scolastico e studi sulle dinamiche psicologiche della
formazione a distanza. Ciò che viene da chiedersi al termine del primo capitolo,
in riferimento alla situazione italiana, è: perché, nell’era della digitalizzazione e
dell’innovazione, la necessità di ricorrere alla DAD ha trovato tutti impreparati
e ha gettato nello sconforto dirigenti, insegnanti e genitori? Perché la maggior
parte degli studenti e dei docenti, seppur abituati alla tecnologia digitale, non è
riuscita a trarne benefici? Perché l’applicazione della DAD ha accentuato delle
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disuguaglianze già ravvisabili all’interno delle classi (disuguaglianze di carattere
socio-economico e psicologico). Eppure il processo di digitalizzazione delle
scuole in Italia è in realtà stato avviato già da tempo, precisamente nel 2007,
quando si è iniziato a discutere il Piano Nazionale per la Scuola Digitale,
diventato poi un pilastro della legge “La Buona Scuola” e purtroppo non ancora
realizzato totalmente.
È stato dunque necessario soffermarsi anche sullo stato di digitalizzazione ed
innovazione delle organizzazioni scolastiche in Italia per comprendere molte
delle difficoltà operative riscontrate con la DAD. Da qui si è passato a riflettere
sul rapporto tra digitalizzazione, innovazione ed istruzione e sul ruolo che la
tecnologia, soprattutto quella digitale, ha nello sviluppo e nei processi di
apprendimento umani. A tal scopo sono stati analizzati i dati riportati nel
rapporto AGCOM 2019 “Educare Digitale”, ed il “Global Education Monitoring
Report 2020” dell’UNESCO; inoltre, sono state approfondite diverse teorie
classiche dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo, sono stati citati modelli
pedagogici che seppur datati risultano attuali (da Dewey alla Montessori). Sono
emersi rischi ma anche e soprattutto le potenzialità che la tecnologia presenta e
che vanno sfruttate per costruire percorsi didattici innovativi e realmente
efficaci, puntando all’integrazione tra benefici legati all’uso della tecnologia (in
particolare le ITC) ed etica, giudizio e creatività umani.
Infine, partendo dalle premesse di una rivoluzione del sistema scolastico, si è
presentato un nuovo modello educativo generale, definito “agreste”, un modello
organico caratterizzato da flessibilità, innovazione, creatività, dinamismo,
profondità, rispetto e sviluppo della diversità. Si sono descritti i principali
requisiti di tale modello, basandosi principalmente sulla possibilità di integrare
alcune delle più importanti teorie dell’intelligenza e dell’apprendimento (e
relative implicazioni educative) con i più recenti studi neuroscientifici; su una
breve rassegna di studi relativi a: creatività e pensiero divergente, educazione alla
complessità e sviluppo della capacità d’indagine negli studenti. Sono stati
analizzati tutti quegli aspetti dell’organizzazione scolastica e didattica considerati
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critici e che risulta prioritario rivoluzionare per poi individuare le principali
caratteristiche e finalità che dovrebbe avere il nuovo curricolo scolastico, sulla
base soprattutto delle teorizzazioni e degli studi e delle sperimentazioni del
pedagogista Dewey e degli psicologi Wiggins e Gardner.
I quattro capitoli di cui si compone l’elaborato vanno intesi come
approfondimenti teorici, come prospettive diverse di attraversamento di un
unico problema essenziale: cercare di capire se è necessario rivoluzionare il
sistema educativo italiano (e non solo); guardando anche a modelli alternativi e
dimostratisi efficaci di “fare scuola” (il modello finlandese, il metodo
Montessori, ad esempio). Si vuole cercare di capire se il cambiamento sia
necessario e in quale direzione si debba andare.
Sullo sfondo di tale lavoro, a creare una sorta di telaio che unisce i vari argomenti
trattati, si hanno:
- la Quarta Rivoluzione Industriale e i relativi cambiamenti del contesto socio-
economico;
- la pervasività della tecnologia digitale nella quotidianità, tanto da portare
alcuni studiosi ad ipotizzare lo sviluppo di una nuova intelligenza, quella
digitale;
- lo sviluppo della “Società della conoscenza”, caratterizzata da accelerazione,
globalizzazione e complessità;
- le principali normative europee ed italiane che affidano un ruolo centrale
all’educazione ed alla formazione nel rendere l’Europa l’economia più
competitiva e dinamica del mondo, nel promuovere l’apprendimento
permanente, nello sviluppare competenze (digitali e non) considerate cruciali
nel mondo 4.0.
L’intento di analizzare alcune teorie riguardanti l’apprendimento umano e di
presentare alcune iniziative e tentativi di innovazione del modello scolastico ed
educativo (viene citata in maniera più approfondita la metodologia della
“Flipped Classroom”), non è un intento prescrittivo ma piuttosto si pone come
occasione di offrire idee, spunti, modelli che possono essere integrati o rivisitati
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a seconda delle esigenze e delle risorse a disposizione. Il rischio maggiormente
temuto è che venga a mancare un punto di riferimento, che si possa cadere nel
caos e nella disorganizzazione. Tuttavia quello che si intende ribadire è che
ormai è evidente l’incongruenza tra il modello educativo tradizionale e la realtà
che stiamo vivendo; nonostante la resistenza al cambiamento dimostrata dalla
maggior parte delle organizzazioni scolastiche, il processo di innovazione è
inevitabile ed in alcune realtà sono state già avviate delle sperimentazioni che
danno risultati positivi in riferimento a creatività, motivazione intrinseca (di
studenti e insegnanti), scambio di buone pratiche tra scuola e mondo
dell’impresa. Continuare a negarlo sarebbe improduttivo e deleterio. È vero che
non esiste un unico modello da seguire ma tanti e di non sempre facile
applicazione, ma sono tutti flessibili ed integrabili. Si sostiene che sia arrivato il
momento di avviare un vero e proprio movimento nell’educazione in grado di
coltivare talenti e creatività e che sappia promuovere realmente l’empowerment
di ogni studente ed insegnante. Resta da capire come è possibile attualizzare tale
rivoluzione, se partire dalle riforme dei sistemi tradizionali o creare entità
alternative che dimostrino, nel tempo, la loro efficacia.
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CAPITOLO 1
LA SCUOLA AI TEMPI DEL COVID-19
1.1 Covid-19 e lockdown in Italia e nel mondo.
Nel novembre 2019 (probabilmente anche prima), nella provincia cinese di
Wuhan, inizia a circolare un agente patogeno sconosciuto, un nuovo
coronavirus, nominato Sars-Cov-2. In breve tempo viene registrato nella
popolazione cinese, un elevato numero di polmoniti “anomale”, non ascrivibili
ad altri agenti eziologici. Il 21 gennaio 2020 le autorità sanitarie locali e l’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) annunciano che il nuovo coronavirus,
passato probabilmente dall’animale all’essere umano, si trasmette da uomo a
uomo. I contagi fuori dalla Cina sono ancora limitati e circoscritti, tuttavia
aumentano molto velocemente; il rischio di epidemia passa da moderato a molto
alto e alla fine di gennaio l’OMS dichiara lo stato di “emergenza sanitaria
pubblica di interesse internazionale”.
Nel febbraio 2020 viene dato un nome alla nuova malattia: Covid-19 e si
registrano i primi casi anche in Italia (nel Lazio e in Lombardia) e nel resto del
mondo.
Nel giro di un mese le terapie intensive dei maggiori ospedali italiani vengono
saturati a causa dei nuovi casi di polmoniti da nuovo coronavirus: è emergenza
sanitaria. E questo accade in tutto il mondo; così l’11 marzo viene annunciato
lo stato di pandemia, alla quale se ne aggiunge un’altra: quella mediatica; tutti i
mezzi di comunicazione vengono intasati da news e fake news riguardanti il
COVID-19.
In Italia, in seguito al DPCM 4 marzo 2020 inerente le “Misure per il contrasto e il
contenimento sull’intero territorio nazionale del virus Covid-19”, il Premier Giuseppe
Conte annuncia al Paese che l’Italia è interamente “zona protetta” e che occorre
limitare il numero di contagi: viene imposta la chiusura delle scuole, delle
università e della maggior parte delle aziende; ai cittadini viene consentito di
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uscire solo per esigenze lavorative, per fare la spesa, acquistare farmaci o per
importanti motivi di salute.
Il “lockdown” in Italia durerà sino all’8 maggio; data che segna l’inizio di una
lunga e difficile ripresa, ancora oggi in atto. I dati statistici globali riportano un
totale di 12.315.848 casi (dati aggiornati al 9 luglio 2020) in tutto il mondo.
I provvedimenti di “chiusura” nazionale sono stati presi dalla maggior parte dei
Paesi europei e del mondo, che si è letteralmente fermato.
Che cosa accadrà domani non è dato sapere ma è certo che questo evento ha
avuto un impatto fortissimo sulla società e sull’economia globali a causa delle
interruzioni che ha comportato: milioni di bambini e giovani nel mondo non
hanno potuto proseguire da casa le attività scolastiche; le famiglie in difficoltà
sono aumentate notevolmente; la necessità di rispettare gli obblighi di
quarantena e limitare gli spostamenti ha spinto ad un uso massiccio del lavoro
agile, definito come il più grande esperimento di “smart working” nel mondo;
in molti paesi sono state registrate carenze di approvvigionamento di farmaci,
beni alimentari e manifatturieri a causa del blocco delle fabbriche. Da non
sottovalutare sono anche gli effetti psicologici dell’isolamento sociale e della
chiusura delle scuole sui più vulnerabili, sui bambini, adolescenti e anziani.
Queste sono solo alcune delle gravi conseguenze di questa pandemia e grandi
sfide attendono di essere affrontate. Una delle questioni più scottanti e delicate
emerse nello scenario italiano, e non solo, è la reazione del mondo dell’istruzione
al lockdown. La questione “scuola”, in Italia, ha suscitato grandi dibattiti ed ha
richiesto un notevole impegno per essere affrontata, da parte della politica, oltre
che dalle famiglie, dai docenti e dirigenti scolastici. Si è palesata con forza la
condizione di isolamento in cui si trovano le scuole italiane e la loro scarsa
resilienza e flessibilità e si è messa in evidenza la grande difficoltà del sistema
scolastico di restare al passo con i rapidi cambiamenti socio-economici che
stanno avvenendo a livello globale e, dunque, di offrire un’adeguata offerta
formativa ai giovani e ridurre al minimo la dispersione scolastica. È sempre più
profondo il gap esistente tra scuola e mondo del lavoro, tra scuola e società,
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nonostante gli esperimenti e i provvedimenti già presi nel corso del tempo da
parte del MIUR
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, nel tentativo di ridurre questa distanza.
La pandemia “Covid-19” ha aggravato la crisi educativa che affligge l’Italia e
molti altri Paesi nel mondo; quindi, oltre a rispondere all’attuale emergenza, si è
reso necessario fare in modo che gli sforzi messi in atto per garantire il diritto
allo studio e la continuità delle attività didattiche a tutti i livelli d’istruzione
gettino le basi per un processo di costruzione di sistemi educativi più aperti,
inclusivi, flessibili e resilienti in maniera stabile per il futuro.
1.1.1. Conseguenze ed effetti psicologici della chiusura delle scuole.
L’UNESCO ha posto l’attenzione sulle conseguenze negative della chiusura
delle scuole e università, come uno dei mezzi per contenere i contagi:
- Interruzione dell’apprendimento e privazione di opportunità di crescita e
sviluppo, soprattutto per i bambini e giovani svantaggiati.
- Nutrizione: molti bambini e giovani, con gravi difficoltà socio-
economiche, si affidano a pasti gratuiti o scontati forniti nelle scuole per il
cibo.
- Confusione e stress per gli insegnanti, incerti sui loro obblighi e su come
mantenere i legami con gli studenti. La transizione verso piattaforme di
didattica a distanza è spesso incerta e frustrante a causa di mancanza di
linee guida, di risorse, supporto e preparazione tecnica.
- Impreparazione dei genitori all’educazione a distanza e alla scolarità a casa:
i genitori sono invitati a facilitare l’apprendimento dei bambini a casa e
sembrano faticare in questo compito, soprattutto per chi ha un’istruzione
e risorse limitate.
- Sfide che creano, mantengono e migliorano l’apprendimento a distanza: la
domanda di apprendimento a distanza è cresciuta rapidamente intasando i
portali esistenti dell’istruzione da remoto, questo crea grandi sfide sia a
livello umano che tecnico.
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Cfr. PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) previsto dalla legge n. 107/2015 sulla “Buona Scuola”