4
Introduzione
Sul significato e sulle funzioni del lavoro si sono espresse, fin dai filosofi della
società antica ai giorni nostri, visioni contrastanti appartenenti a modelli di società
profondamente differenti.
Gli individui lavorano per soddisfare le proprie esigenze: lavorare infatti è prima di
ogni altra cosa, una fonte di guadagno e, per questo, una necessità. Inoltre, l‟attività
lavorativa rappresenta un impiego delle proprie energie fisiche ed intellettuali e un
modo per strutturare la propria giornata. Per queste e molte altre ragioni, la
condizione di “mancanza del lavoro” modifica necessariamente il benessere
generale dell‟individuo.
Attualmente il fenomeno della disoccupazione sta assumendo proporzioni
drammatiche (in base alle stime Istat in Italia, ad ottobre 2010 il tasso è arrivato al
8,6%
1
) e rappresenta un problema della nostra società che tocca la sfera più
profonda della persona.
A seguito di un periodo favorevole di piena occupazione, individuato nel trentennio
che ha seguito la seconda guerra mondiale, si è affermata l‟età della precarietà e
dell‟insicurezza sociale.
Risulta interessante esaminare gli aspetti riguardanti il benessere psicologico del
disoccupato e concentrarsi su quelle problematiche correlate al suo stato di
inattività.
1
Dato aggiornato a febbraio 2011.
5
Gli studi sulla disoccupazione, infatti, evidenziano come il disagio legato alla
perdita del lavoro sia in grado di generare nell‟individuo una spirale di fallimento e
inadeguatezza che porta alla progressiva perdita delle proprie sicurezze, un
progressivo isolamento sociale e una sempre più evidente tensione nei rapporti
familiari.
Per la comprensione di alcuni aspetti di questo problema, le discipline psicologiche
e psichiatriche possono offrire concettualizzazioni teoriche e risultati di ricerche
empiriche. Da un punto di vista psicosociologico si può dire che l‟individuo tende a
costruire una rappresentazione di sé sulla base dei ruoli che sente propri. Da queste
selezioni si sviluppano il prestigio, la sicurezza in se stessi e altre dimensioni
importanti per l‟integrazione sociale, mentre la sensazione di essere in grado di
adempiere in modo soddisfacente ai ruoli sentiti come propri sviluppa l‟autostima.
Queste formulazioni portano a prevedere che gli effetti del lavoro e del non lavoro
si produrranno a due livelli:
- a livello dell‟integrazione sociale, connesso con il prestigio, la sicurezza in se
stessi, ecc.
- a livello dell‟immagine di sé e dell‟identità, connesso con l‟autostima.
L‟intensità di questi effetti sarà proporzionale al significato maggiore o minore che
il ruolo lavorativo ha per i diversi individui.
Le ricerche sugli effetti psicologici - psichiatrici della disoccupazione confermano
queste previsioni, evidenziando anche l‟importanza di quello che è l‟atteggiamento
generale dell‟opinione pubblica verso i disoccupati.
6
Sulla base di quanto detto la mia tesi si fonda sul ruolo centrale assunto dal lavoro
nel percorso di vita dell‟individuo.
Nello specifico, nel primo capitolo esamineremo l‟evoluzione del concetto di
lavoro nella storia e da un punto di vista legislativo, con una panoramica del
mercato del lavoro nel contesto italiano e dei suoi cambiamenti.
Nel secondo capitolo indagheremo la definizione e il concetto di ruolo e identità, le
relazioni tra essi connesse e il loro modificarsi durante le fasi di transizione
lavorativa.
Il terzo capitolo sarà dedicato al fenomeno della disoccupazione; verrà esaminata la
percezione che un individuo disoccupato ha di sé, in particolare in riferimento a due
categorie: i giovani e gli over 45.
Il quarto capitolo sarà dedicato alla ricerca empirica: raccolta di interviste
sottoposte ad individui che stavano vivendo una fase di transizione causata dalla
perdita del lavoro.
Infine, nel ultimo capitolo verrà svolta l‟analisi delle singole interviste
approcciando quattro temi rilevanti: 1) l‟autorappresentazione; 2) gli spazi, il tempo
e la progettualità; 3) il significato e l‟importanza del lavoro connessi all‟identità e al
ruolo; 4) il rapporto con la famiglia e con i congiunti.
7
Ringraziamenti:
Vorrei ringraziare la Professoressa Stefania Ulivieri, per avermi dato la possibilità
di svolgere questo lavoro e per avermi dato l‟opportunità di presentarlo ad altri
studenti durante un incontro organizzato in aula. Un‟esperienza che mi ha permesso
di confrontarmi con alcuni colleghi di corso e di mettermi in gioco, affrontando la
timidezza e la paura di espormi.
Ringrazio il CIS, Centro Studi Impresa e, in particolare, la dott.ssa Cacopardo e il
dott. Corno per il loro intervento d‟aula, professionale e lungimirante. Ringrazio
tutte le persone che ho intervistato per aver collaborato e per aver reso possibile la
messa in opera di questa ricerca.
Ringrazio la dott.ssa Laura Borracino, la psicologa Silvia Olivero e le mie colleghe,
presenze costanti in questo ultimo anno di studi: Cinzia, Kety, Alessandra B., Erica,
Alessandra M. e Barbara.
Ringrazio i miei genitori e mio fratello, per avermi sostenuto e sopportato in tutti
questi lunghi anni di studio e per avermi aiutata spesso con i loro preziosi consigli.
Ringrazio tutti i miei più cari amici e amiche su cui so di poter sempre contare. Un
ringraziamento speciale a Marco, Serena e Ilaria per aver sempre creduto in me e
per avermi ricordato di non arrendermi di fronte alle difficoltà.
8
Capitolo 1: Evoluzione del concetto di lavoro in una
prospettiva storico - legislativa.
1.1 L’epoca classica: la società antica
In base al periodo storico di riferimento, questo concetto ha avuto connotazioni
differenti e ha subito nell‟arco dei secoli una mutazione del suo significato.
Analizzeremo l‟evoluzione storica del lavoro in riferimento alle quattro grandi
epoche, classica, medievale, moderna e contemporanea, in cui viene
tradizionalmente suddivisa la storia d‟Europa.
Nel ripercorrere le tappe fondamentali della storia del lavoro, è significativo
iniziare da 4000 anni fa circa, l‟epoca della società antica. Questo periodo storico si
fonda, in larga misura, sullo figura dello schiavo e su una forte stratificazione
sociale. A quel tempo, il lavoro manuale svolto unicamente da servi sottomessi ad
un padrone, viene considerato miserabile. Al contrario invece, il lavoro
intellettuale, l‟arte dello scambio, dell‟ozio e dell‟attività politica, sono considerati
come occupazioni nobili.
Specifico dell‟età antica è il concetto di non libertà, condizione che riguarda
chiunque sia costretto a lavorare e che, per questa ragione, non viene ritenuto parte
della società
2
. Il lavoro assume così un significato sempre più vile: il fatto che quasi
2
U. Beck, Il lavoro nell‟epoca della fine del lavoro, Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno
civile, Einaudi, Torino, 2000, p. 12.
9
ogni mansione venga svolta da servi, ha progressivamente contribuito ad
identificare la condizione di lavoratore con quella dello schiavo.
I termini con cui sia le lingue classiche (lavoro, dal latino labor, significa fatica,
pena, sforzo) sia le lingue moderne (rispettivamente lo spagnolo trabajo, il tedesco
arbeiten, il russo robotat, il francese travail) indicano il termine lavoro, esprimono
il senso di fatica e di pesantezza che accompagnano l‟attività lavorativa,
enfatizzando la dimensione di pena e sofferenza imposta.
Nel mondo antico la concezione che del lavoro avevano i filosofi era prettamente
negativa. Un lavoro che toglie il tempo materiale per compiere il proprio dovere da
amico e da cittadino e che porta a considerare chi lo svolge un cattivo amico e un
cattivo patriota. Senofonte
3
, allievo di Socrate, intendeva il lavoro come un‟attività
manuale, corrispettivo del dolore richiesto dagli Dei per concedere i beni agli
uomini. Per Cicerone
4
il lavoro era un elemento di distrazione dalla vita
contemplativa. Per Aristotele esso rappresentava un elemento che soffocava
l‟intelligenza che, invece, doveva essere utilizzata per fini politici: “[…] è
impossibile che colui che coltiva la virtù possa vivere la vita di un operaio […] le
mansioni retribuite non lasciano al pensiero né libertà, né elevazione”
5
. La
concezione ideale del cittadino è l‟ozio, molto esplicito a questo proposito è
Aristotele:
3
Senofonte, Economico, IV, 203, in C. Cartiglia, Il lavoro nella storia dell‟uomo, Loescher, Torino,
1981..
4
Cicerone, De officiis, I, 8, in C. Cartiglia, op.cit.
5
Aristotele, Politica, II, 7, 10, in C. Cartiglia, op.cit.
10
“La natura ha riservato agli uomini liberi le occupazioni che richiedono prudenza e
riflessione, mentre il destino degli schiavi è di compiere i lavori umilianti e penosi per i quali
non sono necessarie che delle qualità passive di obbedienza. Esistono dei lavori ai quali un
uomo libero non può applicarsi senza degradarsi; così la natura ha prodotto una specie di
esseri, gli schiavi, che usano i loro corpi per noi. Il privilegio dell‟uomo libero non è la
libertà, ma l‟ozio, che ha come suo corollario necessario il lavoro forzato degli altri, cioè la
schiavitù”
6
.
1.2 Il Medioevo
L‟inizio del Medioevo si colloca verso la fine del 400 d.C e vede la sua conclusione
intorno al 1500 d.C. La fine dell‟età medievale ha infatti date diverse da paese a
paese, corrispondenti alla nascita delle rispettive monarchie e al periodo
rinascimentale.
In questo periodo storico, come evidenzia Cartiglia
7
, la divisione fra uomini liberi e
schiavi non scompare. I tratti principali, caratteristici di quest‟epoca sono carestie,
epidemie e guerre che costringono le popolazioni a vivere in condizioni di estrema
povertà raccolte intorno a chiese o a castelli. Pertanto, le comunità erano racchiuse
all‟interno delle mura, ed erano autosufficienti; il lavoro specializzato, a quel
tempo, si concretizza in forme rudimentali
8
.
6
Ivi, 5-8, 13.
7
C. Cartiglia, Il lavoro nella storia dell‟uomo, Loescher, Torino, 1981, p. 32.
8
M. Kranzeberg, G. Gies, Breve storia del lavoro, Bruno Mondadori, Milano, 1976, p.58.
11
In questa cornice, rilevante è la funzione religiosa del Cristianesimo, e il
cambiamento che esso produce al concetto di lavoro. Grazie alla storia di Gesù,
raccontata nel Vangelo
9
, che lo descrive come una figura proveniente da una
famiglia umile di artigiani, il lavoro manuale, prima disprezzato, diviene ora un
onore per i Cristiani. Nel corso del Medioevo lavorare diventa un diritto per
affermare la propria parità economica e giuridica e, soprattutto, una necessità per
vivere in una società estremamente povera.
Momento peculiare dell‟esaltazione del lavoro è dato dal fenomeno del
monachesimo, che accanto alla preghiera, individua nell‟attività manuale il
momento focale della giornata. La Regola
10
di San Benedetto, del 540 circa, è
l‟apprezzamento più esplicito in tal senso; <<ora et labora>> è la locuzione latina
che tradotta letteralmente significa <<prega e lavora>> e ben riassume i due
momenti che, in un rapporto equilibrato tra preghiera e lavoro, scandivano le
giornate dei monaci nei chiostri. “L'ozio è nemico dell'anima; e quindi i fratelli
devono in alcune determinate ore occuparsi nel lavoro manuale e in altre ore, anche
esse ben fissate, nello studio delle cose divine”
11
.
Il lavoro (manuale) è nel corso del Medioevo qualcosa di necessario, anche se
alcuni lavori vengono ancora considerati vili
12
e ricompare la barriera tra lavoro
9
C. Cartiglia, op. cit, p.33.
10
La Regola dell'Ordine di San Benedetto, o Regola benedettina, in latino denominata Regula
monachorum o Sancta Regula, dettata da San Benedetto da Norcia nel 534 d.C, consta di un Prologo
e di settantatre capitoli.
11
Regola di San Benedetto.
12
Per esempio J. Le Goffe sostiene che i tabù principali erano: il tabù del sangue (macellai,
chirurghi), il tabù della sporcizia (cuochi), il tabù del denaro (mercanti). J. Le Goffe, Tempo della
chiesa e tempo del mercante, Einaudi, Torino, 1977, p. 54.
12
intellettuale e lavoro manuale. Sottolinea a questo proposito Petrarca, come l‟uomo
di lettere chieda di avere un posto prioritario e autorevole all‟interno della società,
riconosciuto più di ogni altra attività. “[…] lascia che i ricchi contino i loro denari:
noi conteremo le nostre ricchezze. Seguano essi i desideri della carne e i guadagni,
da qualsiasi parte provengano; noi gli studi liberali e nobili”
13
.
Tuttavia, traspare una prima rilevante evoluzione del concetto di lavoro che muta
da causa di possibile esclusione dalla società, significato assunto nell‟età antica, a
fonte di necessità nel Medioevo. Il lavoro viene svolto, senza alcun imbarazzo, da
tutta la popolazione e per di più come evidenzia Powell-Williams
14
ricopre
l‟importante funzione di strutturare la società e di integrare gli individui con essa.
Nascono infatti le prime associazioni e confraternite, le corporazioni, a metà
dell‟anno mille, che assumono un ruolo guida nelle istituzioni cittadine.
1.3 L’età moderna
L‟età moderna viene considerata elemento di rottura rispetto all‟epoca medievale
poiché in quest‟epoca, tramonta il mondo chiuso e profondamente religioso del
13
F. Petrarca, De vita solitaria, in Prose, II, Ricciardi, Milano, Napoli, 1955.
14
K. Powell-Williams, Introduction and overview of work psychology, in L. Matthewman. A. Rose
& A. Hetherington, Psychology at work: an essential guide to human behaviour in the workplace,
(Eds). UK: Oxford University Press, Oxford, England, 2009, p. 14.
13
Medioevo e si ampliano i mercati oltre oceano
15
. Questo periodo copre un arco
temporale di circa tre secoli, dagli ultimi anni del XV secolo alla fine del XVIII.
Come descrive Cartiglia
16
, i principali tratti caratteristici dell‟età moderna
riguardano lo Stato che prende parte all‟economia e il consolidarsi dei nuovi ceti
borghesi. Inoltre questo è il periodo delle grandi invenzioni, grazie alla conoscenza
delle leggi della meccanica, della dinamica e della geometria analitica, che
permettono all‟uomo la costruzione di oggetti innovativi come il microscopio, il
cannocchiale, la calcolatrice e la macchina a vapore. Pertanto grazie alle più
numerose opportunità di lavoro, aumentano le occasioni di guadagno e di
spostamento dell‟individuo; si stabilizza così la tendenza alla valorizzazione del
lavoro che si era già diffusa nel tardo Medioevo.
17
La conclusione dell‟età medievale è rappresentata per alcuni studiosi dallo sviluppo
di un movimento religioso conosciuto come protestantesimo, una forma di
Cristianesimo sorta nel XVI secolo e separatasi dalla Chiesa cattolica a seguito del
movimento politico e religioso noto come "Riforma Protestante". Quest‟ultima è
derivata dalla predicazione dei riformatori, fra i quali i più importanti sono Martin
Lutero e Giovanni Calvino, ed è stata avviata nel 1517.
Questa riforma dona un aggiuntivo e determinante contributo alla valenza positiva
del lavoro che si era già statuita, anche grazie alle parole dei suoi più importanti
esponenti: “Ognuno deve indirizzare la sua vita secondo la propria vocazione. Il
15
C. Cartiglia, op. cit, p. 51.
16
Ivi.
17
Ibidem, p. 56.