4
Chiesa, nella cui rispettiva azione la censura divenne uno strumento
attraverso cui poter affermare le proprie prerogative.
Si spiega così l’assoluta necessità, sia da parte dello Stato sia da parte
della Chiesa, del controllo sulla circolazione dei libri, soprattutto di
quelli «oltramontani» che rappresentarono, accanto a quelli stampati
nel Regno, un aspetto rilevante della questione.
Assicurandosi la supremazia censoria, la Chiesa poteva garantirsi da
un lato la difesa dei dogmi cattolici dalle moderne dottrine dei
novatores (come vennero definiti gli intellettuali più avveduti
dell’epoca) la cui penetrazione nel Regno fu legata alla diffusione dei
libri stranieri raramente osteggiata dalle autorità civili
1
, dall’altro la
stabilità dello stesso istituto ecclesiastico legata in parte al consenso e
all’influenza che il cattolicesimo esercitava sulle masse popolari.
In tal senso il controllo ecclesiastico sulla stampa acquistava
un’ulteriore valenza culturale configurandosi come strumento di
controllo delle masse e della loro alfabetizzazione.
Mentre quest’ultima fu alla base dello sviluppo del protestantesimo
2
,
nessun rapporto essenziale vi fu tra alfabetizzazione e cattolicesimo,
tra alfabetizzazione e diffusione del libro sacro.
La diffusione della cultura avrebbe consentito un facile accesso e,
conseguentemente, una lettura e un’interpretazione personale dei testi
sacri, diminuendo, così, la potestas della Chiesa, e mettendone in
discussione il primato di unica depositaria del messaggio evangelico.
1
Soltanto durante la diffusione del movimento protestante l’allora viceregno spagnolo temette che
le nuove idee, per la carica sovversiva della quale erano portatrici, potessero mettere in pericolo il
governo: fu in quell’occasione che le autorità civili si trovarono in sostanziale accordo con la
Chiesa sulla proibizione dei nuovi libri eretici, fornendo appoggio all’azione delle autorità
ecclesiastiche.
2
La dottrina protestante dovette la sua diffusione al libro a stampa e allo sviluppo dell’editoria
attraverso la quale trovarono grandissima divulgazione le numerosissime edizioni dei testi sacri e
della Bibbia, tradotta in lingua e circolante tra le masse, e, in generale, dei testi dal contenuto
religioso.
5
Allo stesso modo il potere politico considerò lo strumento censorio un
mezzo per garantire la stabilità e la affermazione dello Stato e
soprattutto la sua indipendenza dalle ingerenze della Chiesa che, nel
Regno di Napoli, godeva di ampie prerogative.
La lunga contesa da qui scaturita tra Stato e Chiesa, iniziata sul finire
del XVI secolo, si protrasse lungo tutto l’arco dei secoli XVII e XVIII
periodo del quale saranno presi in esame gli innumevoli editti,
prammatiche, provvedimenti sia statali che ecclesiastici, unitamente ai
tentativi, seppur fallimentari, di accordo tra Stato e Chiesa che
caratterizzarono il XVIII secolo; dal Sinodo del 1726, che tentò di
regolamentare i rapporti rivelandosi in definitiva fallimentare a causa
della tenacia delle due autorità a non cedere sulla questione, alla firma
del Concordato nel 1741, che introdusse il sistema della doppia
censura – politica ed ecclesiastica – che sembrò aprire la strada a una
graduale coincidenza d’interessi tra Stato e Chiesa concordi nel
progetto di soffocare la libera circolazione delle idee, fino alla
prevalenza del potere Statale che fece della censura uno strumento
volto a orientare le opinioni e a ottenere il consenso evidenziando, nel
contempo, che la prevalenza statale non implicò lo sviluppo del
settore librario.
Il regime borbonico si mostrò, infatti, poco incline a fornire incentivi
economici al mercato librario, mentre le norme regie mirarono a
instaurare su questo un sempre maggiore controllo, che raggiunse il
suo apice nel periodo rivoluzionario durante il quale si ebbe una vera e
propria svolta involutiva.
Lo Stato, per evitare di essere travolto dall’ondata rivoluzionaria,
cercò di bloccare qualsiasi rapporto con l’esterno, sforzandosi di
esercitare un controllo pressoché totale su tutto ciò che veniva
6
stampato e/o introdotto nel Regno. Ma il tentativo che si rilevò
sostanzialmente fallimentare a causa dell’inefficacia dei sistemi di
controllo ebbe effetti negativi non solo sull’espansione del mercato
librario, ma anche sull’attività tipografica.
Infatti, durante i secoli XVII e XVIII furono soprattutto gli stampatori
napoletani a subire le conseguenze del secolare conflitto tra Stato e
Chiesa: la loro attività fu resa molto difficile non solo dal ristretto
margine di iniziativa consentito delle normative e dalla complessità
dell’iter censorio, ma anche dall’eccessivo numero di libri proibiti e
inseriti nell’Index librorum prohibitorum dal quale non furono
certamente esclusi i libri stampati a Napoli ai quali è dedicata l’ultima
sezione del presente lavoro.
Dall’esame dei titoli emerge chiaramente che, mentre nel XVII secolo
l’attività della Congregazione dell’Indice si concentrò sia su testi di
carattere politico e scientifico, sia su testi di carattere religioso, quali
preghiere, devozioni, catechismi, con l’avvento della dominazione
austriaca e di quella borbonica a essere colpita fu esclusivamente la
produzione di carattere anticurialista, avendo la Santa Sede
individuato nel passaggio dalla precedente politica prettamente
regalista partenopea ad un più maturo giurisdizionalismo uno dei
maggiori ostacoli al suo progetto di riconquista di un’egemonia sul
mondo cattolico.
Emerge, altresì, che mentre nel Seicento l’attività della
Congregazione dell’Indice fu caratterizzata da una sostanziale
continuità, nel secolo successivo ebbe una battuta d’arresto con il
pontificato di Benedetto XIV: il nuovo capitolo aperto dalla riforma
censoria da lui varata e dall’accordo tra intellettuali, potere civile e
potere ecclesiastico da lui promosso era destinato ad avere
7
un’esistenza effimera. Con la morte di questo Papa ci fu un ritorno
alle precedenti disposizioni di rigore; il numero di libri napoletani
messi all’indice, che nel periodo pontificato lambertiano era stato
esiguo, ritornarnò ad essere rilevante soprattutto tra la fine degli anni
Settanta e gli anni Ottanta del Settecento, e nuovamente esiguo
durante il periodo rivoluzionario.
L’instaurazione della repubblica napoletana sancì, infatti, la seppur
breve libertà di stampa che venne perduta con la fine dell’esperienza
repubblicana e con la riconquista da parte dei Borbone del potere,
affermandosi, poi, definitivamente alla fine degli anni Sessanta del
Novecento (1966) allorquando nella legislazione, sia civile che
ecclesiastica, venne abolito, almeno formalmente, ogni tipo di
controllo preventivo.
8
I. Alle origini della censura libraria a Napoli nel ‘600 e nel ‘700
I.1 La Chiesa e la stampa
La censura libraria si configura come un prodotto essenzialmente
ecclesiastico: fin dalle sue origini la Chiesa si servì della proibizione e
dei roghi dei libri
3
come strumento di difesa dei propri dogmi e delle
proprie dottrine, minacciate costantemente dai movimenti ereticali.
La censura – che si esplicò attraverso molteplici concili
4
, continui
editti e indici
5
contro i libri perniciosi e dannosi alla religione –
venne considerata dalla Chiesa come l’unico rimedio valido da
opporre alle continue rivolte religiose: tramite il suo impiego, infatti,
l’istituzione ecclesiastica fu in grado esercitare uno stretto controllo
sulla circolazione delle idee, garantendo così la sopravvivenza della
propria impalcatura dottrinaria, ma influenzando, nel contempo, in
modo incisivo l’evoluzione culturale della nostra civiltà.
Se da un lato i frequenti roghi le consentirono il mantenimento
dell’ordine costituito, dall’altro portarono alla irrimediabile perdita di
un cospicuo patrimonio culturale e librario, non soltanto classico.
Gli interventi censori, che si resero necessari nei confronti delle
numerose dottrine eretiche sorte nel corso dei secoli, si intensificarono
3
Il primo rogo di libri di cui si ha memoria nella storia sembra sia avvenuto ad Efeso nel 51 d. C.
Cfr. F. A. ZACCARIA, Storia polemica delle proibizioni de’ libri e consacrata alla santità di
nostro Signore Papa Pio VI felicemente regnante, Roma, Generoso Salomoni, 1777, pp. 1-2.
4
Il primo dei concili, quello di Nicea, si tenne nel 325 e in seguito ad esso furono condannati al
rogo i libri di Ario, fondatore della corrente ereticale ariana. Cfr. F. A. ZACCARIA, op. cit., pp. 7-
8.
5
Si ricorda, oltre quello di Damaso, il ben più importante Indice di papa Gelasio del 496 d.C. Cfr.
F. A. ZACCARIA, op. cit., pp. 33-46.
9
con l’avvento dell’arte tipografica e con la conseguente diffusione del
libro stampato, in particolar modo a partire dagli ultimi decenni del
‘400, moltiplicandosi poi e acquisendo carattere sempre più restrittivo
a cominciare dalla metà del secolo successivo.
Il XV secolo, infatti, fu per l’arte tipografica il periodo di massimo
sviluppo e diffusione, grazie alla favorevole temperie culturale del
momento: la cultura umanistica, permeata di ideali classici favoriva
una certa libertà di pensiero e di espressione; la cultura, uscita dagli
Studi e dai conventi, si rendeva accessibile a un pubblico sempre più
vasto, propagandosi non solo nelle nuove corti, ma anche nei palazzi
comunali e nelle botteghe artigiane; in più l’analfabetismo regrediva e
le università si moltiplicarono insieme al numero degli studenti.
Tutto ciò comportava una richiesta di testi sempre maggiore alla
quale soltanto la tipografia poteva far fronte, data la sua capacità di
riprodurre libri in brevissimo tempo e a costi molto più bassi rispetto
ai manoscritti.
Si assistette, pertanto, in questo secolo al proliferare delle stamperie
in tutta Europa; la nuova “divina” invenzione, come alcuni la
definirono, incontrò il favore non soltanto dei sovrani – i quali
accordarono agli stampatori buona disposizione e protezione
6
– ma
anche degli stessi pontefici: basti in questa sede ricordare che fu Paolo
II ad introdurre la tipografia a Roma.
6
In Francia il re aveva dispensato librai e tipografi parigini dalla tassazione imposta alla capitale,
mentre in Inghilterra al fine di accrescere il numero di librai e stampatori il parlamento nel 1484
varò una legge con la quale gli stampatori stranieri, che volessero svolgere tale attività, erano
dispensati dalle restrizioni imposte dalle leggi ai lavoratori non inglesi. Nel regno di Napoli Carlo
V concesse ai tipografi l’esenzione dal pagamento delle gabelle tanto sulla carta bianca quanto sui
libri e figure stampate. Per ulteriori approfondimenti si consulti P. LOPEZ, Sul libro a stampa e le
origini della censura ecclesiastica, Napoli, Luigi Regina, 1972, pp. 20-32; S. H. STEINBERG,
Cinque secoli di stampa, Torino, Einaudi, 1962, pp. 60-69; C. DE FREDE, Sul commercio dei libri
a Napoli nella prima età della stampa, in “Bollettino dell’istituto di patologia del libro Alfonso
Gallo”, Roma, Palombi, XXXVIII, gennaio-giugno 1955, pp. 6-12.
10
Ad ogni modo, in generale, il clero guardò con favore alla nuova
invenzione per la possibilità che essa offriva di riprodurre con celerità
libri utili al ministero religioso: i libri impressi in Europa prima del
’500 furono, infatti, soprattutto religiosi e costituirono il 45% dei testi
circolanti nel continente
7
.
In generale si può affermare che per tutto il ‘400 e ancora per gran
parte del ‘500 la Chiesa romana si dimostrò assai tollerante nei
confronti dei libri a stampa: essa si preoccupò assai poco del loro
contenuto soffermando la propria attenzione solo sui libri di dichiarata
immoralità e di contenuto apertamente eretico e contrario alla fede
8
.
Benché conscia del valore della stampa, l’istituzione ecclesiastica
tardò ad accorgersi del danno che un uso spregiudicato del nuovo
mezzo di divulgazione avrebbe potuto arrecare alla Chiesa stessa e
alla “cura delle anime”; è in questo clima che si diffuse un gran
numero di scritti dagli svariati contenuti che apertamente si resero
polemici, critici, spesso pericolosi per la fede e la moralità comune.
Già sul finire del XV secolo, comunque, il mondo ecclesiastico
cominciò ad avvertire i segni di una certa inquietudine e
preoccupazione per i libri ritenuti nocivi e circolanti senza controllo, e
ricorse a numerosi interventi censori.
Nel 1487 Innocenzo VIII nella Bolla “Inter multiplices”, prospettando
la necessità di arginare la diffusione di opere contrarie alla religione
cattolica
9
, ordinò ad autori e stampatori, sotto pena di scomunica e
multa, di non stampare alcuna opera che non fosse stata prima
7
Cfr. P. LOPEZ, op. cit., p. 53.
8
Per esempio l’Hermaphroditus del Parnomita condannato da Eugenio IV nel 1431 e gli scritti di
Reginald Peacock, vescovo di Chichester, pubblicamente bruciati nel 1459 per volere di Pio II.
Cfr. F. A. ZACCARIA, op. cit., pp. 130-131.
9
Nella bolla tali opere contrarie alla religione sono espressamente temute e vietate perché “[…] in
mentibus fidelium possunt verisimiliter scandalum generare […]”. Cfr. P. LOPEZ, op. cit., p. 63.
11
sottoposta all’esame delle autorità ecclesiastiche dei diversi luoghi e
non ne fosse stata autorizzata la pubblicazione dagli Ordinari o dai
loro delegati.
Inoltre la Bolla ordinava che “omnes et singulos impressores ac
personas alias cuiuscumque status, gradus, conditionis vel
praeminentiae existant, quatenus omnia et singula inventaria librorum
et tractatum quoruscumque impressorum, ordinariis et magistero
respective praedictis, omni fraude et dolo cessantibus, intra terminum
eorum arbitrio praefigendum coram eis respective praesentent et
consignent ac libros et tractatus impressos, in quibus per ordinarium et
magistrum praedictos aut eorum singulos aliqua fidei catholicae
contraria, impia, advresa, scandalosa, aut male sonantia contineri
iudicatum sive declaratum fuerit, similiter praesentent et
consignant”
10
.
Si decretava poi che i libri fossero bruciati e che nessuno osasse
conservarli.
Anche se gli ordini contenuti nella Bolla non ebbero concreta
applicazione, il rigore delle disposizioni pontificie era già un preludio
alla dura repressione che nel secolo successivo sarebbe stata attuata
dall’istituzione ecclesiastica.
Ma, nella seconda metà del XV secolo, provvedimenti censori furono
presi, oltre che a Roma, anche in quelle città dove la stampa ebbe
maggiore sviluppo: i1 17 marzo del 1479 Sisto V concesse, per
esempio, all’ Università di Colonia l’autorità di sottoporre a censura
ecclesiastica i libri a stampa, gli autori, i tipografi e i lettori; a
Magonza, nel 1486, l’arcivescovo Bertoldo von Henneberg, in virtù di
una bolla di Innocenzo VII, procedette alla formazione di una
10
P. LOPEZ, op. cit., p. 64.
12
commissione di preti della cattedrale e di teologi incaricata di
esaminare i libri a stampa, stabilendo successivamente il divieto, pena
la scomunica, di stampare libri senza licenza ecclesiastica
11
.
In Italia Niccolò Franco, vescovo di Treviso e primo legato apostolico
a Venezia, emanò un decreto con il quale vietava di stampare libri
riguardanti la fede cattolica o che trattassero di materia ecclesiastica
senza licenza degli Ordinari del luogo o dei deputati, con l’ovvia
eccezione dei libri di ordinaria devozione.
Il legato si scagliò in particolar modo contro due libri: il De
monarchia (1487) di Cosimo Rosselli – la cui condanna suscitò un
certo scalpore dato che non si trattava di uno scritto religioso – e le
Conclusiones (1486) di Pico della Mirandola; nel 1493 il successore di
Innocenzo, Alessandro VI, censurò tredici delle novecento tesi
costituenti il testo, in quanto “[…] ex vi verborum a fide cattolica
dissonarent aut haeresim saperent, aut ceu dubiae et ancipites ad
erroneum sensum trahi possent […]”
12
.
Nel secolo successivo altri provvedimenti furono presi contro la
tipografia: nel 1501 Alessandro VI con la Bolla “Inter multiplices”
stabilì la censura preventiva sui libri che si stampavano in Germania,
avendo appreso che con l’artificio di detta arte erano stati impressi
molti libri in diverse parti del mondo – soprattutto nelle maggiori città
tedesche di confessione luterana – contenenti molti e perniciosi errori
e dottrine nemiche della religione cristiana.
Alessandro VI decretò, in conseguenza di ciò, che alcun libro fosse
stampato senza essere stato esaminato e approvato, pena la scomunica
11
P. LOPEZ Stampa e censura a Napoli nel 600, Napoli, Stabilimento Tipografico Genovese,
1965, p. 8.
12
«[…] per la forza delle parole dissonavano dalla fede cattolica o sapevano d’eresia o come se
dubbi e doppi sensi potessero trarre ad un’erronea interpretazione […]» F. A. ZACCARIA, op.
cit., p. 133.
13
e il pagamento di una sanzione pecuniaria, nonché la distruzione degli
scritti ritenuti contrari alla religione cattolica
13
.
L’esigenza di stabilire un attento controllo sulla stampa venne
espressa anche nel Concilio Lateranense del 1512. Convocato da
Leone X, in un momento in cui numerose erano le richieste di
rinnovamento della Chiesa a causa della crescente corruzione e della
scarsa attenzione posta dal clero alla cura delle anime, fin dalle sue
prime sessioni il Concilio fu impegnato nella riforma ecclesiastica: tra
le varie questioni dibattute si affrontò anche quella del controllo della
circolazione dei libri.
Espressione di tale volontà fu la bolla “Inter sollicitudines” varata
dallo stesso Leone X nel 1515: in questa, dopo aver affermato che
[…] in diversis mundi partibus […], tipografi stampano libri che
contengono errori o cose contrarie alla religione cristiana, ordinò che
nessun libro fosse stampato senza espressa approvazione e licenza
degli ordinari e degli Inquisitori del luogo, pena la scomunica, una
sanzione pecuniaria di cento scudi e la sospensione dall’esercizio per
un anno
14
.
La Bolla si richiamava nel contenuto alle precedenti disposizioni
pontificie ma questa volta ebbe una risonanza che, seppur minima,
ottenne il consenso nel concilio provinciale di Firenze, il quale ordinò
che “nullum posse ulterius Scripturam Sanctam scrivendo aut
predicando aliter exponere aut interpretari quam sancti Ecclesiae
Doctores hucusque interpretari sunt”
15
, e l’approvazione del patriarca
di Venezia, il quale aveva intimato ai Presidenti dell’Arte della stampa
13
Il decreto è interamente riportato in F. A. ZACCARIA, op. cit., pp. 133-135.
14
Il decreto è riportato in F. A. ZACCARIA, op. cit., p. 136.
15
«Nessuno possa, scrivendo o predicando, esporre o interpretare le Sante Scritture più di quanto
fu esposto dai santi Dottori della Chiesa » . Cfr. P. LOPEZ, Sul libro a stampa…,op. cit., p. 73.
14
di non stampare nulla sulla Sacra Scrittura senza licenza dell’autorità
ecclesiastica
16
.
Benché molteplici, tali interventi censori non esprimevano ancora la
volontà di un controllo sistematico sulla tipografia: la mancata
applicazione di molti di essi
17
fu, in questo senso, un chiaro segno
della scarsa determinazione da parte della chiesa di porre un argine
alla libera circolazione libraria.
I tempi non erano ancora maturi perché essa intervenisse
energicamente: soltanto con la comparsa e la sempre maggiore
diffusione, attraverso la stampa, della dottrina luterana all’interno dei
paesi cattolici la Chiesa, attaccata nella sua impalcatura dogmatica,
avvertì la necessità di esercitare il controllo su tutto ciò che veniva
stampato o fosse ancora da stampare, controllo che divenne, con il
passare del tempo, sempre più sistematico.
L’arte tipografica, che si espanse rapidamente nei paesi in cui la
Riforma ebbe uno sviluppo vertiginoso, in primis in Germania, patria
del protestantesimo, divenne, infatti, il principale veicolo di diffusione
delle idee ereticali.
L’affissione nel 1517 delle famose 95 tesi
18
alle porte della Cattedrale
di Wittenberg contribuì a determinare l’esplosione vasta e
irrefrenabile della stampa: la passione che da quel momento in poi le
questioni religiose suscitarono in tutti gli strati sociali costituì un
potentissimo stimolo per la produzione libraria.
16
Ibidem.
17
Nonostante i divieti ecclesiastici i libri proibiti continuarono ad essere stampati. Il problema
della stampa non venne, sul finire del Quattrocento, seriamente avvertito e decisamente affrontato:
la Santa Sede pur avvertendo l’importanza del problema, non mostrava ancora concreta volontà di
provvedere alla sua soluzione.
18
Cfr. P. MANZI, La stampa in Italia e particolarmente a Napoli tra il Concilio di Trento ed il
primo ventennio del seicento, in “Accademie e biblioteche d’Italia”, Roma, Fratelli Palombari
editori, anno XXXIX, n. 4-5, 1971, p. 182.
15
I protestanti e lo stesso Lutero, che nei suoi “Discorsi conviviali”
aveva affermato: “[…] la stampa è l’ultima e migliore opera di Dio
per diffondere la vera religione su tutta la terra […]”
19
, capirono bene
fin dal primo momento quale potente strumento di propaganda
religiosa e antiromana fosse il libro.
Il fenomeno rimase inizialmente circoscritto entro i confini della
Germania, dove i nuovi libri stampati e ristampati in varie edizioni e
dal costo accessibile a tutti si diffusero dalle città, ai villaggi, alle
campagne.
Ma ben presto gli scritti eretici superarono le frontiere germaniche e
circolarono rapidamente in tutta Europa anche grazie alle numerose
fiere, tra le quali la più importante era quella che ogni anno si teneva a
Francoforte, dove i librai provenienti dalle diverse città del continente
acquistavano e scambiavano libri.
Tuttavia la diffusione massiccia degli scritti eretici è da spiegarsi con
il consenso che le dottrine protestanti trovarono nella coscienza
collettiva, ben disponibile a recepire tali idee: le denunce contro
l’immoralità del clero regolare, le accuse di ignoranza del clero
secolare, le critiche agli abusi e alla corruzione della Curia Romana
ben si accordavano con il clima di disagio e di scontento e con
quell’ansia di rinnovamento avvertita non soltanto dalle masse
popolari, ma anche dai ceti colti simpatizzanti con la predicazione
luterana.
Così nella prima metà del ‘500 la diffusione degli scritti luterani aveva
ormai assunto dimensioni tali che la Chiesa avvertì la necessità di
19
Cfr. P. LOPEZ, Inquisizione stampa e censura nel Regno tra ’500 e ‘600, Napoli, Edizioni del
Delfino, 1974, p. 23.
16
fronteggiare tempestivamente l’offesa propagandistica della stampa
religiosa non ortodossa e, in particolare, di quella luterana.
Numerosi furono gli editti varati
20
, ma l’esigenza di difendersi con
opportuni mezzi dall’aggressione religiosa spinse Paolo III a costituire
la Sacra Congregazione del S. Ufficio
21
.
Ma la lotta all’eresia venne condotta non solo attraverso
l’Inquisizione: nel 1559 venne approntata e pubblicata la prima
redazione dell’Index librorum prohibitorum, sostituito poi, nel 1564
dall’Index Tridentinus. Si trattava di un elenco di libri e autori la cui
lettura, per il loro contenuto ritenuto immorale, era assolutamente
proibita dalla Chiesa
22
.
Con la nascita dell’Inquisizione, la cui attività non si svolse soltanto
attraverso arresti, processi, minacce, condanne a morte, ma anche
attraverso il controllo sui libri
23
e la redazione dell’Index, si passò ad
20
nel 1520 Leone X con la Bolla Exurge Domine condannò Lutero insieme con i suoi scritti e le
sue tesi: nel decreto il papa ordinò esplicitamente di non “legere, adferere, predicare, laudare,
imprimere, publicare, sive defendere per se vel alium, seu alios directe vel indirecte, tacite vel
espresse, publice vel occulte, seu in domibus suis, sive aliis locis publicis, vel privatis, tenere
quoquo modo praesumant, quinimmo illa comburant”. Alla bolla papale seguì l’anno successivo
l’editto di Worms con il quale Carlo V ribadì la condanna degli scritti luterani. A quattro anni di
distanza dal decreto di Leone X, Clemente VII, succeduto al soglio pontificio ad Alessandro VI,
con la bolla “in Coena Domini” condannò nuovamente Lutero insieme ai suoi seguaci. Cfr. F. A.
ZACCARIA, op. cit., pp. 136-139.
21
Nata nel 1542 con la bolla “Licet ab inizio”, si trattava di un vero e proprio tribunale, la cui
istituzione era già stata sollecitata da Giampietro Carafa nominato, poi, “Generale e Generalissimo
Inquisitore”, che aveva il compito di processare e punire, finanche con pene corporali, chiunque
fosse accusato o anche solo sospettato di eresia.
22
Nel 1571 venne appositamente istituita la Sacra Congregazione dell’Indice con l’incarico di
tenere costantemente aggiornato l’Indice de quale vi furono ben quaranta edizioni fino alla sua
totale soppressione avvenuta nel 1966.
23
Il 12 luglio 1543 il Tribunale dell’Inquisizione promulgò l’Edictum contra bibliopolas et librum
impressores atque doharum officiales nel quale si vietava di pubblicare o vendere libri proibiti, di
consegnare un elenco di libri posseduti in bottega e di non stampare alcuna opera senza titolo,
nome dell’autore, luogo, anno, mese, giorno e senza la licenza di vendita e di stampa. I librai e gli
stampatori inadempienti erano minacciati di scomunica, di mille ducati di ammenda, di perpetuo
esilio e della perdita del diritto di esercitare. Ma l’aspetto più importante dell’editto sta nel fatto
che esso si rivolgeva anche ai doganieri d’Italia facendo loro obbligo di non consegnare libri
impressi o manoscritti senza prima averli mostrati alle autorità ecclesiastiche locali e senza avere
avuto la licenza prescritta, pena duemila ducati di ammenda e la perdita definitiva del loro ufficio.
Infine ordinava a tutti di non leggere, comprare, divulgare libri eretici, erronei, temerari o
sediziosi, né trasferirli in Italia, né tenerli presso di sé o trasmetterli ad altri, ma consegnarli subito,
17
una sistematica repressione dell’eresia e dei suoi strumenti di
divulgazione.
rivelandone gli autori, gli stampatori, i possessori. Cfr. P. LOPOEZ., Sul libro a stampa…,op. cit.,
p. 108.