6
censura che non riguarda (almeno esplicitamente) le ideologie, ma che investe
essenzialmente il buon costume e la moralità rivolgendosi precipuamente alla
protezione del minore da contenuti a lui inadatti e presupponendo, quindi, che lo
spettatore adulto sia invece libero di scegliere consapevolmente che cosa fruire.
Questo lavoro presenta innanzitutto, nel primo capitolo, una breve storia della censura
governativa in Italia diretta ad esporre la sua evoluzione ed organizzazione nel corso
degli anni, fino ad arrivare ai giorni nostri per fare il punto sullo stato attuale di questo
istituto e sul dibattito che ruota attualmente intorno ad esso.
Infatti, soprattutto sulla scia di alcuni casi particolari di film a cui è stato concesso il
nulla osta alla proiezione «per tutti» benché violenti o “impressionanti”, è emersa da
varie parti, presso l’opinione pubblica, l’accusa di un eccessivo permissivismo e
leggerezza nell’operato della censura ministeriale, quindi di inadeguatezza
nell’assolvere il suo compito di tutela dei minori mediante la valutazione delle pellicole
in merito alla loro fruibilità e l’attribuzione di eventuali limitazioni alla visione. Anche
lo stesso mondo politico, che negli anni ha più volte dibattuto alla ricerca di una nuova
normativa per la censura, ha reagito nuovamente nei confronti di una situazione così
complessa dando alla luce una nuova proposta di ridefinizione della materia, la quale
implicherebbe il superamento della censura governativa per un sistema di
autoregolamentazione da parte della stessa industria cinematografica.
Parlando di censura, non si possono poi non considerare i molteplici canali che oggi
permettono l’incontro con il film, messi a disposizione dallo sviluppo tecnologico e in
particolare dalla digitalizzazione.
Il film, ormai da tempo, non si guarda più soltanto in sala, ma può essere goduto
comodamente tra le mura domestiche, utilizzando semplicemente il normale televisore
collegato a un lettore DVD; oppure disponendo di un decoder, una parabola e un
abbonamento alla tv satellitare (o a quella via cavo); o ancora mediante un decoder e
una carta prepagata per il digitale terrestre; in alternativa può essere visto sul proprio
PC, scaricandolo da internet o utilizzando il computer come lettore “non dedicato” di
supporti digitali. Con il film si viene quindi a contatto attraverso mezzi diversi, ciascuno
dei quali necessita di forme di controllo o di “filtri” che possano salvaguardare i minori
dalla visione di contenuti a loro non o poco adatti.
7
Il discorso, pertanto, nel secondo capitolo si sposta sul versante della distribuzione del
prodotto cinematografico, nelle sue variegate declinazioni, per cercare di comprendere
se e come le disposizioni censorie stabilite dalle commissioni governative, o più in
generale dai principi di legge (è il caso della pornografia), vengono attuate nei diversi
mezzi di diffusione (per quanto tali norme spesso possano risultare inadeguate e non
condivisibili). Al riguardo l’analisi investe principalmente l’home video, inteso come
attività di noleggio e vendita di film in DVD e VHS per il consumo domestico, a cui si
affianca uno sguardo alla televisione a pagamento e al download di testi filmici da
internet. Nell’ambito dell’home video la scelta di analisi è ricaduta nello specifico sul
noleggio di film: lo studio si è basato su una ricerca sul campo di tipo qualitativo,
condotta mediante una intervista strutturata ad un campione di videonoleggi afferenti a
tre diverse tipologie di esercizio.
Ci si è interrogati sostanzialmente su quale sia il livello di censura, rivolto alla tutela del
minore, presente nell’ambito del noleggio di film e all’interno degli altri canali di
diffusione, ma anche sull’eventuale emergenza, in tali contesti, di forme di controllo e
di censura provenienti direttamente “dal basso” (ossia autonome rispetto agli specifici
parametri ed obblighi di legge, spesso insufficienti) dirette ad impedire che i minori
entrino in contatto con contenuti a loro inadatti e potenzialmente nocivi.
Nel terzo capitolo la visuale si allarga nuovamente per analizzare come alcuni settori
della società civile reagiscono ad una censura governativa per molti versi inefficace e
inadeguata.
In primo luogo, facendo un passo indietro, ci si domanda perché la censura di
determinati contenuti, violenza e sesso esplicito in primis, così sospirata in un momento
in cui sembra quasi scomparsa, sia necessaria, almeno per il pubblico dei minori. Si fa
riferimento, al riguardo, ad alcuni studi realizzati in ambito psicologico che mettono in
luce come l’esposizione a taluni tipi di contenuti possa avere effetti negativi
sull’individuo.
Viene ripreso poi il dibattito attuale sulla censura dal punto di vista delle associazioni di
genitori, i soggetti più direttamente interessati a che la tutela per i minori sia massima,
nonché la “voce” maggiormente allarmata circa l’inadeguatezza del sistema di revisione
cinematografica in vigore nell’assolvere il suo importante compito. Si espongono quindi
8
le richieste dei genitori e le loro argomentazioni a sostegno dell’accusa di inadempienza
rivolta all’istituto della censura, il che porta inevitabilmente ancora a ragionare sulle
concrete modalità di funzionamento delle commissioni governative.
La seconda parte del capitolo è invece dedicata al mondo cattolico, da sempre attento
alle potenzialità, ma anche ai pericoli, del mezzo cinematografico. Tutt’oggi,
proseguendo una tradizione di oltre ottant’anni, il cattolicesimo svolge, attraverso
l’Ufficio Nazionale Comunicazioni Sociali della CEI, una propria opera di giudizio e di
classificazione dei film in circolazione nel nostro paese, in base ai principi della morale
cristiana, alle indicazioni del Magistero della Chiesa e con finalità pastorali. Questa
attività si rivolge sia ai singoli fedeli, sia (soprattutto) alla consistente rete di Sale della
Comunità presente sul territorio nazionale, le quali modulano la propria
programmazione proprio sulla base di tali valutazioni. Si tratta quindi di un’opera di
giudizio “alternativa” rispetto a quella svolta dalla censura ministeriale e che si profila,
in modo particolare per l’esercizio cattolico, come una sorta di censura “parallela”
rispetto a quella di stato.
Il lavoro si chiude, infine, con una Appendice, nella quale sono raccolte le principali
norme che costituiscono l’apparato legislativo su cui si basa la censura e a cui si
ispirano la tutela del buon costume e la tutela dei minori; vi trovano spazio, inoltre, i
testi integrali delle interviste effettuate al campione di ricerca sul videonoleggio, nonché
un’intervista al responsabile dell’attività cinematografica di una Sala della Comunità.
9
Capitolo primo
LA CENSURA GOVERNATIVA
Per comprendere il funzionamento dell’attuale sistema di censura statale è necessario
fare un passo indietro verso le origini del cinema per ripercorrere, seppur a grandi linee,
la storia e l’evoluzione che tale sistema ha subito nel corso degli anni sotto la spinta dei
cambiamenti politici, sociali e di costume che hanno interessato l’Italia nel corso del
ventesimo secolo.
Il cinema, nella sua storia ultracentenaria, è sempre andato di pari passo con forme di
censura più o meno restrittive da parte dei poteri pubblici. Domenico Liggeri, nel suo
Mani di forbice, sottolinea come ogni censura in generale, in quanto espressione del
potere dominante, sia sintomatica delle tendenze culturali e sociali dell’epoca in cui di
volta in volta viene applicata. Nel caso del cinema poi
la sua applicazione avviene su un’arte che più delle altre forme di espressione ha (avuto) diretta
incidenza sul costume e sul comune senso del pudore, causa la sua (una volta?) enorme carica
evocativa determinata dalla particolare vivezza della rappresentazione. Rievocare dunque le
vicende relative all’applicazione della censura all’arte cinematografica equivale in un certo modo
a tracciare – sia pure di riflesso – una sorta di storia del comune sentire di un popolo.
2
Ripercorriamo, dunque, le principali tappe della storia della censura cinematografica in
Italia suddividendola in base ai periodi storici che hanno contrassegnato politicamente il
nostro paese, per poi approdare a quella che è la situazione attuale.
2
Domenico Liggeri, Mani di forbice. La censura cinematografica in Italia, Falsopiano, Alessandria,
1997, p. 90.
10
1.1 L'evoluzione nel tempo
1.1.1 Il periodo liberale pre-fascista
Le origini più remote della censura cinematografica possono essere fatte risalire alla
legge di pubblica sicurezza del 1889
3
(regio decreto n. 6144), la quale disciplinava tutti i
tipi di rappresentazioni pubbliche (teatrali e non) affidando ai prefetti il potere di
proibirle per motivi di morale e di ordine pubblico e obbligando l’autorità di pubblica
sicurezza, incaricata di presenziare ad ogni singolo evento, a vietare l'esposizione di
«oggetti offensivi al buon costume o che possano destare spavento o ribrezzo; deve
curare che non si abusi dell’altrui credulità»
4
.
Lo storico del cinema Gian Piero Brunetta sottolinea come si tratti di una legge che
assimila tutte le manifestazioni popolari girovaghe (teatri di piazza, circhi, fiere e
successivamente proiezioni cinematografiche, ospitate proprio nelle fiere ambulanti)
sottoponendole a controlli, limitazioni, divieti e tassazioni
5
.
Lo Statuto Albertino, in vigore all’epoca, garantiva espressamente, all’articolo 28, la
libertà di stampa senza esplicitare nulla relativamente alla libertà di espressione
attraverso altri mezzi di comunicazione. Fin dal 1859 le varie leggi e i regolamenti
succedutisi in materia di pubblica sicurezza - causa la fruizione collettiva delle
rappresentazioni, teatrali prima e cinematografiche poi, la loro disciplina è stata pensata
innanzitutto in termini di ordine pubblico, e solo successivamente di moralità e buon
costume - hanno configurato l’intervento dello Stato circa la libertà di espressione nello
spettacolo come preventivo (censorio, affidato alla pubblica amministrazione) piuttosto
che successivo (e quindi repressivo, affidato all’autorità giudiziaria in base a specifici
reati eventualmente commessi), con ampi margini di discrezionalità concessi ai prefetti
e alle autorità di pubblica sicurezza nel rilascio delle necessarie licenze e nell’adozione
di eventuali misure di vigilanza durante le rappresentazioni
6
.
3
Alfredo Baldi, Schermi proibiti. La censura in Italia 1947-1988, Marsilio, Venezia, 2003, p. 10.
4
Ivi. p. 10.
5
Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1993, vol. I, Il cinema muto
1895-1929, p. 57.
6
Riccardo Viriglio, La censura cinematografica: libertà dello spettatore, tutela dei minori e censura
economica, in “Aedon” Rivista di arti e diritto on line, n. 1, 2000, par. 3,
http://www.aedon.mulino.it/archivio/2000/1/vir.htm.
11
L’introduzione, per il cinema, di una forma specifica di intervento censorio risale all’età
giolittiana.
Come sostiene Brunetta, i primi segni di opposizione e di condanna verso il cinema,
nonché di denuncia dei suoi presunti pericoli e della sua immoralità, iniziano a
manifestarsi nel momento in cui nascono e si moltiplicano un po’ ovunque sale stabili di
proiezione o sale in cui le proiezioni filmiche convivono con gli spettacoli dei cafè-
chantant e dei varietè
7
: e ciò avviene in Italia nei primissimi anni del ventesimo secolo.
A partire dal 1905 la cinematografia italiana registra un periodo di forte sviluppo con la
nascita di attività stabili di produzione e di esercizio e una consistente crescita delle
pellicole prodotte (il primo film italiano a soggetto, La presa di Roma, risale proprio al
1905), il tutto accompagnato dall'estensione del pubblico che coinvolge
progressivamente anche la borghesia.
In questo contesto, già nel 1907, l’allora ministro dell’Interno Giovanni Giolitti
raccomandava alle autorità una più attenta applicazione dei poteri che la legge
concedeva loro in materia di vigilanza sulle proiezioni cinematografiche: la causa di tale
richiamo era principalmente la «rappresentazione in pellicola di operazioni chirurgiche
che possono suscitare repulsione o danneggiare i soggetti particolarmente
impressionabili, ovvero che possono recare offesa al pudore a causa dell’esibizione di
nudità»
8
. L’anno successivo partono alcune iniziative da parte degli organi locali di
pubblica sicurezza, con specifici regolamenti prefettizi che stabiliscono le norme per la
costruzione di una sala cinematografica e per il suo funzionamento in tutta sicurezza.
Quanto alla difesa della moralità è nel 1913 che nasce la vera e propria censura
preventiva sulle opere cinematografiche, sotto la spinta di un forte movimento di
opinione favorevole all’introduzione di una forma di controllo sui contenuti
cinematografici.
La prima battaglia contro il cinema ha inizio nel 1908, dalle pagine della “Gazzetta del
popolo”, che riesce a portare all’attenzione dell’opinione pubblica la questione della
pericolosa influenza sociale del cinema, «alla luce del suo rapido diffondersi come
luogo di grande aggregazione di masse soprattutto popolari, attirate dal basso prezzo
degli spettacoli e (ancora) dalla novità di quel mezzo di rappresentazione della realtà»
9
,
7
G.P. Brunetta, op. cit., p. 57.
8
A. Baldi, op. cit., p. 10.
9
D. Liggeri, op. cit., p. 93.
12
per lo più così vivido, realistico e suggestivo, soprattutto se confrontato con l’immagine
fissa. Nel classificare i film come spettacoli deplorevoli ed effimeri si aggiunge, nel
1910, il “Corriere della sera”, ben presto accompagnato da esponenti del clero cattolico
e da moralisti vari. Ma a dare voce al movimento pro-censura è soprattutto il quotidiano
conservatore “Il Giornale d’Italia” (il più attento quotidiano dell’epoca all’informazione
e alla critica artistico-culturale), diretto dal senatore Bergamini, che pubblica
nell’ottobre del 1912 una dura invettiva del procuratore romano Avellone: il magistrato
si scaglia contro gli abusi del cinematografo, «per indegna avidità di lucro convertito in
vera e propria scuola di immoralità»
10
, cercando di dissuadere soprattutto le donne e i
più piccoli dal frequentare le sale, nelle quali spesso si mostrano spettacoli definiti come
«orridi», in quanto rappresentanti adulteri, comportamenti lascivi e «amori
inverecondi», omicidi e suicidi, disastri finanziari, frodi e quant’altro riesca ad attirare il
pubblico «con malsane e pervertite curiosità»
11
. Riguardo alla crociata contro il cinema
di questi anni Brunetta commenta:
Non sono semplicemente voci isteriche o isolate queste di singoli cittadini che si levano a difesa
dell’idea di una moralità pubblica che si identifichi tout court col cattolicesimo più conservatore,
[...] ma sono le voci più significative di una cultura e di un’ideologia che vedono, per la prima
volta, in concreto, profilarsi i pericoli di un profondo mutamento dei modelli culturali nelle classi
proletarie, e vedono nel cinema l’espressione di una cultura antagonista [...]
12
Ad un simile coro di accuse fa seguito tempestivamente l’intervento governativo con
una prima circolare del Presidente del Consiglio Giolitti, datata 20 febbraio 1913, che
dispone la revisione preventiva obbligatoria di ogni pellicola, fissando i criteri in base ai
quali le autorità locali devono attenersi per la concessione delle licenze relative
all’esercizio cinematografico (le autorizzazioni alla proiezione) e dei nulla osta per la
circolazione nazionale delle pellicole, sia italiane che straniere: l’obiettivo è quello di
tutelare la morale, il buon costume e l’ordine pubblico.
Intanto, mentre iniziano a funzionare uffici di censura nella maggior parte dei comuni
italiani, l’Unione Italiana Cinematografisti, di fronte alla complicatezza del sistema,
propone al Governo l’istituzione di un unico ufficio centrale per la revisione delle
10
Mino Argentieri, La censura nel cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1974, pp. 11-12.
11
Ivi, p. 12.
12
G. P. Brunetta, op. cit., pp. 58-59.