La catalogazione dei beni culturali. Ricognizione legislativa. Metodologia di ricerca per l'implementazione del vocabolario di controllo del campo oggetto della scheda OA
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2 alla valutazione storica e critica dell’opera d’arte: nell’atto dell’attribuzione di un’opera – ad un periodo, una scuola, un artista – venivano messe a frutto tutte le conoscenze e le competenze, tutte le doti di intuito e di sensibilità dello studioso. Nell’enorme mole di testi prodotti dalla storiografia dell’arte ottocentesca – dai grandi repertori biografici alle enciclopedie, dai manuali alle monografie – il capolavoro è certo il catalogo ragionato delle opere (di un artista, di una scuola, di un museo). Attraverso questo prezioso strumento l'attività di artisti anche grandissimi fu per la prima volta ricostruita con completezza ed organicità, fornendo una solida base agli studi successivi…” 2 La Storia dell’arte nasce dunque come materia storicistica: quindi per capire epistemologicamente la Storia dell’Arte dobbiamo indagare i principi dello Storicismo, secondo il medesimo metodo storicistico. Lo Storicismo fu “ un grande e poderoso fenomeno della storia della cultura… Storicismo altro non è, in un primo tempo, che l’applicazione alla storia dei nuovi principi d’esistenza affermatisi col grande movimento tedesco che va dal Leibniz fino alla morte di Goethe…Ma in quanto emersero dei nuovi principi di esistenza, lo storicismo non ha solo il significato di un metodo scientifico...il principio primo dello storicismo consiste nel sostituire ad una considerazione generalizzante ed astrattiva delle forze storico-umane la considerazione del loro carattere individuale. Ciò non vuole significare che lo storicismo escluda in senso assoluto la ricerca di leggi generalmente valide e la possibilità di costituire dei tipi entro l’ambito della vita umana. Esso deve tendere a ciò ed unire questo metodo al senso suo particolare della individualità, creando in questa maniera un nuovo modo di sentire la realtà…La genesi dello storicismo ci riporta più che mai, nella seconda metà del XVIII secolo, alla fusione ed al contrasto di questi due indirizzi (giusnaturalismo e storicismo), dove i residui dell’antico permangono accanto all’affermarsi del nuovo. Lo storicismo, da allora, è diventato parte integrante del pensiero moderno, tanto che ad uno sguardo attento le sue tracce si rivelano in ogni sostanziale giudizio sui fatti umani, poiché quasi sempre…si affaccia il concetto che il carattere particolare di questi fenomeni umani dipende non soltanto da condizioni esterne, ma anche da condizioni individuali ed interne 3 ”. Il Meinecke, da cui è tratto lo stralcio su riportato, arretra fino a Vico per ricercare le origini dello Storicismo: “Egli (Vico) accettò così prontamente il mondo storico che lo circondava – come una pianta fa con il suolo in cui affonda le sue radici”; Vico sosteneva che “non la natura fisica, che Dio ha creata e che egli solo è in grado di conoscere, ma la storia, che è stata creata dall’uomo, il mondo delle Nazioni è quel campo che l’uomo può meglio conoscere, nel quale può raggiungere, se non la piena verità, riservata soltanto a Dio, almeno la verosimiglianza” 4 . W.Dilthey (1833-1911), riconosciuto uno dei padri dello Storicismo in senso proprio, "distingue, in polemica con il positivismo di Comte, tra scienza della natura e scienza dello spirito (o scienze storiche o dell’uomo) e ricerca le condizioni di possibilità di queste ultime. Fonda la precedente distinzione epistemologica su una distinzione ontologica tra natura e mondo storico, intendendo quest’ultimo come l’opera degli uomini…Le scienze della natura “spiegano”, scoprono tra gli eventi relazioni causali formulabili secondo leggi universali e necessarie (Morelli, nda); le scienze dello spirito invece “comprendono”, colgono il significato irripetibile di ogni evento storico, rivivendo le connessioni dinamiche che lo legano al contesto della sua epoca e stabilendo un nesso interno intuitivamente evidente tra il passato e il presente. Alla categoria di causa le scienze dello spirito sostituiscono quelle di vita, scopo, significato, valore. Esse identificano soggetto e oggetto, consentono la comprensione del mondo umano da parte dell’uomo: una comprensione che può essere solamente “storica” perché l’uomo stesso è un essere storico. Tutto ciò che è umano si forma nel corso del tempo e la storia, essendo opera di uomini, non ha alcun fine ultimo, trascendente o comunque assoluto cui tendere…" Ci si è dilungati sul riassunto della premesse filosofiche come trampolino per le considerazione che seguiranno, in special modo sull’opposizione tra scienze storiche, dello spirito, e scienze della natura. Se la speculazione dei teorici dello Storicismo si sviluppa in primo luogo sull’asse temporale, con qualche leggero accenno indiretto alla geografia, si deve attendere ancora per la contestualizzazione spaziale dell’individualizzazione storica; ma, se essa è estranea allo Storicismo ed alle sue basi filosofiche, il concetto di territorialità è intimamente connesso con una delle figlie delle Storicismo, la Storia dell’Arte appunto, sia per le caratteristiche della materia, sia per mutuazioni settecentesche: “Montesquieu aveva visto nel clima la ragione preponderante della differenziazione del genere umano e si era perciò avviato per la pericolosa strada di voler capire la vita storica condizionatamente alla natura fisica. La maniera voltairiana, più leggera, non voleva lasciarsi così incatenare dalla causalità e…vide la maggiore efficacia di altri fattori 2 A. Bairati, E. Finocchi, Una nuova disciplina storica: la storia dell’arte da Arte in Italia, vol. III, p. 658, Loescher, 1984 3 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, Prefazione, Sansoni, 1954 4 ibidem, pp. 39-40 3 nella storia. Il clima, egli osserva contro Montesquieu, ha una certa potenza, ma il sistema politico ne ha cento volte di più” 5 . Ciò che cambierà, sotto questo aspetto, nelle discipline relative all’Arte, sarà il grado di coscienza con cui verrà riconosciuto il ruolo del territorio legato al fare artistico. Nella Storia dell’Arte fondamentale, si sa, fu il ruolo del Winckelmann e la prevalenza essenzialmente archeologica delle ricerche dell’antico che caratterizzarono la impostazione della disciplina. Luigi Lanzi stesso (1732-1810) era archeologo. Rispetto alle teorie di provenienza da cui scaturì la disciplina, essa dunque si connotò immediatamente anche dell'aspetto territoriale. (fare una box) Luigi Lanzi fu archeologo, filologo e storico dell’arte. Gesuita, dopo la soppressione della Compagnia divenne (1775) aiutante antiquario del direttore della Galleria fiorentina. Pubblicò studi notevoli di archeologia e filologia paleoitalica, ma la sua opera principale è la Storia pittorica d’Italia 6 , per cui può considerarsi il fondatore della moderna storiografia artistica italiana. In essa, abbandonato lo schema tradizionale delle “vite” degli artisti, egli compone il quadro unitario delle varie scuole regionali, tenendo conto anche delle personalità minori, e giovandosi della mancanza di un’esplicita teoria estetica per rendere più duttile il suo giudizio critico, sempre singolarmente acuto. E questa ricomposizione regionale è sintomo di un adattamento dello studioso alle opere, un senso biunivoco del rapporto storico-cosa. Nella Prefazione del Cavalcaselle 7 alla sua Storia della pittura italiana, scelto inevitabilmente in quanto uno dei protagonisti principali del secondo Ottocento e propositore tra l'altro della redazione di un catalogo, egli dichiara: …noi crediamo che lo studio ed il vicendevole confronto delle opere d’arte, e di una scuola con l’altra nelle diverse epoche, non che la scoperta di nuovi documenti, abbiano arricchita la storia dell’arte italiana con tale congerie di notizie, che una nuova edizione del Vasari, quantunque fornita di molte e copiose aggiunte, non potrebbe corrispondere alle domande che giustamente si fanno ai nostri giorni . Non parleremo dei motivi che ci hanno suggerito la disposizione data al lavoro, come non ricorderemo le sorgenti dalle quali attingemmo i documenti”. Sottolineiamo, per ora, la dichiarazione relativa alla mancata esplicitazione del metodo pronunciata dal Cavalcaselle e procediamo andando a scegliere un brano qualsiasi del suo scritto( vol. I, p. 79): “Da Roma giova ora passare a Milano, dove nella curva dell’abside di Sant’Ambrogio troveremo mosaici che fanno ugualmente al caso nostro. Nel mezzo posa il Redentore su ricco seggio, e in proporzioni più grandi delle altre figure. Ha il capo cinto da aureola, tramezzata dalla croce, benedice con la destra; mentre nella sinistra ha un libro aperto, nel quale si legge: Ego sum lux mundi. Sopra a lui in luogo della consueta mano sta una corona gemmata, e sotto veggonsi i tre busti de’ Santi Marcellino, Satiro e Candido. Alla sua destra è San Protasio, alla sinistra San Gervasio, ambedue senza nimbo e con la croce in mano, collocati di faccia e così riccamente vestiti da ricordare i mosaici ravennati. Sovra ai santi stanno sospesi in aria rivolti a Cristo i due arcangeli Michele e Gabriele. Il primo, sopra Protasio, tiene nella destra una corona e un’asta nella sinistra; il secondo, sopra Gervasio, porta con le mani coperte un largo anello e un’asta. A destra di chi guarda, compie il mosaico alcune storie della vita di Sant’Ambrogio, fra le quali rileviamo la predica di lui, composto di otto piccole figure con dietro loro la città di Milano. Alla sinistra invece è la tumulazione di San Martino fatta in presenza di Sant’Ambrogio, quadro composto di sette piccole figure con dietro la città di Tours, dove Martino fu vescovo. Quantunque molto malconci da rimessi, pure in ciò che resta di originale di codesti mosaici, scorgonsi tipi e costumi che richiamano gli ultimi da noi descritti a Ravenna. Forse non si va lungi dal vero, ammettendoli come opere di artisti, i quali seguivano il modo più tardi invalso nell’Esarcato (in nota: si vuole che siano di un fra Gaudenzio e dell’832; ma ripetutamente e in tempi diversi vennero ritoccati a principiare dal secolo decimosecondo o decimoterzo. La persona di Cristo è si povera e floscia, che non può essere né della stessa età, né della mano stessa che ne condusse la testa. Greche sono le iscrizioni. Notiamo da ultimo che i dadi, onde i mosaici si compongono, sono grossi e rozzi). Non è maraviglia quindi che essi somiglino ai mosaici veduti a Roma in San Teodoro, in Sant’Agnese, in San Venanzio e in San Pietro in Vincoli, i quali sentono più della maniera bizantina che non della locale o romana. Anche le miniature di quest’epoca non fanno che confermare il nostro giudizio sull’arte; quelle di Roma mostrano la tenacità, con la quale si seguirono le tradizioni classiche. 5 ibidem p. 70 6 L. Lanzi, Storia pittorica d’Italia, Remondini, Venezia, 1795 - 1796. 7 G.B. Cavalcaselle, J. A. Crowe, Storia della pittura italiana, Firenze, Successori Le Monnier, 1866, II edizione 4 Questo “racconto descrittivo” , ovvero storiografia, è di fatto la restituzione di un processo di rilevamento in cui si riconosce il metodo catalografico: la descrizione analitica della dislocazione, del soggetto, degli accessori e così via è la trasposizione discorsiva di una scheda di catalogo. La catalogazione è dunque, alle origini della disciplina storica, utilizzata sia come metodo storico artistico che storiografico. Catalogare è nel Cavalcaselle sinonimo di “fare storia dell’arte”, come ricerca e come scrittura. Il “racconto descrittivo” è pratica fondamentale, prima ancora che per la divulgazione, per il mestiere dello Storico dell’arte e dello storiografo, soprattutto in un momento storico ancora privo della riproduzione fotografica. Il catalogo come metodo storico artistico, storiografia e strumento dimostra le tre facce della stessa medaglia, se si passa l'assurdo. L’idea del Cavalcaselle per primo di istituire un catalogo strumentale delle cose d'arte non è altro che la trasmigrazione di un principio di ricerca storica e di metodo storiografico, compreso l’aspetto critico, in redazione strumentale, il cui scopo era incrementare la ricognizione territoriale dei “beni” così lacunosa a scopo divulgativo e tutorio. Il catalogo dei beni artistici sul territorio italiano nasce quindi come derivazione dalla Storia dell’arte e significa piegare ad un altro uso la prassi metodologica della ricerca storico artistica, con esiti anche amministrativi e giuridici. La stessa metodologia di rilevamento sul territorio, che prevede lo spostamento fisico da un posto all’altro, accomuna l’operare dello storico con quello del “segnalatore”. L'urgenza di istituire un “catalogo” era dunque di tipo segnaletico, in quanto non si sapeva quante e dove e come stessero le opere d’arte italiane; ma in realtà, essa fece slittare, per i posteri, concettualmente il procedimento da metodo a strumento e in questa seconda sfera il catalogo rimase storicamente e legislativamente imbrigliato. E ancora nella Storia dell'arte dei tempi recenti (si veda sopra il brano tratto da E. Bairati- A.Finocchi), il catalogo ragionato "storicistico" è chiamato strumento. Ma la responsabilità non fu ovviamente del Cavalcaselle: progressi tecnologici e tecnici, cambiamenti filosofici, "prassi" storiografica , vicende delle istituzioni modificarono dall'interno e dall'esterno la materia. Il coevo Giovanni Morelli 8 si mosse su strade “mentali” completamente diverse, a cominciare dal titolo dell' opera che si prenderà in considerazione: non Storia della pittura, ma Della pittura italiana, con l’intento dunque di focalizzare la propria attenzione altrove. E questo altrove saranno quelle “scienze della natura” opposte alle “scienze dello spirito” dello Storicismo su cui fonderà la sua critica. Si riportano alcuni stralci tratti dall'opera di Morelli e da studi su Morelli, a cui si affidano le esplicitazioni sul metodo morelliano 9 . scienza dell’arte….metodo sperimentale da me raccomandato…E’ vero che alcuni dei miei avversari in Italia mi rinfacciano che questo metodo sperimentale non è affatto nuovo, ma sarebbe stato già raccomandato dal padre Lanzi e dai fratelli Goncourt a Parigi. Io non voglio menomamente contraddirli, già sotto il vecchio sole tutto una volta o l’altra è avvenuto…Ma io credo che nell’uso di qualunque metodo si tratti sempre di sapere come venga usato . Occhio esterno ed interno: rimprovero dei detrattori: non sa vedere il senso spirituale di un’opera d’arte e per questo dà una particolare importanza a mezzi esteriori, quali le forme della mano, dell’orecchio e persino, horribile dictu, di così antipatico oggetto qual è quello delle unghie?…In una parola il concepire giustamente nell’opera d’arte le forme esteriori, alla cui conoscenza io do una speciale importanza, non è opera di chicchessia; questa forma esteriore della figura umana non è accidentale, come molti credono, ma dipende da cause spirituali, mentre invece gli accessori sono accidentali e inerenti alle abitudini. Ora mentre la forma fondamentale della mano quanto dell’orecchio è caratteristica in tutti gli artisti originali e può servire di norma quindi nell’attribuzione delle loro opere, gli accessori al più serviranno a ravvisare più facilmente le opere degli artisti privi di originalità. Prosegue Morelli in merito alla diatriba col Bode..:"…entrambi vogliamo la verità ed i suoi occhi come i miei veggono veramente le cose come entrambi le descriviamo e le giudichiamo. E’ questo in realtà un curioso fenomeno psicologico, la cui spiegazione io credo potersi per un verso trovare nelle influenze dell’ambiente, cioè del terreno, 8 Morelli Giovanni, Verona – Milano 1816-1891. Storico dell’arte. Formatosi in Germania, studiando specialmente scienze naturali, si può dire che poi volesse applicarne il metodo comparativo, spingendolo ad eccessi di origine positivista, alla critica d’arte. Il “metodo morelliano” si basa su minuti raffronti di particolari esterni, che rivelerebbero i manierismi “automatici” (modo di fare le mani, le orecchie, il panneggio) di ogni artista e così ne proverebbero “scientificamente” l’identità. Più che in una sintesi storica, la sua opera e il suo influsso lasciarono traccia nel mondo delle attribuzioni. Opposto al suo fu il metodo di G.B. Cavalcaselle. Nella revisione delle attribuzioni M. ebbe modo tra l’altro di mettere in luce l’autenticità della Venere di Dresda, considerata allora una copia del Sassoferrato 9 Morelli G., Proemia a La pittura italiana, F. lli Treves, Milano, 1897 5 dell’aria, della temperatura, e per un altro nella diversità della nostra rispettiva educazione, io come medico, lui come legale. Se fosse verità assoluta la sentenza del più grande geografo dei nostri tempi, Carlo Ritter, che cioè nel nord della Germania nasce l’uomo più perfetto, si potrebbe conchiudere che il mio avversario di Berlino già pel fatto di nascita avesse dei punti in suo favore…Mi rimane da dire ancora una parola sulla scelta da me fatta delle illustrazioni aggiunte a questo libro A taluno dei miei lettori il numero ne parrà forse troppo piccolo, ad altri troppo grande. Era certamente per me non facile compito il tenere anche per questo rispetto i giusti confini, che dovrebbero essere assegnati ad un libro di siffatto genere. Nella scelta di queste illustrazioni io non poteva essere guidato…se non dal pensiero di facilitare al lettore l’intelligenza del testo. Io mi sono però tenuto a quel che mi pareva indispensabile, supponendo che quelli che si sentono la disposizione di iniziarsi seriamente allo studio delle forme, vorranno da sé osservarle e studiarle nelle opere originali, e a questo scopo io credo di avere loro presentato un sufficiente numero di quadri. CONCETTO FONDAMENTALE E METODO …gli è che l’arte vuole essere veduta, se vogliamo ripromettercene godimento e vera istruzione (e non letta)..In Germania la s’intende altrimenti. Colà ognuno vuole soltanto leggere; vuole vedere innanzi a sé, non già l’arte dipinta o scolpita, ma stampata nero su bianco. Purtroppo noi viviamo in un tempo in cui scrivere e stampare è divenuto in Europa un’epidemia…il falso vedere e il falso giudizio di un’opera d’arte, una volta stampato, può recare danno infinito, per la semplice considerazione che la moltitudine ignorante lo ripete, e l’autore, se non altro per vanità, non lo ritratterà… . "Morelli ha rinnovato la storia dell’arte italiana. Ed ha avuto anche dei valenti allievi: Venturi, Frizzoni, Berenson…In un secolo in cui si fondava la disciplina storico-artistica, si diffondevano le riviste specializzate e si costituivano i principali musei europei, mentre i più affermati storici dell’arte si misuravano con generi più tradizionali, le storie dell’arte, le monografie, Morelli scelse la via delle rassegne critiche, dei cataloghi ragionati e comparati di dipinti…Ivan Lermolieff aveva provocato una rivoluzione nelle gallerie d’Europa rimettendo in discussione l’attribuzione di molti quadri ai singoli pittori, insegnando a distinguere con sicurezza le copie dagli originali e costruendo nuove individualità artistiche col prendere le mosse da opere liberate dalle loro precedenti attribuzioni. Egli era giunto a questo risultato prescindendo dalle impressioni generali e dalle grandi linee che contraddistinguono un dipinto, e sottolineando invece l’importanza caratteristica di dettagli secondari, di particolari come la conformazione delle unghie, i lobi degli auricolari, l’aureola e altri elementi che passano di solito inosservati e che il copista trascura di imitare, mentre invece ogni artista li esegue in maniera che lo contraddistingue…A partire dalla fine del primo decennio del nostro secolo, in un momento in cui gli storici dell’arte prendevano le distanze dai modelli di ricerca ottocenteschi e riconsideravano le proprie posizioni critiche alla luce di nuove istanze estetiche, le meccaniche teorie di Lermolieff che riducevano la “storia dell’arte all’applicazione di qualche principio empirico, battezzato come sperimentale, per dargli dignità scientifica, furono poste ai margini della riflessione sulla disciplina" 10 . "Dall’esame dei volumi di argomento storico artistico che facevano parte della biblioteca di Giovanni Morelli…è emersa la consuetudine dello studioso ad apporre note scritte a commento dei testi…Si è circoscritta l’indagine ai cataloghi della Galleria degli Uffizi di Firenze e della Gemaeldegalerie di Dresda…..La massima densità di note si palesa nei cataloghi di Firenze e Dresda editi nel 1867, così da indurre a considerare queste edizioni e gli oggetti artistici presi in esame come centrali nel processo di maturazione critica di Morelli…Gli argomenti più consueti alle note morelliane riguardano poi la discussione di questioni di ordine attributivo; la puntualizzazione dei dati anagrafici e biografici degli artisti; la ricostruzione della storia interna dei dipinti (committenza, provenienza, etc…); ed infine la valutazione dello stato di conservazione delle opere anche in relazione agli interventi di restauro, spesso causa di motivate riserve da parte di Morelli in merito alle attribuzioni. Una considerazione a parte meritano i continui richiami dello studioso a contributi storico-artistici coevi – Passavant, Crowe e Cavalcaselle i più citati -, nei confronti dei quali concorda o dissente a seconda dei casi e comunque basando il proprio argomentare non solo su dati di natura formale, ma anche avvalendosi di fonti storico documentarie e storiografiche 11 10 Bergomum, nr. 2, 1987 p.11,12 11 ibidem, E.De Pascale , M. C. Rodeschini Galati, Le annotazioni di Morelli ai cataloghi della galleria degli uffizi di Firenze e Gemaeldegalerie di Dresda. Una trascrizione comparata 6 La descrizione del suo metodo (che noi definiamo catalografico, nda), definito sperimentale in quanto contestava la validità delle “prime impressioni”, della tradizione e dell’evidenza documentaria, induceva ad elencare poi le qualità specifiche di un critico e di un connoisseur (in nota: Nel metodo morelliano, secondo Layard, l’identificazione dell’opera dipende dall’analisi scientifica e dall’accurata conoscenza, derivata da studi lunghi e attenti, della maniera, stile e specialmente della delineazione delle differenti parti del corpo umano (Morelli: trattamento della forma) e del particolare senso del colore; ma peso certo non poco considerevole è dato anche all’associazione spirituale che si stabilisce tra il critico e l’artista ed alla possibilità di accertare che il quadro esaminato appaia conforme alla supposta disposizione mentale dell’artista… 12 Morelli segna un momento molto importante nella Storia e nella Critica della disciplina, fondamentalmente per i seguenti motivi diretti: 1) la profonda riflessione sul metodo, esplicita, prima, organica. Cavalcaselle aveva deciso di omettere la esplicitazione della metodologia della sua ricerca, mentre Morelli ne fa un manifesto. E tale metodo è induttivo, dal particolare al generico: “Lo scolaro dovrebbe, io credo, anzitutto imparare ad interrogare l’opera d’arte con intelletto ed amore, finchè il quadro o la statua dal suo intelligente affetto riscaldata gli dia risposta, ed è per questo che la forma e la tecnica deve rimanere il fondamento di ogni studio artistico”(p. 16). Il metodo scelto per esplicitare il metodo è quello del Dialogo ed il riferimento non può non andare anche al Dialogo sui massimi sistemi di Galilei, sancendo il legame tra la Scienza dell’arte e la Scienza astronomica, da spiegare ad un pubblico passo passo. E infatti la sua scienza si avvicina, si è detto, più alla scienza di natura che non alla scienza dello spirito. Nella introduzione alle considerazioni sulle opere della Galleria Borghese, Morelli stesso spiega polemicamente il procedimento: “Se si riflette dall’altro canto quale noioso ed anche futile lavoro sia agli occhi dei più la compilazione di un catalogo, si dovrà concedere pure, che da un rinomato ed affaccendato storico dell’arte o direttore di Gallerie non si può pretendere che egli abbia a darsi d’attorno a simili cose. E’ questo quindi lavoro appropriato ad un principiante o ad uno studente, una specie d’uomini alla quale io riconosco di appartenere, e che nella scienza dell’arte vogliono meritarsi il loro grado, mentre allo storico e al filosofo dell’arte dev’essere riservato di sorvolare in più pure ed alte regioni affinchè egli, quasi tra cielo e terra librandosi, possa liberamente seguire il genio dell’arte…Ho creduto opportuno di far precedere queste poche parole di scusa, affinchè si consideri questo lavoro per quello che io stesso ritengo che sia, cioè per un tentativo…che fa un principiante affine di mettere alla prova le sue aspirazioni ai grandi pittori italiani dell’antichità, e al classificarli criticamente, dove a lui pare che un più adatto battesimo debba sostituirsi a quello del catalogo” 2) Il riconoscimento del ruolo del territorio, applicato anche a se stesso (versus Bode). Egli stesso cita le ricerche del geografo Ritter e lo dichiara esplicitamente nella spiegazione del Concetto fondamentale e metodo nella sua opera. Per il Lanzi il territorio era implicito nell’organizzazione regionale di scuole; per Cavalcaselle nelle modalità della ricognizione; Morelli ne riconosce il ruolo nella formazione stessa degli ingegni. 3) L’accompagnamento delle sue tesi con immagini: “Come il botanico vive tra le sue piante fresche e secche il mineralogo e il geologo tra le sue pietre e i suoi fossili, così deve vivere l’intelligente d’arte tra le sue fotografie, e possiblimente, s’egli è agiato, eziandio tra pitture e statue” (p.16). Ma già egli si pone la questione della validità della fotografia come supporto di studio, anche se NON relativamente al ruolo della riproduzione, bensì al riproduttore che sceglie il soggetto: “come vuole, fra altre cose, che il principio della scienza dell’arte sia in grado di distinguere le fotografie delle opere genuine da quelle false, quando al giorno d’oggi si fotografa tutto quello che capita, il buono e il mediocre, le opere genuine e le false?”. Ma fortunatamente, a seguire: L’arte…dobbiamo impararla, come si è detto, non tanto nei libri e nei documenti scritti, quanto e prima di tutto nelle opere d’arte, e ciò nel paese stesso, sul terreno e nell’aria ove queste furono generate e diventarono grandi. Chi vuole intendere il poeta, dice Goethe, deve andare nel paese del poeta. L’opera di Morelli non è opera storiografica, bensì storico - critica. Egli non sceglie la ricognizione territoriale alla scoperta di nuove opere, ma indaga quelle musealizzate e va a correggere gli errori compiuti nella redazione del catalogo museale. Sarebbe necessario a questo punto uno spaccato sulla 12 D. Levi, Fortuna di Morelli: appunti sui rapporti fra storiografia artistica tedesca e inglese Bergomum, 1987, nr.3 7 nascita delle istituzioni museali e sullo strumento illustrativo principe, il catalogo. Ma si accenna solo all’argomento sottolineando la contemporaneità delle musealizzazioni e delle riflessioni nelle discipline artistiche. Dato quindi il campo di azione su cui Morelli insiste, ovvero opere già note e musealizzate, necessariamente diverso è il metodo. Laddove le ricerche storiche (prendiamo come punto di riferimento per tutti il Cavalcaselle ) non avevano dato risposte o erano state malamente interpretate criticamente, si era aperta la porta all’arbitrarietà, e la critica estetica basata sull’impressione aveva già creato equivoci. Morelli vuole “scientificizzare” proprio la critica estetica, riportandola a metodi rigorosi, quantificabili, sopperendo anche alla mancanza di documenti d'archivio o alla loro erroneità per trovare nell'opera stessa le risposte documentali. Ma il procedimento a cui vuole riassorbire le considerazioni stilistico - estetiche è, a ben guardare, un procedimento di tipo catalografico, esteso nella sua oggettività ai dati complessi dell’opera. I parametri di questa scienza dello stile sono nel considerare le cose negli aspetti esteriori prima che interiori, spirituali, dell’opera, secondari a quelli. E lo stile è per Morelli una componente esteriore. E’ anche questione di impostazione mentale: Morelli è un uomo di scienza ed il suo operare segue la metodologia del ricercatore scientifico: p. 51: “Ora, se lei esamina più da vicino le forme della mano e dell’orecchio in questo rinomato quadro di Raffaello (Madonna della seggiola) non le può sfuggire che, mentre la forma fondamentale dell’orecchio è anche qui la stessa delle sue opere dell’epoca perugina e fiorentina, quella della mano all’incontro ha perduto in questo quadro quella naturalezza, che abbiamo notato nelle mani dei due ritratti femminili…Per quanto anche in questa Madonna il metacarpo sia largo e alquanto piatto…pure le dita sono appuntite finamente…(p.51)” Il rilevamento catalografico oggettivo e scientifico viene “zoomato” anche ai particolari, piegato allo stile, per farne il punto di partenza per considerazioni critiche fondate. Morelli vuole riassorbire la critica “spirituale” senza radici di certa produzione storica e critica riconducendola ai rigorosi criteri propri alla catalogazione "delle origini". Ma la fotografia e l’idealismo fecero il resto. Anche Morelli dunque, cerca di riconciliare lo strumento al metodo, ovvero il catalogo opera editoriale al metodo catalografico, per una Scienza dell’arte. E questo metodo, recuperato, passa nella storiografia successiva come storia e critica dello stile (ma se non più fatta da "scienziati" perde il rigore), delegando invece gli altri argomenti catalografici trascritti dal Cavalcaselle _ diciamo più "denotati"_ alla visione delle “incisioni” accompagnatorie, che invece non comparivano in assoluto nel testo del Cavalcaselle. Dalla Nota alla presente edizione italiana (1896) al termine del Proemio de La pittura italiana si riporta: Vuolsi notare qui che la presente edizione porge al lettore gran copia di riproduzioni nuove, tratte da fotografie eseguite col processo isocromatico dalle migliori ditte, fra le quali primeggiano quelle dei fotografi Anderson, Brogi e Alinari, sì che per questo aspetto differisce quasi completamente dalle edizioni tedesca e inglese. Sola da quest’ultima furono tolte alcune riproduzioni scelte, mercé la cortese concessione di alcuni piccoli cliché per parte della ditta editrice Murray di Londra. E questo costituiva certamente una conquista ed un “progresso” nella divulgazione. La catalogazione del Morelli come metodo incrementa i “campi” della catalogazione del Cavalcaselle, mirando ad istituire dei confronti scientifici tra le opere, ovvero implementando il rilevamento dei dati fisici dell’opera con la squisita operazione veramente “critica”. E ciò è ancora quello che manca alla catalogazione, ovvero il rilevamento stilistico che andrebbe però, ovviamente, standardizzato, onde evitare l’arbitrarietà contro cui muoveva il Morelli. E la sua opera è un “catalogo ragionato”; ma il rilevamento catalografico, così consolatorio nel Cavalcaselle, non passa nella sua opera se non in modo succinto e sporadico, quando parla di opere che non illustra. Per il resto, la deduzione dei dati è devoluta all’immagine. Egli stesso caldeggia lo studio diretto delle opere nel suo proemio a La pittura italiana, ignaro di quel che si stava preparando per la disciplina e di cui lui ed i suoi successori furono strumenti; sappiamo da G. Frizzoni nei Cenni biografici in apertura della Pittura italiana pubblicata dai F.lli Treves che Morelli “colla semplice ispezione di due meschine fotografie seppe ravvisare in due quadri spettanti all’artista non solo l’autore cui appartenevano, ma anche il loro pregio singolare”. Egli stesso quindi lavorava sulle fotografie e le usava anche per operazioni critiche. 8 Forse fu proprio Morelli il discrimine che portò alla perdita, nella produzione editoriale divulgativa, della catalogazione come metodo, unitamente alla preponderanza che assunse la riproduzione fotografica in tutte le opere a stampa, critiche e storiografiche. Così il catalogo rimase unicamente uno strumento, e così passò nella legislazione, con qualche guizzo di ricongiungimento al metodo almeno finchè furono coinvolti storici dell’arte. Nessuno storico dell’arte operante negli istituti culturali deputati alla conservazione infatti, mai abbandonò il metodo catalografico come approccio alla disciplina sia storica che critica, insieme alla considerazione dei giusti riconoscimenti alla genesi territoriale delle opere. E anche l’idealismo, come si è accennato, contribuì all’allontanamento del metodo dallo strumento, creando una spaccatura tra formazione del pubblico e degli “specialisti”, come si vedrà in seguito. Allievo di Morelli, Adolfo Venturi 13 ha un ruolo importante sia in quanto anch'egli redattore di un catalogo sia per il messaggio metodologico che passa nella sua opera. Dalla sua Storia dell'arte italiana 14 si deduce che il metodo di Venturi sia quello di un “catalogo ragionato”, ovvero modulato seguendo gli aspetti più significativi delle opere sia stilistici che storici. La contestualizzazioni storica è indispensabile ma il metodo catalografico (cavalcaselliano) si registra sempre come atteggiamento prodromico alla critica estetica. E l'elaborazione espositiva è talmente fluida e organica da non riconoscere in essa in modo distinto quel metodo che saltava all'occhio nel Cavalcaselle. Nell’opera La Dalmazia monumentale 15 del 1917 è espresso un concetto importante per le questioni che si stanno affrontando nella presente ricerca; innanzitutto è opera che contempla prevalentemente monumenti e decorazioni ad essi connesse, quindi beni immobili. Tommaso Sillani nel primo capitolo spiega il metodo: L’intendimento dell’opera è stato quello che ha consigliato l’ordinamento geografico delle tavole ed alcune limitazioni penose, ma necessarie al numero di queste. Volendo dare un’immagine compiuta dell’antica provincia romana i monumenti non sono stati raggruppati per epoca o per stile come un’impresa rigidamente scientifica avrebbe richiesto; ma sono stati raccolti ed ordinati seguendo il succedersi delle città della terraferma o delle isole alle quali appartengono . Si è però badato che ogni edificio importante abbia, nella città dove sorge, il suo posto, diciamo così, gerarchico… I parametri di riferimento di tipo scientifico sono assimilati all’ordinamento per epoca e per stile, sembrando la territorializzazione (l'ordinamento geografico nel testo) un ripiego; all’interno del quale viene però mantenuto un criterio gerarchico, di eccellenza estetica, come anche la legislazione del periodo rifletteva e cercava in qualche modo di superare. E anche in quest’opera, con linguaggio molto connotato, si vanta la delega alla riproduzione delle immagini: Il testo ne è breve e molte sono, invece, le immagini che la documentano. Il testo, in questo volume, vuol essere soltanto una rapida ed efficace preparazione dello spirito della visione delle nobili bellezze raccolte più oltre. La dimostrazione della nostra tesi deve essere compiuta dalla verità che ognuna delle immagini reca nel suo stile, nel suo spirito, nella sua forma. 13 Adolfo Venturi, storico dell’arte (Modena 1856-Santa Margherita Ligure 1941). Autodidatta, si dedicò agli studi storico- artistici, in specie sul Rinascimento. Nel 1878 divenne ispettore della Galleria Estense di Modena. Nel 1888 iniziò a Roma, per incarico del Ministero della Pubblica Istruzione, il catalogo degli oggetti d’arte dello Stato; conseguita frattanto la libera docenza (relatore G. Carducci), ebbe (1890) la prima, e per molto tempo la sola, cattedra di storia dell’arte in Italia, nell’università di Roma, e si dedicò all’insegnamento con passione fino al 1931. Fondò poi il corso di perfezionamento in storia dell’arte presso l’univ. Di Roma, che per anni costituì il vertice di tali studi in Italia.. Fu anche promotore della commissione vinciana e di molte altre iniziative di organizzazione della cultura storico-artistica. La sua attività d’insegnante e di studioso diede un vigoroso impulso agli studi di storia dell’arte in Italia,, e, oltre che nei numerosissimi articoli e saggi, ebbe la sua massima espressione nella Storia dell’arte italiana (22 tomi, 1901-1936). In quest’opera, il senso vivissimo della storia, unito a una straordinaria finezza critica e a una vastissima esperienza di conoscitore, ha permesso al Venturi di tracciare un ampio quadro di insieme degli svolgimenti dell’arte italiana e dei legami e rapporti fra le varie manifestazioni artistiche, e insieme di approfondire con minuziosa acutezza il giudizio critico sulle singole personalità. Fondatore e direttore per un quarantennio della rivista l’”Arte”, successa all’archivio storico dell’arte. La sua biblioteca, altamente specializzata, si trova presso l’Istituto centrale del restauro a Roma. 14 A. Venturi, Storia dell’arte italiana, Hoepli ed., Milano, 1901 15 A. Venturi, E. Pais, P. Molmenti, Dalmazia monumentale, Editori Alfieri e La Croix, Milano, 1917 9 Si affidano alle parole di E. Castelnuovo 16 le spiegazioni riguardo al metodo operativo di Pietro Toesca. L’assunto del lavoro è quello di riscontrare e verificare nei testi figurativi le proposizioni dei trattati pittorici ad essi contemporanei, dal Cennini al Lomazzo. Brani del libro dell’arte, dell’albertiano De pictura, della Hypnerotomachia,del Trattato della pittura di Leonardo, delle lettere dell’Aretino, del Trattato del Lomazzo, vengono accostati a dipinti celebri, da Giotto a Tiziano, per seguire il “modificarsi della sensibilità umana alle forme “, per ricercare le tracce di un medesimo atteggiamento nei confronti della raffigurazione della natura o dell’uomo. L’impostazione dell’opera comporta l’abbandono del concetto di “progresso artistico”: si veda ciò che viene osservato a proposito dell’arte di Giotto: “noi ci permetteremo di dubitare che queste pretese imperfezioni abbiano avuto altre ragioni che non fosse l’inerzia della materia ad essere vivificata, e che costituiscano piuttosto qualche cosa di necessario, di inconsciamente voluto dall’artista per ottenere ciò che egli bramava”. Inseriti in reali situazioni storiche i testi perdono la loro astrattezza e in questo modo stesso rompono la cornice troppo angusta del genere letterario. A questo risultato doveva mirare l’autore che così conchiude (p. 103) : “…ora che abbiamo almeno delineato l’ambiente dove collocare quelle opere le quali nella letteratura italiana non sapevano da che parte voltarsi: i Trattati della pittura". Dopo aver letto le parole sul metodo di Toesca e quindi aver proceduto di qualche anno , attingiamo anche dalla sua opera La pittura e la miniatura in Lombardia, una descrizione casuale (p.155): Una delle più delicate miniature illustra il foglio intitolato: Rutab.idest dactilus Sulla pergamena, non tinteggiata, si eleva una palma dal terreno coperto d’erbe, che sono disegnate in modo decorativo come anche in altri fogli. La donzella, biondissima, che coglie i frutti, è vestita di tinte tenere lumeggiate a tratteggi di biacca nella maniera propria di Giovannino de’ Grassi e dei suoi compagni lombardi: il colorito tenue delle carni, anche l’accurato studio del costume suo e del cavaliere, che accorre a gustare dei frutti, ha intiere rispondenze con le miniature dei manoscritti che abbiamo attribuito alla Lombardia. Rischiando di banalizzare l'indagine, si confrontano ora i testi con taglio di pura analisi letteraria. Rispetto alla descrizioni del Cavalcaselle, in Toesca in primo luogo la quantità di righe destinate agli oggetti sono inferiori (5 contro 18), e ciò è dovuto alla maggiore quantità di opere considerate; non vi è descrizione di dislocazione dei personaggi nella miniatura né delle proporzioni tra le illustrazioni. Il testo è dedicato per la metà a confronti storico-stilistici, mentre il Cavalcaselle ne destina solo 6 righe su 18, un terzo. Analizziamo il testo: le parti che descrivono la scena sono le prime due righe e parzialmente la terza: si apprende della palma, dell’erba, di una donzella bionda che coglie i frutti vestita di tinte “tenere”. La restante parte del testo, ovvero altre due righe e mezzo, mira ad intrecciare corrispondenze stilistiche con altre miniature lombarde; solo incidentalmente si apprende che nella miniatura vi compare anche un cavaliere. Andando solo a seguito della lettura della descrizione a vedere l'opera riprodotta ci si accorge in modo palese di un fatto: la descrizione del Toesca prevede che il lettore abbia già visionato l’opera quando legge il commento ad essa; egli omette infatti una serie di dettagli e di informazioni delegandoli alla riproduzione fotografica che compare nel testo. Il testo del Cavalcaselle, invece, la aveva sostituita. Si sottolinea comunque il ruolo che il Toesca ha svolto nei confronti della disciplina, ruolo cui nulla si toglie dell'affermazione di R. Longhi :" La pittura e la miniatura nella Lombardia per rigore di analisi, varietà di riscoperte, vigore di sintesi è, forse, nel campo della storia dell’arte, il più gran libro apparso in Italia negli ultimi 50 anni". La ricerca attuale muove infatti secondo altri parametri. Quello che si era evidenziato come consentaneità tra metodo di ricerca, storiografia e strumento- ovvero la catalogazione - anche in Toesca non c'è più; non tanto come strumento, ma certamente come storiografia, anche se dato il rigore scientifico del suo procedere, è evidente che la mantenne come metodo storico artistico. Nell’equilibrio delle parti dedicate alle informazioni ed alla critica estetica con comparazioni stilistiche si avverte l’inevitabile influenza morelliana passata dal Venturi. “Immaginava egli (Toesca) il proprio destino, di raffigurare cioè l’ultimo rappresentante di una concezione monumentale della nostra storia artistica, dopo le prove parziali di tutto l’Ottocento? E questo, si pensi, mentre già era aperta, per rinuncia, l’era delle storie di collaborazione…; e mentre, per giunta, da un’autorevole specola filosofica, già si accennava il pensiero che l’unica forma valida della storiografia letteraria ed artistica avesse ad essere la monografia. Ma si ascoltino le parole del Toesca quando scriveva che i materiali della storia dell’arte [apprestati dalle ricerche stilistiche] vanno ricomposti con procedimenti che non possono essere segnati e prestabiliti da nessun metodo estrinseco alle qualità intellettuali proprie di 16 E. Castelnuovo, Introduzione a P. Toesca, La pittura e la miniatura in Lombardia, Einaudi 1966 (I°ed. Hoepli 1911) 10 ogni singolo storico”. E si conclude questa citazione dal Longhi con la spiegazione del metodo per il Toesca: “Seria, utilissima cosa, la ricerca iconografica, di utilità indubbia per stabilire nessi e rapporti anche interregionali di cultura, che altrimenti quasi sfuggirebbero all’esame; sussidio, tuttavia, delle ricerche stilistiche alle quali, chiaramente, è lasciata l’ultima istanza del giudizio. Metodo che in origine era , come ben sappiamo, italiano, dal Lanzi al Cavalcaselle al Morelli, al Venturi”. Sdegnoso di fronte alla “pura visibilità” dell’arte, “diffidente di ogni soprastruttura letteraria nell’esposizione critica,” Toesca era “ convinto anzi che la trascrizione dell’opera d’arte non debba andare oltre certi limiti di suggerimento” 17 . Ed i suggerimenti descrittivi di Toesca indulgono infatti sul colore, là dove la fotografia ancora mancava. Ovviamente, abbondanti sono le riproduzioni fotografiche (in bianco e nero) di corredo al testo. Non si discute sulla utilità divulgativa delle conquiste tecniche: Toesca stesso caldeggiava l’incremento dell’attività dell’Ufficio fotografico del Ministero della P.I, ritenendo la fotografia importantissima sotto tre aspetti: la documentazione in caso di distruzione o smarrimento delle opere la divulgazione lo studio 18 ; ma si pone l’accento sul cammino inverso che la catalogazione ha intrapreso in controtendenza allo “sviluppo storico critico” della disciplina e, soprattutto, alla divulgazione. Con la fotografia, in primo luogo, lo storico dell'arte non è più obbligato a recarsi a vedere le opere. Viene quindi a mancare la corporeità dell'oggetto da indagare e le si sostituisce l'astrazione territoriale del medesimo. E questo è un cambiamento di metodo storico artistico: due pilastri della ricerca ontologicamente fondanti le discipline (fisicità dell'oggetto e territorializzazione) sono crollati. A seguire, crolla ovviamente la catalogazione come metodo di rilevamento. La conseguenza è lo snaturamento della disciplina ed il suo evolversi secondo metodi prettamente stilistici, sia di ricerca che storiografici. Inoltre, fondamentale, la circolazione e divulgazione libraria estesissima del secolo scorso, in seguito ai due grossi cambiamenti evidenziati, ha imposto il proprio non-metodo storiografico ed ha fatto studiare schiere di studenti e studiosi sul fraintendimento; libri nei quali sono scomparse le carte d'identita' degli oggetti, che non fossero solo il nome generico e spesso errato di "affresco"o "dipinto su tela". E' chiaro forse che una delle più grosse responsabilità della storiografia e critica artistica divulgativa ma anche specialistica è stata proprio la lacuna relativa alla materia e alla tecnica esecutiva, sottaciuta e assolta nella sua eclisse. Ma questo non fu responsabilità solo della fotografia, ma dell'impostazione diversa del trattare l’arte, storicamente e criticamente. Certamente, ma sarebbe da appurare compiendo una seria storia della storiografia artistica italiana, essa fu influenzata dalle teorie idealistiche. “Croce nella sua Estetica (1900) ha assunto un punto di vista marcatamente antistoricistico e questo suo nuovo atteggiamento si esprime in modo inequivocabile proprio nei confronti dell’opera d’arte. Croce si spinse fino agli estremi, mettendo in questione la stessa critica d’arte e la storia dell’arte in quanto tali. Alle concezioni materialistiche e meccanicistiche dell’Ottocento contrappose la sua dottrina dell’intuizione; l’intuizione era per lui indivisibile. Croce fu un fanatico della forma: l’atto estetico è forma e nient’altro che forma. La storia dell’arte era per Croce una fatica inammissibile, ed era fermamente convinto, come disse con parole inequivocabili, che non esistessero contestualizzazioni storiche: “L’arte è intuizione, e l’intuizione è individualità, e l’individualità non si ripete” 19 . All’idealismo si associno pure le più tarde inversioni di pensiero propugnate dallo strutturalismo: " Nel corso del nostro secolo, allo storicismo si è contrapposto particolarmente lo strutturalismo, definito dalla tesi del primato epistemologico della sincronia nei confronti della diacronia. Nato sul terreno della linguistica, lo strutturalismo è 17 R. Longhi, Pietro Toesca, in Letteratura italiana, I Critici, vol. 5°, Marzorati ed., Milano, 1969 18 P. Toesca, L’ufficio fotografico del Ministero della pubblica istruzione in L'Arte, Hoepli, 1904, vol.I, p.81: “quale festa per le aule scolastiche che potranno ornarsi delle immagini dei più grandi capolavori, per gli studiosi che potranno avere materiale preparato con un’accuratezza senza pari!” 19 Kultermann U., Storia della Storia dell’arte, 1997,Neri Pozza, Vicenza 11 stato poi esteso all’ambito delle scienze umane particolarmente ad opera di Levi Strauss e appunto in funzione antistoricistica. La posizione più liberale è di rinunciare a stabilire gerarchie a priori fra la storiografia e le altre forme di conoscenza del mondo umano, riconoscendo che l’una e le altre rispondono a programmi di ricerca diversi, tutti pienamente legittimi, in quanto giustificati volta a volta dal fine proposto all’indagine."(tratto ancora dal Meinecke) Tale corrente parrebbe avere inciso sul modo di intendere e quindi di fare Storia dell'arte, sottraendola alla sfera originaria anche nel metodo, per sostituire alla scientificità della contestualizzazione storica criteri "sincronici", in prevalenza estetici: va da sé che il metodo per eccellenza della critica estetica è l'analisi stilistica con presupposti “spirituali”, con cui si rischia di esaurirsi l'indagine. L’idealismo, considerando l’opera d’arte come un’intuizione, non poteva accettare la classificazione scientifica dell’intuizione, per la contraddizione in termini: “l’arte è intuizione e l’intuizione è individualità e l’individualità non si ripete”. E dato che l’arte è solo forma, la fotografia bastava , anzi era ad hoc per riproporre la forma al pubblico, anche di formazione superiore. Eloquente a questo proposito l’esordio di R. Longhi alla sua Breve ma veridica storia della pittura italiana 20 : “Ammetto alla prima che voi siate convinti, senza ch’io ci spenda parole, che l’arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa…Ecco adunque delle equazioni successive: arte figurativa – stile figurativo = visione figurativa”. E a seguire le trattazioni sullo stile lineare, plastico, coloristico e così via: non una parola, se non accidentale, sulla materia e tecnica, sulle dimensioni, sul trattamento dei supporti per ottenere gli effetti visivi di cui parla. Eppure la sua attività fu contemporanea al Toesca (anche), ma rappresenta emblematicamente il corso affatto diverso del formalismo nella critica d’arte, corroborato e forse parzialmente provocato dall'utilizzo della fotografia. Si sostiene questo anche a seguito delle parole di Contini tratte dalla prefazione all’antologia critica di R Longhi 21 : “Si sa che Longhi, sollecitato qualche volta a mettere in circolazione la sua prosa fuori dai canali strettamente specialistici, non riuscì a superare innanzi tutto la duplice difficoltà rappresentata dalla presenza o assenza delle illustrazioni. E la cosa si intende: Longhi non allestiva prove… di prosa d’arte”. E ancora, Sul metodo di R. Longhi, Contini trascrive l’unico accenno teorico dell’autore riguardo la metodologia: "Un singolare idealismo, che io chiamo idealismo a corso forzoso, e che a nulla ha a che spartire con l’altro genere in cui tutti crescemmo, e che sempre ci invogliò a distinguere fra i portati della fantasia creatrice e i prodotti che la simulano…” L’opera nella sua oggettualità è simulazione della fantasia creatrice. La fotografia è forse addirittura meglio della cosa in sé, perché la smaterializza e l’avvicina all’idea. E ancora sarebbe necessario studiare la scelta iconografica delle fotografie corredanti le opere storiografiche e critiche dal Morelli in poi, per comprendere come da una semplice esigenza segnaletica (l’opera nella sua interezza, a ripresa più o meno ravvicinata) essa si sia via via rivolta ad dettaglio, al particolare, all’ingrandimento per meglio illustrare lo stile, a detrimento del totale. Scema la globalità della storiografia a favore della monografia, scema l’interezza iconografica illustrativa a favore del dettaglio "critico"; scema il metodo catalografico oggettivo a favore della “interpretazione”. E l’antologia longhiana curata dal Contini senza illustrazioni è come un involucro vuoto, nonostante la prosa accattivante del Longhi. Cavalcaselle ridipingeva l’opera a parole tramite il metodo catalografico: studiare le opere di Longhi senza illustrazioni è inutile. E così si buttava a mare definitivamente il metodo catalografico scientifico storico-documentario di Cavalcaselle ed il medesimo piegato allo stile del Morelli. Ma esso, o essi, non vennero mai meno nei luoghi delegati alla conservazione, non foss’altro per il fatto che se un’opera si stava deteriorando, le teorie estetiche sulla forma non aiutavano certo a trovare il rimedio per il tarlo o per l’umidità e la conoscenza fisica della cosa è sopravvissuta di necessità. E mentre la “società” si educava in base alle correnti filosofiche, che manipolavano la materia, i tecnici continuavano a fare schede di catalogo ed a proporre attribuzioni a fini in primis conservativi, con ricadute certamente in ambito culturale non sempre accolte dai restanti studiosi, alieni da problemi 20 del 1914, edizione Sansoni 1980 21 R. Longhi, Da Cimabue a Morandi, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, 1973 12 quotidiani di deterioramento Ciò creò una grossa frattura nella formazione che tutt’oggi si sta ancora tentando di colmare. In quest’ottica sono da interpretare le parole di O. Ferrari e S. Papaldo risalenti alla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso 22 : La stessa riconsiderazione di “bene culturale” inteso come complesso di testimonianze ed espressioni delle passate civiltà in intima connessione con la evoluzione dell’assetto territoriale , e soprattutto sentito come patrimonio comune di tutti i popoli, ha portato alla formulazione di accordi e di voti di cui si sono fatti promotori i massimi organismi territoriali… Una evoluzione delle normative giuridiche di tutela così radicale come quella che è in atto in Italia non s’è verificata nelle altre nazioni pur maggiormente interessate al problema dei beni culturali (p. 567)…La conoscenza come presupposto della tutela. Quella generalizzata presa di coscienza cui si è fatto riferimento, reclamante la partecipazione di più estesi strati sociali alla gestione dei beni culturali, non solo ha coinciso con una imponente estensione della conoscenza relativa ai beni culturali stessi, ma ne è stata insieme causa ed effetto, in un processo di fitta interazione. A promuovere questo elevarsi del grado di conoscenza hanno concorso invero gli strumenti istituzionali, quali le strutture propriamente educative, e i mezzi di comunicazione di massa, le più facili possibilità di accostamento diretto ai beni culturali, le esposizioni e le altre numerose manifestazioni di genuino valore culturale…Né è da tenere distinto, perché anzi mantiene il proprio ruolo primariamente incentivante, l’incremento dell’indagine specialistica che oggi si configura come l’esito naturale di una così affinata complessità investigativa – a livello filologico, documentario, interpretativo – da collocarsi al vertice di un vero e proprio “sistema” di rifondazione delle discipline storico-artistiche. Quale precipuo elemento di mediazione tra l’indagine specialistica e la appropriazione culturale da parte di vaste e differenziate componenti della società si sono però riproposti, proprio in questi ultimi tempi, anche altri modi di approccio ai beni culturali, altri canali di ricerca che, spesso, hanno teso pur essi a definirsi come reali istituzioni metodologiche (o quanto meno, come incentivi di possibili, altre istituzioni metodologiche). Ci si riferisce, in particolare, a quei modi di approccio che si esplicano nel quadro delle attività di catalogazione dei beni culturali: in genere, per vocazione specifica, in intima correlazione con le attività di conservazione, restauro e tutela di tali stessi beni, ma ora sempre più indirizzate a superare le originarie funzioni tecniche o “amministrative” e corrispondere bensì proprio alle esigenze conoscitive reclamate in misura tanto più estesa dalla società. ..E’ invero ormai di comune nozione come l’attività di catalogazione, in quanto assume come proprio traguardo operativo la conoscenza globale delle varie testimonianze creative esistenti (o che sono esistite) in qualsiasi contesto (sia esso il museo o la raccolta, come pure la città, il territorio, l’area culturale nella sua più comprensiva dimensione storica), proprio per questo mette in atto un processo ricognitivo che investe e valuta non solo la specificità fenomenica di quelle testimonianze, e neppure solo la loro totalità, per così dire, numerica, ma piuttosto la loro contestualità. E pertanto, nel suo svolgersi su successivi livelli di approfondimento critico, questo medesimo processo mira particolarmente a porre l’accento sul valore – che non potrà essere altro che storico – di siffatta contestualità: onde, come si è già detto, esso supera la mera procedura della sommatoria inventariale, si esime dal pregiudizio del grado qualitativo del singolo bene culturale, per tendere invece alla individuazione di una più estesa ed integrale dimensione conoscitiva. ..l’accento posto sul valore della contestualità storica costituisce infatti, per logica conseguenza, un più sicuro punto di riferimento anche per le attività proprie di conservazione e di tutela dei beni culturali….Né è da tralasciare anche il potenziale incentivante che il processo ricognitivo proprio della catalogazione ha nei confronti della stessa indagine specialistica: se infatti è ben vero che per larga parte la catalogazione acquisisce i risultati dell’indagine specialistica, è pur altrettanto vero che questa è a sua volta sollecitata da quella, l’una e l’altra così integrandosi per naturale osmosi. Né è men vero che sovente i risultati di maggior portata innovatrice, anche in senso filologico o documentario, sono stati proprio quelli che sono scaturiti da indagini ricognitive globali, cioè di catalogazione, su specifiche aree culturali: basti pensare alla dimensione conoscitiva, implicante pure un folto lavorio di impostazione metodologica, a carattere decisamente interdisciplinare, che è stata conseguita dalla problematica conservativa dei centri storici e dell’ambiente, praticamente in tutto il mondo 22 O. Ferrari e S. Papaldo "Supplemento e aggiornamento dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, Nuove conoscenze e prospettive del mondo dell’arte: Conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e ambientale, 1978, UNEDI, Roma, p.565 13 Ferrari- Papaldo nel loro scritto dimostrano l’inversione di rapporto che troverà pieno sviluppo nella legislazione degli anni 90 e dell’inizio del secolo nuovo tra la conoscenza e la tutela. Essi sottolineano inoltre come il procedimento multi, inter, intradisciplinare su basi scientifiche stesse reimpostando le discipline "specialistiche" in materia d’Arte. Pongono l’accento inoltre sul ruolo di mediazione della catalogazione tra l’indagine specialistica e le urgenze conoscitive di parti consistenti della società, considerandola attività di medium che è giunta ad un grado di dignità che la sottrae al puro scopo tecnico e tecnicistico della conservazione e della tutela. Ma questo dimostra una verità, ovvero che il catalogo come metodo, oltre che strumento, è sempre sopravvissuto nelle istituzioni deputate alla conservazione, nonostante le correnti teoriche avverse: agli occhi di tutti gli altri, ovvero specialisti non dediti alla tutela e conservazione, e pubblico, esso è apparso ed è stato considerato solo strumento, secondo quello spaccamento di unità che si è cercato di dimostrare avvenuto dopo (troppo) pochi anni dalla nascita delle stesse discipline storico - critiche. Nello spiegare poi in cosa consista la catalogazione: E’ invero ormai di comune nozione come l’attività di catalogazione, in quanto assume come proprio traguardo operativo la conoscenza globale delle varie testimonianze creative esistenti (o che sono esistite) in qualsiasi contesto (sia esso il museo o la raccolta, come pure la città, il territorio, l’area culturale nella sua più comprensiva dimensione storica), proprio per questo mette in atto un processo ricognitivo che investe e valuta non solo la specificità fenomenica di quelle testimonianze, e neppure solo la loro totalità, per così dire, numerica, ma piuttosto la loro contestualità. E pertanto, nel suo svolgersi su successivi livelli di approfondimento critico, questo medesimo processo mira particolarmente a porre l’accento sul valore – che non potrà essere altro che storico – di siffatta contestualità: onde, come si è già detto, esso supera la mera procedura della sommatoria inventariale, si esime dal pregiudizio del grado qualitativo del singolo bene culturale, per tendere invece alla individuazione di una più estesa ed integrale dimensione conoscitiva. ..l’accento posto sul valore della contestualità storica costituisce infatti, per logica conseguenza, un più sicuro punto di riferimento anche per le attività proprie di conservazione e di tutela dei beni culturali….Né è da tralasciare anche il potenziale incentivante che il processo ricognitivo proprio della catalogazione ha nei confronti della stessa indagine specialistica: se infatti è ben vero che per larga parte la catalogazione acquisisce i risultati dell’indagine specialistica, è pur altrettanto vero che questa è a sua volta sollecitata da quella, l’una e l’altra così integrandosi per naturale osmosi. Né è men vero che sovente i risultati di maggior portata innovatrice, anche in senso filologico o documentario, sono stati proprio quelli che sono scaturiti da indagini ricognitive globali, cioè di catalogazione, su specifiche aree culturali: basti pensare alla dimensione conoscitiva, implicante pure un folto lavorio di impostazione metodologica, a carattere decisamente interdisciplinare, che è stata conseguita dalla problematica conservativa dei centri storici e dell’ambiente, praticamente in tutto il mondo, Ferrari Papaldo esplicitano alcuni concetti chiave quali l’individualità del bene contestualizzata, il valore storico, l’individuazione di una più estesa ed integrale dimensione conoscitiva, l’apporto interdisciplinare, il rapporto osmotico tra indagine specialistica e catalogazione; e non si avvedono che tutti questi aspetti rappresentano il metodo catalografico della Storia dell’Arte e della Critica stilistica delle origini, prima di quelle che si stanno ricostruendo su basi nuove (che sono metodologicamente le originarie): manca, per un velo sottile, il riconoscimento della catalogazione come momento ontologico fondante le discipline storico-critiche in materia d'arte, prima della fotografia “di massa” e dell’idealismo, paradossalmente definito in Croce “storicismo assoluto”. …..E manca anche il riconoscimento della coincidenza tra i vertici raggiunti dagli specialisti (prendi dal testo) e la catalogazione, che sono la stessa cosa: il riavvicimanento territoriale ai beni è un recupero proveniente dal metodo catalografico delle origini (che è metodo storico -artistico): quindi non sono "altri" i solleciti della catalogazione, ma sono gli stessi Tale riconoscimento avviene in un articolo successivo di Ferrari del 1985, in cui, oltre al lamento per la sordità degli specialisti a riconoscere la catalogazione come necessariamente afferente alle discipline artistiche, vi è l’accenno alla scuola di Vienna che, all’inizio del secolo, aveva dichiarato che “la risposta alle ancor non del tutto esplicitate esigenze della nuova storiografia artistica non può non passare per la pratica del catalogare”. Ma i precedenti italiani sarebbero da soli sufficienti a motivarne il recupero. A questo punto pare di poter trarre delle conclusioni, retrospettive: 14 1) il metodo catalografico risulta essere stato fortemente connesso, ontologicamente, con l’impostazione storicistica delle discipline. 2) Lo slogan “conoscere per tutelare” ha una doppia faccia: a)conoscere ex novo, andando a scoprire cose nuove e quindi ampliare le famiglie di beni culturali, come la legislazione rifletterà (il T.U. del 1999 è in tal senso ben emblematico), uscendo dai criteri estetici di “sommo pregio” b) ri-conoscere daccapo tutti quei beni considerati spiritualmente e non fisicamente E la legislazione degli anni 80 e 90 del nuovo millennio rispecchia queste riflessioni, ricalibrando il ruolo della catalogazione ai fini della conoscenza e della ricerca, prima ancora della Storia e della Critica d’arte (degli storici e dei critici dell'arte), effettuando un sorpasso che rappresenta un "unicum" nella storia legislativa post-unitaria ed il ricongiungimento con i postulati del dibattito istituzionale post - unitario: per scoprire cose nuove bisogna stanarle sul territorio (e questa è pratica metodologica della catalogazione); per conoscerle scientificamente e conservarle è necessario compilare una scheda di catalogo. La spaccatura concettuale di cui si è parlato ha altre radici storiche oltre a quelle cui si è accennato, rintracciabili nella divisione dei saperi, nel progresso tecnico e tecnologico che ha spinto alla parcellizzazione delle formazioni e nelle vicende interne del Ministero, come si vedrà nel seguente paragrafo dedicato alla Catalogazione nel dibattito parlametnare e negli atti di governo dell'Italia post-unitaria. Ma il percorso stesso della legislazione e delle riflessioni sulla materia dimostrano la necessità del ritorno all'unità d'intenti delle origini come metodo storico artistico di conoscenza, e penso si possa con certezza sostenere che l'arte veramente rigetta gli approcci parziali, perché sono ontologicamente opposti alla genesi ed al risultato di un oggetto anche fosse solo considerato "fatto a mano", se non artistico. Tale metodo passava nella storia dell’arte del Cavalcaselle perchè non c’era la fotografia e diventava anche strumento, in una coerenza tra procedimento, redazione, finalità come non si ebbe più. La sua eclissi dalla Storia dell’arte, dalla storiografia, dalla critica lo allontanò dalla sua stessa origine, facendone un concetto nuovo. Ma, come si vedrà infra nel paragrafo che affronta con taglio istituzionale la faccenda, la legislazione fino agli anni 20 riflette e mantiene il legame tra catalogazione come strumento tutorio, fin dalla legge 185 del 1902, e conoscenza, anche se già come due aspetti paralleli estranei metodologicamente l'uno all'altro; questa legge costruisce la catalogazione tramite la storia dell'arte, da cui attinge per stilare un catalogo. Ma lo svilisce, perché esso è elenco, è repertorio, non è più metodo. Il regolamento di quella legge tenterà di recuperare l'unità dei tre aspetti. Le leggi, considerate fondamentali, del 1939 e regolamenti attuativi, in realtà in materia catalografica come la si è delineata finora rappresentano l'anno zero. Il dibattito culturale recente invece trova, si è detto, nella coeva legislazione gli esiti più fedeli, legislazione che si fa man mano propositiva e propulsiva. Il rapporto tra tutela e conoscenza si è ribaltato, il catalogo torna fiume al mare, base ontologica delle discipline storico critiche. E fondamentale furono le riflessioni della Commissione Franceschini, come si tenterà di dare conto nella parte successiva della ricerca dedicata alla legislazione. Ancora una parola va spesa per ricontestualizzare culturalmente la catalogazione al giorno d’oggi e per individuarne gli aspetti metodologici interni più importanti. . La scheda di catalogazione stessa è di per sé un sistema informativo: le impostazioni concettuali dei vari campi prevedono che una scheda sia alla fine una “piccola Storia dell’arte”. E si sono moltiplicati a dismisura gli strumenti scientifici con cui costruire queste piccole storie. Nella seconda parte della ricerca se ne prenderà in considerazione uno solo, ovvero la esatta definizione linguistica di un bene culturale che compare alla porta della catalogazione (e della Storia dell'Arte), per cui si devono creare strumenti linguistici adeguati. La catalogazione, come è ripensata oggi ed intesa come conoscenza, recupera il contatto fisico con l’oggetto (apprendimento sensoriale), lo astrae in “letteratura”(apprendimento intellettivo), lo inserisce 15 in un sistema informativo sincronico e diacronico(elaborazione storica e antistorica contestualmente, a discrezione dell’utente), lo correda di fotografia. Nel caso in parola, trattasi di un tipo di letteratura particolare, molto strutturata, non libera; è una letteratura tecnico scientifica. Di questo aspetto si tratterà nella seconda parte della ricerca riguardo ai vocabolari di controllo. Si sceglie di utilizzare il termine di letteratura in quanto prodotto di una ricerca terminologica su base documentale, filologica, storica, che, nonostante la forma repertoriale che assume in fine, prevede un notevole lavorio di affinamento linguistico. Importantissimo è in aggiunta il ruolo affidato nella schedatura oggi alla georeferenziazione del bene, che tenga conto del contesto ambientale: per questione di conservazione senz’altro, ma per questioni culturali altrettanto. Ed anche l’aspetto territoriale, gestito oggi con tecnologie applicate, si è visto essere componente “genetica” delle origini delle discipline artistiche, in anticipo sui riconoscimenti filosofici e con taglio più antropologico. Ed anche di ciò la legislazione darà conto negli anni 90 con le proposte della Carta del rischio, resuscitando un aspetto che era scomparso nelle astrazioni ideali di troppa storiografia artistica.. E, tornando alla fotografia accompagnatoria delle schede di catalogo, essa è ora complementare, segnaletica, pro-memoria, miccia per innescare il recupero del sedimentato. Ed è la giusta restituzione sensoriale alla vista in coerenza con il primo senso coinvolto di fronte ad una cosa. Ciò che ancora manca è il riconoscimento nelle produzioni editoriali “artistiche” divulgative del ruolo metodologico della catalogazione nonché dei suoi esiti : allo stato attuale dello sviluppo tecnologico non esistono più problemi ponderali di volumi che non possono contenere tutte le informazioni, problemi effettivamente esistenti fino a pochi anni fa; e la catalogazione può davvero diventare, come auspicavano Ferrari – Papaldo, il momento per rifondare epistemologicamente la Storia dell’Arte e la Critica d’Arte. La conoscenza teorica dei grandi momenti artistici tramite la manualistica “estetizzante” deve essere integrata dalla pratica esperienziale della catalogazione, come riscontro, come relativizzazione, come incremento; deduzione ed induzione, conoscenza e competenza, incameramento e restituzione: per un profilo professionale compiuto. E’ mio parere personale, inoltre, che lo studio di tante opere d’arte anche famosissime approcciato con una scheda (di quelle attuali, analitiche, interdisciplinari) in mano porterebbe a riflessioni nuove e nuove scoperte su opere ritenute “studiatissime”. Perché, in primo luogo, costringe a guardare, toccare, pulire, rivoltare l’oggetto: la fotografia ha amputato lo storico dell’arte di quattro sensi, e gli ha veicolato il quinto. Ed è necessaria a questo punto una digressione: come avrebbe potuto la fotografia non influenzare la storia e la critica d’arte visto il cataclisma che ha provocato nell’arte stessa, puta caso nel medesimo periodo. Cos’altro è, altrimenti, l’impressionismo se non una rivendicazione degli artisti nei confronti della fotografia, una gara all’insegna della riscossa dell’abilità dell’artista versus la mera riproduzione fotografica. Perché scegliere quei tagli fotografici nei soggetti che stavano diventando appannaggio esclusivo della fotografia, in primis e tra tutti il paesaggio ed il ritratto. Perché proprio in Francia, perché proprio in quegli anni; perché il “manifesto” di Cezanne: dobbiamo riprodurre la realtà partendo dal cubo, dalla sfera, dal cono: l’eternità contro lo “scatto”, la solidità contro “l’impressione”, la pittura contro la fotografia.. Non è importante sostenere o negare che Cezanne sia o non sia un impressionista, perché l’impressionismo non è il parametro di riferimento: lo è la fotografia. Cezanne in realtà è un giottesco anti fotografia, come ideologia, non tanto come pratica. Sono sempre stati gli artisti e soprattutto i pittori, nella storia, a segnare il progresso tecnico, tecnologico, sociale, foss’anche solo per la restituzione visiva, e quindi godibile da tutti, del loro mestiere. E tutto sempre in gioco relazionale con la realtà: da imitare, da accentuare, da denunciare, da raccontare, ma sempre comunque grande madre dall’abbraccio immenso. La fotografia ha tolto la terra da sotto i piedi ai pittori, li ha privati del loro senso di esistere. La fotografia degli anni 70 e 80 del sec. XIX era concentrata sul tentativo della riproduzione del movimento ed era in bianco e nero. Il pittore allora accentua le sue prerogative: il colore, la luce colorata - come è nella realtà-, il movimento: tre elementi di cui la fotografia non si era ancora impossessata. Si consideri per esempio la predilezione per l'acqua: perché l’acqua senza colore e movimento diventa terra. E il pittore piega la tecnica alle nuove conoscenze di percezione ottica
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La catalogazione dei beni culturali. Ricognizione legislativa. Metodologia di ricerca per l'implementazione del vocabolario di controllo del campo oggetto della scheda OA
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Informazioni tesi
Autore: | Luciana Mariano |
Tipo: | Tesi di Specializzazione/Perfezionamento |
Specializzazione in | Storia dell'arte-legislazione dei beni culturali |
Anno: | 2005 |
Docente/Relatore: | Pietro Petraroia |
Istituito da: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 151 |
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