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"giornale socialista" e poi ancora a "giornale dell'allenza radicale
socialista"; «La Nuova Terra», quale "giornale socialista
mantovano" e poi "organo della Federazione provinciale socialista
mantovana". Spunti sono tratti anche da altri giornali mantovani
quali «La Favilla», successivamente «La Nuova Favilla», legati alla
prima Internazionale; la «Gazzetta di Mantova», che rappresenta
gli interessi della borghesia e dei moderati; «Il Cittadino», molto
vicino all'ambiente cattolico; «Il Maestro Mantovano», organo
della Società magistrale mantovana "Roberto Ardigò", per qualche
anno aderente alla Camera del lavoro di Mantova.
Presso l'Archivio Storico del Comune di Mantova sono
custoditi parte dei documenti originali che riguardano i carteggi e
la corrispondenza tra la Camera del lavoro ed il Comune di
Mantova; molto importanti, questi documenti, perché sono l'unica
fonte diretta rimasta a testimoniare, oltre alle fonti di stampa già
citate, l'attività svolta dalla Camera del lavoro di Mantova fin dalla
sua istituzione.
La documentazione presente nell'Archivio Storico del
Comune di Mantova deriva dalle richieste di contribuzione che la
Camera del lavoro inoltrava all'Amministrazione comunale.
Il Comune di Mantova, nel concedere il contributo,
richiedeva e pretendeva le relazioni morali e finanziarie da
allegare alle domande di sussidio; così, fin dalla sua prima
costituzione, parte della documentazione fondamentale della
Camera del lavoro è presente nell'archivio comunale.
Diversamente per la Camera del lavoro provinciale, le fonti
utilizzate sono solamente i giornali che, fortunatamente,
pubblicavano regolarmente gli atti principali ed i resoconti delle
più importanti riunioni.
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Pochi specialisti si sono concentrati sull'argomento della
presente tesi, uno fra tutti il Prof. Rinaldo Salvadori, che da
sempre è studioso della realtà mantovana ed in particolare del
socialismo locale.
Difficile è stato determinare il punto di partenza della storia
del movimento sindacale mantovano, la metà degli anni 70 del
XIX secolo è la scelta fatta per questa ricerca.
Nell'aprile 1874 le prime aggregazioni di operai, muratori e
falegnami, ai quali si uniranno altre categorie, decidono di riunirsi
e chiedere rivendicazioni salariali, orarie e non a giornata, e
miglioramenti delle condizioni di lavoro; si arriva anche allo
sciopero, successivamente le richieste vengono accolte solo in
parte e, soprattutto, vengono fatte molte promesse che non
saranno mantenute.
Solo nell'anno 1876, grazie a Francesco Siliprandi, si avrà la
fondazione dell'Associazione generale dei lavoratori di città e
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lavoratori nell'agricoltura; questo sta a significare che quando si
affronta una storia del movimento sindacale mantovano è di
fondamentale importanza tenere conto della vocazione agricola
che la provincia di Mantova ha da sempre avuto.
La logica conseguenza è che le lotte contadine hanno
rappresentato un volano fondamentale nelle attività sindacali
mantovane e, viste anche le caratteristiche morfologiche locali,
anche una fonte di attrito tra le aggregazioni operaie stesse; i
contrasti tra braccianti agricoli e fornaciai, tra gli operai edili e i
terrazzieri, sono alcuni esempi.
Le agitazioni contadine degli anni ottanta del XIX secolo
culminano ne "La boje", tra i primi movimenti di protesta
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contadina, che utilizza la moderna programmazione di lotta
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pianificazione, di appoggio ed aiuto per mobilitare ed informare i
lavoratori.
Il mantovano è il centro del movimento de "La boje",
successivamente si costituiranno le leghe contadine di
miglioramento che daranno vita alla fine del secolo alla
Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra).
Se i lavoratori del mondo agricolo si organizzano, per l'altra
parte del proletariato non dipendente dall'agricoltura non è la
stessa cosa. Dopo i primi segnali culminati con lo sciopero del
1874 ci vogliono più di venticinque anni prima che anche a
Mantova si costituisca la Camera del lavoro, nonostante nelle
province limitrofe, ed in Lombardia in particolare, diverse siano
già funzionanti dagli anni Novanta.
Solo con l'avvento di un'Amministrazione comunale retta dai
"partiti popolari" - radicali, repubblicani e socialisti - si concretizza
la nascita della Camera del lavoro, sia con la concessione del
sussidio annuale, ma anche perché nel programma di governo
della coalizione vincitrice viene sollecitato lo sviluppo delle
organizzazioni operaie.
In città, ma anche in provincia, l'industrializzazione quasi
non esisteva, tant'è che tra i fondatori figurano i muratori che
rappresentano circa la metà degli associati, ed altre categorie di
lavoratori legate più alle attività artigianali e commerciali.
La Camera del lavoro nasce - siamo nel settembre del 1900
- soprattutto come fenomeno cittadino e dal punto di vista politico
è molto vicina ai radicali piuttosto che ai socialisti. L'estraneità alle
questioni politiche e religiose viene dichiarata nello statuto,
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mentre nel resto della provincia i socialisti controllavano
decisamente il forte movimento del proletariato agricolo.
Questa certa autonomia dai socialisti riesce a far confluire,
per alcuni anni e con quasi 400 soci, la Società magistrale
mantovana "R. Ardigò" ed anche altre leghe, tramvieri e fornai,
con un discreto numero di aderenti. Non solo, ma anche elementi
legati al sindacalismo rivoluzionario ed anarchico trovano nella
Camera del lavoro di Mantova un punto di riferimento.
Gli anni seguenti alla nascita sono anni di grandi
soddisfazioni, il numero degli iscritti cresce e molteplici sono le
iniziative, anche a livello culturale, e le rivendicazioni che vengono
portate a buon fine.
Il 1904 si apre con la Camera del lavoro che sembra sempre
più in crisi sia per vicende interne, sia perché si fa sentire
l'influenza socialista-rivoluzionaria che ha già conquistato il
socialismo mantovano esprimendo in Enrico Dugoni il proprio
leader.
Un anno più tardi la corrente rivoluzionaria del socialismo
controlla tutte le organizzazioni politiche ed economiche
mantovane, il Partito, la Federterra e la Camera del lavoro; ma
anche i due giornali di ispirazione socialista «La Provincia di
Mantova» e «La Nuova Terra». Nello statuto camerale viene
soppresso l'art. 3, che dichiarava l' "apoliticità" dell'organizzazione
sindacale mantovana, ciò farà scattare anche la sospensione del
prezioso sussidio comunale.
La Camera del lavoro declina sempre più verso il basso e
così anche la corrente rivoluzionaria del socialismo mantovano,
che Dugoni abbandona per concentrarsi sul progetto della
Confederazione mantovana socialista, organismo che racchiude
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tutte le organizzazioni economiche - Federterra, Camera del
lavoro, Leghe, Cooperative - e politiche - partito e circoli. In
questo modo l'autonomia delle strutture sindacali viene
totalmente a mancare.
Si chiude così, siamo all'inizio del 1908, il primo ciclo della
Camera del lavoro di Mantova, che ha avuto il suo apice proprio
quando l'autonomia dai partiti è stata più forte.
In provincia riesce a sopravvivere una nuova Camera del
lavoro, nata nel 1905 a Suzzara, dove le industrie
metalmeccaniche sono più sviluppate.
L'esperienza della Confederazione socialista mantovana
presto si conclude, anche perché Dugoni si trova contro sia il
Partito Socialista Italiano, sia la Confederazione generale del
lavoro di fresca costituzione; senza dimenticare che al Convegno
confederale di Firenze del 1907 viene ribadita una certa
autonomia del sindacato dal partito.
Alla luce di questa nuova evoluzione in senso riformista del
socialismo mantovano, e di Dugoni in particolare, e grazie anche
alla vittoria alle amministrative del 1909 dell'alleanza radicale e
socialista, la Camera del lavoro di Mantova rinasce ed è sempre
un fenomeno cittadino e legato al Comune di Mantova, che ne
rinnova il sussidio.
Bisogna aspettare ancora tre anni, il 1912, perché veda la
luce la Camera del lavoro provinciale, naturale sviluppo del
sindacalismo mantovano, con relativa adesione alla
Confederazione generale del lavoro.
Si introduce, nello statuto, l'autonomia politica e l'opera
"puramente sindacale", così come si vogliono trasformare le altre
Camere del lavoro in Uffici del lavoro.
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Questo non avvenne per la Camera del lavoro cittadina, che
conservò la sua autonomia per diverso tempo, tardando anche per
qualche tempo l'adesione all'organizzazione sindacale provinciale.
Una certa autonomia viene anche mantenuta dal sindacato
dei lavoratori edili e da alcune organizzazioni prettamente locali
come, ad esempio, quelle di San Benedetto Po.
Conflitti non mancano neppure tra leghe aderenti alla
Camera del lavoro provinciale, uno fra tutti quello tra i fornaciai e
i contadini.
Prima dell'inizio della prima Guerra Mondiale si tiene proprio
a Mantova il IV Congresso della Confederazione generale del
lavoro, nel quale si evince il passaggio definitivo di Enrico Dugoni,
segretario generale della Camera del lavoro provinciale, al
riformismo socialista.
I maggiori scontri sindacali, alla vigilia della prima Guerra
Mondiale, si hanno in campo agricolo; il movimento sindacale
mantovano aderisce, anche se per un giorno solo, allo sciopero
generale del giugno 1914 contro i fatti di Ancona.
La guerra accentua il fenomeno della disoccupazione già
rilevante da prima dello scoppio, tenendo in considerazione anche
il fatto che la provincia di Mantova viene dichiarata zona di
guerra, oltre che la mancanza di industrie pesanti o legate alla
produzione bellica.
La disoccupazione colpisce ancora più duramente le
categorie degli edili e dei fornaciai, i quali rivendicano alle
pubbliche amministrazioni la possibilità di assumere lavori
pubblici.
Con l'entrata in guerra dell'Italia la Camera del lavoro
mantovana abbandona le forme classiche di agitazione e di
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sciopero; comunque la guardia non è abbassata, sebbene, a causa
del continuo aumento del costo della vita, il sindacato riesce a
fare richieste di miglioramento economico delle tariffe della mano
d'opera dei singoli paesi, con il supporto di specifici comitati di
operai organizzati, così da poter presentare al Prefetto uno
specifico memoriale per poi discuterne con i datori di lavoro.
Proprio in queste condizioni di sofferenza emergono eventi
di basso livello come quello del crumiraggio o dell'importazione,
da parte dei datori di lavoro, di mano d'opera dall'esterno della
provincia.
Nonostante il continuo calo degli iscritti, in modo particolare
verso la fine del conflitto, la Camera del lavoro provinciale non
sospende le sue attività e continua anche con l'aiuto alle famiglie
che avevano soldati al fronte.
Alla fine del conflitto le posizioni della Confederazione
generale del lavoro, riformiste, si scontrano con quelle del P.S.I.,
rivoluzionarie, mentre a Mantova sia la Camera del lavoro che il
partito sono concordi con la linea riformista.
Il successo della rivoluzione bolscevica arriva nella provincia
mantovana, ma la dirigenza riformista, del partito e della Camera
del lavoro, modera gli impeti e le aspettative del "fare come in
Russia".
La linea che passa è dunque quella della cooperazione, la
"socializzazione della terra" doveva arrivare con il tramite di
organismi cooperativi, non con le espropriazioni; ecco che viene
messo in primo piano il problema del consumo e della
distribuzione, mentre quello della conquista dei mezzi di
produzione e della proprietà viene messo quasi in disparte e
comunque è un obiettivo meno immediato.
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Il riformismo della Camera del lavoro comincia a mostrare i
primi segni di cedimento, l'aumento esponenziale del costo della
vita non viene facilmente controllato e nel proletariato il
malcontento avanza.
La minoranza massimalista comincia a cavalcare la
situazione, le elezioni politiche sono vicine, siamo alla fine del
1918, il movimento socialista ottiene un notevole successo anche
in zone del mantovano dove era stato sempre contenuto.
Le "giornate rosse" di Mantova, con il loro tragico bilancio,
porteranno uno scompiglio nelle organizzazioni economiche e
politiche socialiste mantovane davvero notevole.