diversa da quella di qualsiasi altra nazione d’Europa. Il conflitto che l’ha
travolta nel 1992 impone di approfondire questo studio non solo per capire
le origini vere degli scontri ma soprattutto per comprendere come, in sé, la
storia non spieghi le origini di questa guerra. “E’ ovvio che il conflitto non
sarebbe scoppiato se la Bosnia non fosse stata oggetto di ambizioni e interessi speciali.
Ma quelle ambizioni ebbero origine all’esterno dei suoi confini. Il maggior ostacolo alla
comprensione della guerra è il presupposto che quanto è avvenuto sia il risultato –
naturale, spontaneo e allo stesso tempo inevitabile – di forze insite nella storia stessa
della Bosnia”
2
.
Si ha a che fare, pertanto, con un pregiudizio che affonda le
sue radici molto indietro nel tempo e che va senz’altro estirpato
3
.
Quanto è
avvenuto nella primavera del 1992 non è il frutto di antichi odi etnici: è
sicuramente vero che, ripercorrendo la storia dei Balcani, sono molte le
contrapposizioni politiche, etniche e religiose in cui ci si imbatte, numerose
delle quali hanno assunto forme anche estremamente violente. Tuttavia, la
causa delle ostilità fu, più che etnica o religiosa, soprattutto economica, e
riguardò prevalentemente il risentimento della popolazione rurale a
prevalenza cristiana verso i proprietari terrieri musulmani
4
.
Un’ostilità che
2
Le parole sono quelle di Noel Malcolm, in Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano,
2000.
3
“Nell’immaginario collettivo i Balcani assumono un’immagine cupa, tetra, fatta di montagne orride, capaci sì di fermare gli
eserciti invasori, ma anche di separare in maniera netta e drammatica le popolazioni infelici che si trovano a vivere fra esse.
Cristiane o islamiche che siano, queste popolazioni sono infatti destinate all’isolamento economico e all’arretratezza culturale,
nonché a dilaniarsi in orrende faide tra genti di diversa fede e di diversa etnia”: così si esprime Fabio Martelli (La
guerra di Bosnia. Violenza dei miti) per sottolineare come i Balcani, in generale, sino considerati il paradigma
più rappresentativo della conflittualità etnica. Anche Danilo Zolo (Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine
globale) sottolinea come, nella percezione europea in generale, i Balcani siano “un luogo di desolazione civile,
intossicato dalla violenza e carico di pericoli”; in particolare “la penisola balcanica, a partire dalla rapida espansione e poi
dal secolare declino dell’Impero Ottomano, è stata percepita dall’Europa non solo come la sede di una permanente turbolenza
politica, ma anche come il quadrante geopolitica meno presidiato dalla propria presenza militare e quindi più aperto alle
possibili aggressioni del nemico”. Marija Todorova (Immaginando i Balcani) a questo proposito afferma che la
rappresentazione collettiva dei Balcani si fonda su un coacervo di stereotipi privi di qualsiasi fondamento
storico o antropologico: si tratta di “una immagine congelata […] elaborata nei suoi parametri generali intorno alla
prima guerra mondiale, che è stata riprodotta quasi senza modifiche nei successivi decenni”. Secondo Stefano Bianchini
(Sarajevo. Le radici dell’odio) l’errore più grande dell’intervento della Comunità Internazionale sarebbe,
appunto, quello di non aver compreso le radici profonde del conflitto e la sostanziale modernità delle
cause che hanno portato alla dissoluzione della Jugoslavia, continuando a favorire un’immagine
profondamente distorta di questa realtà.
4
Secondo l’ipotesi di Paolo Rumiz (Maschere per un massacro) all’origine della guerra in Bosnia vi sarebbe
stata la volontà dei gruppi di potere, soprattutto in Croazia ed in Serbia, di mantenere ed estendere il loro
2
però non fu assoluta o irriducibile, ma variò al variare delle condizioni
economiche e fu anche soggetta a pressioni politiche che modificarono in
modo significativo l’atteggiamento della classe padronale nella prima metà
del XIX secolo. Ed anche i contrasti tra la comunità cattolica e quella
ortodossa subirono mutevoli influenze, dalla rivalità tra le gerarchie
ecclesiastiche, alle pressioni politiche dei Paesi vicini, e via discorrendo. Le
cause economiche dell’odio, tuttavia, furono intaccate dai cambiamenti e
dalle riforme del XIX secolo e dei primi anni del XX, finché, di fatto,
cessarono di esistere. I motivi religiosi dell’odio si attenuarono nella
seconda metà del XX secolo contemporaneamente con il prodursi dei vari
processi di secolarizzazione.
Naturalmente è facile ripercorrere la storia di un Paese come la Bosnia
cogliendo esempi di divisioni regionali, violenza e ingovernabilità. E’ anche
vero, però, che “la storia politica di fine millennio della Bosnia non è stata
determinata dagli avvenimenti del XIII o XVIII secolo”
5
.
1.2. Dalle origini al XIX secolo.
1.2.1. Razze, miti e origini nella storia dei Balcani.
I più antichi abitanti che popolarono l’area delle attuali ex Jugoslavia e
dell’Albania furono gli Illiri, un gruppo di tribù che parlava una lingua
indoeuropea molto vicina all’albanese moderno. Successivamente la gran
parte del territorio venne inclusa nelle province romane della Dalmazia e
della Pannonia, e fu presto cristianizzata. Il nome con cui, in età imperiale,
controllo politico ed economico sui rispettivi Stati. Questi gruppi avrebbero, poi, utilizzato il fattore
etnico come strumento di propaganda e di guerra, ed il nazionalismo come ideologia da proporre alle
masse per controllarle. In questo quadro la Bosnia ed Erzegovina era oggettivamente in sé stessa
un’eresia, una realtà scomoda ed insopportabile, da disintegrare perché era la dimostrazione tangibile del
fatto che la convivenza e la multiculturalità non soltanto erano possibili, ma addirittura potevano
costituire i pilastri di una civiltà e di uno Stato.
5
Il riferimento è ancora a Noel Malcolm, in Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri.
3
Roma indicò queste terre, è quello di Illiricum, ma, in origine, tale
denominazione si riferiva ad una regione estremamente più ristretta, quella
abitata, appunto, dagli Illiri. Costoro, definiti dai latini pirati e predatori,
abitavano esclusivamente quella zona costiera della penisola balcanica che si
estendeva lungo l’Adriatico, priva di un vero e proprio retroterra poiché, a
poche decine di chilometri da esso, già si elevavano le Alpi Dinariche che la
escludevano da un contatto diretto con le parti interne del territorio.
Roma si limitò ad intervenire nel III secolo a.C. contro la pirateria illirica,
soprattutto per ottenere prestigio presso i socii italici dell’Adriatico
minacciati dalle scorrerie degli abitanti dell’altra sponda e, secondariamente,
per potersi presentare quale protettrice delle popolazioni elleniche,
anch’esse danneggiate nei loro commerci dalle attività degli Illiri.
Solo dopo aver dato un assetto stabile alle proprie conquiste europee, in
fase tardo-repubblicana, Roma si affacciò alle grandi pianure dell’area
jugoslava, occupandole nel corso di una serie di campagne che si
svilupparono tra il I secolo a.C. ed il II secolo d.C. Successivamente, grazie
alle vittorie conseguite dall’Imperatore Traiano, anche il territorio della
Dacia finì per essere aggiunto alle province già createsi delle due Pannonie e
delle due Mesie, costituendo, nel loro insieme, ciò che i Romani definivano,
appunto, Illiricum.
Il territorio che sarebbe stato abitato nei secoli dagli slavi meridionali,
originariamente, in età romana, fu costellato di colonie militari, che si
trasformarono rapidamente in grandi centri urbani. L’economia era
inizialmente a base rurale, ma ben presto essa conobbe quella sorta di
“meccanizzazione” che l’agricoltura romana manifestò nelle fasi più evolute
della sua storia
6
.
Gli abitanti delle antiche colonie non erano di origine
6
Le informazioni sono tratte da Fabio Martelli, La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino Alfa Tape,
Bologna, 1997. L’Autore sottolinea, in particolare, come sia da superare quella storiografia tendente a
rappresentare questi luoghi come aree scarsamente urbanizzate, popolate da coloni dediti quasi
4
indigena o semibarbarica: si trattava di Italici, fieri di questa loro origine
etnica al punto tale che dettero vita nel III secolo ad un movimento politico
e culturale, interpretato poi come espressione di un vero e proprio
nazionalismo di matrice latina. Ben presto si trasformarono in ricchi
borghesi, dediti a controllare e gestire sia l’attività agricola sia, in particolare,
quella commerciale: fecero del Danubio un veicolo di osmosi tra le varie
parti dell’Impero, un grande asse di scorrimento economico lungo il quale
transitava ogni genere di merci.
Come per il resto dell’Impero romano, quest’area fu teatro di violente
invasioni barbare: i primi furono i Goti
7
,
cacciati nel VI secolo
dall’Imperatore Giustiniano il quale, successivamente, integrò il territorio
nell’impero bizantino. Nello stesso secolo ebbero luogo altre invasioni:
questa volta furono gli Avari e gli Slavi a penetrare nei Balcani, e tra questi
ultimi furono i Croati e i Serbi che alla fine si affermarono in modo
definitivo. Scesi contemporaneamente nella penisola, forse chiamati
dall’Imperatore per allontanare gli Avari, Croati e Serbi, di origini iraniche
caucasiche comuni, hanno intrecciato continuamente loro storia attraverso i
secoli fino ai giorni nostri. I Serbi si stanziarono in un’area corrispondente
all’attuale zona sud occidentale della Serbia, estendendosi infine nel
Montenegro e nell’Erzegovina. I Croati si stabilirono nell’attuale Croazia e
in un’area comprendente all’incirca l’attuale Bosnia.
esclusivamente all’agricoltura, “terre feraci solo di soldati combattivi e crudeli cui gli storici antichi riconoscevano il
merito di avere, con la loro durezza e spietatezza militare, salvato l’Impero durante la crisi del III secolo”.
7
I Goti entrarono nei Balcani romani nel III secolo, provocando numerose sconfitte alle truppe
dell’Impero. Furono quindi definitivamente cacciati dalla penisola dall’Imperatore Giustiniano nel VI
secolo. Come ricorda Noel Malcolm (Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri), questo popolo non ha
lasciato alcuna traccia rilevante nel mondo balcanico; tuttavia ha preso piede, nel passato, una curiosa
mitologia secondo al quale i Goti sarebbero i veri antenati dei Craoti e/o Bosniaci. Sulla base di un
manoscritto di origine medievale, il Libellum Gothorum, il popolo croato deriverebbe proprio da questa
comunità germanica, e quindi non sarebbe di origine slava. In realtà questa tesi non ha mai avuto
particolare rilievo, e ormai non viene più citata. E’ però interessante ricordare che durante la Seconda
Guerra Mondiale i Bosniaci che volevano liberarsi dal giogo ustascia scrissero, nel 1943, un Memorandum
direttamente a Hitler in cui affermavano di non essere slavi bensì Goti, allo scopo di ottenere la
protezione tedesca contro le persecuzioni croate; ma la loro teoria non venne ritenuta credibile.
5
Il territorio montuoso che caratterizza la regione bosniaca, di fatto, non
presenta tratti geografici talmente rilevanti da segnare separazioni e fratture
nette rispetto alle altre regioni dell’area jugoslava, cosicché, pur distinta
dalla Dalmazia, dalla Croazia e dalla Serbia, la Bosnia non appare, per le
peculiarità del suo territorio, come una regione a sé stante; è infatti inserita
profondamente nell’area dinarica e la sua stessa natura montuosa la collega
sia all’area dell’Erzegovina, sia ai sistemi geomorfici che caratterizzano
l’area serba. Questa regione non è tuttavia priva di una sua storia autonoma
strettamente peculiare: il famoso Regno Illirico, infatti, ha avuto proprio nel
territorio bosniaco una delle sue sedi più importanti. Nel III secolo gli
Ardiei riuscirono a creare qui un grande Stato che si estendeva fino
all’Epiro. Come accadde per le altre popolazioni Illiriche, anche quelle che
abitavano la Bosnia furono rapidamente sconfitte dai romani, ma, al
contrario delle altre tribù, gli Illiri di Bosnia continuarono una durissima
lotta contro Roma. Il loro desiderio di indipendenza si espresse,
soprattutto, intorno al 156 a.C., quando iniziarono una violenta resistenza
contro la penetrazione delle armate romane, e solo nel 9 a.C. Bato, ultimo
capo di questo gruppo tribale, fu costretto ad arrendersi alle legioni
8
.
Non è tuttavia necessario rifarsi all’antichità per rintracciare le forme di uno
Stato bosniaco autonomo fortemente caratterizzato sotto il profilo politico
e culturale. Il primo documento che fa menzione della Bosnia è infatti un
manoscritto dell’imperatore bizantino del 958
9
, che la colloca all’interno dei
possedimenti serbi a dimostrazione, tra l’altro, che già allora questa aveva
8
L’episodio viene riportato da Fabio Martelli in La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino Alfa Tape,
Bologna, 1997.
9
Come riporta Noel Malcolm (Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano 2000) la
prima citazione giunta sino a noi della Bosnia ed Erzegovina come territorio si trova nel manuale politico-
geografico scritto nel 958 dall’Imperatore bizantino Costantino Porfirogenito. Nella sezione di questo
manuale dedicata alle terre del principe serbo scrisse: “Nella Serbia battezzata si trovano le città di Destinikon
[…] e nel territorio di Bosona, Patera e Desnik”. Questo chiarirebbe che la Bosnia era considerata un territorio
separato, anche se, in quel particolare periodo, dipendente dai serbi. Verso il 960 ritornò sotto il dominio
croato e vi rimase per circa mezzo secolo.
6
una sua identità distinta
10
. Il territorio bosniaco rimase comunque
ufficialmente sotto il controllo dell’Imperatore bizantino, e fino all’XI
secolo fu governata dai Croati nonché, per alcuni brevi periodi, dai Serbi
nella zona orientale. Nel XII secolo, infine, questi ultimi rivolsero i loro
interessi definitivamente verso est, fondando il loro regno medievale,
mentre gli Ungheresi occuparono i territori continentali della Croazia
estendendo il loro controllo anche sulla Bosnia. Ciononostante, in pochi
decenni, la banovina
bosniaca acquistò una decisa autonomia, a seguito
della quale darà vita ad un’entità statale propria, non senza ricadere, di tanto
in tanto, sotto l’egemonia ungherese. Lo stesso non si potrà dire dei Croati
che, al contrario, persero ogni forma di indipendenza.
1.2.2. I Regni medievali.
Nel IX secolo le popolazioni slave del territorio bosniaco si erano
convertite al cristianesimo, ed abitavano la regione tra la Drina superiore ed
i monti Bjelanishca, un area sostanzialmente più limitata di quella
attualmente compresa nella Bosnia ed Erzegovina, mentre gran parte del
territorio era parte della Serbia. Solo per un breve periodo, nel X secolo, la
Bosnia fu sottoposta al dominio croato e, successivamente, a quello serbo,
divenendo nel 1102 un Banato indipendente.
Per quanto riguarda l’alto medioevo, quindi, la Bosnia fu principalmente
legata, dal punto di vista culturale, al mondo croato e, successivamente, a
10
La problematica della nazione bosniaca (o bosnjacka) ben si inserisce nella discussione sulla continuità o
falsa continuità nella storia in generale, e, nel caso specifico, in quella della Bosnia Erzegovina. A tale
proposito Rade Petrovic (Alla ricerca della nazione bosniaca, in Sociologia e Ricerca Sociale, 1997, vol.18) sostiene
che la Bosnia ed Erzegovina sia una terra storica: questa è la sua caratteristica fondamentale ed una delle più
importanti. Come entità unitaria farà la sua comparsa nel tardo medioevo (con l’Erzegovina annessa).
Questo concetto di terra storica, cioè concetto di territorio, deve essere tenuto ben distinto dal concetto di
coscienza, sia nel caso di coscienza regionale (regionalismo e talora, addirittura, campanilismo), sia nel caso di
coscienza nazionale in senso moderno. La Bosnia ed Erzegovina esiste da lungo tempo e non è stata
inventata ad arte: su quel territorio sono infatti passate e si sono incrociate varie culture e civiltà a partire
dalla preistoria.
7
quello ungherese, così come la religione dominante fu quella cattolica. E
proprio questa circostanza viene spesso utilizzata dalla propaganda
nazionalista croata per rivendicare una sua primogenitura nei confronti
delle altre comunità. Tuttavia qualsiasi lettura facente riferimento all’identità
croata moderna sarebbe assolutamente anacronistica e storicamente
inaccettabile
11
.
Nel XII secolo, mentre l’Impero bizantino conosceva una fase di forte
disgregazione, si andava affermando la crescita, apparentemente
inarrestabile, del popolo serbo, il principale Stato slavo nei Balcani
meridionali. Già Stefano Nemanja
12
, il Grande Zhupan di Serbia, concepì
l’idea di sostituire la propria persona a quella dell’Imperatore di
Costantinopoli, a seguito delle sue vittoriose campagne militari contro i
Bizantini. Pur non essendo mai riuscito ad occupare la Città, assunse
dapprima il ruolo di kaiser ed, infine, quello di sebastocrator, titolo che fu un
tempo privilegio esclusivo dell’Imperatore bizantino. Si trattava di una sorta
di translatio imperii da Bisanzio agli imperatori serbi, ma il processo si
sviluppò con maggiore rilevanza quasi cent’anni dopo quando, intorno al
1346, Stefano Dushan, lo zar serbo che aveva conquistato l’Epiro, la
Tessaglia e la Macedonia, decise, innanzi tutto, di proclamarsi zar e autocrator
dei Serbi e dei Romani, e ritenne, poi, di assegnare a sé stesso addirittura il
titolo di Basileus Romaion, una prerogativa esclusiva che identificava
l’Imperatore bizantino sin dall’età tardo-antica. Gli zar serbi, come i
monarchi costantinopolitani, pretendevano di essere gli unici proprietari
della terra dell’Impero ed inoltre, sul modello bizantino, essi si dichiaravano
unici custodi della vera religione, protettori della vera fede e guida della
11
Il riferimento è, ancora una volta, a Noel Malcolm, Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri,
Bompiani, Milano 2000.
12
Noel Malcolm (Storia della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri) parla di Stefano Nemanja a proposito dei
buoni rapporti che con questi aveva da sempre cercato di stabilire il Bano Kulin. Stefano Nemanja, in
particolare, fu il fondatore della dinastia dei Nemanjic, che avrebbe trasformato la Serbia in una grande
potenza nei successivi due secoli.
8
Chiesa stessa. La Chiesa ortodossa serba risultava così, al pari di quella
bizantina, sottoposta all’autorità teologica, oltre che politica, del monarca.
La struttura del corpo sociale del Regno serbo si andava modellando
sempre più su quella bizantina: lo zar governava infatti attraverso una
nobiltà non feudale, bensì di Stato, che non era proprietaria della terra né,
per questo, legittimata a ricoprire le più alte cariche. Il monarca, al
contrario, elevando al rango nobiliare singoli funzionari, concedeva ad essi
le terre connesse a quello specifico titolo. Quella serba fu, pertanto, una
struttura imperiale rigorosamente accentrata, unica esperienza di Stato
altamente evoluto che caratterizzò i Balcani meridionali durante il
medioevo e la stessa età moderna.
Nei Balcani settentrionali, invece, l’idea di autonomia statuale e
plurisecolare indipendenza è stata, sin dall’‘800, connessa alla storia e al
destino dei Croati. Tuttavia
va sottolineato fin da subito come la storia del
Regno croato, a differenza di quello serbo, sia estremamente breve e
limitata al solo XI secolo. Pur avendo ottenuto il riconoscimento papale,
quello croato fu dunque un Regno di scarsa rilevanza sotto il profilo sia
storico che geopolitico: esso costituì senza dubbio una struttura statuale
autenticamente slava, ma il suo modello, per quel che concerne
l’articolazione dello Stato, presenta in sé stesso ben poco di originale. I re
croati, per il breve tempo in cui godettero di piena autonomia, si limitarono
a mutuare le forme politiche delle monarchie occidentali che trovavano
lungo i propri confini: pertanto anche la monarchia croata, come accadeva
nella gran parte degli Stati dell’Occidente contemporaneo, fu una struttura
politicamente assai debole. Il potere economico e sociale si concentrava
soprattutto nelle mani di una nobiltà che spesso decideva della
sopravvivenza o della fine dello stesso istituto monarchico, e che deteneva
il controllo assoluto sia della proprietà terriera sia delle principali attività
9
economiche da quest’ultima derivanti. L’istituto monarchico era dunque
una costruzione estremamente fragile e, nel caso del Regno Croato, la sua
sostituzione da parte di una monarchia di origine straniera
13
non segnò
inizialmente un forte mutamento né per le condizioni di vita dei suoi
abitanti né per l’assetto politico dell’intero territorio, e la nobiltà continuò a
godere dei suoi privilegi, anche se, lentamente, venne poi spossessata dai
nuovi arrivati. Il territorio croato si trovò ben presto sotto la sfera
d’influenza degli imperatori asburgici e, tra il 1600 ed il 1700, si ebbero vari
tentativi di congiure e ribellioni
14
. Pur permanendo un ceto nobiliare croato
all’interno del territorio, esso si trovò, tuttavia, rapidamente esposto a una
vera e propria colonizzazione da parte della nobiltà magiara. Una volta
stabilizzatisi, infatti, gli Ungheresi dettero vita ad una nuova e forte
struttura statuale. In virtù della Bolla d’Oro il potere monarchico risultava
così svuotato di ogni prerogativa reale. La proprietà ed il controllo della
terra erano nelle mani della nobiltà, che costituiva un corpo sociale
estremamente omogeneo. Quello monarchico diventava un titolo
esclusivamente elettivo: i nobili ungheresi sceglievano il re e potevano
destituirlo se il suo operato fosse risultato negativo per le sorti della
Nazione.
Le basi economiche del potere nobiliare si fondavano sui grandi feudi, ed in
particolare sull’allevamento del bestiame, che in essi era intensamente
praticato. Il principale acquirente dei prodotti della zootecnica ungherese
era, peraltro, la Repubblica di Venezia, e, per superare la divaricazione
territoriale tra le due strutture, si scelse di impadronirsi del territorio croato
attraverso la conquista: in questo modo si consentiva alla nobiltà magiara di
13
Il riferimento è, naturalmente, alla successiva dominazione asburgica.
14
Secondo Fabio Martelli (La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino Alfa Tape, Bologna, 1997)
sarebbe tuttavia un errore grossolano vedere nel tentativo di opposizione di alcuni dei Croati agli
Asburgo una sorta di anticipazione della volontà del popolo croato, o delle sue classi dirigenti, di
affrancarsi dal controllo imperiale e, soprattutto, attribuire a tale volontà una connotazione etnica.
10
essere a contatto territoriale diretto con i principali punti di
approvvigionamento del commercio veneziano
15
. Da qui nasceva il flusso
migratorio che portò i membri cadetti della nobiltà ungherese ad
impadronirsi dei grandi feudi del territorio croato; gli episodi di
ribellionismo antiasburgico contro la Corona di Vienna verificatisi in
Croazia devono essere dunque addebitati non alla volontà indipendentistica
delle popolazioni croate quanto, piuttosto, al desiderio di autonomia e di
difesa dei privilegi della nobiltà ungherese
16
.
Il periodo che va dal X al XV secolo fu particolarmente prospero sotto
l’aspetto economico e vivace sotto quello culturale. Negli stessi anni in cui
la Bosnia si dava uno stato centralizzato, infatti, i Croati finivano
definitivamente sotto l’egemonia magiara, al punto che la loro stessa nobiltà
sarà di stirpe ungherese; dall’altra parte i Serbi subivano l’egemonia
ottomana, riuscendo, tuttavia, a diventare loro alleati per ben ottant’anni a
partire dalla regina Milica
17
.
15
Come ricorda Martelli (La guerra di Bosnia. Violenza dei miti), per quanto riguarda, invece, le risorse del
territorio bosniaco, la principale ricchezza in Bosnia era costituita dalle miniere: oro, argento, piombo e
rame viaggiavano in tutta Europa grazie alle navi veneziane ed ai commercianti di Ragusa (Dubrovnik).
16
Questa interpretazione delle cause dei vari tentativi di ribellione croati contro la dominazione asburgica
viene sostenuta da Fabio Martelli in La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino Alfa Tape, Bologna,
1997.
17
Come ricorda Danilo Zolo (Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi, Torino, 2000), a
partire dalla seconda metà del Trecento la storia dei Balcani è caratterizzata dal tentativo delle popolazioni
autoctone di resistere all’espansione dell’Impero Ottomano. Nel 1389 albanesi, bosniaci, bulgari,
erzegovesi, serbi e valacchi lottarono uniti contro i Turchi Ottomani nella piana del Vardar, che sarebbe
diventata famosa come il “Campo dei Merli” (Kosovo Polje, in serbo). Nell’ottica della propaganda serba, sia
quella ottocentesca sia quella recentissima di Milosevic, con la battaglia di Kosovo Polje cessarono
l’indipendenza e, quindi, la storia del popolo serbo; quest’ultima riemergerebbe, poi, solo nel XIX secolo
quando finalmente le condizioni esterne avrebbero reso possibile la lotta contro i Turchi. In realtà, come
riporta Fabio Martelli (La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino Alfa Tape, Bologna, 1997) dopo il
1389, la Serbia ha continuato a sopravvivere come Stato autonomo dotato della possibilità di gestire una
propria politica estera, pur riconoscendo l’egemonia ottomana. In questa fase è estremamente interessante
esaminare la politica della regina Milica, la quale, dopo la morte del re Lazar, riuscì a gestire abilmente il
potere all’interno del Regno serbo, appoggiandosi proprio alla Sublime Porta. Va premesso che i Turchi,
pur avendo clamorosamente sconfitto i Serbi, non erano in grado, immediatamente, di occupare e gestire
l’intero territorio del regno serbo e si limitavano pertanto ad imporre a quest’ultimo la condizione di Stato
vassallo della Sublime Porta. L’Autore riporta come, ad ogni modo, Milica fu estremamente abile
nell’ottenere il favore dell’Impero ottomano proprio in nome del principio della tolleranza religiosa. La
Regina enfatizzò innanzitutto l’atteggiamento della popolazione serba: evitando accuratamente di
sottolineare le asprezze nazionalistiche della teologia ortodossa serba, Milica parlò invece al Sultano di una
popolazione multietnica e multireligiosa. Negli scritti del tempo Milica sembra, di fatto, essere Regina di
11