La bonifica dei siti inquinati
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In più, il presente lavoro affronta i problemi causati dalla
approvazione dell’art. 17 del decreto Ronchi, coordinandolo con le norme-
quadro delle acque e con quella del danno ambientale e definendone i
rispettivi campi di applicazione.
Viene esaminato anche il caso nel quale l’interesse generale della
collettività a veder bonificate le aree inquinate, si scontra con l’interesse
particolare di quei soggetti estranei all’inquinamento che si trovano nella
posizione di proprietario delle aree in questione.
Infine, vengono esaminati i possibili sviluppi futuri che, a breve,
modificheranno la disciplina nazionale, anche alla luce di altre recenti
discipline di diversi settori del diritto dell’ambiente che incideranno sulla
bonifica dei siti inquinati comportando, sicuramente, notevoli cambiamenti.
La disciplina previgente
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Capitolo 1
La bonifica dei siti inquinati prima
dell’entrata in vigore del d.lgs. 22/1997
e la sua difficoltosa approvazione
La bonifica dei siti inquinati
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1.1 - I tentativi compiuti dalla legislazione statale prima del
decreto Ronchi
La bonifica dei siti inquinati risulta essere un argomento di grande
rilievo soprattutto se si osserva la precedente normativa: erano presenti
soltanto poche disposizioni e comunque insufficienti a regolamentare la
materia che si presenta indubbiamente molto complessa.
E’ proprio in questo settore del diritto dell’ambiente che sono
necessarie norme tecniche precise, adatte a contrastare il fenomeno
dell’inquinamento e poste a protezione (o meglio rimediare alla mancata
protezione) di tutto il territorio.
La problematica dei siti inquinati, infatti, si pone per definizione in
una situazione di post-inquinamento ed entra in gioco quando il «danno» è
stato fatto. Il sistema economico ci «lascia in eredità» un gran numero di
luoghi da bonificare: le ex aree minerarie, gli stabilimenti chimici, quelli
siderurgici, i petrolchimici, i porti e le discariche (abusive e non).
Questi sono statisticamente i settori più coinvolti nel fenomeno delle
bonifiche, tuttavia non è un elenco esaustivo, potendo ben esserci altri
settori dell’industria o dell’agricoltura che inquinano i luoghi destinati alle
loro produzioni, senza dimenticarci di tutte quelle condotte criminali che,
soprattutto in alcune zone d’Italia, infliggono gravi ferite al nostro territorio.
Il primo passo da compiere nell’affrontare il problema dei siti
contaminati è quello della raccolta dei dati e la conseguente presa di
coscienza da parte dei soggetti pubblici.
La reale dimensione del problema nella sua globalità può conoscersi,
infatti, solo tramite un'attenta normativa specifica sull'argomento, in grado
di dare concreti criteri di indirizzo per l'effettuazione di un censimento
nazionale.
La disciplina previgente
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E’ stato questo il metodo che lo Stato ha tentato di usare, cominciando
a legiferare in materia di bonifiche, procedendo tuttavia in modo disordinato
e perlopiù inefficace.
1
I risultati che la legislazione statale ha ottenuto nel decennio 1987 –
1997 sono stati scarsi sia dal punto di vista pratico che da quello
programmatico. Una rapida rassegna dei provvedimenti normativi più
importanti è comunque necessaria per due ragioni: la prima perché risulta
più agevole comprendere lo stato del diritto vigente al momento
dell’approvazione del decreto Ronchi; la seconda perché si sottolinea così la
portata innovativa del d.lgs. 22/1997.
Gli addetti ai lavori chiamati a ricostruire la disciplina delle bonifiche
vigente prima del decreto Ronchi hanno dovuto ricercare una serie di norme
sparse in più settori del diritto dell’ambiente.
Si poteva partire da norme riguardanti l’igiene e la sanità (ad esempio
il generico obbligo di conservare lo stato dei suoli in condizioni di salubrità
e di rimediare ad eventuali situazioni di inquinamento, contenuto nel T.U.
leggi sanitarie del 1934) o concernenti lo smaltimento dei rifiuti o la tutela
delle acque.
Il primo intervento legislativo specifico in ordine di tempo è stato il
d.l. 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, nella legge 29
ottobre 1987, n. 441. Tale legge conteneva le norme più importanti fino
all’entrata in vigore del d.lgs. 22/1997, in special modo l’art. 5 chiedeva alle
regioni di approvare dei piani di bonifica entro il 30 aprile 1988, ma non
veniva definito il concetto di area contaminata né si davano indicazioni sui
criteri di valutazione del rischio. Allo stesso tempo venivano previsti dei
finanziamenti alle Regioni per procedere alla stesura del piano di bonifica.
1
Molti autori non entrano nell’argomento della legislazione precedente al decreto Ronchi
in tema di bonifiche, limitandosi a confermare la presenza di norme inefficaci alla
soluzione del problema. Accenni all’argomento si trovano in G. GERACI, Rifiuti.
Normativa italiana e commento, Maggioli Editore, Rimini, 1990, p. 88; G. NESPOLI,
Programmi di bonifica, Consulenza ambiente, 5/1993, p. 46 e 47; F. GIAMPIETRO,
Bonifica dei siti contaminati. Irretroattività di un regime frammentario e scoordinato, in F.
GIAMPIETRO, La bonifica dei siti contaminati. I nodi interpretativi, giuridici e tecnici,
Giuffrè, Milano, 2001, p. 23 – 27; R. RUSSO, Bonifica e messa in sicurezza dei siti
contaminati: osservazioni sull'art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in Rivista Giuridica
dell’ambiente, 3 – 4/1998, p. 429 ss.
La bonifica dei siti inquinati
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La successiva legge n. 475/1988 in materia di rifiuti e in special modo
l’art. 9-ter, riguardavano si la redazione dei piani regionali di bonifica ma
solo per quanto riguarda il loro finanziamento.
A tal proposito il legislatore fece un passo indietro e, con la legge n.
475/1988 ridusse drasticamente i fondi destinati alle Regioni per dirottarli
verso la costruzione di impianti di stoccaggio provvisorio di rifiuti, ritenuti
più urgenti per contenere l’emergenza. Come conseguenza di ciò le Regioni
non riuscirono ad elaborare i piani di bonifica e, nell’aprile 1989, soltanto
otto Regioni risultarono adempienti presentando però piani incompleti e
inadeguati che furono respinti. I soli interventi urgenti inseriti in questi piani
richiedevano più di 340 miliardi di lire.
Sempre nello stesso anno il d.p.r. 24 maggio 1988, n. 236 stabiliva
quali erano i limiti qualitativi delle acque destinate al consumo umano e i
criteri generali di individuazione delle aree da proteggere per salvaguardare
le risorse idriche.
A tale situazione estremamente frammentata cercò di porre rimedio il
D.M. Ambiente del 16 maggio 1989
2
stanziando circa 11 miliardi ed
elaborando alcuni criteri guida per la stesura dei piani regionali, tralasciando
tuttavia l’indicazione dei livelli di concentrazione delle sostanze inquinanti e
di criteri di valutazione del rischio.
Il D.M. 16 maggio 1989 prevedeva una pianificazione basata sia sul
rischio ambientale sia su quello sanitario, non fornendo però alcuna
indicazione su quando un sito debba essere bonificato o su quando la
bonifica possa considerarsi terminata. La norma non forniva neanche le
indicazioni per procedere ai campionamenti e alle analisi tecniche,
necessarie per caratterizzare e definire l’esatta quantità di inquinamento
presente. In sostanza il decreto evitava di dare una risposta alla
fondamentale domanda, posta per primi dagli USA, how clean is clean?
Quando un sito può dirsi pulito? Quali sono gli obbiettivi da raggiungere
con la bonifica?
2
Pubblicato in G.U. 26 maggio 1989, n. 121.
La disciplina previgente
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A questa domanda dovevano rispondere le Regioni redigendo i piani
di bonifica dei siti inquinati.
Nei piani di bonifica le regioni dovevano prevedere la priorità degli
interventi, individuare i siti, caratterizzare i contaminanti presenti,
individuare i soggetti cui competeva l'intervento e gli enti che ad essi si
sostituiscono in caso di inadempienza, realizzare gli interventi di bonifica e
di smaltimento dei materiali contaminati secondo precise modalità, stimare
infine gli oneri finanziari.
Le aree da inserire nei piani di bonifica erano quelle interessate da una
contaminazione con qualsiasi sostanza pericolosa (solida, liquida o gassosa)
inserita nell’allegato A
3
del D.M. Ambiente 16 maggio 1989. Tale
contaminazione poteva avvenire con qualsiasi modalità, compresa anche
quella accidentale.
Per permettere alle Regioni di predisporre i piani di bonifica lo Stato
stanziò circa 200 miliardi di lire. L’accesso ai contributi statali poteva essere
richiesto dalle Regioni, dalle Province autonome, dagli enti locali e dai loro
eventuali consorzi, utilizzando il modulo contenuto nell’allegato C, che
veniva esaminato da una commissione ministeriale. Tale commissione
valutava anche i progetti di bonifica tenendo conto di: a) l’importanza socio-
economica dell’area inquinata; b) la gravità dell’inquinamento; c) la qualità
del risanamento raggiungibile con l’intervento.
Potevano accedere al finanziamento solo quegli interventi per i quali
era possibile dimostrare la realizzabilità entro un periodo massimo di dodici
mesi e, allo stesso tempo, venivano esclusi dal contributo tutti quelli che
erano già stati affidati in esecuzione o già realizzati.
Dopo pochi mesi, a causa del persistere della situazione di emergenza,
il Ministro dell’ambiente emanò un decreto che aumentava i finanziamenti
di ulteriori 10 miliardi di lire.
3
Secondo l’allegato A dovevano essere censite le aree potenzialmente contaminate dalle
seguenti attività e sostanze: cicli di produzione di rifiuti potenzialmente tossici o nocivi;
aree interessate da attività minerarie e cave in corso o dismesse; aree interessate da attività
industriali in corso o dismesse; aree interessate da rilasci accidentali o dolosi di sostanze
pericolose; aree interessate da discariche non autorizzate; aree interessate da stoccaggio di
idrocarburi anche sottoforma di gas; aree agricole interessate da spandimento non
autorizzato di fanghi, e residui speciali, tossici e nocivi.
La bonifica dei siti inquinati
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Gli anni ’80 erano caratterizzati quindi da una produzione normativa
scoordinata che aveva come scopo principale quello dell’elaborazione dei
piani regionali di bonifica e del relativo finanziamento che si aggirava
intorno ai 220 miliardi totali.
I siti oggetto di bonifiche erano principalmente discariche
abbandonate ma non mancavano aree industriali dimesse, depositi di rifiuti
tossici e aree interessate da scarichi di fanghi e liquidi pericolosi. Inoltre, la
legge 305/1989 individuava la possibilità da parte del Consiglio dei ministri
e su proposta del Ministro dell'ambiente di dichiarare «aree ad elevato
rischio di crisi ambientale» gli ambiti territoriali ed i tratti marittimi
caratterizzati da gravi alterazioni negli equilibri ambientali.
Numerose aree del territorio nazionale sono state finora dichiarate a
grave rischio di crisi ambientale (Sulcis, Priolo, Gela, Olona, ecc.) e per esse
sono stati previsti specifici finanziamenti per le attività di ripristino tra cui
anche quelle attinenti ai siti contaminati.
Nel decennio successivo vennero approvati alcuni provvedimenti
(d.lgs. 132/1992 e 133/1992) che prevedevano la possibilità di usare
ordinanze contingibili ed urgenti per riparare eventuali danni alle risorse
naturali. Il d.lgs. 132/1992 riguardava la protezione delle acque sotterranee
dall’inquinamento provocato da alcune sostanze pericolose; il d.lgs.
133/1992 si occupava invece di scarichi industriali pericolosi riversati nelle
acque.
Questi due decreti legislativi stabilivano un obbligo di eseguire tutte le
opere necessarie ad eliminare il danno causato alle acque, al suolo e al
sottosuolo. L’obbligo citato era a carico dei responsabili dell’inquinamento.
Tali provvedimenti non risultarono efficaci soprattutto per la loro
settorialità, essendo rivolti soltanto alla protezione delle acque contro gli
scarichi di sostanze pericolose, e perché si affidarono alle ordinanze urgenti,
le quali non erano frutto di un meditato processo di pianificazione bensì
dettate unicamente dall’emergenza.
Per evitare equivoci è comunque necessaria una precisazione in
merito. Il caso delle bonifiche dei siti contaminati è complicato perché da un
La disciplina previgente
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lato richiede una pianificazione quanto più precisa possibile per definire
l’ordine delle priorità degli interventi; dall’altro è necessaria anche una
normativa flessibile capace di affrontare le emergenze che via via si
presentano.
Le ordinanze contingibili ed urgenti si riferiscono solo a quest’ultimo
aspetto e non anche al primo. Si tratta di provvedimenti con cui la P.A.
interviene per fronteggiare imprevedibili situazioni straordinarie di pericolo,
imponendo a chi ha l’immediata disponibilità dell’area inquinata di porre
rimedio. Va da se che non necessariamente chi ha la disponibilità dell’area
è anche colui che l’ha inquinata, ma rimane comunque il soggetto che può
procedere rapidamente al disinquinamento.
Il novero di questi provvedimenti contingibili ed urgenti è stato
estremamente corposo e si è accresciuto nel tempo. Si possono individuare
ordinanze del Ministero dell’ambiente, del Sindaco, del Ministro della
protezione civile e anche dei provvedimenti delle Regioni o delle Province
competenti per territorio.
Tutto ciò porta a considerare la disciplina delle bonifiche vigente
prima del decreto Ronchi sotto un’altra luce: eravamo si di fronte ad un
sistema estremamente frammentato, disperso nei più vari settori del diritto
dell’ambiente, con una difficile ed incerta applicazione ma, ad ogni modo,
era anche un disciplina molto incisiva che, grazie all’uso (e abuso) delle
ordinanze contingibili ed urgenti e ai molti soggetti col potere di emanarle,
riusciva a farsi rispettare e comunque a perseguire l’obbiettivo del
disinquinamento dell’ambiente.
4
Per quanto riguarda il reperimento delle ingenti risorse finanziarie
destinate a coprire i costi delle bonifiche, molto importante era la legge n.
549 del 28/12/1995 che istituiva (dal 1° gennaio 1996) un tributo speciale
per il deposito in discarica dei rifiuti solidi. L’art. 3, al comma 27, stabiliva
infatti che «il tributo è dovuto alle regioni: una quota del 10 per cento di
esso spetta alle province. Il 20 per cento del gettito derivante
4
Questa duplice visione della disciplina delle bonifiche è stata descritta da C.
RAPISARDA SASSOON, L’arma affilata del disinquinamento ambientale, in L’impresa
ambiente, n. 9/1994, p. 9.
La bonifica dei siti inquinati
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dall'applicazione del tributo, al netto della quota spettante alle province,
affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore
produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia,
con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi
alle discariche, nonché realizzare la bonifica dei suoli contaminati, ivi
comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per
l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e
l'istituzione e manutenzione delle aree naturali protette.»
Al momento in cui veniva scritto tale articolo di legge, stime non
ufficiali (ma riportate comunque in numerosi dibattiti parlamentari)
fornivano un numero di 11 mila siti contaminati sul territorio nazionale con
una stima di costo per gli interventi di bonifica che si aggirava intorno a
30.000 miliardi di lire.
La disciplina previgente
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1.2 - L’ipotesi dell’eccesso di delega del decreto Ronchi
nella parte in cui si occupa della bonifica dei siti inquinati
Quanto scritto fino a questo punto fa capire come gli addetti ai lavori
attendessero una normativa esauriente che si occupasse della bonifica dei
siti contaminati. E’ quindi comprensibile che questa aspettativa fosse
riversata tutta sul decreto Ronchi.
Il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 disciplina finalmente anche
nel nostro paese la bonifica dei siti inquinati da sostanze pericolose per
l’ambiente e la salute umana.
Le norme che interessano la bonifica dei siti inquinati si possono
leggere nell’art. 17 del d.lgs. 22/1997, più noto come decreto Ronchi dal
nome del Ministro dell’Ambiente dell’epoca, da leggere in combinato
disposto con gli artt. 6, 18, 19, 20, 21, 22 e 51 bis. Quest’ultimo riguarda le
sanzioni penali ed è stato introdotto ex novo dal d.lgs. 8 novembre 1997 n.
389 (c.d. Ronchi-bis).
Il decreto Ronchi, soprattutto la parte in cui si occupa di bonifiche, ha
suscitato fin dall’inizio impressioni contrastanti: da una parte è stato accolto
con favore perché affrontava, per la prima volta, il problema della bonifica
dei siti inquinati; dall’altra è stato criticato (non poco…) da molta parte
della dottrina più qualificata, per le varie difficoltà applicative delle norme
in esso contenute, per i dubbi interpretativi e perché è stato elaborato con
una «tecnica legislativa assai insoddisfacente e a scelte basate su una ratio
di difficile individuazione.»
5
Anche le scelte compiute dal legislatore dopo l’approvazione del
decreto Ronchi hanno contribuito ad alimentare le polemiche e le opinioni
non proprio favorevoli, prima fra tutte quella dell’emanazione del Ronchi-
bis dopo solo nove mesi, il quale non ha saputo fugare tutti i dubbi e, al
contrario, ha palesato la necessità di risistemare la disciplina.
5
Si esprime con queste parole P. PAGLIARA, Luci ed ombre della nuova disciplina sulla
bonifica dei siti contaminati, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1998, p. 97.
La bonifica dei siti inquinati
12
Per quanto riguarda la bonifica dei siti inquinati, c’è stato anche chi ha
espresso perplessità anche sul collocamento di tale disciplina in quella più
generale dei rifiuti.
Le norme contenute nell’art. 17, infatti, non riguardano
specificatamente la questione rifiuti e basta guardare la casistica sui siti
inquinati per rilevare che le discariche, l’abbandono di rifiuti e gli impianti
di trattamento degli stessi, sono soltanto alcuni dei casi trattati.
L’inserimento delle bonifiche all’interno del decreto «chiave» sui rifiuti
potrebbe far pensare, tuttavia, che il legislatore intendesse disciplinare solo
il caso particolare dei siti inquinati da rifiuti e non quello delle bonifiche in
generale, indipendentemente dalla fonte dell’inquinamento.
A tale conclusione è arrivata, ad esempio, Antonella Capria
6
,
affermando che «l’ambito di applicazione delle norme dovrà
necessariamente circoscriversi ai rifiuti, […] e più in particolare alla
contaminazione dei terreni (acque superficiali, acque sotterranee e suoli)
dovuta a pratiche e attività di gestione dei rifiuti, e non anche a sversamenti
o perdite accidentali di sostanze contaminanti. Sul punto occorrerà attendere
il nuovo intervento del legislatore, che ha tuttavia accantonato il progetto, da
più parti sollecitato, di trattare all’interno di un unico testo normativo la
disciplina degli interventi di bonifica dei siti contaminati.»
Salvo che sul punto in cui si chiede una legge ad hoc sui siti inquinati,
questo modo di vedere non è condivisibile, soprattutto per tre motivazioni.
La prima deriva dal fatto che le direttive comunitarie
7
recepite dal decreto
Ronchi si occupano di rifiuti e non direttamente di bonifiche dei siti
inquinati, da rifiuti e non. La seconda è che, come vedremo più avanti, l’art.
17 si occupa di rifiuti solo per indicare un caso particolare di bonifica,
presupponendo quindi l’esistenza di bonifiche intese in senso più generale.
La terza, ma non meno importante, è che nella versione definitiva della
rubrica dell’art. 17 è stata tolta la parola «rifiuti» rispetto alla versione
6
A. CAPRIA, La nuova disciplina del decreto legislativo n. 22/1997 sulla bonifica dei siti
contaminati, in Rivista Giuridica dell’ambiente, n. 3-4/1997, p. 428.
7
Il decreto Ronchi ha recepito le direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti
pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
La disciplina previgente
13
originaria. Queste tre motivazioni portano a concludere che l’art. 17 (e di
conseguenza l’art. 51 bis ad esso collegato) ha una portata più generale
rispetto al tema dei rifiuti ma costituisce una norma trasversale che interessa
molti settori del diritto dell’ambiente.
A questo punto viene naturale chiedersi il perché la disciplina delle
bonifiche è stata inserita all’interno della norma fondamentale dei rifiuti e
non in un provvedimento normativo ad hoc.
Per rispondere a questa domanda non si può non accennare alla
difficile e travagliata storia legislativa che ha portato alla nascita del decreto
Ronchi. Esso nasce da due leggi delega: le leggi comunitarie del 1993 e
1994
8
. Quest’ultima, oltre a fornire al Governo una delega più ampia in
materia di rifiuti, prorogava il termine di esercizio della delega precedente
fino al 25 febbraio 1997, essendo essa scaduta il 19 marzo 1995.
Questo slittamento di termini e il fatto di recepire ben tre direttive
comunitarie riguardanti argomenti simili e collegati tra loro, fece ventilare
l’ipotesi di approvazione di un testo unico sui rifiuti che, col senno di poi,
sappiamo non essere mai stato creato.
Il governo propose un testo che conteneva al suo interno anche una
disciplina per la bonifica dei siti inquinati e precisamente la collocava
all’art. 16 composto da otto commi. Questa prima versione conteneva già
alcuni elementi presenti nel testo definitivo: l’obbligo di bonifica da parte di
chi cagiona l’inquinamento, la possibilità che il Comune si sostituisse
all’inquinatore inadempiente, il rinvio a norme tecniche elaborate dal
Ministero dell’ambiente.
Lo schema di decreto iniziò il suo iter parlamentare il primo ottobre
1996 e durò più di un mese nell’ambito delle Commissioni Ambiente delle
due Camere, le quali espressero pareri positivi ma, allo stesso tempo,
gravarono il testo di numerosi emendamenti e condizioni.
Contemporaneamente il Parlamento approvò una legge che prorogava gli
effetti di alcune norme del D.L. 462/1996 (all’epoca quasi scaduto) fino al
8
Rispettivamente la L. 146/1994 e L. 52/1996.
La bonifica dei siti inquinati
14
25 febbraio 1997 per creare una «cerniera» ed evitare una lacuna normativa
in attesa dell’approvazione del nuovo decreto (il futuro Ronchi).
Poco prima della fine del 1996 nacque un testo molto diverso rispetto
a quello originario proposto dal Governo: comparve per la prima volta
l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, vennero dettagliate meglio le discipline
delle ordinanze contingibili ed urgenti (vero leit motiv della gestione dei
rifiuti perpetrata fino ad allora) e, per ciò che a noi maggiormente interessa,
venne scritto l’art. 17 riguardante la bonifica dei siti inquinati contenente
ben 6 commi in più rispetto agli 8 iniziali.
La stampa dell’epoca dette molto risalto alla futura normativa sui
rifiuti, alimentando così le speranze (e i dubbi…) di tutti gli addetti ai lavori.
Il Consiglio dei Ministri approvò il testo il 30 dicembre 1996, in realtà
era definitivo solo formalmente poiché da allora e fino all’emanazione (5
febbraio 1997) tale testo venne sottoposto a numerose modifiche.
L’attuale testo del d.lgs. 22/1997 è stato pubblicato sul supplemento
ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 1997 ed è entrato in
vigore il 2 marzo 1997.
9
Come si è visto, tutto l’iter di approvazione del d.lgs. 22/1997 è stato
caratterizzato dalla necessità di giungere ad un testo nei tempi previsti, a
scapito di un sereno dibattito per fronteggiare la situazione emergenziale
che si era creata nel nostro paese sul fronte rifiuti.
Ciò che è mancato è un dibattito su un progetto iniziale che rispettasse
le basilari regole di trasparenza e garantisse un risultato frutto di un
contraddittorio fra le parti.
Il testo è piuttosto la risultante delle pressioni delle varie forze (interne
ed esterne al Parlamento e al Governo) rivolte al soddisfacimento dei
rispettivi interessi spesso opposti.
9
Per la precisione non tutto il decreto Ronchi è entrato in vigore in tale data. Le norme
relative agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio hanno acquistato efficacia
successivamente; quelle relative alla tariffa sui rifiuti sono state ritenute norme
«programmatiche» e pertanto hanno (ancora) necessità di attuazione. Anche il termine per
lo smaltimento dei rifiuti in discarica ha subito continui rinvii: l’ultimo in ordine di tempo è
contenuto nell’art. 11 del recente D.L. 30 giugno 2005, n. 115, il quale proroga il termine al
31/12/2005.
La disciplina previgente
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Tale conclusione è suffragata dal fatto che il Governo dell’epoca non
ha fatto proprie le proposte di testi unici sui rifiuti presentate in varie
legislature precedenti, preferendo «incollare» fra loro le parti di esse più
adatte ai suoi scopi.
Inoltre, nel caso delle bonifiche dei siti contaminati, considerata la
novità fondamentale del decreto, potrebbe anche sussistere il caso di eccesso
di delega poiché la rubrica del d.lgs. 22/1997 fa riferimento soltanto alle tre
direttive comunitarie citate, le quali, come già scritto, non si occupano di
bonifiche. Da ultimo non possono tralasciarsi le risposte evasive e
generaliste che il Governo ha fornito ai rilievi espressi dalle Commissioni
delle due Camere e ai quali era vincolato.
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L’ipotesi di superamento dei confini della legge delega per mancata
previsione espressa, da parte delle direttive recepite dal decreto, della
problematica delle bonifiche potrebbe essere superata dal fatto che l’azione
comunitaria in campo ambientale deve necessariamente sottostare al
principio «chi inquina paga»; principio basilare anche (e soprattutto) in tema
di bonifiche.
Tale principio è sancito all’art. 130R del trattato sull’Unione Europea
sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed è rimasto anche dopo la
revisione operata dal trattato di Amsterdam il 2 ottobre 1997. L’art 174 (ex
130R) della nuova numerazione stabilisce che la politica della Comunità in
materia ambientale «è fondata sui principi della precauzione e dell’azione
preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei
danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.»
Questo tuttavia non è sufficiente per giustificare un eccesso di delega
poiché, a norma dell’art. 76 della Costituzione « l'esercizio della funzione
legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di
principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»
e il principio «chi inquina paga» non può certo dirsi né un oggetto definito
né un criterio direttivo imposto dal Parlamento al Governo.
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L’idea di un decreto scoordinato, poco coerente e soprattutto precario è espressa da F.
GIAMPIETRO, Bonifica dei siti contaminati. Irretroattività di un regime frammentario e
scoordinato, in F. GIAMPIETRO (a cura di), La bonifica dei siti contaminati, cit., p. 13 ss.