Introduzione
VI
africana e araba in Italia, Francia, Svizzera, Egitto, Senegal, Germania, Iran, Turchia
e Sudafrica (2000-2001). Inoltre, riuscì a finanziare i miei spostamenti partecipando
a diversi scambi internazionali del programma europeo Gioventù organizzati
dall’associazione AFSAI di Roma (in Italia, Sudafrica, Giordania, Bielorussia e
Russia) e scrivendo articoli per riviste generiche, specializzate in arte e sull’Africa
(“Flash Art”, “Tema Celeste”, “Nigrizia”, “Africa” e “Gulliver”). Nel 2000 assistetti
alle inaugurazioni di Dak’Art; raccolsi materiale, intervistai artisti e critici e partecipai
a conferenze, dibattiti e laboratori. Nel 2001 svolsi ricerche in Egitto, presentai la
Biennale di Dakar durante una conferenza all’Università Americana del Cairo,
cominciai a lavorare come manager artistico dell’artista egiziano Moataz Nasr (che
oggi espone alla Biennale di Venezia, http://www.moataznasr.com) e svolsi alcune
consulenze per la galleria Lia Rumma di Milano, in particolare su artisti egiziani. Nel
2002 iscrissi Moataz Nasr alla Biennale di Dakar (dove fu selezionato e vinse il
Premio Rivelazione) e curai i comunicati stampa di Dak’Art in Italia e in Europa, in
modo da promuovere Moataz Nasr e l’evento al quale partecipava; assistetti alle
inaugurazioni della Biennale di Dakar e – come durante l’edizione precedente, ma
questa volta con più esperienza e maggiore coinvolgimento – raccolsi materiale, feci
interviste e presi parte a conferenze, dibattiti e laboratori. Il lavoro con Moataz Nasr
mi offrì l’opportunità di conoscere ed intrecciare rapporti con curatori ed
organizzatori di eventi internazionali; allo stesso tempo divenni collaboratrice della
rivista “Africa e Mediterraneo”, specializzata nella promozione culturale dell’Africa e
nell’organizzazione di esposizioni e progetti internazionali.
Introduzione
VII
Obiettivi della ricerca
Fin da principio l’obiettivo della ricerca è stato di analizzare la Biennale di Dakar e
fare luce, attraverso questo evento, sul più vasto panorama dell’arte contemporanea
africana, focalizzando l’attenzione sui protagonisti, le caratteristiche delle opere e le
questioni critiche centrali.
Metodo di ricerca
La ricerca di informazioni sulla Biennale di Dakar e sull’arte contemporanea africana
è stata la fase centrale di questo studio. Molti dei preconcetti e dei fraintendimenti
sulla qualità, la vivacità e la varietà della produzione artistica africana sono infatti
dovuti alla mancanza di informazioni attendibili ed aggiornate su quello che avviene
in Africa e nel settore della sua arte contemporanea.
Per raccogliere informazioni gli spostamenti sono stati senza dubbio la parte
essenziale e più ricca delle ricerche: mi hanno permesso di consultare e fotocopiare
materiale, di visitare le esposizioni, di vedere le opere dal vivo, di osservare degli
atelier e di discutere con artisti, critici, curatori e responsabili di istituzioni; mi hanno
permesso di farmi un’idea della situazione dell’arte contemporanea africana e di
capire che le ricerche erano molto più fruttuose fuori dal Senegal che in Senegal. A
Dakar ci sono pochissimi libri, le istituzioni culturali sono spesso appesantite da una
burocrazia lenta e ostile, i legami culturali con gli altri paesi dell’Africa si limitano per
ora alla Biennale e numerosi protagonisti dell’arte risiedono in Occidente. Spostarmi
mi ha inoltre permesso di scoprire gli assenti di Dak’Art, ovvero di capire quali
fossero gli artisti africani di cui tutti parlavano e di conoscere la loro produzione
nonostante non avessero partecipato alla Biennale (il caso più significativo è senza
dubbio quello di Yinka Shonibare).
La Biennale di Dakar è un soggetto di studio poco documentato e poco esplorato:
non esistono pubblicazioni che la raccontino ed il segretariato generale non ha
conservato rigorosamente il materiale emesso durante le sue diverse edizioni. In
particolare l’archivio della Biennale del 1992 è andato perduto ed i soli documenti
che ho potuto consultare sulle Biennali del 1996 e 1998 sono alcuni studi di
valutazione ed un raccoglitore nel quale sono conservate le rassegne stampa. Per
Introduzione
VIII
quanto riguarda la Biennale del 2000 e 2002 ho quindi preferito basare le mie
ricerche sul materiale che ho raccolto personalmente (visite, interviste, conferenze,
dépliant, comunicati stampa).
Esiste una vasta bibliografia legata all’arte contemporanea africana, costituita da
cataloghi di mostre, storie dell’arte africana, monografie, pubblicazioni tematiche,
testi sulle singole nazioni o regioni, riviste specializzate, raccolte di saggi e tantissimi
siti Internet. Anche le associazioni e le istituzioni che promuovono l’arte
contemporanea africana sono molto numerose, così come è enorme il numero degli
artisti che si possono definire “africani”. Le informazioni sull’arte contemporanea
africana non sono però facili da reperire, non sono già organizzate (non c’è nessuna
pubblicazione che le raccolga in modo sistematico) e sono spesso troppo recenti per
essere già oggetto di pubblicazioni. Questa ricerca si concentra quindi soltanto sul
materiale di alcune biblioteche (biblioteca del Castello Sforzesco di Milano,
biblioteca d’Arte e di Storia di Ginevra, biblioteca universitaria di Cambridge, centro
di documentazione della Biennale di Dakar e di Documenta di Kassel), sulle
pubblicazioni in italiano, francese e inglese, sulle istituzioni ed i progetti artistici delle
persone e delle organizzazioni che ho conosciuto personalmente grazie agli incontri
della Biennale di Dakar e sulle esposizioni che ho visitato. Sempre per limitare il
campo, questa ricerca dà poco spazio agli artisti della diaspora, ovvero gli artisti delle
comunità nere delle Americhe e dei Caraibi.
Una caratteristica fondamentale dell’argomento di ricerca
L’arte contemporanea africana – in quanto fenomeno artistico – non esiste. Quando
si parla di “arte contemporanea africana” si utilizza una categoria critica. In altre
parole, esistono istituzioni (come la Biennale di Dakar), pubblicazioni ed esposizioni
che decidono di focalizzare la loro attenzione sull’arte contemporanea africana ed
esiste un dibattito critico intorno a questo concetto, ma ciò che non esiste è uno
stile proprio dell’arte contemporanea africana, una sua storia continentale ed infine –
punto assolutamente centrale – non esistono dei parametri chiari che permettano di
individuare chi è un artista africano e chi no. Per questo motivo non è possibile
analizzare l’arte contemporanea africana in se stessa; ciò che si può analizzare
parlando di “arte contemporanea africana” sono le diverse visioni critiche che
hanno creato questa definizione, che la sostengono o la utilizzano.
Introduzione
IX
Risultati della ricerca
Questa ricerca – partendo dall’analisi della Biennale di Dakar e del suo contesto
senegalese – presenta le caratteristiche principali dell’arte contemporanea africana
messe in luce dalla critica: la situazione attuale, le categorie utilizzate, i concetti
chiave più dibattuti, le caratteristiche stilistiche individuate, i protagonisti e le
conseguenze economiche.
Per la difficoltà di reperire le informazioni e per la loro scarsissima diffusione
(soprattutto in Italia), la ricerca presenta tutti i dati raccolti sulla Biennale di Dakar e
sull’arte contemporanea africana.
Futuri sviluppi della ricerca
La comprensione delle diverse correnti critiche che hanno inventato o che
promuovono la categoria dell’arte contemporanea africana è il prossimo obiettivo
dei miei studi, insieme a nuove ricerche sulla situazione dell’arte nelle grandi città
dell’Africa e degli Stati dell’ex-Unione Sovietica e alla promozione di alcuni artisti
incontrati durante i miei viaggi.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
1
I. Dak’Art e
l’arte contemporanea africana
La Biennale di Dakar è un ottimo punto d’osservazione per comprendere alcuni
meccanismi dell’arte contemporanea africana. Fin dalla sua prima edizione Dak’Art
fu un luogo d’incontro internazionale: nel 1992 le esposizioni rivolsero
essenzialmente l’attenzione all’Occidente
1
, mentre dal 1996 gli sforzi degli
organizzatori si concentrarono nell’arricchire i collegamenti tra gli artisti e gli
operatori del settore africano e nell’inserirli all’interno del circuito mondiale dell’arte.
La Biennale di Dakar ha oggi un’esperienza di quattro edizioni consacrate all’arte
contemporanea africana, con la partecipazione di un vasto numero di artisti e con il
coinvolgimento di critici, curatori e galleristi internazionali; Dak’Art ha inoltre la
particolarità di presentare un panorama dell’arte contemporanea africana
estremamente eterogeneo, grazie alla diversità delle sue mostre ufficiali e grazie al
vivace contributo delle esposizioni parallele.
1
Occidente è un termine molto usato dalla critica d’arte contemporanea africana; con Occidente si
indicano tutti i paesi cosiddetti “sviluppati”, in contrasto con i paesi cosiddetti “in via di sviluppo”.
Un termine adottato da Okwui Enwezor e Olu Oguibe per suddividere la geografia del mondo è
anche G7 (che oggi andrebbe attualizzato in G8): l’espressione è particolarmente ricca, siccome si
riferisce alla situazione socio-politica e ai dibattiti che gli incontri del G8 stanno generando, ma per
la connotazione negativa che potrebbe esprimere si è preferito non adottarla (Okwei Enwezor e
Olu Oguibe, Introduction in Reading the Contemporary. African Art from Theory to the Marketplace, (a cura
di) Olu Oguibe e Okwui Enwenzor, Institute of International Visual Arts (inIVA) e MIT Press,
London, 1999, p. 9).
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
2
1. Il mondo dell’arte contemporanea africana
Il mondo dell’arte contemporanea africana è costituito dai suoi artisti, ma anche
dalle numerosissime persone e istituzioni che lavorano in questo settore e che lo
promuovono, in Africa e in Occidente.
L’interesse internazionale per gli artisti africani:
Documenta di Kassel e la Biennale di Venezia
Gli artisti africani partecipano oggi alle grandi mostre ed espongono nelle gallerie del
mondo. Documenta di Kassel e la Biennale di Venezia hanno confermato nelle loro
ultime edizioni questo cambiamento: l’Occidente è interessato agli artisti di tutti i
continenti e l’arte contemporanea è oggi considerata a pieno titolo “non
esclusivamente occidentale”.
Nel 2002 Documenta XI
2
presentò la selezione del curatore di origine nigeriana Okwui
Enwezor, che diede spazio ad artisti di tutto il mondo documentando la società post-
coloniale
3
. Okwui Enwezor – curatore tra l’altro della Biennale di Johannesburg del 1997
– organizzò per Documenta non soltanto un’ampia mostra a Kassel, ma gestì il suo
mandato quinquennale creando anche delle Platform, ovvero dei simposi realizzati in
2
Documenta è una delle più prestigiose mostre d’arte contemporanea internazionale, nata nel 1955
e divenuta quinquennale dal 1972. La mostra si svolge a Kassel in Germania ed ha lo scopo di
“documentare” attraverso le opere che presenta lo stato dell’arte, in particolare cambiamenti,
rotture, segni e conflitti. Tutte le informazioni sugli artisti africani a Documenta derivano dalla
consultazione dei cataloghi e dalla visita alla mostra del 2002. Documenta IX (Kassel, 13/06-
20/09/1992), Edition Cantz, Stuttgart, 1992. Documenta X (Kassel, 21/06-18/09/1997), Cantz
Verlag, Ostfildern-Ruit (Germania), 1997. Documenta 11_Platform 5: Exhibition (Kassel, 08/06-
15/09/2002), Hatje Cantz Verlag, Ostfildern-Ruit (Germania), 2002.
3
Documenta XI di Kassel presentò gli artisti africani Georges Adéagbo (1942, Benin), Zarina
Bhimji (1963, Uganda/Gran Bretagna), Frédéric Bruly Bouabré (1921, Costa d’Avorio), Touhami
Ennadre (1952, Marocco/Francia), Meschac Gaba (1961, Benin/Olanda), Kendell Geers
(Sudafrica/Gran Bretagna/Belgio, 1968), David Goldblatt (1930, Sudafrica), William Kentridge
(1955, Sudafrica), Bodys Isek Kingelez (1948, Congo Kinshasa), Santu Mofokeng (1956, Sudafrica),
Olumuyiwa Clamide Osifuye (1960, Nigeria), Yinka Shonibare (1962, Gran Bretagna), Ouattara
Watts (1957, Costa d’Avorio/USA), Pascale Marthine Tayou (1967, Camerun/Belgio), il Gruppo
Amos di Kinshasa e il gruppo Huit Facettes di Dakar.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
3
continenti diversi. Queste piattaforme offrirono un’ampia immagine dell’arte mondiale,
spostandosi e dimostrando che l’Occidente non è l’unico centro, ma ne esistono tanti
4
.
Anche la 50° Biennale di Venezia presentò nel 2003 artisti africani o di origine africana;
il direttore Francesco Bonami coordinò infatti la mostra internazionale di Venezia
affidando a più curatori la realizzazione di diverse esposizioni e tra queste anche Fault
Lines/Smottamenti
5
di artisti africani e di origine africana, organizzata da Gilane Tawadros
in cooperazione con il Forum for African Arts; anche altri artisti africani furono invitati
alla Biennale del 2003
6
all’intero delle mostre internazionali o dei padiglioni: oltre
all’Egitto
7
, anche il Kenya
8
allestì uno spazio e l’Olanda espose opere di artisti residenti
nel paese ma di varie origini e nazionalità
9
; gli Stati Uniti e la Gran Bretagna
organizzarono invece le personali di Fred Wilson (1954) e Chris Ofili (1968), entrambi di
origine africana. Il cambiamento di tendenza diventa più chiaro confrontando questi
eventi con le loro precedenti edizioni: il numero di artisti africani o di origine africana è
infatti aumentato in modo estremamente significativo e, col tempo, le loro opere sono
state svincolate dalle mostre esclusivamente nazionali.
Il cambiamento appare evidente osservando le diverse edizioni di Documenta di
Kassel e della Biennale di Venezia: il numero degli artisti africani che attualmente
hanno accesso a queste importanti vetrine è aumentato in modo estremamente
significativo rispetto al passato.
Documenta IX del 1992 fu diretta da Jan Hoet e offrì una selezione soltanto delle
sculture di Ousmane Sow (1935, Senegal) e di Mo Edoga (Nigeria/Germania);
Documenta X del 1997 – curata da Catherine David – espose all’ultimo momento
10
i
video di Oladélé Ajiboyé Bamgboyé (1963, Nigeria) e di William Kentridge (1955,
4
Documenta XI ha presentato cinque Platform, di cui l’ultima era la mostra centrale di Kassel, che si
è svolta dall’8 giugno al 15 settembre 2002. Le altre piattaforme erano intitolate Democracy Unrealized
(Vienna 15/03-20/04/2001; Berlino 09-30/10/2001), Experiments with Truth: Transitional Justice and
the Processes of Truth and Reconciliation (Nuova Delhi 07-21/05/2001), Créolité and Creolization (Isola dei
Caraibi Santa Lucia 12-16/01/2002) e Under Siege: Four African Cities Freetown, Johannesburg, Kinshasa,
Lagos (Lagos 15-21/03/2002).
5
Fault Lines/Smottamenti presentò gli artisti Laylah Ali (1968, Stati Uniti), Kader Attia (1970,
Francia), Samta Benyahia (1949, Algeria/Francia), Zarina Bhimji (1963, Uganda/Germania/Gran
Bretagna), Frank Bowling (1936, Guyana/Gran Bretagna/Stati Uniti), Clifford Charles (1965,
Sudafrica), Pitzo Chinzima (1972, Sudafrica), Rotimi Fani-Kayode (1955-1992, Nigeria), Velista
Gwintsa (1968, Sudafrica), Mashekwa Langa (1975, Sudafrica/Olanda), Salem Mekuria (1947,
Etiopia/Stati Uniti), Sabah Naim (1967, Egitto), Moataz Nasr (1961, Egitto) e Wael Shawky (1971,
Egitto).
6
Tra gli altri Abdel Abdessemed (1971, Algeria/Germania), Marlene Dumas (1953,
Sudafrica/Olanda), Hassan Fathy (1900-1989, Egitto), Chris Ledochowksi (1956, Sudafrica),
Antonio Ole (1951, Angola) e Muyiwa Osifuye (1960, Nigeria).
7
Artista: Ahmed Nawar (1945), commissario Mostafa Abdel-Moity.
8
Artisti: Richard Onyango (1960) e Armando Tanzini (1943), commissario: Ugo Simonetti e
commissario aggiunto: Nanda Vigo.
9
Tra i quali Meschac Gaba (1961, Benin/Olanda).
10
Salah Hassan e Olu Oguibe raccontano che la decisione di Catherine David fu presa all’ultimo
momento (Salah Hassan e Olu Oguibe, Preface in Authentic/Ex-Centric, a cura di Salah Hassan e Olu
Oguibe, Forum For African Arts, Ithaca (NY), 2001, p. 8).
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
4
Sudafrica), ma invitò diversi critici del mondo dell’arte contemporanea africana ai
dibattiti
11
.
Per quanto riguarda la Biennale di Venezia, nel 1922 alla Biennale di Venezia XIII
parteciparono i “paesi africani” (Angola, Casai, Alto Congo, Basso Congo, Foci del
Congo, Camerun, Alto Nilo e Lago Manganica) in una mostra a cura dei professori Carlo
Anti e Aldo Brandino Mochi all’intero delle sale straniere ed internazionali; nello stesso
anno fu anche allestita un’esposizione storica di scultura nera
12
. L’Egitto fece il suo
ingresso a Venezia XXIV nel 1948 con il commissario Mohamed Maghi Bey (direttore
dell’Accademia d’Egitto di Roma)
13
, mentre il Sudafrica partecipò alla Biennale XXV
(1950) coordinato da John Paris, direttore della Galleria Nazionale Sudafricana
14
; nel
1958 (edizione XXIX) la Tunisia presentò i suoi artisti con il commissario Elmekki
Hatim, nel 1960 (edizione XXX) anche la Liberia e nel 1968 il Congo Kinshasa
(edizione XXIV) a cura della Società Africana di Cultura (Presenza Africana)
15
. Nel
1990 (edizione XLIV) furono allestite le opere di artisti dalla Nigeria e dallo Zimbabwe,
nello spazio “paesi africani” a cura di Kinskasa Holman Conwill e Grace Stanislaus e fu
organizzata l’esposizione Contemporary African Artists dello Studio Museum di Harem
(Stati Uniti)
16
. Nel 1993 (edizione XL, diretta da Achille Bonito Oliva) i “paesi africani”
rappresentati nelle sale straniere del Padiglione Venezia con il commissario odinatore
Susan Vogel furono la Costa d’Avorio (a cura di Gerard Santoni) ed il Senegal (a cura di
Ousmane Sow); Thomas McEvilly ed il Museum for African Art di New York allestirono
l’esposizione itinerante Fusion: West African Artists at the Venice Biennale, con Moustapha
Dimé (1952, Senegal), Tamessir Dia (1950, Mali/Costa d’Avorio), Ouattara (1957, Costa
d’Avorio/Francia/Stati Uniti), Gérard Santoni (1943, Costa d’Avorio) e Mor Faye (1947-
1984, Senegal)
17
. Nel 1995 (edizione XLVI) fu organizzata un’altra esposizione itinerante
coordinata da curatori occidentali, mentre il direttore della Biennale Jean Clair non inserì
nessun artista africano nelle mostre internazionali, così come fece Germano Celant nel
1997 (edizione XLVII)
18
.
11
Tra i critici africani e dell’arte contemporanea africana furono invitati Ery Camara, Clémentine
Deliss e Okwui Enwezor.
12
La Biennale di Venezia: le esposizioni internazionali d’arte 1895-1995, Electa/La Biennale di Venezia,
1996, p. 79.
13
L’Egitto continuò ad esporre a Venezia e all’edizione XXVII (1954) ebbe il suo padiglione nei
Giardini; non partecipò alla Biennale di Venezia solo in occasione dell’edizione XXXVIII (1978).
14
Il Sudafrica partecipò nelle sale straniere alle Biennali di Venezia XXVI (1952), XXVII (1954),
XXVIII (1956), XXIX (1958), XXXII (1964), XXXIII (1966), XXXIV (1968), XLV (1993, Affinities
ontemporary South African Art, a cura di Glenn R.Babb, South African Associations Of Arts e Carlo
Trevisan, Ambasciata del Sudafrica, Roma, 1993) e XLVI (1995).
15
Con l’artista del Congo belga Mpoyo (Anthologie de l’art africain du XX siècle, a cura di N’Goné Fall
e Jean Loup Pivin, Éditions Revue Noire, Paris, 2001, p. 399).
16
Ivi, p. 400.
17
Fusion – West African Artists at the Venice Biennale, a cura di Thomas McEvilly, Museum for African
Art, New York, 1993; secondo Salah Hassan e Olu Oguibe la mostra dell’edizione LV vinse una
madeaglia (Salah Hassan e Olu Oguibe, Preface in Authentic/Ex-Centric..., p. 6).
18
Salah Hassan e Olu Oguibe, Preface in Authentic/Ex-Centric..., p. 6-7.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
5
Nel 1999 (edizione XLVIII) Harald Szeemann presentò all’intero dell’esposizione
d’aPERTutto l’installazione di Georges Adéagbo (1943, Benin) che vinse una menzione
d’onore della giuria ed il video d’animazione di William Kentridge (1955, Sudafrica). Nel
2001 (edizione XLIX) lo stesso direttore Harald Szeemann espose in La Platea
dell’Umanità le sculture di Sunday Jack Akpan (1940, Nigeria) ed i video di Tracey Rose
(1974, Sudafrica) e di Minnette Vari (1968, Sudafrica); nella Piattaforma del pensiero furono
collocate le sculture di Seni Camara (1945, Senegal), John Goba (1944, Sierra Leone),
Peter Wanjau (Kenya), Cheff Mway (1931, Kenya), Jean Baptiste Ngnetchopa (1953,
Camerun) e le fotografie di Ousmane Ndiaye Dago (1951, Senegal); durante la Biennale
del 2001 fu anche presentata tra le mostre parallela Authentic/Ex-Centric: Africa in and out
of Africa curata da Salah Hassan e Olu Oguibe in collaborazione con il Forum for African
Arts
19
. Ery Camara fu tra i membri della giuria internazionale della Biennale di Venezia
del 2001, mentre Koyo Kouoh tra i membri dell’edizione del 2003.
20
Osservando gli artisti e i critici coinvolti nelle grandi mostre di Documenta di Kassel
e della Biennale di Venezia si può notare che esistono dei collegamenti tra le
presenze africane e la Biennale di Dakar: il legame non è diretto, ma spesso si tratta
degli stessi protagonisti.
La prima edizione d’arte della Biennale di Dakar del 1992 nacque in contemporanea con
l’invito dell’artista senegalese Ousmane Sow a Documenta IX di Kassel; Ousmane Sow
espose nel Festival Mondial des Arts Nègres del 1966, alla Biennale di Dakar del 1992 e fu
membro del Comitato Scientifico di Dak’Art dal 1996 al 2000 e del Comitato
Internazionale nel 1998. John Goba e Ouattara Watts (più noto semplicemente come
Ouattara) parteciparono a Dak’Art nel 1992, Tamsir Dia nel 1996, 1998 e nel 2002,
Oladélé Ajiboyé Bamgboyé e Bodys Isek Kingelez nel 1998, Ousmane Ndiaye
Dago nel 1998 e nel 2002, Tracey Rose nel 2000 e Moataz Nasr nel 2002. L’opera di
Pascale Marthine Tayou fu oggetto di una personale nel 1996, quella di Antonio Ole
nel 1998 e quella dell’artista cubano Kcho (invitato alla Biennale di Venezia nel 1999) nel
1998. All’intero degli eventi paralleli della Biennale di Dakar, Georges Adéagbo fece
una performance nel 1996, le opere di Frédéric Bruly Bouabré furono esposte in una
collettiva di artisti della Costa d’Avorio nel 1998 e William Kentridge proiettò nel 2000
i suoi video e diresse un laboratorio di cinema d’animazione al Centro Culturale Francese
di Dakar.
Tra i critici e curatori, Clémentine Deliss fu presente alla Biennale del 1992 come
inviata della rivista “Third Text” e durante Dak’Art 1996 organizzò negli eventi paralleli
l’Atelier Tenq e la pubblicazione “Métronome”. Achille Bonito Oliva (direttore della
Biennale di Venezia nel 1993) fu invece il presidente del Comitato Internazionale di
Dakar nel 1998. I curatori Salah Hassan e Olu Oguibe dell’esposizione parallela alla
19
L’esposizione Authentic/Ex-Centric: Africa in and out of Africa presentò le opere di Willem Boshoff,
Maria Magdalena Campos-Pons, Godfried Donkor, Rachid Koraichi, Berni Searle, Zineb Sedia e
Yinka Shonibare; quest’ultimo ricevette una menzione d’onore dalla giuria della Biennale.
20
E’ importante accennare anche alla partecipazione degli artisti africani alla Biennale di La Habana
(Cuba). La Biennale dell’Avana è organizzata dal Centro de Arte Contemporaneo Wilfredo Lam ed
alcuni artisti africani parteciparono fin dalla prima edizione del 1984.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
6
Biennale di Venezia del 2001 Authentic/Ex-Centric: Africa in and out of Africa presentarono
il progetto di mostra ed il Forum for Contemporary Arts durante la Biennale di Dakar
del 2000, in un colloquio con il direttore artistico della Biennale di Venezia Harald
Szeemann; due degli artisti di Authentic/Ex-Centric esposero a Dak’Art: Godfried
Donkor nel 1998 e Berni Searle nel 2000. Salah Hassan fu anche invitato ad intervenire
all’intero dei dibattiti sulle Biennali Internazionali nel 2002, diretto da Koyo Kouoh. Ery
Camara fu il presidente del Comitato Internazionale della Biennale di Dakar del 2002.
Confrontando la Biennale di Dakar con i grandi eventi internazionali è anche
importante notare l’assenza di alcuni celebri artisti africani all’intero delle mostre di
Dak’Art. Il problema è dovuto da una parte al sistema di selezione dei partecipanti
(vincolati dalla presentazione di un dossier di candidatura) e dall’altro al desiderio di
diversi artisti noti in particolare in Occidente di non partecipare ad esposizioni
focalizzate esclusivamente sull’Africa.
Il problema della modalità di selezione degli artisti a Dak’Art è in parte attenuato dalla
presenza delle Esposizioni Individuali (che permettono a curatori internazionali di
scegliere gli artisti invitati con una certa libertà) e degli eventi paralleli. E’ anche vero che
il compito della Biennale di Dakar – essendo una mostra che promuove l’arte
contemporanea africana – è forse più quello di esporre artisti meno noti
internazionalmente che di omaggiare artisti di fama già consolidata. Yinka Shonibare,
Meschac Gaba, Ghada Amer e Kendell Geers restano comunque tra i più celebri assenti
della Biennale di Dakar.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
7
Lo sviluppo dell’arte contemporanea africana
Gli artisti africani che hanno accesso alle grandi mostre e alle gallerie occidentali
sono comunque ancora pochi e quelli che ne hanno la possibilità sono spesso
residenti fuori dal continente; in Africa le strutture che hanno la capacità di
promuovere gli artisti a livello internazionale sono infatti estremamente rare. Va
comunque sottolineato che l’arte contemporanea africana ha una sua storia (fatta di
protagonisti, istituzioni, pubblicazioni ed esposizioni) ed una sua critica d’arte
21
, che
negli ultimi dieci anni è cresciuta e si è sviluppata in modo particolarmente
significativo, sia in Occidente che in Africa. Il continente non è dunque nuovo (da
scoprire e vuoto), non è immobile (legato cioè soltanto alle sue tradizioni ancestrali),
né isolato, né esclusivamente povero
22
.
Tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, l’arte contemporanea africana cominciò a
svilupparsi: alcuni artisti africani esposero in Occidente e scuole, laboratori d’arte e musei
furono aperti in diversi paesi dell’Africa; i centri europei e statunitensi presentarono in
particolare mostre d’arte coloniale e collettive di scuole d’arte africane ed i professori di
questi istituti erano essenzialmente occidentali. In questi anni diverse società africane di
cultura furono fondate, come quella di Parigi nel 1955 e quella americana nel 1957.
Nel 1962 Frank McEwen diresse il primo congresso internazionale di cultura
africana (ICAC) a Salisbury in Rodesia (oggi Harare, capitale dello Zimbabwe),
all’interno del quale furono organizzate tre esposizioni
23
. L’evento che però diede una
forte scossa all’arte e alla cultura africana fu il primo Festival Mondial des Arts Nègres
del 1966, la colossale manifestazione organizzata a Dakar dall’allora presidente del
Senegal Léopold Sédar Senghor
24
: il Festival radunò occidentali ed africani per mostrare
al mondo quanto l’Africa fosse interessante. Oltre a diventare un evento mitico il Festival
fu anche un ottimo promotore delle collezioni di arte africana, facendo aumentare le
quotazioni e le vendite (nonché i furti sul continente). Altri festival provarono poi ad
imitare la gloria del primo, ma nessuno riuscì ad ottenere un simile rimbombo. Ci
provarono in Algeria ed ancora in Nigeria, ma nessun successo. Il continente bisbigliava:
qualche mostra all’estero, qualche acquisto di collezionisti e turisti, qualche nuova scuola
e galleria. Per dare una scossa a questi piccoli semi, bisognò attendere “i maghi della
terra”.
21
Cfr. paragrafo La critica d’arte africana.
22
La mancanza di informazione dà spesso un’immagine distorta del continente africano, che appare
agli occhi di molti come un paesaggio abitato esclusivamente da miseria, guerra e disperazione.
Come dice John Picton in Yesterday’s Cold Mashed Potatos (in Art Criticism and Africa, a cura di Katy
Deepwell, Saffron Books, African Art and Society Series, London, 1997, p. 22) “In un senso o
nell’altro, la gente produce arte in Africa da qualcosa come due milioni di anni”.
23
Anthologie de l’art africain du XX siècle..., pp. 398-399.
24
Cfr. capitolo Il contesto senegalese della Biennale di Dakar.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
8
L’esposizione Magiciens de la Terre fu organizzata nel 1989 da Jean-Hubert Martin,
che radunò opere dai cinque continenti, mescolando artisti di fama internazionale con
artisti scoperti dai suoi collaboratori. In pratica gli assistenti di Martin (tra i quali André
Magnin) – facendosi consigliare da antropologi ed etnografi – se ne andarono a spasso
per gli Stati più remoti della terra a caccia di talenti, ovvero di “maghi”. Trovarono una
pittrice di case del Botswana, un eccentrico costruttore di bare, dei fantasiosi pittori… e
portarono tutti in mostra a Parigi, nel prestigioso centro Pompidou. La mostra fece
esplodere una miriade di critiche, aprì un nuovo mercato e si rivelò un ottimo
annaffiatoio: tutti i piccoli semi dell’arte contemporanea africana che erano già stati
piantati in passato, cominciarono a crescere, per dichiarare che non erano per niente
d’accordo con la visione dell’esposizione. La mostra sollevava infatti alcune questioni
centrali: erano solo questi gli artisti dell’Africa? Per essere un artista africano bisognava
per forza vivere in una capanna ed essere “scoperto” o si poteva vivere in città e magari
collaborare con una galleria di New York? Era necessario che fosse l’Occidente a
promuovere l’arte africana o ci poteva pensare l’Africa? E soprattutto, perché Magiciens de
la Terre sembrava essere la sola e prima mostra d’arte contemporanea non-occidentale,
quando da tempo degli artisti africani già esistevano ed esponevano?
25
Per rispondere a queste domande e per proporre visioni diverse da quella presentata in
Magiciens de la Terre, aumentarono le riviste (tra le quali la francese “Revue Noire”, la
statunitense “NKA” e la spagnola “Atlantica”)
26
e si moltiplicarono le esposizioni in
Occidente ed in Africa. In Africa in particolare furono organizzate delle nuove Biennali,
che si aggiunsero a quella del Cairo: la Biennale di Dakar dal 1992, quella di
Johannesburg in Sudafrica (con solo due edizioni nel 1995 e nel 1997)
27
e quella della
fotografia africana in Mali dal 1994
28
; il Festival del Cinema Africano (FESPACO
29
)
del Burkina Faso dal 1972 e il Salone dell’Artigianato (SIAO
30
) dal 1988, il Mercato
della Spettacolo Africano (MASA
31
) della Costa d’Avorio dal 1993 e, dal 1995, gli
incontri della coreografia a Luanda e poi ad Antananarivo
32
.
Oggi in Africa esistono musei, gallerie d’arte e progetti per artisti; le infrastrutture e le
capacità di promozione internazionale di queste istituzioni sono meno sviluppate che in
Occidente, ma il panorama è comunque sempre più ricco
33
.
25
Cfr. paragrafo successivo.
26
Cfr. paragrafi successivi.
27
Cfr. paragrafo La critica d’arte africana.
28
I Rencontres Internationales de la Photographie Africaine (nel 2003 alla V edizione) sono in particolare
sostenuti dall’AFAA e da Afrique en Création, due organizzazioni del Ministero degli Esteri francese.
29
Il Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougo (FESPACO) nel 2004 sarà alla sua XIX edizione.
30
Salon International de l’Artisanat de Ouagadougo (SIAO).
31
Il Marché des Arts du Spectacle Africain (MASA) è in particolare sostenuto dall’Agenzia della
Francofonia.
32
I Rencontres Chorégraphiques de l’Afrique et de l’Océan Indien – finanziati soprattutto dal Ministero degli
Esteri francese attraverso l’AFAA e Afrique en Création – ebbero luogo per la prima volta a Luanda
(Angola) nel 1995; la loro terza edizione del 1999 fu trasferita ad Antananarivo (Madagascar). La
quinta edizione si è svolta ad Antananarivo nel 2003.
33
Nicole Guez, Art africain contemporain – Guide, Editions Dialogue Entre Cultures, Paris, 1992.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
9
Nel Comitato Internazionale di Selezione e di Giuria di Dak’Art e tra gli invitati a
dibattiti e conferenze sono stati inseriti anche responsabili di centri d’arte e gallerie
africane, come Marième Samb Malong della galleria MAM del Camerun, Abrade
Glover direttore della galleria Artists Alliance del Ghana, l’artista El Anatsui professore
di arte all’università Nsukka in Nigeria, il collezionista senegalese Amadou Yassine
Thiam, la conservatrice del museo d’arte d’Algeri e del Museo del Louvre Malika
Dorbani ed il direttore del National Arts Council delle Seychelles Peter Pierre-Louis
nella giuria del 2000; Ali Louati (direttore della Maison des Arts di Tunisi) ed il
collezionista del Togo Edem Kodjo nel 1998, mentre la conservatrice del Museo di
Marrakesh Sakira Rharib nel 2002. La direttrice dello Spazio Vema di Dakar Bineta
Cisse e la storica dell’arte Simone Guirandou-Ndiaye direttrice della galleria Arts
Pluriels di Abidjan
34
sono state invitate ai dibattiti della Biennale del 1996.
Magiciens de la Terre
Magiciens de la Terre del 1989 resta una delle esposizioni d’arte contemporanea
africana più conosciute, citate ed imitate. E’ importante notare che soltanto tre
artisti di Magiciens de la Terre parteciparono alla Biennale di Dakar (Bodys Isek
Kingelez, Chéri Samba e Cyprien Tokoudagba nel 1998) ed il curatore Jean-Hubert
Martin non fu mai invitato tra i membri della giuria. Molte esposizioni – compresa
Dak’Art – presero infatti le distanze da questa mostra francese, cercando un
approccio diverso; Magiciens de la Terre resta comunque un evento fondamentale per
comprendere l’evoluzione dell’arte contemporanea africana e della sua percezione.
L’idea di Magiciens de la Terre
35
nacque nel 1983 quando Claude Mollard propose a Jean-
Hubert Martin, divenuto poi direttore del centro Pompidou, il progetto di un’esposizione
internazionale legata alla Biennale di Parigi. Francois Barré, presidente della Grande Halle
de la Villette, suggerì poi di legare la realizzazione del progetto al suo centro, essendosi
ormai conclusa la storia della Biennale con la sua terza edizione. Con il sostegno
finanziario della Scaler Foundation, di André Rousselet a nome di Canal + e con Jack
Lang al Ministero della Cultura, l’esposizione divenne l’evento artistico della celebrazione
del Bicentenario della Rivoluzione. La mostra fu focalizzata sugli artisti dei paesi non
occidentali e le ricerche cominciarono nel 1984 con Jean-Huber Martin (divenuto poi
Commissario Generale dell’esposizione) e con il Comitato di Concezione, formato da
Jan Debbaut, Mark Francis (poi Commissario Delegato) e Jean-Louis Maubant. Si
unirono a loro come commissari aggiunti Aline Luque e André Magnin. L’esposizione fu
quindi presentata tra il 18 maggio e il 14 agosto del 1989 a Parigi, promossa dal Museo
Nazionale d’Arte Moderna Centre Georges Pompidou e dalla Grande Halle La Villette.
Gli artisti africani che parteciparono a Magiciens de la Terre furono Sunday Jack Akapan
(1940 circa, Nigeria) con grandi sculture in cemento, Dossou Amidou (1965, Benin)
con delle maschere colorate, Frédéric Bruly Bouabré (1923, Costa d’Avorio) con
34
http://www.galerie-artspluriels.com
35
Magiciens de la Terre (Centre Pompidou e la Grande Halle de la Villette, Parigi, 18/05-
14/08/1989), a cura di Jean-Hubert Martin, Editions du Centre Pompidou, Paris, 1989.
Dak’Art e l’arte contemporanea africana
10
fantasiosi disegni a matitia, Seni Camara (1939 circa, Senegal) con sculture
antropomorfe, Mike Chukwukelu (1945, Nigeria) con sculture fatte di tessuto e
pupazzi, Efiaimbelo (1925 circa, Madagascar) con statue su lunghi bastoni, John Fundi
(1939, Mozambico) con delle sculture, Kane Kwei (1924-1992, Ghana) con
bare/sculture, Bodys Isek Kingelez (1948, Congo Kinshasa) con modelli di città,
Agbagli Kossi (1934-1991, Togo) con sculture di uomini e serpenti, Esther Mahlangu
(1935, Sudafrica) con i disegni geometrici con i quali decora le case, Henry Munyaradzi
(1933, Zimbabwe) con sculture di testi, molto lineari e semplici, Chéri Samba (1956,
Congo Kinshasa) con la sua pittura tanto vicina al fumetto, Twins Seven Seven (1944,
Nigeria) con intricati disegni di personaggi, natura e animali, Chief Mark Unya e
Nathan Emedum (Nigeria) con sculture di fili di lana e Cyprien Tokoudagba (1954,
Benin) con disegni e sculture geometriche di uomini e animali.
Secondo i testi in catalogo, dopo una riflessione sui metodi e sui criteri, la selezione
degli artisti cominciò con visite agli atelier, investigando sui luoghi d’arte e sulle
comunità artistiche, partendo da indagini bibliografiche, contatti con etnografi, mercanti
d’arte, esperti locali e altri artisti. Individuati dei gruppi, i ricercatori incaricati passarono
poi alla scelta dei nomi, isolando i protagonisti più interessanti (come raccontano nel
catalogo Mark Francis
36
e André Magnin
37
). Gli artisti, che avevano comunque tutti un
contatto con l’Occidente e la sua cultura, vennero così individuati cercando opere che
comunicassero valori metafisici, “un senso” (da qui la scelta di “Magiciens” nel titolo,
evitando di usare la parola “arte” che è un concetto estraneo a molte culture). Furono
adottati gli stessi criteri che si usano per artisti occidentali, applicandoli con la flessibilità
richiesta da contesti diversi: i criteri furono l’originalità e l’invenzione rispetto al contesto
culturale; la relazione dell’artista con il suo ambiente, adesione o critica; la
corrispondenza tra le idee dell’artista e la sua opera ed il cammino dell’artista che lo
conduce a radicalizzare le sue idee, traducendole in forme attraverso procedure estreme e
l’attenzione al processo creativo più che alle qualità formali delle opere, per sottolineare
la diversità creativa e le sue molteplici direzioni. Furono generalmente scartati gli artisti
che si ispirano al “primitivismo”, non volendo essere un’esposizione basata sulla
similitudine formale, e non furono incluse opere sulla cui autenticità si avevano dubbi,
opere che per la nostra percezione e le nostre conoscenze risultavano mal comprese o
incomprese: queste opere infatti, secondo Martin
38
, risultavano “invisibili”, perché non
era possibile un approccio (non avendo certi segni un rapporto con qualcosa di
conosciuto o essendo le caratteristiche stilistiche estranee al nostro gusto occidentale).
Non furono nemmeno incluse le opere inscindibili dal loro ambiente e opere che
apparivano con contenuti marginali rispetto ai nostri occhi di occidentali o che erano
marginali nel loro contesto. Furono inseriti anche artisti occidentali per non ghettizzare
gli artisti dei paesi terzi, collocandoli ingiustamente in una categoria etnografica. Le opere
ovviamente furono poi scelte con il gusto e la sensibilità soggettiva dei ricercatori. Jean-
Hubert Martin
39
sostiene infatti che se si fosse cercato di dare oggettività e assolutezza a
queste scelte si sarebbe caduti nell’incomprensione da parte del pubblico. L’esposizione
36
Mark Francis, True Stories, ou Carte du monde poétique, in Magiciens de la Terre, pp. 14-15.
37
André Magnin, 6° 48’ Sud 38° 39’ Est, in Magiciens de la Terre, pp. 16-17.
38
Jean-Hubert Martin, Préface…, p. 9.
39
Ivi, pp. 8-11.