II
il caso di dire) di sensazioni, sogni, amori e avventure di
vario genere.
Dalle varie letture sono emersi top i ed un corredo
linguistico e metaforico cos simile, tra le varie opere,
da far sospettare l attinenza ad una linea programmatica.
Ma nessun poeta o prosatore ha mai fissato le regole di
questo connubio tra bicicletta (o ciclismo) e letteratura
cosicchŁ, le frequenti analogie tematiche legate alla due
ruote, risultano essere del tutto occasionali.
Il mezzo meccanico Ł stato cantato come l oggetto che
riporta la giovinezza nell animo e nel corpo di chi lo usa;
il pedalare, l esercizio tramite il quale si obl a la dura
realt .
Grazie alla bicicletta Ł possibile stabilire un salutare
contatto con la natura (le campagne percorse sulla due
ruote sono quasi sempre identificate con un Arcadia
incontaminata), la sensazione di leggerezza che si ha
scorazzando veloci lontano dal traffico cittadino Ł tale
che il ciclista si sente un Icaro che vola nel cielo o un
Orlando sul suo ippogrifo.
Anche la scorrevolezza, i colori e la lucentezza della
bicicletta sono stati fonte d ispirazione poetica, come
pure la simbiosi uomo-macchina espressa tanto nella
personificazione del mezzo quanto nella meccanizzazione del
pedalatore.
III
Ricorrente Ł l antitesi con gli altri mezzi di locomozione:
a cominciare dal cavallo, di cui la bicicletta Ł
considerata la naturale erede, l anticavallo per
eccellenza, passando dall automobile per giungere fino a
treni, piroscafi ed aereoplani.
Da tutti questi motivi, sommati a numerosi altri trattati
nello svolgimento dei vari capitoli, si evince innanzitutto
come sia lecito parlare dell esistenza di una letteratura
della bicicletta e di come questa materia possa essere un
dignitoso argomento di studio, tale da meritare un buon
grado di attenzione e rispetto.
La bici Ł poesia [...] I paracarri attenti
cronometrizzano la corsa. Il mio corpo raccolto e compatto
si geometrizza secondo i piani e le forze della bicicletta;
ne vive la precisione meccanica di gambe-bielle salire
scendere instancabili cocciute. (Essere una macchina
precisa infallibile annusatrice predatrice di velocit ,
godere cantare tutto il poema nascosto nelle molecole
d acciaio), in uno scenario dove Tutte le Ombre della Notte
raccolte chinate attorno a me si protendono dietro le mie
spalle guardando curiose e meravigliate un ciclista che
rigonfia di Poesia un nuovo pneumatico-ideale .
1
La bibliografia stessa ha suggerito l identificazione e
quindi l approfondimento di alcune tematiche: ai dovuti
cenni storici, necessari per un generale inquadramento, ha
1
Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista,Milano, Mondadori, 1968, Tomo 8, p. 245.
IV
fatto seguito una rassegna delle opere piø significative
dedicate alla bicicletta seguendo una linea tracciata dai
vari top i, dal linguaggio metaforico e dagli schemi con
cui tali opere sono state redatte.
Il terzo capitolo Ł dedicato al genere del romanzo
autobiografico cronaca di un viaggio in bicicletta, di cui
Oriani e Panzini sono stati, oltrechŁ i capostipiti, i
maggiori esponenti.
Il quarto contiene un antologia di testi nei quali la
bicicletta ha il ruolo di protagonista o fa da sfondo a
vicende di natura sentimentale, mentre uno studio sul
contributo della bicicletta alla causa dell emancipazione
femminile Ł oggetto del quinto capitolo.
Il lavoro si conclude con il doveroso capitolo dedicato al
mondo delle competizioni e a quei poeti, scrittori e
giornalisti che hanno contribuito a rendere mitiche le
imprese di atleti e della stessa bicicletta.
1
CAPITOLO PRIMO
LA BICICLETTA:
INVENZIONE, SVILUPPO, DIFFUSIONE E RAGIONI SOCIALI
La storia della bicicletta ha inizio verso la fine del XVIII
secolo. Solo a partire da questo periodo si Ł avviato un
processo lineare ed irreversibile che, innovazione dopo
innovazione, ci ha condotto ai modernissimi veicoli di oggi.
Nonostante ci non mancano testimonianze e fonti (piø o meno
mitiche) che rimandano a tempi ben piø remoti, nelle quali
possiamo rintracciare descrizioni (certo non di biciclette
nella loro forma moderna) di antichi progenitori (o componenti
di progenitori) del cavallo d acciaio.
Dai geroglifici incisi sull’obelisco eretto in onore di
Ramsete II a Luxor in Egitto, dove appare un uomo allungato su
un bastone collegato a due cerchi; ai graffiti pompeiani,
etruschi e fenici (pare che questi ultimi si divertissero, in
occasione di condanne capitali, a legare una ruota, a guisa di
forcella, alle mani del condannato, quindi dopo averlo
afferrato per le gambe, a modo di cariola, condurlo a tutta
velocit fin sull’orlo di un precipizio per poi lasciarlo
andare. Lo spettacolo richiamava una folla cos entusiasta che
vennero addirittura organizzate regolari competizioni, sempre
con i malcapitati adattati a cariola, fatto che ci porta a
considerarle come le prime gare corse dall uomo e dalla
ruota); fino alla testimonianza di Marco Polo, che ci ha
2
descritto un veicolo in uso nell antica Cina, chiamato "Felice
Dragone", dotato di ruote e tenuto insieme da un intreccio di
corde e canne di bambø.
Nel basso medioevo, l’intuizione teorica di un congegno in
grado di trasportare l’uomo senza l’ausilio di un animale,
viene messa su carta dal filosofo Ruggero Bacone che, nella
epistola De secretis operibus artis et naturae et de nullitate
magiae del 1250, afferma "Un giorno si potr costruir
macchine che si avvieranno e si manterranno in movimento senza
l’ausilio della forza impulsiva e attrattiva di un cavallo o
di altro animale"
1
.Il primo approccio, serio e concreto,
dell’epoca moderna nei confronti di un mezzo di locomozione
totalmente rivoluzionario fu, quello di Leonardo Da Vinci.
A dire il vero, esiste tutt’oggi una diatriba irrisolta tra
gli storici che attribuiscono, con certezza, la paternit del
disegno del Codice Atlantico (venuto alla luce solo nel 1966
durante un restauro) al maestro di Vinci, ed altri che invece
assegnano il disegno ad un allievo frequentante la bottega di
Leonardo, tale Giangiacomo Caprotti detto Sola .
Comunque siano andate le cose, l interesse di Leonardo era
quello di inventare una macchina volante, cos non profuse mai
il suo ingegno per realizzare un congegno che, per quell epoca
(priva di infrastrutture stradali) poteva essere sostituito
dal cavallo o dalle portantine.
1
Riccardo Mariani, Il mondo su due ruote. La storia della bicicletta, Roma, Nuova spada, 1986, p.16.
3
Sorprendente Ł tuttavia il fatto che la bicicletta del Codice
presenta una serie di accorgimenti tecnici che diverranno una
conquista solo dopo parecchi anni dalla comparsa dei primi
esemplari di fine ’700, grazie a prove, sperimentazioni e
all’applicazione della tecnologia industriale: come il
manubrio sterzante, i pedali, la trasmissione alla ruota
posteriore mediante catena.
L’invenzione della bicicletta moderna viene pertanto
attribuita al francese conte Mede De Sivrac, personaggio
famoso per le sue eccentricit , che nel pomeriggio del 10
agosto 1791, sfrecci lungo i viali di Port-Royal a cavallo di
un veicolo mai visto prima, costituito da un’asse di legno che
collegava due ruote poste alle estremit dello stesso.
La propulsione al mezzo era data dallo scalciamento dei piedi
sul terreno con equilibrio alquanto precario, dato che la
macchina del De Sivrac aveva, al posto di quello che
successivamente verr chiamato manubrio, una criniera leonina
alla quale il conducente doveva aggrapparsi. Questa a sua
volta era collocata sopra la ruota anteriore, fissa, per cui
non era possibile curvare e ogni volta che si voleva cambiare
direzione si doveva scendere ed indirizzare il veicolo verso
la meta desiderata. Il marchingegno venne battezzato
celerifero, sostantivo derivante dall’unione di due parole
latine "celere" e "fero", ossia "trasporto veloce" e poco
tempo dopo, con lo stesso significato, velocifero.
4
Notevole fu il successo tra il pubblico, nobili, borghesi e
tutti coloro che potevano affrontare una spesa per quel tempo
cos elevata, tuttavia nessuno, per un numero abbastanza
rilevante di anni, tra gli aristocratici che utilizzavano il
celerifero, pens di arricchirlo con qualche miglioria che
potesse renderlo piø maneggevole e sicuro.
Il velocifero veniva visto piø come moda, come giocattolo ad
esclusivo uso e consumo di una certa Łlite; lontana era l’idea
che un giorno sarebbe stato un prezioso mezzo di locomozione
che avrebbe abbreviato le distanze di spazio e di tempo e reso
migliore la vita dell’uomo.
Spettacolari esibizioni venivano inscenate nel giardino di
Palais-Royal; al teatro di Vaudeville venne messa in scena
anche una commedia dal titolo "Les vŁlociphŁres".
Ci volle l’arrivo a Parigi di un tedesco: il conte Friedrich
Drais Von Sauerbroun che, il 5 aprile 1818, mostr al popolo
francese la sua draisienne (cos battezzata dai francesi, da
noi draisina) dotata, rispetto al celerifero di De Sivrac, di
un manubrio sterzante e di una comoda sella di pelle
imbottita. Molte parti, inoltre, prima costruite in legno,
erano state sostituite dal ferro. La draisina era piø
scorrevole, maneggevole e sicura, rimaneva comunque invariato
il sistema di propulsione: si doveva ancora scalciare sul
terreno.
Forse, per questioni legate al noto sciovinismo francese, le
novit introdotte da Von Sauerbroun non vennero accolte a
5
Parigi con troppo entusiasmo, per cui il tedesco dovette
accontentarsi del successo ottenuto oltremanica, dove la
draisina, ribattezzata Hobbyhorse (cavallo da diporto),
ricevette i meritati consensi.
Fabbricanti e utenti intanto si adoperavano per trovare un
sistema di impulso alternativo a quel folle sgambettare a
terra. Nel 1840 lo scozzese Kirkpatrick Mac Millan, con un
sistema di spranghe e bielle di ferro, azionate dai piedi che
agivano sul mozzo della ruota posteriore, riesce a mettere in
movimento la sua hobbyhorse. Oltre all’invenzione dei pedali,
Mac Millan pass alla storia della bicicletta anche come il
primo uomo ad aver subito una contravvenzione, che gli fu
inflitta proprio il giorno in cui si apprestava a dimostrare
la funzionalit del suo veicolo, quando, per sfuggire alla
folla di curiosi che lo inseguiva, inavvertitamente invest un
ragazzino.
La risposta francese all’innovazione anglosassone giunse una
ventina d’anni dopo, grazie all’inventiva di due fabbri
parigini, per niente esperti di velociferi: un cliente port a
riparare il suo celerifero presso la bottega di Pierre
Michaux; il figlio, allora diciannovenne, Ernest, incuriosito
da quello strano marchingegno volle farci un giro.
Il mezzo, fondamentalmente lo entusiasmava, tuttavia trovava
poco confortevole il fatto di dover tenere le gambe
rattrappite, senza nessun appoggio, nel momento in cui
acquistava velocit . L’idea fu di applicare un sistema di
6
pedivelle e pedali alla ruota anteriore, elemento che sanc la
nascita della michaudine.
I Michaux cominciarono a costruire alcuni di questi prototipi
e a sperimentarli per le vie di Parigi; il successo fu
immediato e le richieste si moltiplicavano tanto che Pierre e
figli convertirono la loro attivit esclusivamente nella
costruzione di biciclette aprendo una nuova officina e
assumendo del personale, cos da riuscire a passare dalle due
macchine prodotte nel 1861, alle quattrocento del 1865.
La Parigi aristocratica era letteralmente impazzita per questo
veicolo: vennero istituite scuole, furono organizzati i primi
raduni e le prime competizioni.
La moda del velocipede (cos ribattezzato per l ennesima
volta) non risparmi nemmeno l’imperatore Luigi Napoleone il
quale era solito servirsene nei momenti di svago lungo i viali
del parco di CompiŁgne.
Un poeta di corte affermava come il velocipedismo fosse
l’attivit piø idonea a formare uomini di governo:
l’equilibrio necessario al soggetto per procedere sulla
propria macchina, non differisce da quello del buon politico
che deve barcamenarsi tra destra e sinistra a tutto vantaggio
della misura e della moderazione:
Inforcato il biciclo
saper andar
or verso destra
or verso sinistra
mirando al centro
e sempre star in moto
per reggersi in equilibrio
questa la prassi
7
d un popol libero
e del miglior dei governi.
2
Con il prosieguo dell’attivit produttiva, i Michaux
apportarono delle modifiche ai modelli originali, prima fra
tutte l’aumento delle dimensioni della ruota anteriore. Il
collegamento dei pedali ad una ruota da ventisei o da ventotto
pollici significava poter realizzare con una pedalata solo
pochi centimetri, mentre, aumentando il diametro della ruota
anteriore (accorgimento che verr praticato a dismisura su
velocipedi, chiamati "Gran B ", che raggiungeranno l’altezza
di qualche metro creando non pochi problemi di stabilit a chi
li guidava), e di conseguenza, riducendo quello della ruota
posteriore, si potevano sviluppare alcuni metri ad ogni giro
di pedale, con vantaggi in materia di velocit e risparmio
energetico, dal momento che l intensit delle pedalate
diventava di gran lunga inferiore.
Gli anni sessanta del XIX secolo furono dunque caratterizzati
dalla diffusione del velocipede gran b che soppiant ogni
altro veicolo.
Esibirsi dall’alto di una di queste macchine era un modo di
mostrare la propria abilit , ma soprattutto assunse
significato di simbolo di elevazione Łlitaria.
Intanto proseguivano gli studi e le sperimentazioni volte a
migliorare la qualit meccanica delle macchine: dal 1860 al
1890 il numero dei brevetti depositati super le 1660 unit .
2
Riccardo Mariani, Il mondo su due ruote…, cit., p.40.
8
Tra le invenzioni presentate fu di grande rilevanza quello
della trasmissione a catena alla ruota posteriore, secondo un
sistema che ricalcava l’allora sconosciuto progetto di
Leonardo.
Non si sa bene a chi debba essere attribuita tale idea, se
all’operaio Vincent piuttosto che al suo datore di lavoro
Sergent, l’importante Ł ricordare che, grazie a questo
meccanismo, venne finalmente risolto il problema
dell’allungamento del passo della macchina, senza dover
ricorrere alle smisurate dimensioni della ruota anteriore,
come era successo fino ad allora per il gran b .
L introduzione del meccanismo della catena di distribuzione (Ł
l anno 1876) sanciva la nascita del bicicletto (ribattezzato
poi bicicletta)
3
, che ebbe un successo immediato.
I ciclisti, stanchi della scarsa maneggevolezza e del precario
equilibrio del velocipede, si convertirono in massa al nuovo,
piø sicuro ed efficace mezzo di locomozione.
Con il tramonto del gran b l’industria si concentr sulla
produzione della bicicletta (la prima fabbrica italiana del
settore sar la Bianchi di Milano che inizier la sua
produzione nel 1885) che, proprio in questo periodo, assume
la caratteristica forma a triangolo, ideata dall’inglese
Thomas Humber, che non verr piø abbandonata nel corso degli
3
Risale agli stessi anni l’utilizzo del termine bicycle (da cui il diminutivo bicyclette), sulla cui origine e provenienza
esistono opinioni diverse. I redattori del Guinness, lo indicano come risalente al 1868. Giffard, noto esponente del
velocipedismo francese, all’anno 1885, mentre Baudry De Saunier attribuisce la paternità del termine all’inserto
pubblicitario apparso su Velosport del 28.01.1886: “ Rudge <fabbrica di bicicli> mette in vendita un nuovo modello di
biciclo da strada <<Il Bicicletta>> <sic> con ruota motrice posteriore” (Notizie tratte da R.Mariani, Il mondo su due
9
anni e che ancora oggi possiamo riscontrare tanto nelle
biciclette di tutti i giorni quanto nei prototipi piø
avveniristici.
Un’altra invenzione che rivoluzion l’uso del mezzo meccanico
fu l introduzione dei pneumatici.
Gi nel 1845 un ingegnere inglese, William Thompson, aveva
brevettato delle gomme pneumatiche applicabili a corpi
rotanti. Non ebbe alcun successo.
Piø fortunato, o forse piø abile, fu un veterinario scozzese
John Boyd Dunlop che, vedendo il figlio arrancare malamente
sul suo triciclo e prendendo spunto da un pallone da calcio,
realizz un tubolare dotato di camera d’aria interna che
applic ai cerchioni delle ruote di tale triciclo.
Probabilmente nemmeno lo stesso Dunlop si rese conto, ci Ł
dimostrato dall’approssimazione con cui venne redatto il
documento del brevetto (registrato nel 1888), dell importanza
di un’ invenzione che avrebbe reso piø scorrevole, veloce,
confortevole e sicuro il movimento non solo di biciclette, ma
anche di automobili, motociclette, aerei, ecc.
Il pneumatico tubolare di Dunlop era costituito da una camera
d’aria di gomma collocata all’interno di un tubo di tela
cucito; nella parte esterna, quella a contatto col terreno,
veniva applicato il battistrada anch’esso di gomma. Il
pneumatico veniva incollato al cerchio con un mastice e
risultava terribilmente scomodo in caso di foratura poichŁ
ruote…, cit. , p.69). Il dizionario UT ET , fa risalire al francese bicycle, composto dal latino bis (due, doppio) e dal greco
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doveva essere smontato, scucito, rattoppato e rimontato. Il
disagio della foratura verr mitigato dopo il 1891 grazie
all’invenzione del copertone (aperto), realizzata da Edoard
Michelin, installato ad incastro su un apposito cerchio con il
quale si elimineranno tutte le operazioni di scollamento,
scucitura, ricucitura.
La bicicletta venne dotata inoltre di cuscinetti a sfera, per
migliorare la scorrevolezza interna dei mozzi; di raggi di
ferro per le ruote, piø elastici e leggeri delle razze di
ferro o di legno fin l usate; della ruota libera, che
permetteva di sospendere le pedalate in ogni momento.
Le invenzioni proseguono quando si comincia, nel corso del
novecento, a pensare ad un modo piø agevole di affrontare le
diverse pendenze della strada. Dapprima le biciclette hanno un
solo pignone alla ruota posteriore quindi per cambiare
rapporto si deve scendere, smontare la ruota e sostituire la
ruota dentata con un’altra. Poi vengono dotate di due pignoni,
uno da un lato e l’altro dal lato opposto, cosicchØ per
cambiare si Ł costretti a girare la ruota da una parte e
dall’altra a seconda delle necessit , sempre con il solito
incomodo dello smontar di sella.
Intorno alla fine degli anni venti si assiste alla battaglia
tra Italia e Francia circa lo sviluppo del cambio di
velocit . Il primo vero cambio automatico (nel 1929 la ditta
Vittori-Margherita aveva ideato un cambio che prevedeva il
kyklos (ruota), il sostantivo italiano ‘biciclo’ da cui è tratto il diminutivo ‘bicicletta’.
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salto della catena da un pignone all’altro grazie ad un
comando a filo, ma il meccanismo era tutt’altro che perfetto e
costringeva troppo spesso il ciclista a soste forzate),
destinato a mutare il ciclismo agonistico fu quello ideato nel
1930 da Tullio Campagnolo.
Il ciclista non era piø costretto a scendere di sella, ogni
cambiata prevedeva lo spostamento di una leva posta sulla
parte posteriore del telaio che doveva essere seguita da una
pedalata all’indietro (manovra quest’ultima non necessaria con
il cambio della ditta francese Simplex), prima di ricominciare
l’azione.
Negli ultimi cinquant’anni la bicicletta Ł stata oggetto di
numerose altre innovazioni che hanno reso il pedalare meno
faticoso e piø veloce; nessuna di queste, tuttavia, ha assunto
quel carattere rivoluzionario che aveva contraddistinto
l’applicazione di accessori quali i pedali, la trasmissione a
catena o i pneumatici.
Oggi possiamo servirci di biciclette avveniristiche con telaio
e componenti realizzati coi materiali piø sofisticati
(alluminio, carbonio, titanio) e dai meccanismi sempre piø
perfetti (cambi precisi come orologi che consentono, in pochi
secondi e senza interrompere l’azione, di sperimentare un gran
numero di rapporti) grazie ai quali si possono ottenere
prestazioni credute, qualche decennio fa, irraggiungibili.
Ma in fondo, chi pedala, si produce sempre nello stesso
esercizio: curvo sul manubrio in un folle mulinar di pedali.