La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
1
Introduzione
Questo lavoro può esser diviso in tre parti, l’una
fondamentale per comprendere l’altra. Si inizia da un anno
chiave per il nostro paese, il 1943, assunto a punto di
partenza perché proprio allora il clima di consenso intorno
al regime e al duce iniziò a incrinarsi.
Nel primo capitolo cerco di ricostruire la situazione
generale, soffermandomi inoltre sulle condizioni di vita
della popolazione; di notevole aiuto a tale scopo il libro di
Petacco, che analizza mese per mese l’andamento del
conflitto, la situazione economica e le crescenti difficoltà
del paese. Questo malcontento via via sempre più forte
culminò nel colpo di stato dei gerarchi del 25 luglio del
1943: una destituzione che partì all’interno del regime
stesso, ma che traeva forza dalle crepe sempre più
evidenti, da un’insoddisfazione che andava dilagando.
L ’arresto di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre
furono date fondamentali per il nostro paese. Un regime
che fino a quel momento sembrava incrollabile si sgretolò
con una semplice votazione: nel giro di poche ore il paese
intero volle rimuovere persino dalla propria memoria
Mussolini e il ventennio precedente.
Utilizzando varie fonti, italiane e straniere, ho voluto
mostrare la capacità tutta italiana di rinnegare il proprio
trascorso, facendo finta che esso non sia mai esistito
(emblematica la corsa alla distruzione dei simboli stessi
del regime, cui non di rado parteciparono gli stessi
fascisti).
Come avrò modo di spiegare, una mancata consapevole
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
2
presa di coscienza sarà deleteria, impedirà uno sviluppo
sociale maturo e porterà a delle estremizzazioni che,
possiamo dire, ancora oggi non sono pienamente risolte.
L ’8 settembre è una data fondamentale e ambigua, con la
duplice valenza che da sempre la accompagna. Un
obiettivo chiave è mostrare come il paese si presentò
totalmente impreparato, in preda al caos più totale, a
questo fondamentale appuntamento. Se questo può essere
comprensibile, a livello di popolazione, data anche la
condizione di estrema difficoltà in cui il popolo si venne a
trovare in quel periodo, non è ammissibile invece tra le più
alte cariche dello stato.
Scorrendo le varie testimonianze credo sia palese il clima
di confusione che caratterizzò quei convulsi giorni,
l’approssimazione e la faciloneria con cui le massime
autorità dello Stato si approcciarono alle trattative con gli
Alleati e la superficialità con cui ci si preparò alle
prevedibilissime reazioni tedesche. Traspaiono tutta
l’incompetenza e l’arroganza di chi era convinto di poter
avere dei margini di trattativa, non accettando l’idea di
dover firmare una resa; la mancanza di coraggio quando ci
si volle tirare indietro, a trattative ormai concluse e
documentate, per paura di ritorsioni tedesche; e infine è
palese l’indifferenza per le sorti del paese, abbandonato al
proprio destino, l’egoismo che portò a occuparsi
esclusivamente della propria salvezza e dei propri
interessi.
In tutto il mio discorso ho cercato di sfatare alcuni
pregiudizi, in primo luogo la mancata partecipazione della
componente militare alla Resistenza. Nel nostro paese le
Forze Armate non hanno mai goduto di particolare stima e
fiducia; nei loro confronti vi è sempre stata una diffidenza
difficile da scardinare e vedremo quest’ostilità persino in
storici affermati, appartenenti a una specifica corrente
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
3
politica.
Questi hanno spesso negato il ruolo di soldati e ufficiali
nella lotta resistenziale, sminuendo dunque contributi
come quelli di Porta S. Paolo, dove militari e civili
combatterono insieme, e Cefalonia, con il sacrificio di
migliaia di militari italiani.
La giusta valorizzazione del contributo militare non è un
elemento secondario, soprattutto in tempi come questi,
così incerti e fragili, in cui si rende necessaria la riscoperta
di ciò che ci unisce e che ci rende nazione.
L ’Italia si è dunque ritrovata divisa in due. Al sud gli
Alleati e i massimi vertici dello Stato a ricostruire una
parvenza di governo; al nord invece i tedeschi, furiosi per
il tradimento italiano e desiderosi di vendetta, con uno
stato fascista fantoccio, la Repubblica di Salò, e un
Mussolini ostaggio di Hitler piuttosto che suo alleato.
La famigerata linea Gustav, posizionata lungo le cime più
aspre dell’Appennino centrale, a dividere in due la nostra
regione.
Un’intera nazione dunque si ritrovò a essere terreno di
scontro fra eserciti stranieri, con la popolazione in
ostaggio, priva di punti di riferimento e completamente
allo sbando.
Vedremo come le reazioni siano state ben diverse di quelle
seguite alla destituzione del duce: dopo l’8 settembre la
gioia fu di brevissima durata, rapidamente si affacciò la
consapevolezza che il peggio doveva ancora arrivare. E
immediata fu la nascita di varie forme di resistenza
spontanee, di cui avremo un esempio drammatico nella
battaglia di Porta S. Paolo, quando cittadini e militari si
unirono in una disperata ed eroica battaglia per impedire la
presa della città da parte tedesca.
Con questo capitolo ho cercato di ricostruire un quadro
completo della situazione nel paese, in un momento che
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
4
giustamente è stato definito cruciale per le sorti del
conflitto e per lo stesso futuro nazionale; in questa fase
furono gettate le basi dei decenni che verranno.
Tanti problemi che caratterizzeranno la storia italiana
nacquero proprio da qui: la fuga delle autorità e, dunque,
un rapporto con la popolazione che spesso sarà carente e
debole, soppiantato da quello con il clero (le figure di
sacerdoti martiri e combattenti al fianco dei partigiani
furono spesso unico punto di riferimento per intere
popolazioni, e favorirono quel solido legame con il mondo
ecclesiastico che durerà decenni, impedendo spesso una
crescita più consapevole, laica e matura); la
contrapposizione feroce tra stessi italiani che troveremo
poi nei decenni successivi, negli anni delle contestazioni e
in quelli “di piombo”.
Con la nascita delle bande partigiane si arriva al punto di
svolta della mia tesi, si inizia a entrare nel cuore del
lavoro.
Il mio desiderio è stato quello di mostrare le origini stesse
della nostra democrazia, troppo spesso dimenticate e
trascurate. La Costituzione italiana infatti nacque dalla
Resistenza: l’Assemblea Costituente fu il risultato del
lavoro dei membri dei CLN (Comitati di Liberazione
Nazionale) e i dogmi di libertà, democrazia e antifascismo
espressi da questi furono poi trasmessi nella nostra carta
costituzionale.
Parlare delle bande partigiane dunque non è solo
funzionale alla mia opera e a introdurre la storia della
Palombaro, ma è una presa di coscienza delle origini
stesse della nostra democrazia, da preservare e curare in
risposta a tendenze revisioniste o negazioniste: sono
sempre presenti, sono sempre possibili (e vi assistiamo
periodicamente) attacchi ai valori chiave della nostra
società. È dunque imprescindibile sapere da dove la nostra
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
5
democrazia trae origine, una maggiore consapevolezza ci
renderà soggetti e cittadini migliori.
Dall’analisi della nascita del movimento resistenziale, sia
a livello locale sia nazionale, mi sono addentrata poi nello
specifico e nell’analisi della Palombaro, una formazione
spesso sconosciuta agli stessi abruzzesi; ho voluto
mostrare l’importanza che essa ebbe nella Resistenza,
scoprendone inoltre il carattere di assoluta precocità (nata
immediatamente dopo l’armistizio).
Nella mia ricerca sono stata aiutata da testi molto validi e
particolareggiati, donati a mio nonno in segno di
riconoscenza per il contributo dato alla loro realizzazione,
in termini di interviste, memorie, testimonianze e
documentazione. Al di là di questi, non è stato facile
trovare informazioni sulla Banda: ciò sta a testimoniare
quanta strada ci sia ancora da fare, prima di avere un
effettivo riconoscimento del suo ruolo e della sua
importanza.
Arrivo così al capitolo per me più importante, da un punto
di vista meramente affettivo: quello sul mio prozio Nicola.
Mio nonno, come poi avrò modo di spiegare, non è mai
stato perfettamente a suo agio nel ricordare questa storia,
mischiando il dolore di fratello al dispiacere di vedere
come ben presto ci si sia dimenticati di questi martiri, e di
uno in particolare.
Uno dei problemi della Resistenza è che essa è diventata
ostaggio di due opposti schieramenti. Nel capitolo finale,
dedicato alla memoria e al ricordo della stessa, ci si può
render conto di quanto sia stata distorta sia da destra sia da
sinistra.
Nel primo caso, i partigiani son stati definiti delinquenti,
ladri, assassini; son stati presi come pretesto avvenimenti
ambigui, regolamenti di conti a fine guerra (sempre
possibile quando vi è una guerra civile, termine indigesto
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
6
per decenni ma indicatore della reale situazione di quegli
anni) e da ciò si è voluto far passare tutti i resistenti come
banditi.
Da parte della sinistra, il Partito Comunista nel corso degli
anni si è appropriato della lotta resistenziale: ciò ha fatto sì
che coloro che non vi appartenevano fossero esclusi dalla
Resistenza e dalla ricostruzione democratica del Paese.
Dunque cattolici, militari, esponenti del Partito D’Azione
(come il mio prozio) e di altri partiti diversi da quello
comunista: costoro sono stati messi da parte, quasi che il
loro sacrificio non sia mai esistito.
Per mio nonno, dunque, al dolore per la perdita di un
fratello si è andato ad aggiungere quello per una
condizione di secondarietà, un mancato riconoscimento
del valore espresso nella lotta resistenziale.
Scrivere questa tesi dunque equivale a un modo tardivo
per restituire una giusta dimensione, oltre divisioni
politiche e rancori sociali, a uomini ed eventi, anche grazie
a una distanza temporale che rende possibile e più agevole
affrontare simili questioni.
La Banda Palombaro nella Resistenza abruzzese
7
I. Primo semestre del 1943. Situazione
in Italia
1.1 Condizioni sociopolitiche ed
economiche nel 1943
L'8 settembre 1943, alle ore 19:45, risuonò dai microfoni
dell’EIAR un comunicato che avrebbe cambiato la vita
della nostra nazione per sempre:
Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari
lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di
risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un
armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze
alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-
americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra
provenienza.
Con questo messaggio, prima registrato da Badoglio e poi
mandato in onda, si chiudeva la prima fase della guerra
per il nostro paese ma se ne apriva un'altra, ben più
drammatica, con durature conseguenze per la stabilità e la
convivenza della popolazione.
Per comprendere il percorso che condusse all’armistizio e
per capire perché esso poi si rivelò così drammaticamente
importante per l’Italia è necessario tornare indietro,
ripercorrere i primi anni del conflitto a fianco dei tedeschi.