5
I. Islàm e diritto
1.1 Introduzione
Nelle moderne società multiculturali e come conseguenza delle recenti
dinamiche internazionali, l’Occidente si trova in un contatto sempre più
frequente e prossimo con la comunità musulmana. Questo non può che
alimentare, in un modo o nell’altro, una curiosità verso una realtà religiosa
e culturale distante, ma soprattutto un’ attenzione particolare ad un sistema
sociale ed organizzativo differente. Questa considerazione talvolta muta
non solo in valutazioni approssimative, ma anche in paura, odio,
discriminazione.
L’elemento che certamente attira l’attenzione, ma che spesso viene
considerato il motivo dello scontro di civiltà è, allo stesso tempo, il
principio fondamentale e strutturale dell’Islàm. Infatti, ciò che lo
caratterizza e lo diversifica da altri sistemi è innanzitutto il ruolo centrale e
totalizzante che la religione ha non solo nell’ambito spirituale di ciascun
individuo, ma anche nel settore civile, politico, giuridico ed economico
dell’intera comunità.
A tal proposito, per potersi accostare al tema dell’economia islamica, è
opportuno avere un quadro generale di quelli che sono i fondamenti della
comunità musulmana e del suo diritto. Avendone, infatti, una conoscenza,
se pur non approfondita
2
, si può arrivare a comprendere il perché al termine
“economia” si attribuisca l’aggettivo “islamica”.
In altre parole, si può capire come la sfera teologica sia strettamente
connessa a quella temporale anche in questo ambito.
2
Cfr. Sami A. Aldeeb Abu-Sahlieh, Il diritto islamico. Fondamenti, fonti, istituzioni,
Carocci editore, Roma, 2008.
6
Secondo l’Islam, Dio è onnipotente e, in quanto tale, il suo raggio di
interesse è totale, riguarda ogni aspetto della vita dell’uomo: a partire da
questo principio, Egli ha un ruolo centrale tanto nella religione, quanto nel
diritto.
Sebbene anche le altre religioni monoteistiche considerino Dio
onnipotente, nelle società che su queste si basano, il suo campo d’azione
ha, in un certo senso, dei limiti: infatti, nella cultura occidentale non solo
sono chiari e distinti gli ambiti di interesse della religione e le circostanze
di azione del diritto, ma si insiste a non confondere o sovrapporre le due
sfere.
Un’interpretazione dell’Islàm, che dall’Occidente viene spesso considerata
la più rappresentativa del mondo islamico, invece, non prevede una netta
separazione tra l’ambito religioso e quello giuridico e risulta quindi
difficile poter delineare con precisione i confini di una sfera con quelli
dell’altra.
È importante, però, sottolineare che si tratta di una tendenza che non
rappresenta l’ortodossia islamica e la comunità musulmana tutta quanta,
che oggi, più che in qualsiasi altro periodo storico, sta attraversando una
delicata fase di transizione democratica, nel tentativo di separare i poteri
politici da quelli religiosi.
1.2 Il concetto di religione presso la comunità musulmana
Una prima spiegazione della congruenza delle due sfere può essere
ricavata da uno studio di tipo linguistico ed etimologico dei termini che
nella lingua araba designano tali concetti e che vengono resi con
“religione” e “diritto”: come si vedrà in seguito in realtà la traduzione
dall’arabo alle lingue europee, e viceversa, è piuttosto approssimativa e non
equivalente.
7
Il termine arabo dīn
in italiano viene reso con “religione”, “culto”,
“devozione”, o ancora “fede religiosa”, “pietà”: in effetti è solo in tempi
relativamente moderni che è possibile accettare di tradurre dīn con
“religione”. In principio l’origine era diversa e nel corso della sua
evoluzione ha subito dei cambiamenti che oggi possono spiegare il
principio cardine dell’Islàm.
3
Innanzitutto, le lettere radicali della parola araba in questione sono la
[dāl] , la [yā’] % , e la [nūn] e fanno riferimento al campo semantico del
diritto e del giudizio: questo già fornisce delle delucidazioni in più in
merito al significato intrinseco del termine.
Nella prima fase della sua storia, il vocabolo dīn significava “giudizio”
oppure “retribuzione”, e faceva riferimento ad un particolare momento
futuro in cui le azioni dell’uomo sarebbero state esaminate da Dio.
4
In un secondo periodo acquista un ulteriore senso che ha a che fare
con l’impegno a sostenere l’unicità di Dio: dunque, non si riferisce soltanto
ad un futuro giorno del giudizio, ma anche al giusto cammino, che il solo
Dio esistente indica, da seguire nella vita terrena. Dīn diventa, in un certo
senso, sinonimo di “retta via”.
5
In una terza fase la connotazione si amplifica ancora ad un livello
successivo: infatti, dīn si riferisce anche all’unità ed unicità della comunità
musulmana, la così chiamata 3 [umma], e al suo dovere nel seguire in tutto
i precetti di Dio.
6
A questo punto dīn significa “religione” sia nel senso di un insieme
di norme comportamentali prescritte e da seguire, sia in riferimento ad una
3
Jane Dammen Mc Auliffe, Encyclopaedia of the Qur’ān, Brill, Leiden, 2001, Vol. 4.
4
Ibidem
5
Ibidem
6
Ibidem
8
specifica comunità che sottomette la totalità delle proprie azioni, decisioni
ed intenzioni al volere di Allah.
Non a caso, Islàm
C
/ è il nome che deriva del verbo /$D [aslama] che
significa “sottomettersi alla volontà di Dio” oltre che “abbracciare l’Islam”.
Dunque, esiste una sola dīn, così come esiste un solo Dio
7
, e questa non
può che essere l’Islam, secondo quanto detto nel Corano:
»
# E / 1 «
ovvero:
“Certo che la religione presso Allah è l’Islàm”.
8
Nella sua accezione moderna, dīn non prescrive soltanto le preghiere e
il digiuno, ad esempio, ma fornisce anche gli strumenti giuridici e civili per
organizzare la comunità musulmana che ad Allah è sottomessa: è come se
integrasse il concetto odierno occidentale di religione con il senso che nel
passato aveva la parola dīn.
1.3 Il concetto di legge presso la comunità musulmana
Quanto esposto fino ad ora aiuta a spiegare e a giustificare il principio
basilare dell’Islàm, ma non basta: il termine 3
[šarī’a] che oggi viene
molto utilizzato in tutto il mondo, anche impropriamente, merita e necessita
7
L’Islam è la religione monoteistica per eccellenza, in quanto ammette l’esistenza di un
Dio che è uno solo ed unico. Il termine arabo E ,che viene tradotto con “Dio”, è la
precisa versione di “il Dio”, dove appunto l’articolo determinativo sottolinea l’unicità
della divinità.
Anche la prima parte della Šahāda, ovvero la professione di fede, nonché uno dei
cinque pilastri dell’Islam, insiste a sottolineare l’unicità di Dio, infatti:
» E «
Cioè:
“Professo che non vi è altro dio se non Dio […]”.
8
Corano, Sura III, Versetto 19.
9
qualche chiarimento al fine di avere un quadro complessivo più
comprensibile della materia di partenza di questa ricerca.
La parola šarī’a significa “legge”, “legge scritta”, “statuto”, “legge
religiosa islamica” o ancora “giurisprudenza islamica”. Il campo semantico
delle sue lettere radicali, F [šin],
[rā’] e [‘ayn], indica “tracciare un
percorso”, ed etimologicamente esprime “il cammino che conduce
all’abbeveratorio, al corso d’acqua che non si prosciuga” ed è talvolta
impiegato ai nostri giorni per indicare la strada.
Tuttavia, nel corso del tempo il termine acquista una connotazione più
ampia che abbraccia anche concetti vicini ai temi giuridici: infatti, come
ogni dizionario dell’arabo classico moderno ci suggerisce, oggi il termine si
riferisce al sistema di leggi e precetti emanati da Dio all’uomo.
Šarī’a è sinonimo di “legge fatta da Dio”, un regolamento che si
occupa sia della dimensione spirituale, sia di quella civile, viene applicata
sia nei rapporti tra gli uomini, sia in quelli tra questi e Dio, ha valore
sull’intera comunità musulmana, al di là dei confini spazio-temporali e, dal
momento che è di origine divina, non può essere modificata.
Conoscere e capire questi tratti è di fondamentale importanza in
quanto può spiegare perché le minoranze musulmane in paesi non
musulmani richiedano, più di altri gruppi, un certo spazio di
considerazione, ancor prima che di azione.
Può essere considerato un sinonimo di šarī’a il termine “fiqh” *+ con
il quale si indica il “diritto islamico” o la “giurisprudenza islamica”.
L’origine etimologica della sua radice indica “sapere”, “conoscere”, e,
attraverso un ampliamento del suo campo semantico, il fiqh è considerato
il più alto grado di conoscenza, il sapere supremo, che non può che fare
riferimento ad Allah: è per questo che il suo significato intrinseco si
accosta a quello di šarī’a.
10
Secondo alcuni studiosi in realtà tra i due concetti esiste una lieve
differenza: la šarī’a si basa sui precetti del Corano e della Sunna, che, come
verrà spiegato in seguito, rappresentano le basilari fonti dell’Islàm, il fiqh
racchiude tutti gli studi e le norme che sono state sviluppate ed elaborate
dai dotti, sulle basi di quanto espresso nei due testi sopra citati.
Un altro termine che potrebbe confondere o suscitare curiosità, in
quanto viene spesso sovrapposto o usato come sinonimo di šarī’a, è
[qānūn], che letteralmente significa “canone”, “principio”, “norma”,
“precetto”, “prescrizione”, “legge”, “diritto”. Questo termine è stato
utilizzato soprattutto per designare gli ordinamenti giuridici di impronta
occidentale e non musulmana che, per esito delle dinamiche storiche, si
sono impiantati presso la comunità musulmana. Si distingue dalla šarī’a,
considerata “la legge di Allah”, per il fatto di essere un diritto positivo,
elaborato dalle autorità statali, quindi dall’uomo.
9
1.4 Allah come legislatore e giudice
Avendo chiarito i termini che in arabo hanno a che fare con la sfera
giuridica e legislativa, avendone dato non solo una traduzione più precisa
possibile, ma anche una spiegazione di tipo etimologico, è importante
altresì delineare chiaramente a chi spetta il diritto di legiferare, di mettere
in pratica le leggi e di assicurarsi che vengano rispettate.
Sulle basi di quanto esposto fino ad ora, si può affermare che presso la
società che fa dell’Islàm non solo la propria religione, ma anche il proprio
regolamento di vita, non esiste un chiaro e netto spazio tra la
giurisprudenza e la religione, proprio perché i principi fondanti di una e
dell’altra, hanno un valore diverso rispetto a quello che hanno nelle società
occidentali.
9
Sami A. Aldeeb Abu-Sahlieh, Op. Cit.
11
L’Islam considera la legge, intesa sia in senso stretto, sia in senso di
precetti religiosi, come diretta emanazione del volere di Dio. Proprio per
tale ragione il diritto musulmano è, per i giuristi musulmani, completo e
perfetto, dal momento che chi lo ha concepito è la verità, il sapiente, il
creatore perfetto, come ci suggeriscono alcuni dei novantanove nomi, o
attributi, di Allah.
10
Secondo tale principio, dunque, gli uomini non sono
tenuti a cambiare o eliminare norme che Dio ha fatto conoscere alle sue
creature per mezzo delle rivelazioni che egli stesso ha dato ai profeti da lui
prescelti.
Secondo l’Islàm, oltre ad essere legislatore della comunità
musulmana, Allah è anche colui che giudica tanto in questa vita, quanto nel
giorno del giudizio, non solo le azioni, ma anche le intenzioni degli
uomini.
11
È il Corano, innanzitutto, che conferma quanto detto, come è evidente negli
esempi che seguono:
[…] » / E G*
<
$!H «
cioè:
“ […] il potere appartiene solo ad Allah. Egli espone la verità ed è il
migliore dei giudici”.
12
10
Nella religione islamica, Dio viene descritto attraverso delle caratteristiche che ne
delineano l’essenza; queste sono le Șifāt, ovvero gli attributi di Allah, o più
comunemente, i nomi di Allah, che naturalmente non possono che essere i migliori
epiteti esistenti, dato che si riferiscono a Dio.
È il Corano a confermare quanto detto; nel versetto 180 della Sura VII si legge:
» ? + # ,J E «
ovvero :
“Ad Allah appartengono i nomi più belli: invocatelo con quelli […]”.
Per un elenco completo di tutti i 99 nomi di Allah cfr. la pagina:
http://www.islamicbulletin.org/italian/ebooks/i_bellisimi_99_nomi_di_Allah.pdf
(27 novembre 2012).
11
Come si legge nel primo ḥadiṯ della Sunna del Profeta:
» # L # ,L
#
B
# « .
Cioè:
“Le azioni sono solo nelle intenzioni, e di ogni uomo è solo ciò che egli ha inteso”.
Quindi la vera essenza delle azioni è solo nelle intenzioni, e saranno proprio queste
intenzioni ad essere giudicate, più delle azioni stesse.
12
Corano, Sura 6, Versetto 57.
12
Oppure:
[…] » / /
P# E >Q5+ / *H «
vale a dire:
“[…] Coloro che non giudicano secondo quello che Allah ha fatto
scendere, questi sono gli iniqui.”
13
Anche la Sunna del Profeta tratta l’argomento, come ad esempio nel
seguente passo:
» E
+ Q
+ +
+ /
,
+ #
,
3
/
# + 4 # . «
che significa:
“Allah, l’Altissimo, ha prescritto dei doveri, non li ignorare. Ha imposto
dei limiti, non li violare. Egli ha proibito certe pratiche, non le eseguire.
Egli ha taciuto su altri argomenti, per misericordia, non per dimenticanza;
non cercare di conoscerli.”
14
Secondo l’Islàm più categorico, quindi, allo Stato spetta l’obbligo e il
dovere di applicare i precetti che Dio ha imposto e assicurarsi che tutti gli
appartenenti alla comunità li rispettino, ma non ha il potere di abrogare o
modificare una legge e giudica solo in nome dei precetti che Allah ha fatto
scendere sulla sua comunità.
Sulle basi di questi principi basilari, che in maniera generale sono qui
stati esposti, si potrebbe avere l’impressione di una totale assenza del
concetto di sovranità popolare, che è sinonimo di democrazia.
In realtà per i modernisti l’Islàm è compatibile con la democrazia in quanto
prevede, nei suo principi, la partecipazione del popolo alle scelte di
carattere giuridico e politico, mentre gli estremisti rimangono
visceralmente legati ai precetti religiosi e al principio secondo il quale le
leggi appartengono solo e soltanto ad Allah, negando di fatto un qualsiasi
potere alla comunità dei fedeli.
13
Corano Sura 5, versetto 47.
14
Imam An-Nawawi, Les Quarante Hadiths, Dar Albouraq, Beyrouth, 2005, pagina 121.
13
Quanto fin’ora esposto non deve, quindi, far pensare alla società in
questione come ad un gruppo arretrato e intrappolato anacronisticamente
nelle proprie tradizioni dato che, soprattutto in seguito ai recenti
avvenimenti storici che hanno riguardato l’altra sponda del Mediterraneo, i
paesi coinvolti nei movimenti rivoluzionari arabi stanno attraversando un
delicato periodo di transizione democratica, in cui il popolo è protagonista
e gioca un ruolo determinante.
Ad esempio, il popolo tunisino è stato non solo protagonista della
rivoluzione che ha distrutto il regime assolutistico, spodestando il dittatore
che per anni era stato a capo della nazione, ma è stato fautore di un
movimento di ribellione e cambiamento che velocemente si è diffuso a
macchia d’olio in altri paesi arabi. Inoltre, nelle ordinarie questioni del
processo di transizione democratica in atto, scende in piazza ogniqualvolta
senta la necessità di dover contraddire un provvedimento o un tentativo di
cambiamento della nazione.
Dunque, parlare di una totale assenza di democrazia nei paesi musulmani
oggi non è corretto.
1.5 Le fonti dell’Islàm e le scuole giuridiche
Le fonti che contengono le leggi giuridiche della comunità
musulmana coincidono con quelle a cui fa riferimento la sfera religiosa.
Il fatto che un unico testo sia preso in considerazione tanto per prescrivere
la preghiera, ad esempio, quanto per legiferare, può destare
incomprensione, oltre che concorrere ad aumentare la distanza ideologica
tra questa parte del mondo e l’Occidente, per cui, invece, i testi base di un
ambito con quelli dell’altro sono differenti. Non bisogna dimenticare, però,
che anche la cultura cristiana o ebraica in passato si sono fondate su
principi non molto lontani da quelli musulmani.