2
Pare opportuno descrivere il particolare clima da cui nasce l’idea di un
nuovo ente (la Cassa per le Opere Straordinarie nel Mezzogiorno), la quale,
a seguito della necessità di garantirsi prestiti internazionali, beneficiò del
lavoro dei nostri uomini maggiormente stimati all’estero, lavoro talvolta
vanificato dalla confusione e dall’approssimismo dell’organizzazione
governativa.
I documenti rinvenuti rappresentano la viva testimonianza
dell’impegno profuso dagli esponenti delle due maggiori istituzioni bancarie
(Banca mondiale e Banca d’Italia), per giungere ad un accordo di prestito
che desse un incremento essenziale e decisivo alle risorse da destinare
all’intervento straordinario nel Sud d’Italia. La vicenda presenta una
complessità ed un numero elevato di soggetti istituzionali coinvolti; è un
intreccio tra politica economica, industriale e sociale non sempre facilmente
coniugabile, anzi il più delle volte solamente mediabile, da cui sono scaturite
decisioni sovente inefficienti dal punto di vista economico, che raramente
hanno ottimizzato le risorse agli obiettivi.
La ricerca delle fonti documentarie, per ampliare la prospettiva in
merito ai rapporti intercorsi tra Banca mondiale e Governo italiano prima, e
tra la stessa e la Cassa per il Mezzogiorno poi, non sempre è stata agevole
ed ha presentato diversi inconvenienti, innanzitutto, in merito al reperimento
di documentazione utile presso la stessa Birs, alla quale ho inoltrato una
richiesta di accesso all’archivio storico che non è stata accolta; inoltre, i
documenti presenti nel deposito dell’Archivio Centrale dello Stato non si
presentano omogeneamente, in quanto il materiale relativo ai rapporti tra
Cassa per il Mezzogiorno e Birs non è classificato, non esiste un elenco delle
consistenze e lo si trova all’interno di più cartelle quasi tutte prive di elementi
distintivi. Altra nota dolente è l’Isveimer, il cui archivio è in custodia presso
una società di outsourcing che ne ha curato la liquidazione e che non è
possibile visionare. Dai contatti avuti con la sovrintendente ai Beni culturali di
Napoli, la Dott.ssa De Vitiis, ed il responsabile dell’archivio storico dell’ex
Banco di Napoli, è emerso il loro interesse affinché questo patrimonio possa
essere al più presto recuperato e messo in consultazione, ma ancora nulla è
successo.
3
Ovviamente ci sono state anche le note positive. La consultazione di
fonti presso l’archivio storico della Banca d’Italia è stata fondamentale per
dissipare l’intreccio dei rapporti economici, politici, diplomatici che si crearono
tra i vari attori nel decennio successivo alla guerra e, soprattutto, per
raffigurare i percorsi complessi attraverso i quali si giunse alla stipulazione
dei contratti di prestito che formarono il primo momento istituzionale dei
rapporti tra Italia a Banca mondiale. La visione dei documenti è stata
essenziale per illustrare le prime richieste di prestito avanzate dal nostro
Governo, delineati nel primo capitolo, ed i rapporti degli istituti di credito
speciale con la Cassa per il Mezzogiorno, descritti nel terzo, che, grazie al
Servizio Vigilanza, sono puntualmente conservati e catalogati.
Il lavoro svolto presso l’Archivio Centrale dello Stato, poi, è stato
nodale sempre per la stesura del terzo capitolo, riguardante la fase operativa
ed il rapporto Cassa-Birs. I prestiti concessi, gli interventi realizzati, le
valutazioni finanziarie ed il relativo impatto socio-economico degli stessi,
sono rinvenibili oltre che nelle Relazioni ai Bilanci della Cassa e nelle sedute
del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Esecutivo, nelle “Cartelle
Pescatore”. Lo studio è stato completato dall’approfondimento della tematica
presso la Biblioteca Nazionale, quella della Luiss G.Carli, quella dell’Animi,
della Svimez, dell’Imes e dalla consultazione dei resoconti delle sedute della
Camera dei Deputati nella fase di approvazione della legge istitutiva della
Cassa.
Di diversa natura sono i documenti (corrispondenza, appunti, studi,
promemoria) che ho consultato e che segnano il delicato passaggio della
società italiana dal dopoguerra al “miracolo”, da una politica miope nei
confronti dei problemi dello sviluppo del Sud d’Italia al nuovo ruolo dello
Stato nell’economia, al tentativo di trasformare la crescita del Mezzogiorno in
un modello vincente d’intervento in aree economicamente depresse nel resto
del mondo.
Ho anche ampliato le fonti bibliografiche con la lettura degli articoli dei
giornali dell’epoca e le pubblicazioni sulle riviste specializzate, privilegiando
le fonti coeve piuttosto che le riconsiderazioni a posteriori.
4
L’amarezza nel verificare gli obiettivi mancati viene temperata
dall’osservare con quanto entusiasmo uomini illustri hanno creduto in un
intervento straordinario che in un decennio (secondo la prima previsione di
durata della Cassa per il Mezzogiorno) avrebbe risollevato le condizioni
economiche e sociali delle popolazioni meridionali.
Gli sforzi compiuti in un cinquantennio di intervento straordinario
hanno prodotto l’effetto di creare uno stereotipo, il Mezzogiorno, dietro al
quale si sono nascoste insufficienze degli organi centrali incapaci a
concertare un’azione che andasse al di là dell’assistenzialismo, in poche
parole la mancanza di una politica economica efficace e coordinata.
Nel primo capitolo mi soffermo sull’analisi della situazione economica
italiana, delle tappe principali che portarono agli accordi di Bretton Woods e
alla definizione del ruolo della Birs, prestando attenzione al periodo che
precedette la definizione dei prestiti alla Cassa per il Mezzogiorno e
illustrando i rapporti intercorsi tra le varie istituzioni coinvolte. È questo il
momento in cui avviò l’internazionalizzazione dell’economia e il Paese si
trovò a discutere, per la prima volta, del percorso del suo sviluppo avendo la
possibilità di influenzarlo. In seguito ai primi contatti con la Birs si decide
cosa finanziare ed a chi affidarne la gestione.
Al di là della possibilità di sperimentare un modello di crescita
economica in un’area arretrata, inserita in un contesto nazionale
industrializzato, alla Banca interessava porre rimedio alla constatata carenza
di investimenti privati in Europa. La Cassa per il Mezzogiorno diventò uno dei
tentativi di superare questa difficoltà, concedendo crediti a speciali istituti che
avrebbero distribuito i loro fondi ad imprese private.
Nel secondo capitolo affronto il momento della nascita di questo
nuovo modello di sviluppo, ossia l’ideazione dell’intervento straordinario e la
creazione della Cassa per il Mezzogiorno come strumento operativo,
esaminando il suo funzionamento e la definizione dei suoi compiti in
relazione ai prestiti esteri.
Nel terzo illustro l’evoluzione legislativa dell’organizzazione del credito
industriale, conseguente alla necessità dell’impiego dei prestiti esteri e
analizzo i sette prestiti della Birs.
5
Infine, mi soffermo sull’analisi della gestione di questi fondi da parte
degli istituti di credito speciale, intermediari finali del canale distributivo del
credito. In questo modo ho avuto l’occasione di approfondire l’utilizzo
effettivo di questi mutui, individuando i soggetti imprenditoriali che ne hanno
beneficiato maggiormente.
6
CAPITOLO PRIMO
LE TRATTATIVE CON LA BIRS
1. L’ECONOMIA ITALIANA: RICOSTRUZIONE, SVILUPPO,
MEZZOGIORNO.
Alla fine della seconda Guerra Mondiale l’Italia dovette affrontare una
serie di gravi problemi economici. Il fascismo prima e la guerra poi avevano
segnato profondamente il Paese che, sconvolto dalle distruzioni belliche,
senza sufficienti riserve valutarie, povero di materie prime e con una bilancia
alimentare fortemente negativa
1
, si trovò a fronteggiare anche il problema
dell’inflazione scatenato dalle emissioni monetarie delle autorità alleate
militari ( le cosiddette am-lire)
2
.
Tra il 1942 e il 1945 l’Italia evitò il collasso grazie agli aiuti ricevuti
prima da un’agenzia del governo federale, la Foreign Economic
Administration (FEA), poi da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’United Nations
Relief Rehabilitation Administration (UNRRA)
3
.
Tuttavia gli aiuti concessi non bastarono ad avviare il Paese verso la
ripresa e così, prima della fine della guerra il governo italiano inviò una
missione negli Stati Uniti per sollecitare la concessione di prestiti
4
.
1
L. De Rosa, Lo sviluppo economico dell’Italia, Laterza, Bari, 1997, pp. 4-5.
2
Per l’analisi delle cause che esasperarono, dopo la fine della guerra, le condizioni della
popolazione meridionale si veda, tra gli altri, S. Cafiero, Storia dell’intervento straordinario
nel Mezzogiorno (1950-1993), Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000, p. 15 e D. Fausto,
L’intervento pubblico in Italia ( 1946-1964), in F. Cotula (a cura di), Stabilità e sviluppo negli
anni Cinquanta, vol. 2, Problemi strutturali e politiche economiche, Laterza, Bari, 1998, p.
542. Sull’influenza negativa dell’emissione delle am-lire per il Mezzogiorno, cfr. M. Salvati,
Stato e industria nella ricostruzione. Alle origini del potere democristiano, 1944-1949,
Feltrinelli, Milano, 1982, p. 168; P. Saraceno, La questione meridionale nella ricostruzione
post-bellica, 1943-1950, Giuffrè, Milano, 1980, pp. 22-25.
3
P. Saraceno, Intervista sulla ricostruzione 1943-1953, in L. Villari (a cura di), Id., Laterza,
Roma-Bari, 1991, pp. 119-131. Gli aiuti distribuiti da questa agenzia all’Europa, tra il 1944 ed
il 1947, ammontarono a 16,6 miliardi di dollari, cfr. J. McGlade, Lo zio Sam ingegnere
industriale. Il programma americano per la produttività e la ripresa economica dell’Europa
occidentale (1948-1958), in “Studi Storici”, 1996, n. 1, p. 15, nota 14.
4
La missione, guidata dai due banchieri Quinto Quintieri e Raffaele Mattioli, non riuscì ad
ottenere nessun prestito. Per una ricostruzione, sia pure parziale, del lavoro svolto da questa
missione si veda E. Ortona, Anni d’America. La ricostruzione 1944-1951, Il Mulino, Bologna,
1984, pp. 16 sgg.
7
Le distruzioni di guerra erano notevoli ed avevano interessato
soprattutto il patrimonio abitativo e le reti viarie, meno l’apparato produttivo. I
danni inferti a quest’ultimo
5
, valutati intorno al 12-14%, erano concentrati
soprattutto nelle regioni meridionali, a causa del protrarsi della guerra per
diversi mesi, interessando il 30% della sua dotazione industriale, mentre
nelle regioni settentrionali tale percentuale non superava il 5%; i settori più
colpiti erano quello della siderurgia, quello dell’industria meccanica e quello
della marina mercantile
6
.
Il paese era di fronte a numerosi problemi economici, politici e sociali.
Oltre a quelli di natura congiunturale vi erano da affrontare vecchie questioni:
l’arretratezza dell’Italia meridionale, l’ammodernamento degli impianti
industriali, del settore agricolo e una disoccupazione strutturale
7
, tecnologica
e congiunturale, aggravata dalla crescita demografica e dall’arresto del flusso
migratorio
8
.
Tra il maggio 1946 ed il maggio 1947 l’ondata inflazionistica raggiunse
il suo culmine
9
. La rimozione degli ostacoli politici, con l’estromissione delle
Sinistre dalla maggioranza
10
, consentì l’adozione di una decisa politica
5
Le diverse opinioni esistenti nel dopoguerra circa l’entità dei danni sono riportate in C.
Daneo, La politica economica della ricostruzione, 1945-1949, Einaudi, Torino, 1975, pp. 3-
20; P. Saraceno, Ricostruzione e pianificazione: 1943-1948, a cura e con introduzione di P.
Barucci, Laterza, Bari, 1969, p. 258. Stime successive hanno ridimensionato le distruzioni di
guerra al 10% del capitale industriale, in proposito si veda V. N. Zamagni, Una analisi
macroeconomica degli effetti della guerra, in Id. (a cura di), Come perdere la guerra e
vincere la pace, Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 35 sgg.
6
Sui problemi di natura congiunturale e strutturale ereditati dall’Italia alla fine della guerra si
veda A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta
europea, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pp. 18-22.
7
Le cifre che descrivono lo sforzo di ricostruzione del tessuto produttivo italiano dal 1946 al
1951 in G. M. Rey, L’economia italiana negli anni di Menichella, in F. Cotula (a cura di),
Stabilità e sviluppo cit., vol. 2, pp. 19-20.
8
SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud, 1951-1976, Giuffrè, Milano, 1977,
pp. XXXVII-XXXVIII.
9
La manovra di stabilizzazione del 1947 vista nella sua prospettiva storica si presta a
molteplici interpretazioni delle quali un attento esame si trova in A. Graziani, Lo sviluppo cit.,
pp. 38-43.
10
L’importanza e la crucialità di questo anno, il 1947, nell’evoluzione dei rapporti
internazionali ed il segno profondo che l’esclusione dal governo lasciò nel Partito Comunista
Italiano sono concordemente riconosciuti dagli storici; per un approfondimento si veda, per
esempio, A. Agosti, Il Partito Comunista Italiano e la svolta del 1947, in “Studi Storici”, 1990,
n. 1, pp. 53-88; G. Mammarella, Il Partito comunista italiano: 1945-1975. Dalla Liberazione al
compromesso storico, Vallecchi, Firenze, 1976, pp. 59 sgg.; S. Galante, Il Partito comunista
italiano e l’integrazione europea. Il decennio del rifiuto: 1947-1957, Liviana, Padova, 1988,
pp. 21 sgg.; Id., La fine di un compromesso storico: Pci e Dc nella crisi del 1947, F. Angeli,
Milano, 1979.
8
antinflazionistica e la concessione degli aiuti americani
11
. Il Ministro del
Bilancio, Luigi Einaudi, decise delle severe misure di stabilizzazione alle quali
si accompagnò una austera politica monetaria attuata da Menichella, allora
sostituto di Einaudi nelle funzioni di Governatore della Banca d’Italia
12
. Il
contenimento del disavanzo di bilancio, la liberalizzazione delle importazioni,
la restrizione e il controllo del credito, l’abolizione graduale dei controlli del
corso dei cambi, assieme agli aiuti Interim Aid, che il governo americano
aveva accordato all’Italia in attesa dell’avvio del Piano Marshall,
conseguirono la stabilizzazione dell’economia anche se a costo di una
recessione e dell’aumento della disoccupazione, concentrata soprattutto nel
Mezzogiorno
13
. In questa linea d’azione rientrava l’idea che gli aiuti esteri
dovessero servire più ad accrescere la riserva valutaria ed a consolidare il
cambio che ad accelerare il processo di ricostruzione
14
.
L’indirizzo liberista
15
, dunque, prevalse e stimolò una crescita orientata
verso l’esportazione
16
che caratterizzò l’economia italiana negli anni di rapida
trasformazione industriale, ma rappresentò anche la premessa per alcuni
problemi strutturali dell’economia, come la persistenza del dualismo
11
Le argomentazioni a sostegno delle scelte di risanamento monetario attuate fino alla fine
degli aiuti americani, nel 1952, in P. Saraceno, La questione meridionale cit., 1980, pp. 86-
87; P. Barucci, La politica economica internazionale e le scelte di politica economica
dell’Italia (1945-1947), F. Angeli, Milano, 1976, pp. 65-96, pubblicato anche in “Rassegna
Economica”, 1973, n. 3.
12
Menichella sarà nominato Governatore dopo l’elezione di Einaudi alla Presidenza della
Repubblica, il 7 agosto 1948, cfr. S. Ricossa e E. Tuccimei (a cura di), La Banca d’Italia e il
risanamento post-bellico 1945-1948. Documenti, Laterza, Bari, 1992, p. 392.
13
La concomitanza tra la nascita del nuovo Governo e l’annuncio del Piano Marshall favorì
maggiormente l’accettazione delle severe misure di stabilizzazione, nell’opinione pubblica e
nei partiti della maggioranza, ma non la loro completa condivisione. Sugli effetti recessivi
provocati da queste misure, cfr. C. O. Gelsomino, Moneta e sviluppo nel dopoguerra, in F.
Cotula (a cura di), Stabilità e sviluppo cit., vol. 2, p. 283. Il giudizio negativo sulla politica di
stabilizzazione del 1947 è stato revisionato anche dagli storici di sinistra, in questo senso si
veda C. Esposito, Il Piano Marshall. Sconfitte e successi dell’amministrazione Truman in
Italia, e C. Spagnolo, La polemica sul Country Study, il Fondo-lire e la dimensione
internazionale del Piano Marshall, entrambi pubblicati in “Studi Storici”, gennaio-marzo 1996,
n. 1,vol. 37.
14
U. Sacchetti, Il principio della ricostruzione equilibrata, gli aiuti dall’esterno e il Piano
Marshall, in “Rivista di politica economica”, 1947, fasc. XI-X, pp. 950-960.
15
Il problema della scelta tra libertà economica e pianificazione e dell’individuazione degli
strumenti più idonei e meno costosi dell’intervento governativo è affrontato in G. Stammati,
Fini, modalità e limiti dell’intervento statale, in “Rivista di politica economica”, anno XXXVIII,
aprile 1948, serie III pp. 277-288.
16
S. Zoppi, Il Mezzogiorno delle buone regole, collana Svimez, Il Mulino, Bologna, 2000, pp.
79-80.
9
economico e sociale
17
.
La decisione di politica economica più rilevante, in questo periodo, fu
di abbandonare gradualmente il protezionismo per orientare l’economia
italiana verso l’apertura commerciale all’estero
18
; per un paese povero di
materie prime che poteva sviluppare l’industria solo attraverso la crescita
delle importazioni, che d’altro canto esigevano un parallelo incremento delle
esportazioni e, quindi, una progressiva liberalizzazione degli scambi, questa
era una via obbligata. Il cambiamento si realizzò attraverso due tappe: la
prima di forte riduzione e successivo smantellamento dei limiti quantitativi
agli acquisti di merci all’estero, la seconda di progressiva revisione delle
tariffe
19
.
La politica di liberalizzazione rappresentò contemporaneamente lo
strumento e la conseguenza dell’integrazione tra i paesi europei e tra questi
e gli Stati Uniti. Fu un’evoluzione che procedette assieme all’inserimento
dell’Italia nelle organizzazioni internazionali
20
. Queste tappe videro oltre
all’ammissione dell’Italia al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, alla fine del 1946,
l’adesione al GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) e la sua
entrata nell’OECE
21
nel 1949, all’Unione Europea dei Pagamenti (UEP)
17
Le conseguenze che lo sviluppo delle esportazioni provocò sulla struttura dell’economia
italiana sono puntualizzate in A. Graziani, Lo sviluppo cit., pp. 63-65. Il quadro dell’intervento
attuato dalla Cassa per il Mezzogiorno, dal 1950 al 1975, inserito nel contesto
dell’evoluzione dell’economia italiana e collocato in una adeguata prospettiva storica in G.
Podbielski, Venticinque anni di intervento straordinario nel Mezzogiorno, collana Svimez,
Giuffrè, Roma, 1976, pp. 1-29.
18
G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, in collaborazione con P. Peluffo, Laterza, Roma-
Bari, 1993, pp. 25-123; A. Graziani, Mercato interno e relazioni internazionali, in V.
Castronovo (a cura di), L’Italia contemporanea: 1945-1975, Einaudi, Torino, 1976, pp. 310-
323; A. Pedone, La politica del commercio estero, in G. Fuà (a cura di), Lo sviluppo
economico in Italia, vol. II, F. Angeli, Milano, 1969, p. 257.
19
Sui due approcci, quello che dava priorità alla ricostruzione della capacità produttiva e
quello che considerava prioritario raggiungere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, e
sull’adozione di quest’ultimo si veda G. Basevi- A. Soci, La bilancia dei pagamenti italiana, il
Mulino, Bologna, 1978, pp. 102-103.
20
F. Romero - L. Segreto, Italia, Europa, America. L’integrazione internazionale
dell’economia italiana (1945-1963), in “Studi Storici”, 1996, n. 1, vol. 37, pp. 5-8. Per un
esame dei cambiamenti nelle relazioni economiche del dopoguerra si veda A. de Pietri-
Tonelli, Il sistema delle relazioni economiche internazionali, in “Economia Internazionale”,
maggio 1948, vol. I, n. 2, pp. 310-326.
21
Sull’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, nata a Parigi nel 1947 dalla
riunione dei sedici paesi partecipanti all’ERP, e sulla sua attività si veda D. Fausto,
L’intervento pubblico cit., pp. 611-618; G. Pella, L’attività dell’OECE nella nuova situazione
internazionale”, in “La Comunità Internazionale”, 1951, pp. 254-264.
10
l’anno successivo, alla Comunità Europea Carbone e Acciaio (CECA) nel
1953 e infine, nel 1957, la formazione della CEE (Comunità Economica
Europea) con la stipula del Trattato di Roma.
Nel 1948 le incertezze del dopoguerra furono definitivamente superate
e cedettero il passo alla politica economica del periodo del “centrismo”. In
questo stesso anno, agli aiuti di carattere internazionale, somministrati dalle
Nazioni Unite
22
, si sostituì l’ERP (European Recovery Program)
23
.
A due anni dalla fine del conflitto fu così adottata un’altra misura di
aiuti che prese l’avvio dall’annuncio del generale G.C.Marshall
24
, il quale
prospettò la possibilità di un vasto apporto finanziario ai paesi europei, allo
scopo di accelerare la ricostruzione e la ripresa economica
25
. Il piano
avrebbe anche soddisfatto le necessità dell’economia statunitense,
mettendola al sicuro da eventuali crisi conseguenti alla fine delle spese di
guerra, nonché avrebbe creato un legame con l’Europa occidentale
fondamentale per la lotta al comunismo, obiettivo questo che guidava le
scelte di politica estera americane
26
.
22
J.L.Harper, L’America e la ricostruzione dell’Italia 1945-1948, Il Mulino, Bologna, 1996, pp.
211-229, C. Daneo, La politica economica cit., pp. 199-206.
23
La realizzazione di questo piano ha dato negli anni vita ad un innumerevole quantità di
studi, tra i quali, J. McGlade, Lo zio Sam, cit., pp. 16-20; B. Bottiglieri, La politica economica
dell’Italia centrista (1948-1958), Ed. Comunità, Milano, 1984, pp. 33-46; J.J. McCloy,
Speranza di ripresa per l’Europa, in “Economia Internazionale”, maggio 1948, vol. I, n. 2, pp.
289-302; G. Fodor, Perché nel 1947 l’Europa ebbe bisogno del Piano Marshall?, in “Rivista
di Storia Economica”, 1985, n. 1, pp. 90-123.
24
Discorso pronunciato all’Harvard University il 5 giugno 1947, cfr. A. Graziani, Lo sviluppo
cit., p. 36.
25
In quegli anni alcuni fra i maggiori economisti accademici scrivevano continuamente sui
quotidiani e sui periodici; tra questi G. Carli, C. Bresciani Turroni, F. Di Fenizio e tanti altri.
Sui problemi dell’Italia e la sua partecipazione all’Erp, cfr. G. Carli, Annotazioni in margine
all’Erp, in “Rivista di politica economica”, 1948, n. 1, pp. 72-75.
26
L’urgenza di fornire ai paesi europei quegli aiuti necessari ed immediati, che
l’approvazione dell’ERP avrebbe altrimenti ritardato, venne discussa in una sessione
speciale del Congresso, il 17 Novembre 1947, dove furono esaminate le più urgenti
necessità - in particolare della Francia e dell’Italia – e approvato il principio dell’aiuto
immediato (Interim Aid) anche se dopo lunghe discussioni in merito all’entità degli importi.
Marshall inizialmente propose 597 milioni di dollari di cui 328 per la Francia, 227 per l’Italia,
42 per l’Austria, ma la Commissione per gli esteri della Camera ridusse l’iniziale proposta a
549 milioni di dollari; il Senato, invece, la riportò a 597, ma a sua volta la Camera dei
rappresentanti adottò il progetto del Senato aggiungendovi la Cina. Truman firmò la legge
che accordava aiuti immediati a Francia, Italia, Austria e la Cina, per un totale di 550 milioni
di dollari che prevedeva per l’Italia un importo di 195 milioni; l’accordo venne firmato a Roma
il 3 gennaio 1948 dal Presidente del Consiglio De Gasperi, dal Ministro per gli Esteri Sforza
e dall’ambasciatore americano Dunn. Cfr. V. Apicella, Gli aiuti americani alle democrazie, in
“La Comunità Internazionale”,1947, n. 1, p. 125.
11
La gestione dei doni venne affidata all’ECA
27
, l’agenzia governativa
creata per coordinare il programma, mentre i prestiti vennero gestiti
dall’Export-Import Bank
28
.
Il Piano Marshall partì ufficialmente il 3 aprile del 1948, fu prevista una
durata di quattro anni e venne rimpiazzato, nel 1952, dal Mutual Security
Assistance (MSA), un piano di assistenza in forma più limitata e destinato per
lo più alla difesa
29
.
La politica economica italiana mantenne un carattere restrittivo anche
dopo il raggiungimento dell’obiettivo della stabilizzazione. Questo fatto fu
criticato dal mondo politico nazionale e dall’Eca che, nel suo rapporto
sull’amministrazione dei fondi del Piano Marshall, il Country Study del 1949,
accusava l’Italia di destinarli all’accumulazione di riserve e al contenimento
del deficit di bilancio piuttosto che al rilancio degli investimenti pubblici,
preferendo così la stabilità alla crescita
30
.
27
L’Economic Cooperation Administration, che verrà in seguito trasformato in USAID, United
States Agency of International Development, cfr. L. Paganetto e P.L. Scandizzo, La Banca
Mondiale e l’Italia: dalla ricostruzione allo sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 69.
28
L’Istituzione finanziaria pubblica degli Stati Uniti costituita per la promozione ed il
finanziamento del commercio internazionale.
29
La fine dell’ECA e la creazione dell’MSA resero più evidenti le ragioni della stretta
collaborazione tra i paesi europei e l’America. L’importanza del problema del progresso
economico europeo si legava in questo momento a quello dello sviluppo del programma di
riarmo, accentuatisi dopo lo scoppio della guerra di Corea. Il nuovo clima di relazioni
internazionali venne sintetizzato nel rapporto Draper, dal nome del suo compilatore, nonché
capo dell’Ufficio del Rappresentante Speciale degli Stati Uniti in Europa, preposto al
coordinamento ed al controllo amministrativo delle attività politiche, economiche e militari del
governo statunitense in Europa. In questo rapporto si consigliava ai governi europei di
cercare di attivare un flusso maggiore di capitali privati americani come alternativa ai
programmi di aiuti economici in atto; era un invito rivolto anche al governo statunitense
affinché cambiasse la propria politica estera che sin dal dopoguerra si era ispirata
all’iniziativa Marshall, cioè ad una esigenza di organizzazione e pianificazione a carattere
internazionale, avente come fine ultimo la coordinazione delle varie politiche economiche
nazionali. Cfr. V. Apicella, Il Rapporto Draper, in “La Comunità Internazionale”, 1952, pp.
709-713; G. Stammati, Piano Marshall e riorganizzazione economica internazionale, in “La
Comunità Internazionale”, 1947, n. 2, pp. 517-528.
30
Si trattò dello scontro tra la posizione keynesiana di Washington, rappresentata da
Hoffman ed il suo staff, e quella italiana, di stampo liberista, di Zellerbach. L’anno successivo
P. Hoffman, elogiando il progresso economico europeo definiva, tuttavia, insufficiente il
progresso verso l’integrazione economica; parlando della stabilità finanziaria all’interno dei
paesi partecipanti all’Erp, rilevava gli sforzi coraggiosi in conseguenza dei quali i governi
avevano raggiunto una certa stabilità ponendo fine all’ondata inflazionistica del 1947-1948,
ASBI, Segreteria Particolare, pratt., corda 95, fasc. 1, Lettera riservatissima più alla persona
di Cigliana a Menichella del 6 febbraio 1950 n. 1638 e telegramma del 2 febbraio 1950.
Parte del Country Study è ora riportata in L. Villari, Il capitalismo italiano del Novecento,
Laterza, Roma-Bari, 1975, pp. 322-325. Per gli aspetti politici del dibattito si veda C. Daneo,
La politica economica cit., pp. 95 sgg.; C. Spagnolo, La polemica cit., p. 93.
12
L’Eca di Washington insisteva per una politica che favorisse maggiori
investimenti e l’abbandono della linea restrittiva che generava alti tassi di
disoccupazione
31
. C’era, evidentemente, un forte orientamento keynesiano in
questo rapporto che contrastava sia con le posizioni dei liberisti all’interno
della stessa Eca
32
, sia con le convinzioni dei conservatori classici sostenitori
della linea Einaudi-Menichella che vedevano nella stretta monetaria - con
conseguente caduta degli investimenti - un sacrificio inevitabile per
raggiungere la stabilità necessaria come base della futura crescita
economica
33
. L’Eca premeva per un’utilizzazione del fondo lire – ritenuto il
“salvadanaio” a cui il Tesoro attingeva per contenere il deficit di bilancio e
ricostituire le riserve valutarie
34
- al fine di alleviare il problema della
disoccupazione, che creava disagi e rafforzava il Partito comunista
35
.
Un punto d’incontro tra queste contrastanti visioni fu il programma per
il Mezzogiorno che, con buona pace dei propositi liberisti, avviò l’Italia verso
un modello fondato sul sempre maggiore coinvolgimento dello Stato
nell’economia, con tutte le conseguenze, anche negative, che questo
31
Il motivo della ristrettezza del credito, dell’alto costo del denaro, dell’onere fiscale, del
compito assistenziale addossato dallo Stato alle industrie attraverso il mantenimento di
maestranze eccessive e della lira sopravvalutata erano gli argomenti con cui frequentemente
gli industriali giustificavano, agli esponenti dell’Eca di Washington, l’impossibilità di revisione
del costo di produzione, “…contribuendo così ad esasperare gli animi di chi, a Roma come a
Washington, criticava le scelte del Governo italiano”, ASBI, Segreteria Particolare, pratt.,
corda 95, fasc. 1.
32
Anche nel rapporto successivo l’ECA, pur riconoscendo che la maggior parte dei paesi
europei aveva superato la fase di bisogno di dollari, includeva in quel ristretto gruppo che
ancora necessitava di particolare attenzione l’Italia, assieme a Germania, Austria e Grecia.
Pur non allineando la posizione economico- finanziaria dell’Italia a quella degli altri paesi del
gruppo, evidenziava come le condizioni del trattato di pace ponessero delle limitazioni alle
possibilità di sforzo militare italiano e quindi al contributo finanziario americano, pertanto
rappresentavano un serio ostacolo al riequilibrio della nostra bilancia dei pagamenti, ASBI,
Segreteria Particolare, pratt., corda 95, fasc. 1, Comunicazione riservata di Cigliana a
Menichella del 29 novembre 1950, n. 2276.
33
A.Graziani- S. Vinci, Problemi e metodi di politica economica, Liguori, Napoli, 1992, pp.
106 sgg.
34
L’attenzione del Governo italiano, infatti, era concentrata sul mantenimento del livello delle
riserve d’oro e valute straniere necessarie per poter entrare nel sistema internazionale degli
scambi multilaterali, cfr. F. Assante- M. Colonna- G. Di Taranto- G. Lo Giudice, Storia
dell’economia mondiale”, Monduzzi, Bologna, 1995, pp. 333-334.
35
L’Italia seppe giocare d’anticipo, rispetto agli altri paesi, condividendo la strategia di
sviluppo mondiale dettata dagli Stati Uniti per contrastare l’espansione dell’area di influenza
sovietica, cfr. G. M. Rey, L’economia italiana cit., p. 33. Sui tentativi del Governo
statunitense di influenzare le scelte di politica economica italiana si veda C. Esposito, Il
Piano Marshall, cit., pp. 69-91. Una testimonianza del carattere animato della discussione tra
il Governo italiano e quello americano si trova in E. Ortona, Anni d’America cit., pp. 308-311.
13
avrebbe significato
36
. Dopo il 1950
37
, il ritmo di crescita fu particolarmente
elevato (prossimo al 6%) accompagnato da profonde trasformazioni delle
strutture politiche, economiche e sociali dell’Italia
38
.
Questi furono i cosiddetti “anni miracolosi” nel corso dei quali l’Italia
conseguì tre obiettivi normalmente considerati difficili da raggiungere
contemporaneamente: un alto grado di sviluppo accompagnato da una
politica economica improntata alla salvaguardia della stabilità monetaria e
dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti.
I fattori che concorsero a determinare l’ambiente favorevole alla
crescita italiana furono molti. Sicuramente le migrazioni dal Sud al Nord
svolsero una funzione equilibratrice, ridistribuendo il lavoro ed esercitando
una pressione stabilizzatrice sui salari
39
. L’industria, trascinata all’inizio dalle
esportazioni e poi anche dal mercato interno, divenne negli anni Cinquanta il
motore dello sviluppo economico aiutata da un ritmo di accrescimento della
produttività molto elevato
40
.
Il dato più rilevante di questo processo fu, infatti, l’aumento del
commercio con l’estero che in quasi dieci anni quadruplicò
41
, determinando,
allo stesso tempo, un notevole squilibrio all’interno dei diversi settori
42
.
In estrema sintesi, lo sviluppo italiano negli anni del “miracolo” fu la
risultante di una dinamica assai differenziata tra i vari settori produttivi nella
quale quelli esportatori fortemente dinamici erano contrapposti a quelli che
lavoravano per il mercato interno a bassa produttività
43
.
36
Un’analisi del modello keynesiano si avrà, dopo qualche anno, in F. Di Fenizio, Le leggi
dell’economia. Il sistema economico: la moneta, La Goliardica, Milano, 1959, pp. 45-121.
37
Non vi è unanimità sull’indicazione della data di conclusione della ricostruzione; alcuni,
come A. Graziani, la indicano al 1950, altri, come L. Villari, al 1953.
38
Sull’evoluzione dell’economia meridionale in connessione con le trasformazioni strutturali
del Paese nel periodo qui considerato si veda A. Del Monte – A. Giannola, Il Mezzogiorno
nell’economia italiana, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 109-162.
39
In tal senso si parla di “miracolo sociale” in G. Panati, L’industria italiana nel secondo
dopoguerra, in “ Economia e Storia”, 1981, n. 4, p. 441.
40
A. Graziani, Lo sviluppo cit., pp. 58-61.
41
Un interessante saggio a sostegno della tesi del beneficio prodotto dall’apertura dei
mercati, non solo europei ma “mondializzati”, dei prodotti e dei servizi è in F. Perroux, La
collaborazione economica in Europa, in “Studi economici ed aziendali”, 1950, anno V, n. 1,
pp. 439-454.
42
F. Assante- M. Colonna- G. Di Taranto- G. Lo Giudice, Storia cit., pp. 377.
43
G. Panati, L’industria italiana cit, p. 470.
14
Se l’impulso alle esportazioni mise in moto il circolo virtuoso del
miracolo economico, lo stesso impulso mise in moto un circolo vizioso di
squilibri tra cui la forte emigrazione, interna e all’estero, ed il mancato
sviluppo del Mezzogiorno
44
.
Il problema dell’arretratezza economica del Mezzogiorno si presentò in
tutta la sua gravità fin dai primi anni dell’Unità, ma divenne una componente
rilevante della realtà economica e politica del Paese, solo alla fine
dell’Ottocento
45
. Il dislivello economico si andò accentuando nel corso del
tempo a causa di una politica che favorì il Nord a discapito del Sud
46
,
indirizzando le risorse pubbliche verso le zone più progredite
47
.
Alla questione meridionale non venne lasciato spazio nemmeno nella
fase della ricostruzione
48
; in tutti i primi anni del dopoguerra il dibattito sui
44
A. Graziani, Lo sviluppo cit., pp. 63, 71.
45
La crisi agraria del 1879/80, l’esplosione del fenomeno del brigantaggio e le inchieste
condotte da un folto gruppo di studiosi sulle condizioni della realtà meridionale
contribuiscono alla formazione del pensiero meridionalista e alla nascita della “questione
meridionale”; la grande frattura tra Nord e Sud “…ha avuto luogo, quindi tra il 1850 e il
1900.”, cfr. A. Molinari, Il Mezzogiorno d’Italia, in “Moneta e Credito”, 1948, n. 4, pp. 476-
500, ora ripubblicato in V. N. Zamagni- M. Sanfilippo (a cura di), Nuovo meridionalismo e
intervento straordinario. La Svimez dal 1946 al 1950, Il Mulino, Bologna, 1988, pp. 59-115.
La sterminata letteratura sull’argomento impone, in questa sede, un breve richiamo a quelli
che furono i testi di denuncia del ritardo economico del meridione, a cui seguirono le analisi
successive e l’inizio di un dibattito storiografico ancora aperto; a titolo di esempio si veda: L.
Franchetti- S. Sonnino, La Sicilia nel 1876, condizioni politiche e amministrative, vol. II,
Vallecchi, Firenze, 1925, pp. 212 sgg.; F.S. Nitti, Nord e Sud, Scritti sulla questione
meridionale, vol. II, Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti, Laterza, Bari,
1958; U. Zanotti-Bianco, Meridione e meridionalisti, Ed. Collezione Meridionale, Roma,
1964, pp. 5-19; F. Vöchting, La questione meridionale, Istituto editoriale del Mezzogiorno,
Napoli, 1955. Sulla questione meridionale nel periodo 1880-1920, cfr. G. Fortunato, Il
Mezzogiorno e lo Stato Italiano, con introduzione di M. Rossi Doria, Vallecchi, Firenza, 1973;
P. Villari, Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia, in L. Chiti (a
cura di), Id., Loescher, Torino, 1971.
46
F. S.Nitti, Nord e Sud cit., pp. 32 sgg. Per il ruolo strategico svolto dalle politiche pubbliche
nella prima metà del Novecento nel sostenere e rafforzare il sistema economico si vedano S.
Cassese, Questione amministrativa e questione meridionale, Giuffrè, Milano, 1977; G. Melis,
Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Il Mulino, Bologna, 1996; A. Del Monte – A.
Giannola, Il Mezzogiorno cit., pp. 57-68.
47
Sulla crescita del divario tra le due guerre e, ancor di più, al termine della seconda guerra
mondiale e sulle circostanze particolarmente sfavorevoli alla crescita industriale del Sud si
veda G. Cenzato, Sul problema industriale del Mezzogiorno, in V.N. Zamagni- M. Sanfilippo
(a cura di), Nuovo meridionalismo cit., pp. 117 sgg.
48
Il dibattito storiografico e la relativa bibliografia sulla questione meridionale, dal vecchio al
nuovo meridionalismo, viene esaurientemente riportato da A. M. Rao, Mezzogiorno e
rivoluzione: trent’anni di storiografia, in “Studi Storici”, 1996, n. 4, pp. 981-1041. Un’indagine
sistematica su questo argomento, a partire dall’ultimo conflitto, viene anche svolta in M.
Cifarelli, N. Colajanni, T. Morlino, P. Saraceno e C. Signorile, Rodolfo Morandi e la questione
meridionale, collana Svimez, Giuffrè, Roma, 1976, pp. 39 sgg.
15
problemi del Mezzogiorno solo marginalmente emerse
49
e le linee intraprese
rafforzarono le distorsioni croniche e i differenziali di crescita del Paese
50
.
L’economia meridionale era caratterizzata da un settore agricolo arretrato,
con una struttura fondiaria basata sul latifondo
51
, da un’industria di tipo
prevalentemente artigianale orientata al mercato locale, da un eccesso di
popolazione rispetto alle risorse
52
. La politica industriale nel Mezzogiorno fu
soprattutto di smantellamento delle industrie meccaniche che durante il
conflitto, soprattutto nel Napoletano, avevano conosciuto un certo sviluppo
53
.
Anche la successiva apertura dell’economia italiana alla integrazione
economica internazionale, con la conseguente lotta per la conquista di
mercati esteri, fece concentrare gli sforzi al Nord per consentire un celere
recupero di efficienza e competitività
54
.
49
Per una ampia rassegna del confronto sul tema del Mezzogiorno alla Assemblea
Costituente e sul rapporto fra cultura meridionalista dei costituenti e quella emergente dai
dibattiti del tempo sulla cosiddetta “questione meridionale” si veda P.Barucci, Ricostruzione,
Pianificazione, Mezzogiorno. La politica economica in Italia dal 1943 al 1955, Il Mulino,
Bologna 1978, pp. 289-309; Id., Il Mezzogiorno alla Costituente, collana Svimez, Giuffrè,
Roma, 1975; B. Bottiglieri, La politica economica cit., pp. 76-83.
50
L. Spaventa, Il dualismo nello sviluppo economico, in M. Carabba (a cura di), Mezzogiorno
e programmazione (1954-1971), collana Svimez, Giuffrè, Roma, 1980, pp. 264 sgg. Sul
tema del dualismo e del dibattito economico e politico avviatosi a metà degli anni cinquanta,
cfr. S. Battilossi, Cultura economica e riforme nella sinistra italiana dall’antifascismo al
neocapitalismo, in “Studi Storici”, luglio-settembre 1996, n. 3, pp. 808-811. Per una rassegna
della letteratura sul dualismo, si veda L. Martucci, Il processo di accumulazione nel
Mezzogiorno e i modelli di economia dualistica, in “Rassegna economica”, 1983, n. 5.
51
Tra gli studiosi è diffusa l’opinione che, tra i vari motivi del ritardo cronico meridionale, la
principale causa è stata la presenza di un settore agricolo dedito in prevalenza alla
cerealicoltura, esasperata nel periodo fascista, assieme al regime del latifondo, cfr. M. Rossi
Doria, Scritti sul Mezzogiorno, Einaudi, Torino, 1982, pp. 125-128; V. N. Zamagni, Le radici
agricole del dualismo economico italiano, in “Nuova rivista storica”, 1975, fasc. I-II, pp. 55-
99; M. Rossi Doria, Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno, Laterza, Bari, 1958.
52
Sulle cause demografiche, storiche e ambientali della decadenza del Mezzogiorno, cfr. A.
Molinari, Il Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 59-67.
53
Per l’opera di smantellamento e le lotte sindacali a cui diede luogo si vedano A. Graziani,
L’economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 49 e C. Daneo, La politica
economica cit., p. 285.
54
L’esame delle linee intraprese dalla ricostruzione e la responsabilità delle scelte di politica
economica nell’allargamento del divario Nord-Sud sono indagate in B. Bottiglieri, La politica
economica cit., pp. 110-117. Il privilegio concesso all’industria del Nord nell’opera di
ricostruzione è sottolineato d G. Gronchi, Industria al Nord, problema nazionale, in
“L’economista”,1945, nn. 8-10.