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La storia
La Banca d’Italia nasce come società di diritto speciale nel 10 agosto 1893 con
la legge n.449
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, dalla fusione della Banca nazionale nel Regno d’Italia, Banca
nazionale toscana e dalla Banca toscana di credito.
Lo statuto approvato con reale decreto, sulla proposta del ministro
d’agricoltura, industria e commercio (Lacava), di concerto col ministro del
tesoro (Bernardino Grimaldi), è inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei
decreti del Regno inerenti alle società anonime.
Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, i due rimanenti istituti d’emissione
italiani, conservavano la facoltà di emettere banconote.
Nel 1894 la Banca d’Italia è incaricata del servizio di tesoreria provinciale dello
Stato. Il suo ruolo si rafforza con la progressiva trasformazione da banca
d’emissione, operante in un orizzonte privatistico, in Banca centrale
responsabile delle funzioni di regolazione monetaria e di supervisione del
sistema bancario e finanziario.
I problemi derivanti dai debiti della Prima Guerra Mondiale causano la
ricostruzione del sistema monetario internazionale, reso possibile solo con la
collaborazione delle principali Banche centrali europee e alla loro convinzione di
dover essere indipendenti dal potere politico.
Tale convinzione in Italia si concretizza nei decreti bancari del 1926 con il quale
la Banca d’Italia diviene unico istituto d’emissione
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(RDL 6 maggio 1926 n.812)
e ottiene un ruolo determinante per il governo del mercato monetario e
creditizio.
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Per una visione completa della legge si veda Pasquale Galea, “Banche, moneta e credito in
Europa e in Italia tra XVIII e XX secolo”, Milano, 2003, pag. 283-291.
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Ricordiamo che prima della legge del ’26, la facoltà di emettere i biglietti era concessa anche
ai Banchi di Napoli e di Sicilia.
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La Banca d’Italia, infatti, autonomamente attua i principi e regole d’ordine
generale o specifico emanate dallo Stato; inoltre, con anticipo rispetto agli
ordinamenti d’altri paesi, le sono attribuite formali poteri di vigilanza sulle
banche.
Nel 1928 la struttura della Banca d’Italia, che prima era costituita dal Direttore
Generale e dal Vicedirettore, si modifica:
• viene creata una nuova figura, quella di Governatore rappresentante
della Banca di fronte ai terzi, che rafforza la direzione; al di sotto del
Governatore abbiamo gerarchicamente il Direttore Generale e il
Vicedirettore;
• viene creato un nuovo organismo, il Comitato del consiglio composto dal
Governatore, dall’ufficio di presidenza del consiglio e da sei consiglieri.
Questi organi erano nominati dal Consiglio superiore e la loro nomina era
sottoposta ad approvazione del governo.
Con questo Statuto si ha una radicale redistribuzione delle competenze, in
quanto al Governatore spettano tutte le decisioni di politica monetaria, come,
la determinazione della misura dell’interesse sulle anticipazioni e sugli sconti,
la ripartizione fondi fra le diverse categorie d’operazioni.
Al Consiglio superiore rimane la nomina e revoca degli impiegati intermedi su
proposta del Governatore.
Dopo la crisi del 1929 e il susseguirsi di salvataggi compiuti dalla Banca d’Italia
per sostenere il sistema bancario italiano
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, legato ormai troppo al mondo
industriale e quindi in caduta come quest’ultimo, si rivoluziona ancora una
volta l’assetto istituzionale bancario italiano con la legge bancaria del 1936
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.
Beneduce presidente dell’IRI, con Donato Menichella, Direttore Generale,
Pasquale Saraceno, Alfredo De Gregorio, scrissero il testo tradotto del DL del
12 marzo 1936 n.375, contenente “disposizioni per la difesa del risparmio e la
disciplina della funzione creditizia”.
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La crisi scoppiata nell’autunno del 1929 e che ebbe il suo apice in Europa e nel nostro Paese
dopo la caduta del viennese Credit Anstalt, nel maggio del ’31, mise a dura prova il sistema
creditizio nazionale. Istituti creditizi come la Banca Commerciale, la maggior banca italiana e
una delle più importanti in Europa, rischiano la caduta.
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La cosiddetta legge bancaria del 1936 fu in realtà un ciclo di provvedimenti legislativi che
videro la luce fra il ’36 e il ’38, a iniziare dal RDL 12 marzo 1936 n°375, che fornì l’impianto
originario, cui seguirono successivamente vari adattamenti.
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Con la suddetta disposizione si disciplinava il settore creditizio e i suoi organi di
governo. La nuova struttura gerarchica era composta da un Comitato
interministeriale per il credito e il risparmio, organo politico amministrativo,
che unifica tutte le attribuzioni concernenti materie del risparmio e del credito
e la relativa sorveglianza, e dall’Ispettorato per la tutela del risparmio e
l’esercizio del credito, organo esecutivo con a capo il Governatore della Banca
d’Italia. Tale struttura di comando, pensata per unificare le funzioni di
comando politico e di vigilanza, prima ripartite fra il ministro delle Finanze e il
ministro dell’Agricoltura, finisce per essere il risultato di decisioni
dell’Ispettorato del credito e della Banca d’Italia.
Con questo decreto la Banca d’Italia, inoltre, è trasformata da società anonima
ad ente di diritto pubblico, avente un patrimonio diviso tra enti di previdenza,
assicurazioni e credito.
La legge del 1936
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che trasforma la Banca d’Italia in ente di diritto pubblico
non prevede la nazionalizzazione del capitale della Banca, ma solo la
sostituzione degli azionisti con un consorzio di enti pubblici, che devono
sottoscrivere il nuovo capitale sociale di trecento milioni di lire.
La struttura interna della Banca sostanzialmente non cambia, si sostituisce
l’assemblea degli azionisti con l’Assemblea dei partecipanti; è snellito il numero
dei membri del Consiglio superiore; nulla è modificato per quanto riguarda il
Governatore, il Direttore Generale e il Vicedirettore che costituiscono il
direttorio.
Sono immutati anche le procedure di nomina delle figure precedenti, nominati
e revocati dal Consiglio superiore, salvo approvazione governativa, e non
soggetti a scadenza di mandato.
La precedente normativa introduce un fattore nuovo, importantissimo, il
cosiddetto regime d’incompatibilità, cioè l’impossibilità di una persona di
ricoprire sia una carica di carattere politico, sia di far parte dei consigli della
Banca, che rafforza l’indipendenza della nostra Banca centrale rispetto al
governo.
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P.Galea, “Banche, moneta e credito in Europa e in Italia tra XVIII e XX secolo”, Milano,
2003, pag.406-410.
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Dopo la seconda guerra mondiale, il risparmio, risorsa fondamentale per la
crescita e la solidità dell’economia, ottenne la massima tutela nel dettato
dell’articolo 47 della Costituzione.
Fu definito il sistema delle Autorità creditizie, tuttora in essere, composto dal
Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), dal Ministro del
Tesoro (oggi Ministro dell’Economia e delle Finanze) in qualità di Presidente del
CICR e dalla Banca d’Italia.
Le trasformazioni della realtà economico-finanziaria negli anni settanta e
l’interdipendenza dei sistemi a livello internazionale negli anni ottanta e
novanta hanno influito sul processo evolutivo della Banca centrale,
determinando modifiche nelle sue funzioni e nella sua organizzazione.
Si pensi al “divorzio” con il ministero del Tesoro del 1981, e al nuovo corpo di
leggi che sono state scritte nel 1993.
Le leggi bancarie del 1993, riuniscono nel Testo Unico/93, le modifiche che vi
erano state nella riforma del 1936, una normazione con un corpo non
organico
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(tanto che era stato previsto dall’articolo 104 un Testo Unico per le
disposizioni riguardanti la materia della difesa del risparmio e della disciplina
della funzione creditizia), con le innovazioni apportate dalle norme
comunitarie.
Questa riforma ha agito particolarmente sui metodi di vigilanza che si basano
ora sui metodi prudenziali, più idonei al nuovo mercato che sta aprendo le sue
porte agl’istituti di tutti i membri dell’Unione Europea, invece che sui metodi
discrezionali.
La disciplina monetaria resta fuori per decisione del legislatore italiano da
questa normazione, ma sarà essa, cardine delle fasi d’integrazioni comunitarie
successive, a spingere al massimo l’istituzionalizzazione delle Banche centrali
ed incrementando il loro potere, con i pro e i contro che seguono
sistematicamente un rinnovamento normativo.
L’integrazione comunitaria, che si concretizza tramite l’Unione monetaria,
“muove il suo primo passo” nell’art.99 del trattato istitutivo della Comunità
economica europea, in cui si prevede che gli Stati considerino la politica dei
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A.Predieri, ”Il potere della banca centrale: isola o modello?”, Firenze, Passigli Editori, 1996,
pag.121-125.
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tassi di cambio come materia d’interesse comune. Questa disposizione è
effettuata con “il serpente monetario”
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, che è abolito nel 1979 con la creazione
del Sistema monetario europeo (SME), un meccanismo di cambio, d’intervento
e di credito.
Lo SME funziona, con alti e bassi fino al 1992, anno in cui alcune monete sono
svalutate da manovre speculative internazionali.
Anche se cominciava già da qualche tempo a profilarsi l’idea di realizzare a
tappe un’Unione monetaria, bisogna aspettare il 1992, anno in cui si firma il
trattato sull’Unione europea a Maastricht.
Suddetto trattato s’innesta sulle iniziative promosse in precedenza dall’Atto
unico europeo del 1986, e attribuisce all’Unione Europea l’obiettivo di
“promuovere un progresso economico e sociale e un elevato livello
d’occupazione e pervenire ad uno sviluppo equilibrato e sostenibile, in
particolare mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne e con il
rafforzamento della coesione economica e sociale e l’introduzione di un’unione
economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica” (art.2, ex
art.B).
Per il conseguimento di tali obiettivi
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, l’azione degli Stati membri e della
comunità è retta dal principio della stabilità economica e finanziaria: secondo
l’articolo 105 del trattato, “la politica monetaria e del cambio nell’Unione ha
l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo
quest’obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella comunità,
conformemente al principio di un‘economia di mercato e in libera concorrenza”.
Il Trattato ha previsto che la realizzazione dell’Unione avvenga in tre fasi.
7
Sistema di cambio basato su margini bilaterali di fluttuazione oltre i quali sorgeva l’obbligo di
intervento delle autorità monetarie.
8
Sul tema, v. O.Roselli, “Governo valutario, liberalizzazione ed unione monetaria europea”,
Torino, Giappichelli, 1996, pag.193-197.