insediamenti nella zona, oggi scomparsi, basarono la loro sussistenza
5
. Nella zona in cui
sorge il monastero si contavano tre popoli facenti capo al piviere di Faltona: S. Donato a
Polcanto (dal quale, nel corso del tempo, si è sviluppato il piccolo paese di Polcanto,
lungo la Faentina), San Niccolò alla Pila (posto in posizione centrale) e San Clemente a
Montecaroso.
6
Di questi ultimi due insediamenti oggi non esistono più tracce evidenti,
ma sappiamo che entrambi dovevano sorgere in prossimità dei due antichi castelli degli
Ubaldini: La Pila e Montecaroso.
7
Dunque l’area in esame, all’interno della quale nasce
e si sviluppa, con tutte le sue dinamiche insediative, la badia di Buonsollazzo, è
precisamente al centro di quello che viene considerato il Mugello vero e proprio.
8
Abitato dagli Etruschi, dai romani e dalle genti di origine longobarda, il Mugello ha
conosciuto, a partire dal medioevo, come molte altre aree del contado fiorentino, uno
sviluppo importante sotto i diversi aspetti, economico, sociale e politico. Zona di
confine e area di transito verso la Romagna e l’Emilia, ha sempre rappresentato uno
5
Alcuni dei poggi che caratterizzano queste pendici, conservano resti di antiche muraglie, sia di case
coloniche sia, in alcuni casi, di antichi insediamenti castrensi. Alcuni di questi poggi sono: il Crocellino,
Treggiana, Castellaccio, Montalto, Treggiaia e Montecaroso. F. NICCOLAI, Mugello e Val di Sieve,
guida topografica storico-artistica illustrata, Borgo San Lorenzo 1914, pp. 490-499. Per quanto riguarda
l’opera del Niccolai dobbiamo notare che per la trattazione della badia del Buonsollazzo, utilizzi, oltre
agli studi storici classici di carattere generale, una “Relazione manoscritta dello stato della Badia di
Buonsollazzo nel XVIII, in biblioteca privata Aiazzi-Romei a Sant’Agata”, che evidentemente potè
consultare privatamente, presso qualche erede della famiglia Aiazzi o Romei, dal momento che oggi non
esiste più. Probabilmente si trattava di un documento non molto dissimile da altri conservati nell’Archivio
di Stato di Firenze che sono stati consultati per il presente lavoro, ma abbiamo ugualmente intrapreso una
breve ricerca che ha permesso di stabilire, con l’aiuto della cortese bibliotecaria della Biblioteca
Comunale di Scarperia, che il materiale conservato in questa biblioteca privata, fu disperso
progressivamente dagli anni trenta del Novecento, dopo che la famiglia dovette trasferirsi repentinamente
a Roma per cause familiari.
6
F. NICCOLAI, op. cit., Borgo San Lorenzo 1914, p. 497; E.REPETTI, Dizionario geografico, fisico,
storico della Toscana, Roma 1969, p.340; G.M.BROCCHI, Descrizione della provincia del Mugello,
Bologna 1967, p. 212. Queste ultime due chiese cessarono di esistere rispettivamente nel 1527 e nel 1385,
venendo annesse la prima a San Donato a Polcanto e la seconda alla pieve di Santa Felicita a Faltona
7
G.M.BROCCHI, op. cit., Bologna 1967, pp. 212-213. All’epoca in cui scriveva il Brocchi cioè nel 1747,
i resti dell’antico castello dovevano essere ancora consistenti, parla infatti di “gran muraglie e rovine che
vi sono”. In località Montecaroso, lungo la strada che collega internamente la Tassaia alla Faentina,
passando per l’antica villa de’Cini, sorgono oggi alcuni ruderi di case coloniche. Torneremo più avanti su
questo discorso.
8
Consistente in quell’ampia conca che si estende a nord-est di Firenze, circondata dalla catena
appenninica, a nord, dai monti della Calvana, a ovest, dai complessi del monte Morello e del monte
Giovi, a sud. L’esatta delimitazione geografica del Mugello, in rapporto con l’attigua Val di Sieve, è
storicamente problematica. Convenzionalmente si suddivide il territorio in Mugello, Alto Mugello e Val
di Sieve. L’origine della questione deriva in parte anche dalla contesa di queste zone da parte delle due
Diocesi di Firenze e Fiesole.
2
snodo fondamentale, fattore che ha generato in più occasioni le lotte per il suo controllo.
I secoli centrali del medioevo videro infatti protagonisti di questa contesa del territorio,
la Chiesa, divisa in questo caso nelle due Diocesi di Firenze e Fiesole, i poteri feudali
locali e la Repubblica fiorentina. Nonostante la vallata del Mugello non fosse interessata
dalle grandi strade europee di pellegrinaggio, era importante per il passaggio dei
tracciati transappenninici che collegavano Firenze e Fiesole a Bologna Imola e Faenza
9
.
La presenza della Faentina e della Bolognese, le due strade principali che attraversano il
Mugello in direzione dei passi, è attestata già in epoca medievale, pur con delle
sostanziali varianti in alcuni punti, rispetto agli odierni tracciati
10
.
Attualmente di pertinenza della diocesi di Firenze, nei secoli X e XI l’area in questione,
compreso l’intero bacino della Sieve, conobbe varie fasi di contesa con la diocesi di
Fiesole, nelle quali i confini, specie nell’alto medioevo, devono aver subito una serie di
cambiamenti.
11
Infatti, nonostante che il vescovo fiorentino avesse iniziato, fin dal X
secolo, a detenere progressivamente la giurisdizione civile su numerose terre della
diocesi di Fiesole, sembra che nell’XI secolo molte aree mugellane appartenessero a
9
Sulla viabilità medievale di fondamentale importanza è lo studio di J.PLESNER, Una rivoluzione
stradale del dugento, Copenaghen 1938. Per una visione più locale Cfr. E.MANDELLI-M.ROSSI,
Percorsi religiosi nel Mugello. Pievi e Pivieri, Firenze 1998.
10
Un documento conservato nello statuto del capitano del popolo del 1322-1325, e riguardante gli anni
intorno al 1280, attesta che venivano classificate come “maestre” dieci vie che si irradiavano da Firenze:
l’Aretina per San Donato in Collina e Figline, la Forlivese per Pontassieve e Dicomano, la Faentina per
Borgo San Lorenzo, la Bolognese per San Piero a Sieve e Sant’Agata o Galliano (e poi per l’Osteria
Bruciata, la transappenninica più diretta prima dell’apertura di quella del Giogo, avvenuta nel 1320-30),
la Pratese-Pistoiese di Sopra per Sesto, la Pratese-Pistoiese di Sotto per Peretola e Campi, la Pisana, la
Volterrana per Giogoli, la Senese-Romana per San Casciano e Poggibonsi. Il libro vecchio di strade,
Firenze 1987. La riorganizzazione della viabilità medievale iniziò con la ripresa economica del IX e X
secolo e con lo sviluppo dei commerci e dei pellegrinaggi. Vennero in molti casi riutilizzati tratti
superstiti delle vie consolari romane e tracciati minori di cui si era mantenuto l’uso durante l’Alto
medioevo. E’ probabile quindi che le due strade in questione ricalcassero in parte antichi tracciati,
utilizzati già in epoche precedenti, come dimostrerebbe peraltro la disposizione degli edifici plebani, che
si disponevano generalmente in prossimità delle direttrici principali.
11
Sulla questione esistono vari studi, fra i quali si segnalano C.VIOLANTE, Le strutture organizzative
della cura d’anime nelle campagne dell’Italia centro settentrionale (secc.V-X), Spoleto 1980;
G.RASPINI, La sovranità civile dei vescovi di Fiesole, Firenze 1986; L.PEGNA, Le più antiche chiese
fiorentine, Firenze 1971. Oltre ai numerosi studi condotti da Italo Moretti e Renato Stopani. Oggi la
diocesi fiorentina si estende soprattutto a nord dell’Arno, fino a comprendere quasi interamente l’ampio
bacino della Sieve, giungendo fino alle alte valli del Santerno e del Senio, che costituiscono parte della
cosiddetta “Romagna Toscana”. E’ probabile che in origine questo distretto spettasse al controllo di
Fiesole, che svolgeva il ruolo di controllo e manutenzione delle vie verso i valichi appenninici.
R.STOPANI, La storia del Mugello attraverso le testimonianze architettoniche ed urbanistiche, Borgo
San Lorenzo 1981, pp. 1-10.
3
quest’ultima.
12
Non è possibile stabilire con certezza quando avvenne il definitivo
passaggio del Mugello alla diocesi di Firenze, anche se quasi tutti gli storici che si sono
occupati dell’argomento concordano che molto probabilmente questo avvenne nel 1125
subito dopo la distruzione di fiesole da parte dei fiorentini, guerra che ebbe origine dagli
ostacoli che Fiesole opponeva all’espansione economica e territoriale fiorentina, dal
momento che tutte le vie di comunicazione verso la Padania erano in territorio
fiesolano.
13
Alla vittoria dei fiorentini conseguì la creazione di quella che viene definita
l’isola fiesolana, consistente in una piccola porzione di territorio attorno al capoluogo e
completamente isolata rispetto alla gran parte del territorio diocesano, esteso dalla parte
sinistra dell’alta Val di Sieve fino alla Valdelsa. Agli inizi del XII secolo quindi, il
Mugello apparteneva alla Chiesa di Firenze, quasi tutte le sue popolazioni erano
sottoposte al vescovo fiorentino ad eccezione di qualche feudo e castello fortificato
posto in zone isolate e impervie. Va ricordato a questo proposito come il fenomeno
dell’incastellamento abbia avuto considerevoli manifestazioni in Mugello e come il
territorio ne renda ancora testimonianza attraverso una numerosa serie di resti, più o
meno consistenti, delle antiche dimore.
14
La storia mugellana dunque è strettamente
legata a quella di Firenze, che per tutto il XII secolo continuò a incrementare la sua
ondata espansionistica a danno dei feudatari locali, che in alcuni casi opposero una
ferrea resistenza al potere fiorentino
15
. Lo Stopani ipotizza che la situazione delle
12
M.PINELLI, Romanico in Mugello e in Val di Sieve. Architettura e decorazioni in ambito religioso nel
bacino della Sieve tra XI e XIII secolo, Firenze 1994, pp. 13-14. Molte delle terre, corti e castelli sulle
quali il vescovo di Fiesole aveva giurisdizione civile, erano il frutto di donazioni imperiali.
13
G. RASPINI, op. cit, Firenze 1986, p.201. Dopo la distruzione di Fiesole, il suo vescovo fu costretto a
rifugiarsi prima nel castello di Castiglioni e poi in quello di Figline, rischiando addirittura di vedere
cancellata la sua diocesi in favore di quella fuorentina. Fu di Papa Gregorio IX la decisione che il vescovo
di Fiesole rinunciasse alle ambizioni politiche in cambio della sopravvivenza della sua diocesi, anche se
ridotta in estensione.
14
Molti di questi castelli erano già nel XI secolo di pertinenza del vescovo di Firenze, altri
appartenevano ai conti Guidi o ad altri feudatari minori. Oggi per lo più gli antichi fortilizzi sono ridotti
allo stato di rudere, come ad esempio: San Lorino, Montaccianico, Campiano, il Paretaio, Mangona,
Ascianello,ecc. Oppure i loro resti sono stati inglobati in grandi ville-fattorie come: Acone, Scopeto,
Moriano, Barberino e altri. R.STOPANI, op. cit., Borgo San Lorenzo 1981, p.3. Sul fenomeno
dell’incastellamento si rimanda a R.FRANCOVICH, I castelli del contado fiorentino nei secoli XII e XIII,
Firenze 1973.
15
Il Mugello è stato dimora di molte consorterie dell’importante famiglia degli Ubaldini e, per quanto
riguarda la parte orientale, di alcuni rami dei conti Guidi. Tra i nobili del contado il più acerrimo nemico
di Firenze fu il conte Guido Guerra, appartenente a ques’ultima casata, che impegnò la città in una vera e
4
proprietà ecclesiastiche in questo secolo fosse più o meno quella illustrata per il secolo
successivo dai due importanti documenti: le Rationes Decimarum e il Libro di
Montaperti.
16
Dallo spoglio di questi documenti risulta che nessun feudatario aveva il patronato su
importanti pivieri e tutti dovevano pagare le decime alla mensa vescovile. La città
esercitava il suo potere attraverso il controllo delle proprie circoscrizioni ecclesiastiche
facenti capo ad una pieve che costituiva il centro della vita religiosa e civile.
17
E’ sul
sistema ecclesiastico dei plebati che si basava e si attuava la politica delle diocesi sul
contado durante l’XI e per buona parte del XII secolo. L’intensificazione degli scambi
commerciali di Firenze con il Mugello e la Val di Sieve si accentuarono soprattutto
dalla metà del XII secolo, quando sia nella città sia nel contado iniziò un importante
trasformazione economica e demografica che portò da una parte a una maggior richiesta
di generi alimentari e dall’altra alla nascita di nuovi centri abitati nella campagna. E’ da
questo momento in poi che cominciarono a nascere e a svilupparsi i “mercatali” e le
“terrenuove” generati proprio dalla necessità di un dominio stabile sul territorio.
18
propria guerriglia, conclusasi nel 1155 a favore della città. R.DAVIDSOHN, Storia di Firenze, Firenze
1957, p.283.
16
R.STOPANI, Il contado fiorentino nella seconda metà del dugento, Firenze 1979, p.18. Le 'Rationes'
non sono altro che le quote dei beni in natura che i vari popoli che formavano i Plebati (che facevano
capo ai Pivieri) dovevano pagare al Capitolo Fiorentino, essendovi soggetti. Invece il 'Libro di
Montaperti', del 1260, costituisce una sorta di archivio dell’esercito fiorentino, in esso infatti venivano
registrate le parti di derrate e di uomini armati che ciascuna Lega del Mugello avrebbe dovuto fornire per
sostenere la battaglia contro Siena.
17
Cfr. E.MANDELLI-M.ROSI, op. cit., Firenze 1998; M.PINELLI, op. cit., 1994, pp. 24-27; A.SETTIA,
Pievi e cappelle nella dinamica del popolamento rurale, Spoleto 1980; M. LOPES PEGNA, Firenze dalle
origini al Medioevo, Firenze 1974. E’ difficile presentare in sintesi una definizione del sistema
organizzativo basato sulle pievi a causa della molteplicità delle funzioni svolte e della durata temporale di
tale sistema. Le pievi rurali cominciarono a diffondersi in epoca Tardo romana, tra il IV e V secolo ed
affermarono il loro sviluppo in età longobarda. I pivieri (porzione di territorio dipendente da un’unica
pieve) sembra accertato che ricalcassero la suddivisione dei pagi romani.Le diocesi si vennero così a
trovare quali eredi dell’ordinamento territoriale romano. Nell’alto medioevo, e fino a tutto il XII secolo,
l’organizzazione plebana oltre a svolgere funzioni religiose, assolse anche ad importanti funzioni civili,
come il controllo e la manutenzione delle strade e la registrazione anagrafica della popolazione
(attraverso la schedatura di battesimi, matrimoni e sepolture), che in seguito furono affidate ai nuovi
organi amministrativi sorti con la sottomissione dei contadi ai governi comunali dopo la metà del XIII
secolo,quando i popoli vennero raggruppati in “Leghe”. Dalla pieve dipendevano poi le chiese
suffraganee, gli oratori e le canoniche, dalle quali riscuoteva dei tributi. Indipendenti dal sistema dei
plebati erano le chiese monastiche che, pur trovandosi entro il territorio di giurisdizione delle pievi,
dipendevano direttamente dalla casa-madre dell’ordine cui appartenevano.
18
R.STOPANI, op. cit., Borgo San Lorenzo 1981, p.3. Questi centri rappresentano una significativa
testimonianza del potere egemonico della città sul territorio, essendo creati ex-novo a fini politico-militari
5
In virtù della felice posizione geografica il Mugello, e in particolare il bacino della
Sieve, non essendo oggetto di contesa con città rivali acquistò un rapporto privilegiato
con la città. Con il progressivo sviluppo economico di quest’ultima cominciarono a
modificarsi anche le strutture territoriali esistenti. Nel 1170 circa Firenze si dette una
nuova divisione amministrativa sulla base dei sestrieri: la città venne divisa in sei parti e
anche il contado fu spartito in sei settori, ognuno dei quali era giurisdizionalmente
sottoposto a un sestriere urbano
19
. La storia del Mugello proseguì con la costituzione
delle Leghe da parte del comune fiorentino, a partire dalla seconda metà del Duecento,
nuovi organi amminisrativi autonomi che raggrupparono più plebati con a capo un
Podestà obbligato a risiedere nel capoluogo del territorio
20
.
La zona mugellana che ci interessa più da vicino, cioè quella in cui si trova il monastero
di Buonsollazzo, è un area molto varia dal punto di vista goe-morfologico.
Buonsollazzo si trova, da una parte, vicino alla stretta valle del torrente Carza, quindi in
prossimità di aree pianeggianti e zone basso collinari, dall’altra proprio sulla catena
collinare antiappenninica, caratterizzata dai due rilievi più alti: Monte Morello e Monte
Senario. La diversa morfologia della zona ha influito ovviamente sulla diversa
distribuzione temporale delle strutture insediative. Le più antiche forme di popolamento
si concentrarono infatti sui rilievi collinari, in questo caso sulla destra e sulla sinistra
della Carza, mentre nei secoli del basso medioevo gli insediamenti interessarono il
fondo valle, con la crescita di nuovi abitati e strutture produttive come ad esempio i
mulini.
21
Sempre per quanto riguarda il territorio, ricordiamo infine, per focalizzare
e anche economici. Essi assolvevano da una parte a esigenze difensive nei confronti dei feudatari locali,
dall’altra ad esigenze di tipo “coloniale”, volte cioè al popolamento e al consolidamento dei propri
confini. Il principale luogo di mercato del Mugello era Borgo San Lorenzo (a detta del Repetti questo
mercato era secondo solo a quello di Firenze e il più importante della vallata, al punto che il suo stajo era
utilizzato come unità di misura in tutto il mugello), altri importanti mercatali erano san Piero a Sieve,
Maltraceto di Latera e Galliano e Dicomano. Importanti “terre nuove” furono Scarperia e Firenzuola.
19
R.STOPANI, op. cit., Borgo San Lorenzo 1981, pp. 18-22. Alla fine del XII secolo il monastero di
Buonsollazzo risulta appartenere al sesto di Porta Duomo, nel plebato di Faltona.
20
In Mugello vi furono cinque leghe: quella di Borgo san Lorenzo, di San Piero a Sieve (detta di
Tagliaferro), di Santa Reparata a Pimonte, di Vicchio e di San Barnaba di Scarperia. Nel Vicariato di
Scarperia, Scarperia 1992, p. 9-19.
21
M.BIANCA-P.NELLO-G.C.ROMBY, Vaglia. Le vicende, i luoghi, i personaggi, Firenze 2002. Anche
Buonsollazzo era in possesso di almeno un mulino sul torrente Carza. Le prime notizie certe a riguardo si
hanno nel Trecento sotto la gestione cistercense del complesso. A.S.F., Compagnie Religiose Soppresse
6
meglio la zona, due delle località principali che la caratterizzano e con le quali
Buonsollazzo ha avuto importanti contatti nel corso dei secoli e cioè il vicino convento
di Monte Senario e la pieve di San Pietro a Vaglia.
I.2. LE FONDAZIONI MONASTICHE NEL MUGELLO TRA X E XI
SECOLO.
Il secolo XI, passato alla storia come il secolo della Riforma, fu un’epoca in cui i
fermenti di una nuova spiritualità animarono la Chiesa e dettero origine alla formazione
di nuovi ordini monastici, nati quindi in seno alla tradizione spirituale del monachesimo
benedettino.
22
Questo secolo vide in Toscana la nascita dei due importanti ordini: quello
Camaldolese e quello Vallombrosano.
23
Il successo e la difusione che incontrarono a
da Pietro Leopoldo (da ora in poi C.R.S.P.L.), 541, n. 490, Entrata e Uscita e Ricordi 1326-1346. Vedi
APPENDICE I.
22
Per una panoramica generale dell’argomento si rimanda a G.M.CANTARELLA-V.POLONIO-
R.RUSCONI, Chiesa, Chiese, movimenti religiosi, Bari 2001; G.PENCO, Storia del monachesimo in
Italia. Dalle origini alla fine del medioevo, Roma 1961; C.LEONARDI, La spiritualità monastica dal IV
al XIII secolo, Milano1987. La riforma della chiesa del XI secolo, prese le mosse dall’esigenza di
ricostituire e restaurare quello spirito evangelico originario, che sembrava essersi perso a causa del
progressivo coivolgimento degli enti ecclesiastici nella sfera degli affari temporali. Molti enti ecclesiastici
(primi fra tutti i grandi monasteri) erano infatti diventati dei veri e propri centri politico-territoriali,
l’accumulo di ricchezze aveva portato a una progressiva mondanizzazione del clero e questo fu in molti
casi motivo di degenerazione degli stessi ecclesiastici. Si andavano moltiplicando nella Chiesa le
condanne di simonia e concubinato. Fu così che sullo scorcio del XI secolo si avvertì la necessità di
cambiamento e questa istanza trovò negli ambienti monastici gli impulsi per superare la crisi, a tale scopo
furono determinanti le correnti eremitiche e cenobitiche. Furono personalità come Romualdo (952-1027),
fondatore del monastero di Camaldoli, Pier Damiani (1007-1072), prosegutore dell’attività di Romualdo e
Giovanni Gualberto (995-1073), fondatore dell’ordine dei Vallombrosani, che operarono delle vere e
proprie trasformazioni, propagatori dell’eremitismo e di ogni altra forma di disciplina monastica
riformata, rinnovarono la spiritualità mediante un’autentica testimonianza di severo e coerente impegno
ascetico. Impegno che si propagò in molti monasteri che collaborarono attraverso riforme interne, al
nuovo impegno della Chiesa. Sulla vita dei tre santi si rimanda a G.PICASSO, Il monachesimo nell’alto
medioevo, Milano 1995, pp.48-55.
23
I Camaldolesi, come abbiamo visto, fondati da Romualdo di Ravenna che, dopo una ventennale
esperienza comunitaria ed eremitica in diversi luoghi (Italia, Pirenei, Istria) alla ricerca di solitune e di
lavoro in molti romitori e cenobi, a pochi anni dalla morte, quando la sua fama si era diffusa, si fermò a
Camaldoli (da cui prese il nome l’ordine) sulle montagne del Casentino in diocesi di Arezzo e vi fondò,
intorno al 1023, un piccolo eremo destinato a divenire un importante centro monastico, e uno dei punti di
riferimento per il rinnovamento del monachesimo benedettino in Toscana. V.POLONIO, Il monachesimo
nel medioevo italico, Bari 2001, pp. 144-145. Per quanto riguarda i Vallombrosani, alla base della loro
nascita e diffusione vi è l’operato di Govanni Gualberto. Monaco a San Miniato al Monte di Firenze (di
matrice cluniacense), dopo aver lanciato una pubblica accusa di simonia al vescovo e all’abate, lasciò il
7
partire dalla metà del XI secolo, fece si che molti monasteri di matrice benedettina,
alcuni già esistenti, altri di nuova fondazione, adottassero queste riforme ed è
importante sottolineare come la maggior parte delle costruzioni monastiche di epoca
romanica nel contado fiorentino siano da attribuire all’attività edilizia dei due nuovi
ordini religiosi.
24
Questo accadde anche in Mugello, benchè qui la presenza di edifici
monastici risulti, in una certa misura, inferiore rispetto ad altre zone del contado
fiorentino. Tra l’ XI e il XII nelle abbazie di Buonsollazzo, Santa Maria a Bovino
25
e
San Godenzo,
26
si trovavano i benedettini, all’ordine vallombrosano spettavano le badie
monastero. Dopo un periodo di peregrinazioni (si fermò anche a Camaldoli, dove da poco i discepoli di
Romualdo conducevano vita anacoretica), approdò intorno al 1035 nelle foreste di Vallombrosa, a pochi
chilometri da Firenze, qui trovò due monaci del monastero di Settimo (che per un certo periodo poi
entrerà a far parte del movimento di Giovanni Gualberto) i quali, con il consenso del loro abate, vi
conducevano vita eremitica. Intorno a Giovanni ben presto si radunarono un gruppo di monaci che con lui
volevano condurre vita comune, nel senso indicato dalla regola benedettina ma in un ambiente isolato.
L’aspirazione ad una vita essenziale venne risolta in chiave comunitaria con l’isolamento di tutto il
gruppo, i monaci si chiusero in clausura. In breve questo tipo di iniziativa proliferò, molte comunità
aderirono a questa riforma, in alcuni casi, nel moltiplicarsi degli istituti, si stemperò il principio
dell’isolamento radicale, in quanto cominciò a farsi strada lo scopo assistenziale, attravarso l’accoglienza
di bisognosi. N.VASATURO, alle origini di Vallombrosa, Milano 1984.
24
I.MORETTI-R.STOPANI, Architettura romanica religiosa nel contado fiorentino, Firenze 1974, p.22-
23; M.PINELLI, op. cit., Firenze 1994, p.27. I nuovi ideali monastici proliferarono a tal punto che tra il
XI e XII secolo la quasi totalità delle chiese monastiche della diocesi di Firenze fu riformata dai due
ordini, anche se il più attivo fu quello Vallombrosano. Una parte determinante nell’espansione di
quest’ultimi risiede nel fatto che i monaci vallombrosani venivano spostati dall’abate maggiore di
Vallombrosa (al quale tutti gli appartenenti ai monasteri vallombrosani dovevano giurare fedeltà, in veste
di superiore generale e successore di San Giovanni Gualberto) anche in località anche molto lontane,
determinando così una circolazione di idee ed elementi culturali. N.VASATURO, L’espansione della
congregazione vallombrosana fino alla metà del XII secolo, 1962, p. 461. Cfr. W.KURZE, Monasteri e
nobiltà nel senese e nella Toscana medievale, Siena 1989, p. 390-392.
25
In diocesi di Fiesole, nel comune di Vicchio, la badia a Bovino è ormai praticamente abbandonata e si
trova in un precario stato di conservazione. Il toponimo Bovino deriva probabilmente dal nome
longobardo Alboino, col quale la badia viene indicata in alcuni documenti antichi. Nel 1050 l’imperatore
Arrigo III conferma la badia ai monaci di San Miniato al Monte. L.CHINI, Storia antica e moderna del
Mugello, Roma 1969, p.10. Nel 1065 è citata in una bolla di papa Alessandro II. C.C.CALZOLAI, La
Chiesa fiorentina, Firenze 1970, p. 165. Nel 1110 una bolla di papa Pasquale ne conferma i possessi e il
patronato agli stessi monaci di San Miniato. E.REPETTI, op. cit., Roma 1969, p. 66; F.NICCOLAI, op.
cit., Borgo San Lorenzo 1914, p. 584. Nei secoli successivi passò ad altre congregazioni. M.PINELLI, op.
cit., 1994, p. 252.
26
Anch’essa in diocesi di Fiesole, la badia benedettina di San Godenzo si trova al centro del paese
omonimo. La sua fondazione è legata a una leggenda. Il beato Gaudenzio, vissuto nel VI secolo e
probabolmente originario della Campania, dopo vario peregrinare giunse presso il terrente Comano in un
luogo detto Ursiano dove morì e fu sepolto. Sotto il regno di Lotario (844-855), un gruppo di cavalieri si
accampò per trascorrere la notte in questo luogo e durante il sonno furono svegliati da una visione di
uomini vestiti di bianco che circondavano la tomba del beato. Del fatto fu avvertito il vescovo di Fiesole
che fece riesumare il corpo e in suo onore vi venne edificata in loco una piccola chiesa plebana. Un’altra
leggenda riferisce che dopo il rinvenimento delle spoglie queste furono poste su un carro trainato da buoi
e fu deciso che si sarebbe edificata una chiesa nel punto in cui si sarebbero fermati i buoi ( proprio dove,
8
di Santa Maria a Vigesimo,
27
San Paolo a Razzuolo
28
e Santa Maria ad Agnano
29
e a
quello camaldolese il monastero femminile di San Pietro a Luco
30
e quello di Santa
vuole la storia sia oggi conservato il corpo mummificato di Gaudenzio). Ai presenti non sembrò adatto e
fu deciso un nuovo luogo. I lavori non procedevano a causa di eventi miracolosi che ne impedivano il
proseguimento, allora fu avvertito in sogno uno dei presenti all’evento dei buoi indicando il luogo sul
quale si sarebbe dovuto costruire. Successivamente, accanto alla chiesa plebana sorse l’abbazia.
I.DOMINO, L’abbazia di San Godenzo, Firenze 1929, pp. 8-10 La prima notizia certa riguarda la
fondazione della badia, avvenuta il 25 febbraio 1028, per volontà del vescovo di Fiesole Iacopo il Bavaro.
G.RASPINI, Gli archivi parrocchiali della Diocesi di Fiesole, Roma 1974, pp. 84-85. La badia è
nominata in numerose bolle papali tra il XII e il XIV secolo. F.NICCOLAI, op. cit., 1914, p. 635. Passò
nel 1482 dai benedettini ai Servi di Maria. F.NICCOLAI, op. cit., p. 634. Ha subito importanti
trasformazioni in epoca moderna, la prima nel XVII secolo e poi ancora nel 1799. M.BECCATINI-
A.GRANCHI, Alto Mugello, Mugello, Val di Sieve, Firenze 1985, p. 276. Negli anni 1920-21 fu
effettuato un accurato restauro nel corso del quale alla chiesa fu tolto uno spesso strato di intonaco
riportando in vista la pietra del paramento murario.
27
In diocesi di Firenze,attualmente nel comune di Barberino, si presenta oggi in forme barocche, risultato
di radicali ristrutturazioni dei XVII-XVIII secoli. Di antica fondazione, è già ricordata nel 1074. Sorta su
una strada già importante in epoca romana, il toponimo Vigesimo deriva infatti dalla 'Vigesima'
(ventesima) pietra miliare lungo la strada municipale romana, che partendo da Fiesole si dirigeva verso i
valichi appenninici.Nel XII secolo è documentata come vallombrosana. Ibidem, p. 18. I.MORETTI,
L’architettura vallombrosana in Toscana (secc. XI.XIII), 1994, p. 343.
28
Questa badia, che sorge sul tracciato della via Faentina a circa dieci chilometri a nord di Borgo San
Lorenzo, fu la terza badia fondata da San Giovanni Gualberto (dopo quella di Vallombrosa e di Moscheta,
nel comune di Firenzuola). F.NICCOLAI, op. cit., 1914, p. 190. Il Niccolai e altri autori riportano, con
minime variazioni, il racconto di come San Giovanni Gualberto grazie alle sue preghiere riusci
miracolosamente a far spostare un grosso albero che ostruiva la strada al suo compagno, il pievano di San
Giovanni Maggiore, mentre si trovavano di ritorno al monastero basiliano nelle vicinanze di Ronta dove il
Santo si era ritirato in preghiera. Nel 1035, dopo che il signore del luogo, Ottaviano degli Ubaldini, ebbe
donato al Santo la montagna di Razzuolo e del Crocifero, Giovanni vi fondò questa badia. Tra il 1090 e il
1246 è citata in dodici bolle papali con le quali viene posta sotto la protezione apostolica, ottiene la
possibilità di accettare donazioni, quella di non pagare le decime e altri privilegi ancora. S.CASINI, La
badia di Razzuolo in Mugello, Firenzuola 1905, p. 19. Nel corso dei secoli si arricchì notevolmente.
Radicalmente manomessa, a causa dei lavori di ampliamento della via Faentina, la chiesa fu privata del
transetto e del coro e il suo orientamento fu invertito. Fu ulteriormente danneggiata durante l’ultimo
conflitto mondiale, nel 1959 un accurato restauro restituì ciò che resta dell’antico edificio.
29
Posta nel comune di Dicomano, ben in vista su un’altura, la piccola badia è ricordata in un diploma del
1191 come appartenente al monastero vallombrosano di Sant’Ellero. L.CHINI, op. cit., 1969, p.12.
F.NICCOLAI, op. cit., 1914, p. 612. Il Repetti afferma che l’edificio ebbe titolo di badia, ma che fu solo
una prioria dei monaci di Sant’Ellero, che la possedevano dal 1039. E.REPETTI, op. cit., 1969, pp. 611-
612. La piccola chiesa rimase seriamente danneggiata dal terremoto del giugno 1919, in conseguenza del
quale fu quasi completamente ricostruita secondo linee neomedievali sull’impianto di quella antica.
30
Essa sorge al centro dell’abitato di Luco di Mugello, che si è sviluppato proprio intorno alla comunità
religiosa. G.C.ROMBY, Strade, paesaggio, insediamenti dal medioevo all’età moderna, Firenze 1992, p.
429. Nel 1086 il Beato Ridolfo Falcucci, quarto generale dell’ordine camaldolese, ottenne, in cambio di
terre avute in dono da un certo conte Gotidio in località Lusciano, il possesso dei vallombrosani a Luco e
la chiesetta di San Pietro, fondandovi così il monastero femminile. Ebbe così inizio una plurisecolare
storia di donazioni ed episodi che aumentarono l’importanza del monastero di San Pietro, tanto che le sue
badesse vennero ad assumere il titolo di contesse. Secondo il Niccolai, verso il 1220 in luogo della
piccola chiesa di San Pietro venne costruita l’attuale. F.NICCOLAI, op. cit., Borgo San Lorenzo 1914,
pp.453-454. Numerose sono le vicissitudini storiche dell’importante monastero, che venne soppresso nel
1808 per trasformarsi nel 1876 in Ospedale del Mugello, funzione che seppure in parte svolge anche oggi.
9
Margherita a Tosina
31
. L’aspetto che maggiormente influenzò e in molti casi determinò
la nascita e lo sviluppo di insediamenti monastici, fu indubbiamente il rapporto che
quest’ultimi si trovarono ad avere con le casate nobiliari. Alla fine del XI secolo, sulla
scia del rinnovato fervore religioso che si diffuse in tutta Europa, si registrarono in tutta
la penisola, delle potenti ondate di donazioni agli istituti religiosi, alimentate da tutti i
ceti sociali.
32
In quest’epoca era abbastanza comune che una famiglia dell’aristocrazia
dominante fondasse un monastero. Ne esistevano di due tipi: regi e privati. Per tutto
l’alto medioevo le grandi abbazie regie benedettine, avevano costituito i cardini per il
controllo diretto sui vasti comprensori territoriali da gestire
33
, si trattava di monasteri
dipendenti dalla Santa Sede per quanto riguardava la disciplina canonica, ma per quanto
atteneva alla sfera patrimoniale, dipendevano direttamente dal re, che sceglieva gli abati
fra i suoi collaboratori più fedeli, che talvolta erano vescovi. Questa pratica di nomina
regia dell’abate venne abbandonata con gli Ottoni e, sotto la spinta del movimento
riformatore cluniacense, il diritto di elezione passò ai monaci della comunità. Nei
monasteri privati la famiglia fondatrice aveva il diritto di presentare un candidato alla
carica di abate, oppure il diritto di conferma, nel caso fosse stato eletto dai monaci e
naturalmente vigilava sulla loro disciplina. E’ facile intuire come il fenomeno delle
fondazioni e delle donazioni da parte dei laici portò alla progressiva decadenza delle
abbazie dell’impero
34
. Dietro la fondazione dei monasteri privati da parte della feudalità
L.CHINI, op. cit., Roma1969, pp. 21-27, 76, vol III, pp. 145, 160, vol IV, p. 81; F.NICCOLAI, op. cit.,
Borgo San Lorenzo 1914, pp. 453-455.
31
Il più antico ricordo della chiesa è del 1038, quando era compresa nel plebato di San Bartolomeo a
Pomino. Probabilmente, fin dal X secolo la chiesa era di petronato della famiglia Da Quona, che nel 1062
donò una parte dei propri diritti al monastero di Camaldoli. Una ulteriore donazione fu effettuata dalla
famiglia ai camaldolesi nel 1186. La chiesa sarebbe stata costruita nel 1207, nell’anno in cui un’altra
importanta famiglia della zona, i Da Diacceto, rinunciava alla propria parte dei diritti sulla chiesa di Santa
Margherita, in favore dei camaldolesi. Lo Spinelli ipotizza che proprio in quell’occasione, che sanciva il
quasi completo passaggio della chiesa sotto il controllo dei monaci, si sia deciso di ampliarla. Le notizie
documentarie sono numerose nel corso di tutto il XIII secolo, anche se prove certe dell’esistenza del
monastero non riportano a prima del 1466, data scolpita sull’architrave del portale di accesso ai locali del
monastero. R.SPINELLI, la chiesa e il convento camaldolese di Santa Margherita a Tosina, Firenze
1985, pp.28-44.
32
W.KURZE, op. cit., Siena 1989, pp.295-317.
33
In Toscana le abbazie regie furono quelle del Monte Amiata, di Sant’Antimo, di Sesto, di Vallerano, la
Badia fiorentina e probabilmente Marturi. G.MICCOLI, Aspetti del monachesimo toscano nel secolo XI,
Pistoia 1966, pp.123.149.
34
Le grandi abbazie regie furono attive fino all’XI secolo inoltrato. Queste si occupavano sia della cura
delle anime che della gestione dei beni dello Stato, rivestendo un ruolo fondamentale nei confronti del
10
laica vi erano certamente degli ideali religiosi, dominanti e comuni a tutti all’epoca, ma
vi erano anche delle finalità politiche tese a contrastare l’espandersi del potere vescovile
nel contado. La nobiltà era in grado di donare grosse proprietà, curtes, villaggi. La
ricchezza si trasformava in dominio, ed era questo tipo di rapporto che creava una
subordinazione del monastero a questo sovranità, al pari di qualsiasi altra proprietà.
35
Il
monastero privato era inoltre il punto di riferimento di larghi strati della società. Alcuni
prendevano a livello le terre del monastero in qualità di coloni, altri entravano nel
cenobio come monaci. Tutto contribuiva al radicamento signorile delle famiglie patrone,
che tendevano a rendere dinastici i loro poteri. Gli aspetti economici, sociali e politici
convergevano. I monaci provvedevano a pregare per la salvezza delle anime del
fondatore e dei suoi familiari, che nel monastero avrebbero avuto la loro sepoltura.
36
Secondo le ricerche condotte dal Kurze, in Toscana, fra il 970 e il 1050, furono fondati
circa 45 monasteri, la metà dei quali ad opera di laici. Diciannove di questi furono
fondati in un trentennio, dal 978 al 1010. La tradizione nobiliare di fondare monasteri,
che era stata molto viva in età longobarda e carolingia, aveva conosciuto un
rallentamento nel corso del IX secolo, per poi eclissarsi del tutto nel secolo successivo,
fino al 978, data di fondazione della Badia fiorentina, che fu quindi la prima abbazia
potere imperiale. Ma come abbiamo visto, in questo secolo si sviluppò la grande ondata di fervore
religioso che spinse e portò al rinnovamento della vita religiosa, soprattutto all’interno degli ordini
monastici, questa ondata portò alla diffusione e al successo i monasteri e gli ordini di nuova fondazione ai
quali gli antichi monasteri benedettini, con le loro tradizioni più arcaiche, non avevano niente da
contrapporre. Alla fine dell’XI secolo la potente ondata di donazioni alle istituzioni religiose (che fu
alimentata da tutti i ceti sociali) trascurò definitivamente le abbazie dell’impero che cominciarono così a
subire un progressivo declino economico. W.KURZE, op. cit., Siena 1989, p. 392.
35
W.KURZE, op. cit., Siena 1989, p.300. Il rapporto con una signoria era stabilito fin dalla fondazione di
una abbazia ma naturalmente nel corso della storia di un monastero la situazione esistente all’atto di
fondazione poteva subire molteplici cambiamenti. Ad esempio poteva estinguersi la famiglia o il
monastero poteva essere donato ad altre famiglie, ad un vescovo, ad un altro convento oppure al re.
Possiamo quindi parlare di rapporti tra nobiltà e monasteri in genere, tenendo quindi sempre presente le
molteplici differenziazioni tra un monastero e l’altro.
36
In questa funzione le donazioni delle famiglie ricche non differiscono da quelle di una famiglia non
nobile. Si fanno donazioni principalmente per guadagnarsi la salvezza dell’anima. “Si cerca di trasferire
sui monaci, in cambio di doni materiali, le penitenze imposte dalla chiesa. In poche parole: si tenta di
comprarsi una porzioncina di beatitudine eterna con l’aiuto di monaci devoti in cambio di un pezzo di
terra o di moneta sonante”. W.KURZE, op. cit., Siena 1989, p. 297.
11
fondata dopo decenni di disordini e di guerre civili, nel momento in cui gli Ottoni
ristabilirono un certo grado di pace.
37
I.3. IL MARCHESE UGO DI TOSCANA E LA FONDAZIONE DI
BUONSOLLAZZO.
Le fondazioni monastiche acquistarono un nuovo impulso a cavallo dei secoli X e XI.
Fu questo il periodo in cui, dopo i disordini provocati dallo smembramento dell’impero
carolingio
38
e dopo che gli Ottoni presero le redini dell’Impero, a capo della Toscana
37
W.KURZE, op. cit., Siena 1989, pp.302-306. Kurze suddivide in tre momenti le epoche di fondazione
dei monasteri, sulla base dei dati forniti da KEHR, Italia Sacra, Berlino 1908, p.67 (sulla base ciè di quei
monasteri che sono in una qualche relazione con la tradizione delle bolle pontificie): il periodo
longobardo e carolingio, in cui i sovrani appoggiavano spesso e volentieri le fondazioni di monasteri dei
loro nobili seguaci, poiché ciò consentiva di dare un’organizzazione più salda alle proprietà imperiali, il
periodo compreso tra l’800 e il 978 (anno di fondazione della Badia fiorentina), in cui le fondazioni sono
rare, da attribuirsi tutte al IX secolo sulla scia della tradizione precedente. Poi per circa tre generazioni
non si registrano più fondazioni. Infine il periodo che parte dalla fine del X secolo, un periodo di nuovi
impulsi provocati dalla rinnovata ondata di spiritualità che investe tutta la società dell’epoca. Dopo
decenni di disordini e guerre civili, gli Ottoni riuscirono a ristabilire la calma e la pace in ampie regioni
d’Italia. E’ il momento in cui a capo della toscana troviamo il marchese Ugo.
38
Verso la metà del X secolo, l’Italia e gli Stati sorti dal disciolto Impero Carolingio si trovarono ad
affrontare una grave crisi economica e politica. Le successioni dinastiche, le lotte fratricide, tutto aveva
contribuito al generale indebolimento dell’autorità centrale e al proliferare dei numerosi poteri locali in
lotta per il dominio delle autonomie. A questa lotta parteciparono sia le aristocrazie laiche, sia quelle
ecclesiastiche, dando vita così a un periodo dominato dall’anarchia feudale. Come abbiamo visto anche la
Chiesa stava attraversando una profonda crisi morale, la situazione peggiorò drasticamente quando una
nuova serie di invasioni barbariche sconvolse ancora una volta l’Europa. Quest’ultime costituirono un
duro colpo per la vita monastica, le abbazie di San Vincenzo al Volturno, di Montecassino, di Farfa, di
Novalesa furono distrutte dai Saraceni e Nonantola dagli Ungari. La vita nelle campagne era diventata
gravemente insicura, la vita cenobitica, in molti casi spazzata via, quando lentamente si ricostituì fu
caratterizzata da un carattere di precareità. L’Italia in quel tempo era divisa in vari organismi. Gran parte
del settentrione faceva parte del Regno d’Italia, l’antico regno longobardo abbattuto dai Franchi. Al
Regno afferivano anche Umbria e Toscana, ma i funzionari imperiali che vi governavano (i potenti
marchesi di Spoleto e di Tuscia) erano talmente forti da riuscire a sottrarsi al controllo del potere centrale,
costretto per di più a venire spesso a patti con loro. Poi vi era, nelle altre parti del centro nord, il
cosiddetto patrimonio di San Pietro, sottoposto alla giurisdizione dell’Imperatore ma dipendenti in
maniera più o meno diretta dal papa, le restanti aree d’Italia erano spartite nei territori governati dai
Bizantini e dai Longobardi. Per una preciso approfondimento dell’argomento si rimanda a A.CALAMAI,
Ugo di Toscana. Realtà e leggenda di un diplomatico alla fine del primo millennio, Firenze 2001, pp. 35-
37. Per quanto riguarda il costituirsi di quelle entità territoriali chiamate marche, possiamo dire che si
costituirono proprio in conseguenza del frazionamento dei poteri, per la gestione dei vasti territori
dell’Impero. Il mantenimento dell’ordine, la riscossione delle imposte e altre funzioni venivano
demandate a una serie di funzionari, i principali dei quali erano conti, Le zone periferiche o di confine,
che avevano come principale esigenza la difesa, erano dette marche governate da funzionari detti
12
troviamo il Marchese Ugo
39
. La seconda metà del X secolo si configurò in maniera
sostanzialmente diversa dalla prima, i tre sovrani che si avvicendarono, tutti e tre
imperatori e re d’Italia, garantirono un periodo di relativa stabilità. Non mancarono
certo le guerre, ma il potere centrale fu più forte e si avvalse dell’opera di preziosi
collaboratori fedeli all’Impero. Questo stato di cose provocò una lenta e graduale ripresa
della civiltà occidentale, quella che generalmente viene collocata dopo l’anno Mille ma
che certamente vide la sua origine negli ultimi decenni del 900. Non è da mettere in
dubbio che le grosse tensioni spirituali che si generarono diffusamente ovunque, siano
la conseguenza necessaria dell’epoca di disordini appena trascorsa, tensioni che come
abbiamo visto dettero un forte impulso alla ripresa soprattutto attraverso l’attività di
grandi personaggi come Romualdo di Ravenna, Nilo di Rossano, Gerberto d’Aurillac e
molti altri
40
.
marchesi o margravi (conti di un territorio di confine), che raggruppavano sotto di sé un certo numero di
conti. Dalla fine del IX secolo si erano costituiti tre grossi organismi di confine, che si chiamavano ancora
“ducati” alla maniera longobarda: il Friuli, confinante con gli Slavi, il ducato di Spoleto, confinante con i
principati longobardi e con i territori bizantini dell’Italia meridionale e la Tuscia, che doveva difendere il
litorale tirrenico e provenzale dalle scorrerie saracene. Dal X secolo questi organismi cominciarono a
chiamarsi “marche” e alle tre originarie se ne aggiunsero altre che nel corso del secolo ebbero varie
vicissitudini. Si verificava spesso che conti e marchesi, detenendo ampi poteri militari e immensi
patrimoni fondiari, si costituissero come dei veri e propri poteri locali autonomi con cui il sovrano, per
non rischiare delle guerriglie interne, si vedeva costretto a venire ad accordi attraverso concessioni
sempre più vaste come benefici o immunità. Fu così che queste cariche cominciarono a diventare
ereditarie. G.TABACCO, Regno Impoero e Aristocrazie nell’Italia postcarolingia, Spoleto 1991; O.
CAPITANI, Storia dell’Italia medievale. 410-1216, Bari 1988.
39
L’attività politica del Marchese si svolse nella seconda metà del X secolo. La sua nascita non è
documentabile con certezza attraverso nessun documento sicuro (conosciamo la morte, avvenuta il 21
Dicembre 1001), in ogni caso sappiamo, sulla base di alcune fonti, che nel 970 è già in possesso della
Marca ( quindi doveva essere già abbastanza grande). Per lo studio di questo personaggio ci siamo serviti
della recente pubblicazione di A.CALAMAI, op. cit., Firenze 2001. Questo studio, realizzato in occasione
del millenario della morte di Ugo di Toscana, offre, oltre a una grande sintesi sulla storiografia che si è
occupata dell’argomento, una completa biografia sul personaggio e un utile panorama sulle vicende
storiche della Toscana di fine del primo millennio. Come quasi tutti i vassalli dei secoli IX e X, anche
Ugo proveniva dalle file della nobiltà transalpina di ceppo germanico. Per parte di padre discendeva da
una famiglia franco-provenzale e per parte di madre da una famiglia borgognona. Ebbe numerosi parenti
e quasi tutti fecero parte, a vario titolo, del ceto dirigente italico del X secolo. La parabola della sua
attività politica è stata suddivisa in tre fasi, corrispondenti ai regni dei tre Ottoni che si sono succeduti dal
962 al 1002 (anno di morta di Ottone III). Oltre alla Toscana detenne il potere di vaste zone dell’Italia
centrale poiché dalla madre, Willa, ereditò anche il titolo di marchese dei ducati di Spoleto e Camerino.
Sotto di lui la carica di marchese ritornò ad essere un potere intermedio fra i re e i poteri locali, non più un
sovrano assoluto, ma un vero e proprio rappresentante dell’autorità centrale in Toscana, cercando di
controllare e disciplinare le forze signorili come conti, vescovi, abati etc.
40
E’ documentato storicamente che il Marchese intrattenne rapporti con molte delle grandi personalità
dell’epoca, specialmente con i grandi riformatori religiosi (tra i quali ad esempio, l’eremita Nilo che
13
La Toscana durante la seconda metà del X secolo fu un centro nodale per la politica
degli imperatori della casa di Sassonia, in special modo per il ruolo di crocevia, da qui
infatti passavano alcuni degli importanti tracciati viari che conducevano a Roma e ai
territori bizantini. Il marchese Ugo rivestì un’importanza fondamentale nella politica
del suo tempo. Fu un alleato fedele dell’Impero, differenziandosi in linea di massima
dai suoi predecessori che, per tutto il secolo precedente e la prima metà del X, avevano
fatto della Toscana una terra d’anarchia, in cui i contrasti con il potere centrale avevano
provocato episodi di impetuosi scontri. Ciò che a noi interessa di questo importante
uomo politico della fine del primo millennio sono gli aspetti relativi alle fondazioni
monastiche, poiché i primi monasteri fondati in Toscana dopo decenni di ristagno sono
dovuti proprio a Ugo e a sua madre, Willa. Uno dei motivi principali della sua fama è
proprio quello legato alle sue, vere o presunte, fondazioni monastiche e alle sue
generose largizioni a vantaggio di numerosi enti ecclesiastici. I monasteri fondati da
Ugo appartenevano alla tipologia dei monasteri marchionali o imperiali, senza clausule
particolari a favore degli eredi e intromissioni della famiglia nella nomina degli abati,
prescrivevano l’osservanza della regola di san Benedetto e l’inalienabilità dei beni
donati. Le iniziative di Ugo in favore della Chiesa non sono spiegabili solamente
attraverso la sua profonda e devota religiosità, ma sono giustificate anche da aspetti di
ordine politico: la fondazione di monasteri costituiva una parte importante della politica
marchionale al servizio di quella imperiale. La politica dei re sassoni mirava, tra le altre
cose, alla riforma del clero e dunque in questa prospettiva sono da leggere tutte le
donazioni, le fondazioni e gli altri atti operati dal marchese, in favore della Chiesa,
quale esegutore materiale delle istanze spirituali del suo tempo, in perfetto accordo con
un più ampio programma politico. A differenza delle grandi famiglie laiche, che
creavano monasteri privati anche con finalità economiche, sociali, il Marchese tendeva
alla creazione di strutture che dovevano servire come basi patrimoniali per la
conobbe probabilmente a Roma alla corte imperiale e Romualdo con il quale ebbe rapporti stretti,
fornendogli aiuti in denaro per la sua attività, fu inoltre amico di pontefici, arcivescovi vescovi e persone
che condannavano la corruzione e i costumi del clero). Per questo e per la fama che seppe guadagnarsi di
principe potente ma anche leale, giusto e pietoso, gli fu attribuito ben presto l’appellativo di “Grande”, e
con questo nome fu sempre citato da tutti i cronisti toscani dei secoli XIV e XV, da Dante, che lo chiamò
il “Gran Barone” e da quasi tutti gli autori, antichi e moderni, che ne parlano.
14
monarchia. Per quanto riguarda le fondazioni, la madre di Ugo, la contessa Willa, fondò
la Badia fiorentina
41
e restaurò la chiesa di San Ponziano a Lucca, ad Ugo si devono
invece la fondazione del monastero di Capolona
42
e il ripristino dell’antico cenobio di
Marturi.
43
A queste due fondazioni documentate si aggiungono, anche se più dubbiose,
le fondazioni di San Michele alla Verruca
44
e di Santa Maria della Vangadizza.
45
Tutti
questi istituti godevano della protezione papale e imperiale e furono tutti dotati di vasti
possedimenti. In molti altri casi in cui è coinvolto il nome del Marchese, possiamo
naturalmente pensare si tratti di donazioni e non di fondazioni vere e proprie.
46
41
Fondata nella seconda metà del X secolo, all’interno della cerchia muraria carolingia di Firenze,
l’abbazia di santa Maria, viene comunemente chiamata Badia fiorentina. La tradizione ha sempre voluto
questo monastero fondato da Ugo, in realtà fu fondato da Willa (ed esistono documenti reali che lo
attestano, M.ADRIANI, La Badia fiorentina. Appunti storico religiosi, Firenze 1982.), anche se con il
tempo si arricchì e si affermò grazie agli interessamenti e ai generosi lasciti del marchese. Fu questo,
insieme alla presenza della sua tomba (documentata in loco fin dal 1061) che con il tempo fece pensare a
lui come l’effettivo fondatore del monastero.Tutti i numerosi beni del monastero furono confermati dai
vari imperatori nel corso del tempo. A.CALAMAI, op. cit., Firenze 2001, pp. 171-177.
42
Per quanto riguarda l’abbazia di San Gennaro a Capolona, a nord di Arezzo, le fonti sono concordi nel
ritenere che fu effettivamente il marchese a fondarla (probabilmente insieme alla moglie Giuditta). Fu
fondata, come gli altri monasteri per riorganizzare il patrimonio imperiale nella diocesi di Arezzo, che
rappresentava un luogo strategicamente importante, trovandosi al limite sud-orientale della marca, ai
confini con il ducato di Spoleto e le terre del papa, in una zona anche controllata da famiglie ostili
all’Impero come i Supponidi e i Guidi del Casentino. Capolona divenne presto uno dei più importanti
monasteri della diocesi aretina, tanto che nel 1064 vi soggiornò il Papa Alessandro III. A.CALAMAI, op.
cit., Firenze 2001, pp. 185-188.
43
L’abbazia di san Michele di Marturi, una delle più antiche abbazie della Tuscia longobarda e franca, si
ergeva in un luogo chiamato attualmente Castello di Badia, vicino a Poggibonsi, dove oggi sorge una
grande costruzione ottocentesca costruita sui resti dell’antico cenobio. I rapporti fra Ugo e il monastero
sono ricordati in varie fonti diplomatiche e storiche. Su molte di queste ci sono stati, da parte degli storici,
pareri talvolta divergenti e accese polemiche sulla loro autenticità. Sull’intricata vicenda dei documenti
legati alla storia di San Michele si rimanda a W.KURZE, Gli albori dell’abbazia di Marturi, Siena 1989,
pp. 165-179. Ad ogni modo la maggior parte degli storici ne attribuisce a Ugo la fondazione.
A.CALAMAI, op. cit., Firenze 2001, pp. 188-203.
44
Il monastero di san Michele arcangelo sul monte Verruca (nei Monti Pisani) è uno dei sette
tradizionalmente attribuiti a Ugo di Tuscia che, stando alle testimonianze tarde di Giovanni Villani e di
altri cronisti dell’epoca, ne sarebbe stato il fondatore. Di questa antica abbazia non rimangono che poche
rovine, recentemente indagate da campagne di scavi iniziate nel 1996 che hanno messo in evidenza l’area
occupata da tutti gli ambienti del complesso monastico. Le fonti che lo attribuiscono al marchese sono
tarde e non possiamo quindi stabilire con certezza se ne sia stato davvero l’iniziatore, è quindi possibile
che la tradizione si sia sviluppata più tardi qundo fiorirono molte altre credenze sulla figura e sulle opere
del marchese. Cfr. A.CALAMAI, op. cit., Firenze 2001, pp.205-209.
45
Anche di questa abbazia, situata nell’attuale centro di Badia Polesine in provincia di Rovigo, il
marchese ne è stato considerato il fondatore, sebbene esistano forti dubbi. A.CALAMAI, op. cit., Firenze
2001, pp. 181-185. E’ probabile, come per molti altri casi che sia avvenuta, nel corso del tempo, una
effettiva confusione tra la funzione di benefattore e fondatore, svolta dal marchese.
46
Numerosi documenti testimoniano di donazioni effettuate dal Marchese (e da sua madre), beni fondiari,
fiscali, concessioni etc., a numerosi enti ecclesiastici. Tra i più importanti: all’abbazia del Santo Sepolcro
in Acquapendente, nei pressi di Orvieto, alla badia di Santa Maria e San Benedetto di Prataglia, in
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