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Abstract
Il miglioramento della qualità della vita ha prodotto,
indiscutibilmente, effetti positivi sul benessere dell’uomo.
Nonostante ciò l’invecchiamento della popolazione,
evidente soprattutto nella nostra regione, la cronicità di
talune patologie, l’influenza di fattori ambientali, e la
scarsità di risorse disponibili, comportano la necessità di
trovare cure alternative al ricovero, che richiedono
un’assistenza infermieristica individualizzata, sempre più
rivolta al paziente da seguire a domicilio.
Stimolata da una riflessione legata sia ad esperienze
familiari sia all’espletamento del tirocinio clinico, ho
elaborato la mia tesi di ricerca che vede nelle “Badanti”,
una risorsa attiva nel processo di assistenza in famiglia a
supporto dell’ infermiere.
Per realizzare l’indagine conoscitiva ho predisposto due
questionari comparati, uno rivolto alle assistenti familiari
(badanti), e l’altro al nucleo familiare degli assistiti, il cui
scopo è da un lato accertare l’esigenza di un reale
fabbisogno formativo delle badanti, dall’altro riconoscere i
bisogni di salute del paziente a domicilio, circoscrivendone
gli elementi di cura che consentono di riportarlo ad un
tenore di vita atto a non limitare le sue attività residue.
Contattando alcune associazioni no profit della provincia
di Savona che si occupano di immigrazione (ANOLF,
USEI, LEPRECAUNO, MIGRANTES),
1
ho provveduto ad
intervistare e distribuire 100 questionari 50 rivolti alle
badanti e 50 alle famiglie, ne sono ritornati 73, di cui 35
1
Anolf - Associazione Nazionale Oltre le Frontiere
Usei – Unione Solidarietà Equadoriani in Italia
Fondazione Migrantes – Diocesi Pastorale Savona-Noli
4
(70%) dai familiari e 38 (76%) dalle badanti, campione sul
quale mi sono basata per analizzare il fenomeno.
Il periodo di analisi, della durata di 6 mesi, è iniziato nel
mese di giugno 2010 e si è concluso a novembre dello
stesso anno.
Esaminando i bisogni di salute, le problematiche legate
alla complessità assistenziale, e il fenomeno “Badanti”, è
emerso che attraverso l’introduzione e l’utilizzo di questa
nuova risorsa, si garantisce al soggetto “non
autosufficiente” una continuità assistenziale che non ha
eguali, sia in termini di tempi sia di cure.
Tuttavia le mansioni domestiche e quelle di assistenza si
mischiano, tanto che, una famiglia su due dà una
definizione imprecisa dei compiti e delle mansioni,
riconoscendo comunque nell'assistenza continuativa 24
ore su 24, la motivazione che sta alla base di molte scelte
di ricorso alla badante.
Per le famiglie si tratta infatti, del modo più economico di
risolvere, o almeno di minimizzare, l'impatto di una
questione importante, e per le immigrate è un mezzo di
sussistenza ottenibile anche senza grande
specializzazione.
Ma se è vero che l’impiego di questa nuova forza lavoro,
ormai insostituibile, rappresenta la risposta spontanea ad
una problematica pressante quale l’assistenza a soggetti
“non autosufficienti”, sicuramente si rende necessaria la
formalizzazione della figura della badante attraverso una
più precisa definizione degli ambiti e delle competenze,
sia nel rispetto della dignità di questi lavoratori sia nella
qualità del lavoro prestato.
Se l’introduzione della badante rappresenta una soluzione
privata ad un problema pubblico, viste le dimensioni del
5
fenomeno, è sicuramente necessario ripensare ad una più
efficiente cooperazione tra pubblico e privato, che
potrebbe per esempio passare attraverso uno specifico
Progetto Formativo per queste nuove lavoratrici.
Il mio progetto di tesi concepisce l’assistenza domiciliare
come un metodo di lavoro ordinato e sistematico, fondato
su una programmazione individualizzata che tenga conto
dei bisogni di salute degli assistiti, valutando anche
tuttavia le carenze e i deficit linguistici delle badanti, le
esigenze formative tecniche e operative delle stesse,
individuando obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Non si può pensare, infatti, di poter assistere un paziente
non autosufficiente, magari anziano e affetto da più
patologie cronico - degenerative, improvvisando un
assistenza casalinga.
Ma certamente è il caso di affiancare le famiglie e i
pazienti a domicilio in un continuum salute-malattia,
fornendo loro un istruzione almeno di base su concetti
fondamentali di salute collettiva, in modo da renderli meno
soli in un percorso di cura che diventa ogni giorno sempre
più difficile.
La famiglia è considerata come il luogo ideale per la cura
dei suoi componenti, in particolare del soggetto fragile,
perché, in essa si può sentire maggiormente stimolato e, a
livello affettivo, più protetto rispetto alla ospedalizzazione
tradizionale.
Mantenere l’individuo “non autosufficiente” in casa
favorisce la salvaguardia del suo equilibrio psicologico, e
produce effetti terapeutici laddove la guarigione sia
possibile, oppure, quando questa risulta clinicamente
improbabile, ne rende meno drammatico l’esito.
6
Alla domanda infatti, quali motivazioni l’hanno spinta a
scegliere la badante, i care givers (familiari, amici,
volontari) hanno risposto per il 56% mantenere il proprio
congiunto nella sua abitazione, seguita dal 44% dalla
necessità di presenza fissa 24 ore su 24, le altre
alternative non sono neanche state prese in
considerazione (liste di attesa molto lunghe per
inserimento in struttura, eccessivo carico di lavoro).
Motivazioni che l'hanno spinta a scegliere la
badante
56%
44%
Mantenimento del
parente a domicilio
Necessità presenza
fissa 24 ore
Gli assistiti risultano avere un età media di 87 anni di cui il
32% uomini e il 68% donne.
Composizione degli assistiti
68%
32%
femmina
maschio
7
I loro care givers per il 54% alla domanda “Condizione”
rispondono che essi sono “autosufficienti”, cioè in grado
secondo loro, di poter vivere eventualmente accuditi da
una persona in un’abitazione privata.
Appare chiaro che per la attendibilità del dato
“Condizione” (autosufficiente/non autosufficiente) sia
necessaria una valutazione effettiva da parte di un organo
superiore, quale l’UVM
2
per poter essere considerato
valido.
In questo contesto risulta evidente che il compito
dell’infermiere, è quello del Case manager, ovvero
Responsabile del Caso, dalla presa in carico,
all’evoluzione della patologia, seguita in un continuum
salute-malattia.
Egli cercherà di coinvolgere la famiglia e coloro che
ruotano intorno ad essa, fungendo da cerniera tra il
malato, i familiari (caregivers), le badanti, e il resto
dell’équipe multidisciplinare istituzionale.
Egli ragguagliando sulle varie e possibili soluzioni di cui il
Servizio Sanitario Nazionale dispone, e mettendo a
conoscenza le famiglie e i loro assistiti delle opportunità
socio sanitarie, sempre più rivolte ai servizi territoriali,
secondo l’attuale Piano Sanitario Ragionale, promuoverà
e implementerà l’integrazione tra le varie “Reti”, e
coinvolgendo la persona assistita nel processo di cura,
permetterà ad essa di essere dotata di potere, facendo
leva sulle sue risorse vitali, e le capacità residue.
Da qui nasce la relazione di aiuto, nella quale infermiere e
paziente lavorano insieme per trovare risposte ai bisogni
2
Unità Valutazione Multidisciplinare (L.R12/2006)
8
di assistenza, e tra loro si crea, in questo modo, l’alleanza
terapeutica.
Per fare ciò l’infermiere deve possedere capacità di
counselling, deve saper identificare il bisogno del paziente
e riuscire a suscitare in lui un processo di apprendimento,
comprensione, e maturazione sul problema sollevato.
Adottando modelli assistenziali quali il “Case
management”, appunto, “il Biopsicosociale”, “il Self care”,
o il più recente “Chronic Care Model” oltre ad assicurare
una maggior evidenza alle competenze specifiche
acquisite, l’infermiere garantisce il raggiungimento di un
migliore stato di salute attraverso un approccio proattivo
alla gestione dell’autocura, l“Empowerment” delle famiglie
e dei pazienti.
L’infermiere (Case manager) è, infatti, in grado di valutare
i bisogni, di pianificare gli interventi e di mantenere livelli di
alta ed efficiente cooperazione tra gli operatori e la rete
informale dell’assistito (Familiari, amici, volontari).
L’assistenza alle persone non autosufficienti si configura
come un’attività che interferisce in maniera consistente
con lo svolgimento di altri ruoli professionali familiari e
genitoriali, con tutte le conseguenze che ciò può
comportare.
I care givers informali non costituiscono una classe
omogenea, tuttavia sono rilevabili alcune loro
caratteristiche comuni.
Tra loro vi è, senza dubbio, una netta prevalenza
femminile e si tratta per lo più di persone in età attiva (lo
sono due care givers su tre); in taluni casi i care givers
convivono con il loro familiare malato dedicando in media
sette ore al giorno alla cura diretta del paziente e quasi
undici alla sua sorveglianza.
9
L’età media dei care givers è 57 anni e il 59% sono donne,
68% di loro sono sposati o conviventi e il 50% è
pensionato, il 14% è casalinga, il 27% di essi è un libero
professionista e il restante 9% è impiegato.
Occupazione di chi compila il
questionario
50%
14%
27%
9%
pensionati
casalinghe
libero
professionista
impiegato
Da notare, tra l’altro, che molti care givers sostengono
anche economicamente l’intera spesa sanitaria per il
proprio assistito.
In base a stime derivate dalla realtà statunitense, risulta
infatti, che ogni paziente alzheimeriano e relativa famiglia,
ad esempio, nell'arco della durata della malattia, sostiene
una spesa globale superiore ai 170.000,00 euro,
e che l'entità della spesa è tale da collocare la Malattia di
Alzheimer al terzo posto nell'ambito delle patologie più
costose, dopo neoplasie e malattie dell’apparato
cardiocircolatorio.
Risulta pertanto evidente, il notevole coinvolgimento della
famiglia nella cura, assistenza, tutela e sostegno non solo
psicologico del proprio congiunto.
10
Dunque, se da un lato la famiglia svolge una funzione
protettiva dell’anziano o del malato cronico, dall’altro è
presumibilmente portatrice di una forte domanda di tutela
e di aiuto.
L’opzione “Badante” quindi, consente di non sradicare il
proprio parente dall’ambiente in cui ha sempre vissuto, e
in termini di continuità di assistenza, disponibilità e costi,
non esistono alternative, che possano essere equiparate a
queste lavoratrici.
L’indagine, da me svolta, fa emergere un duplice
atteggiamento da parte dei parenti dell’assistito verso
l’introduzione di questa nuova figura.
In generale si evidenzia un rifiuto preconcetto verso la
badante, giustificato dall’idea di non voler introdurre
estranei in casa propria, ciò nonostante è emersa la
consapevolezza che essa, tuttavia, possa soddisfare
bisogni emotivi evitando solitudine ed emarginazione
sociale dell’assistito.
Pertanto emerge che in molti casi i parenti della persona
non autosufficiente tendono a continuare ad occuparsi del
proprio caro anche dopo l’inserimento della badante a
domicilio, ma in molti altri, invece, l’introduzione di questa
assistente familiare è servita a deresponsabilizzarli dai
propri doveri, caricando di un peso non da poco queste
nuove lavoratrici.
La sfera dell’assistenza familiare manifesta perciò, criticità
gravi e specifiche.
Esiste già una ampia normativa in materia; la Legge 189
del 30 luglio 2002 "Modifica alla normativa in materia di
immigrazione e di asilo", la Legge Regionale 287/2006 e
la Legge Regionale 07/2007 “Norme per l’accoglienza e
11
l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri
immigrati”.
Esse promuovono l’integrazione sociale dei cittadini non
comunitari, operando per l’affermazione e la difesa dei
diritti fondamentali della persona umana, garantendo le
pari opportunità di accesso ai servizi, nonché
riconoscendo e valorizzando la parità di genere, al fine di
rendere effettivo l’esercizio dei diritti.
Tuttavia non si può affrontare un argomento così delicato,
trascurando le difficoltà burocratiche, e i problemi di
inserimento sociale, a cui vanno incontro gli stranieri
immigrati.
Alla fatica del vivere quotidiano in un paese culturalmente
differente, lontano da casa e dai propri affetti, spesso si
aggiungono problemi esistenziali, gravati dall’assistenza
continua a persone con difficili patologie cronico -
degenerative e che producono l’insorgere di fenomeni
depressivi o di frustrazioni non trascurabili.
Lo scenario delle attività svolte dalle badanti, infatti, è
vasto e variegato: va dalla semplice attività alberghiera ad
attività ben più complesse, ed è evidente che alle badanti
si richiede una attività che ha ben poco a che fare solo
con “il tenere a bada”, o alla semplice funzione di
accudimento.
Otto risultano essere i principali ambiti di intervento:
1. Igiene alla persona
2. Alimentazione
3. Spostamenti poltrona - letto - carrozzina e
deambulazione
4. Mobilizzazione spostamenti a letto su decubiti alternati
5. Esecuzione di interventi particolari (medicazioni
lesioni)
12
6. Sorveglianza continua
7. Dialogo e ascolto
8. Assistenza notturna
Le attività che impegnano in maggior modo le badanti,
quotidianamente, sono l’igiene e l’alimentazione (più di 2
ore al giorno) mentre le principali difficoltà riscontrate sono
gli spostamenti e l’igiene personale che richiedono grande
forza fisica, specialmente, se svolte da un'unica persona.
Attività svolte dalle badanti
91%
78%
65%
63%
60%
58% 57%
46%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
ig ie n e a lla
p e rs o n a
s p o s ta m e n ti
a lim e n ta z io n e
s o m m in is tra z io n e
te ra p ia
a s s is te n z a
n o ttu rn a
m o b iliz z a z io n e
a s s is te n z a
c o n tin u a
in te rv e n ti
p a rtic o la ri
Le numerose carenze linguistiche emerse dall’indagine
inoltre, compromettono il raggiungimento di quegli obiettivi
operativi necessari a rispondere ai bisogni espressi dagli
assistiti.
Di qui l’esigenza di un Progetto di educazione
professionalizzante per l’Assistente Familiare, rivolto alle
badanti, o familiari, o volontari, affinché si sentano meno
soli nella gestione assistenziale e percepiscano l’ASL
presente e vicina alle loro necessità.
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L’intento del progetto è l’implementazione e l’integrazione
delle “Reti informali” (famiglia, amici volontari, vicinato,
badanti) con quelle istituzionali formali (Infermieri di
Distretto Sanitario, Medici di Medicina generale e
Fisioterapisti di Distretto, Psicologi, Logopedisti e
Assistenti Sociali del Comune) al fine di costruire un
sistema di cure di comunità attraverso lo sviluppo di saldi
legami familiari, di validi rapporti sociali, di forme di
solidarietà tra singoli e tra gruppi. (COMMUNITY CARE)
Inoltre attraverso un’attenta e standardizzata metodologia
organizzativa, completa di un sistema di informazioni
cliniche registrate in formato digitale o cartaceo,
l’infermiere Case Manager diventa attento osservatore
epidemiologico per la pianificazione collettiva di piani
individualizzati di assistenza (PAI), in grado di valutare
progressivamente la loro efficacia, gli effetti “payment by
result”, i costi e la soddisfazione dei vari interpreti .
Keywords: Case Manager, Caregiver, Self Care,
Badante, Chronic Care Model, UVM, MMG, PAI
Dizionario:
MMG Medico Medicina Generale
PAI Piano Assistenziale Individuale
PIT Progetto Integrato di tutela
URP Ufficio Relazioni con il pubblico
TIP Tribunale dei diritti del malato
UVM Unità di Valutazione Multidisciplinare