6
i mass media senza tenere conto di ciò che ne rappresenta la struttura portante e che, nello
stesso tempo, ne sperimenta l’innegabile influenza.
I successivi capitoli 2 e 3 entrano nel vivo del rapporto tra musica e mezzi di comunicazione,
esplorandone gli eventi decennio per decennio, in una lunga marcia di avvicinamento
all’epoca attuale, in cui un nuovo soggetto ambisce ad assumere un ruolo importante nel
mondo della videomusica italiana: Rete A – All Music. Il capitolo 2 raccoglie gli anni
Cinquanta e Sessanta, ripercorrendo le innovazioni e i cambiamenti in campo discografico e
mediatico, tenendo ben presente i contemporanei sviluppi sociali. Nuovi ritmi, come il rock n’
roll ed il beat, penetrano anche nel nostro Paese e con essi tutta un’ondata di “rivoluzioni” nel
modo di intendere la musica e di rappresentarla. I primi film musicali (il filone dei
musicarelli) costituiscono un fenomeno di costume che ha profondamente segnato
l’immaginario collettivo di quegli anni. Il capitolo successivo è imperniato sulle grandi
contraddizioni degli anni Settanta, in termini sia sociali che musicali. In ambito
radiotelevisivo, l’Italia vive la stagione dei “cento fiori”; in un clima di totale mancanza di
una regolamentazione precisa, numerose piccole emittenti muovono i primi passi nell’etere
italiano, prima della definitiva affermazione del duopolio negli anni Ottanta e del
trasferimento forzato in un mercato di nicchia per le poche sopravvissute. Compaiono i
promo-clips, antesignani degli odierni videoclip, a scopo puramente commerciale. Da questo
esatto punto, si dipana un interrogativo, a cui ho cercato di dare risposta nei limiti imposti da
questa trattazione: si possono paragonare i videoclip ad opere d’arte su committenza, tipiche
dei secoli scorsi? In merito al significato del termine stesso di “committenza” e ad esempi
storici, l’ipotesi trova riscontro positivo ma il tema si presta ad un possibile dibattito.
Con gli anni Ottanta (e la nascita di Mtv nel 1981 ne rappresenta un momento fondamentale),
inizia l’era del videoclip e, più in generale, numerosi cambiamenti nelle arti e nella cultura
portano vari studiosi a proclamare l’avvento della post-modernità. La videomusica ne
costituisce forse l’emblema ed il capitolo 4 tenta di proporre una visione d’insieme del
fenomeno, attraverso l’occhio dei fautori e quello dei detrattori. Nel 1983, nasce Rete A,
vivace realtà locale della città di Milano, che solamente verso la fine del decennio successivo
percorre la strada dell’emittenza tematica musicale in collaborazione con la storia della
videomusica fatta televisione: Mtv.
7
Gli anni Novanta e i primi di questo nuovo millennio sono l’argomento del capitolo 5, che
indaga le nuove tendenze in campo musicale e le continue e intense commistioni con altri
media: non più solo il cinema e la televisione, ma soprattutto le nuove tecnologie e la Rete
Internet, la quale ha profondamente modificato il vissuto delle persone. Anche i clip risentono
delle rivoluzioni in atto e si dimostrano particolarmente ricettivi alle innovazioni stilistiche e
ai nuovi significati originati da tali innesti. La videomusica si afferma definitivamente pure in
Italia, tanto che alla fine del secolo può contare su ben due stazioni televisive ad essa
totalmente dedicate: Tmc2 e Mtv sulle frequenze di Rete A. È necessario sottolineare come la
disponibilità di così tanto spazio, prima impensabile, per la produzione italiana (fino al 1997,
infatti, tiene banco solo VideoMusic, nata nel 1984) abbia inderogabilmente promosso una
vera via italiana al videoclip.
L’avvio dei programmi di Rete A – All Music nel 2002 rappresenta, in un certo senso, la
continuità con un passato autorevole: l’emittente di Peruzzo ha raccolto l’eredità di
VideoMusic e Tmc2, ribadendone l’assunto fondamentale (priorità alla musica italiana), ma
coniugandolo con le proprie caratteristiche e peculiarità. Il capitolo 6 delinea questo nuovo
soggetto, tratteggiandone i principi guida ed il modo di porsi non solo nell’universo mediatico
italiano, ma soprattutto nel grande calderone della musica da vedere.
9
CAPITOLO 1
CINQUANT’ANNI DI MEDIA ED
INDUSTRIA CULTURALE IN ITALIA
La ricostruzione dello sviluppo dell’industria culturale in Italia negli ultimi cinquant’anni non
è breve né lineare da poter essere trattata e definita esaurientemente in un solo capitolo. Una
disquisizione accurata sull’argomento richiederebbe un intero volume, ma questo non è lo
scopo della presente. Tuttavia, la storicizzazione degli eventi e l’osservazione dei
cambiamenti più importanti costituiscono una premessa fondamentale per definire il ruolo
della comunicazione e dei media in Italia. Ciò consente una visione d’insieme a mio avviso
necessaria per meglio comprendere, nel particolare, il caso delle televisioni musicali e la loro
funzione socio-comunicativa. Cercherò quindi, in questo capitolo, di chiarire nel modo più
approfondito possibile i tratti principali della questione, sia dal lato della produzione sia da
quello del consumo.
Innanzitutto vorrei chiarire un punto molto importante: perché analizzare l'industria culturale
in Italia unicamente a partire dal secondo dopoguerra? Notoriamente essa ha il suo momento
d'inizio negli ultimi decenni dell'Ottocento, con la nascita dell'industria editoriale moderna e
la maggiore attenzione ai gusti del pubblico. Secondo Fausto Colombo
1
, l'avvio è da
ricondursi al biennio 1880-81, a partire dal quale la cultura da una parte ed il sistema
produttivo ed industriale dall'altra inaugurano una nuova stagione di relazioni e commistioni
reciproche. Ho deciso però di limitare l'arco temporale solamente alla seconda metà del
Novecento, per motivi di "spazio" (oltre un secolo di storia culturale italiana non si può
comprimere in un capitolo) e per la compresenza di vari fattori:
- storici, in quanto il contesto dell’immediato dopoguerra (il Paese era da ricostruire
totalmente, non solo in senso materiale, ma soprattutto ideologico, nell’intento cioè di creare
un universo simbolico condiviso) e l’avvento della Repubblica segnano l’inizio di un nuovo
capitolo della storia italiana;
1 F. Colombo, La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta, Milano,
Bompiani, 1998.
10
- economici, per poter delineare un percorso parallelo al processo di industrializzazione del
dopoguerra (il cosiddetto boom economico);
- sociali, poiché i media a partire da questo momento accompagnano e promuovono lo
sviluppo sociale
2
;
- mediatici, in quanto l'avvento della televisione nel 1954 rappresenta uno spartiacque
decisivo nel passaggio alla modernità.
Anche Enrico Menduni nel suo contributo per il volume di Mario Morcellini
3
sostiene che in
Italia il consolidamento di un’industria culturale moderna non si è avuto fino al secondo
dopoguerra. La stampa, sia quotidiana che periodica, e l’editoria libraria si avvalgono di
impianti meccanizzati e realizzano grandi tirature sin dalla fine dell’Ottocento, si mantengono
in modo autonomo dal punto di vista finanziario e riescono a restare in molti casi indipendenti
dal potere politico. Hanno tuttavia un numero relativamente modesto di lettori, a causa dello
scarso livello di alfabetizzazione e scolarizzazione della popolazione e del peso internazionale
praticamente inesistente della lingua italiana. Sul piano musicale, il ritardo nell’adeguamento
tecnologico e professionale necessario nella fase produttiva comporta la perdita della
posizione egemonica in campo discografico a vantaggio delle multinazionali straniere, anche
se l’Italia continua comunque a rivestire una parte importante nella composizione e nelle
esecuzioni dal vivo. Il cinema, nonostante la crescita dei primi decenni del secolo (aumento
del numero delle sale, specializzazione delle professionalità, produzione dei primi
lungometraggi), riesce a realizzarsi quale industria culturale solo dal dopoguerra (nel 1955
vengono staccati 819 milioni di biglietti, record assoluto), superando finalmente la fase
artigianale in cui, a differenza per esempio del cinema americano, non aveva saputo aprirsi
alla grande innovazione del sonoro. Anche la radio, secondo Menduni, non raggiunge la
soglia dello sviluppo industriale prima della svolta della metà del secolo, in quanto il numero
di abbonati rimane basso fino allo scoppio della guerra, quando la richiesta di notizie sugli
avvenimenti bellici innalza la cifra fino quasi ai due milioni.
2
Inteso come «una sequenza di mutamenti in una direzione predeterminata dalla natura stessa del sistema sociale
globale, quale si osserva entro una singola società o un sistema di società», in L. Gallino, Dizionario di
sociologia, Torino, UTET, 1978.
3
E. Menduni, Tra modernità e modernizzazione, in Il Mediaevo. TV e industria culturale nell’Italia del XX
secolo, Roma, Carocci Editore, 2000, pagg. 169-179.
11
1. UN CASO ATIPICO
In due raccolte di saggi curate da Mario Morcellini
4
, viene analizzata approfonditamente la
vicenda dell’industria culturale italiana a partire dal secondo dopoguerra. In entrambi i volumi
l’autore la definisce un caso atipico: partendo dalle sue osservazioni, tenterò di delinearne le
caratteristiche peculiari, integrandole con i contributi di altri studiosi.
In primo luogo, essa si distingue dalle altre esperienze nazionali per l’effettivo ritardo
nell’affermazione, interpretabile attraverso varie ipotesi (2000: 39):
1. apparati industriali poco propulsivi, spesso frammentati e guidati da personalità non
molto lungimiranti, le quali non hanno compreso sin da subito le potenzialità del settore (da
leggersi in questo contesto anche l’abitudine tutta italiana di togliere fondi innanzitutto alla
cultura nei periodi di crisi economica generale);
2. lentezza nel processo di ammodernamento tecnologico e professionale, mentre a livello
internazionale si registrano aperture alle novità;
3. incapacità dei vari settori dell’industria culturale di costituire un sistema integrato; essi
infatti procedono singolarmente senza attivare relazioni gli uni con gli altri «così, quelle che
altrove si pongono da subito come industrie culturali, da noi appaiono come singoli apparati
di produzione (il cinema, la radio, l’editoria, lo spettacolo), per di più sovente costituiti da
un pulviscolo di piccole imprese» (2000: 32). Oltre alla mancata collaborazione con gli
apparati economici e le infrastrutture tecnologiche, va aggiunta l’incapacità di guardare alla
società come nodo centrale nella decisione delle strategie comunicative e come feedback
positivo. Questa situazione ha portato ad un prevalere del sistema politico ed istituzionale,
che ha influito in modo determinante sull’autonomia dei media;
4. funzione essenzialmente pedagogica attribuita per molto tempo ai mezzi di
comunicazione di massa da parte di dirigenti e intellettuali;
5. strutturale debolezza della società civile, dovuta alla precarietà dei processi di
scolarizzazione, agli elevati tassi di analfabetismo, ad un disinteresse per gli argomenti
“alti” proposti dalle élite; al contrario, essa dovrebbe invece rappresentare uno dei punti
principali per la nascita di un’industria culturale.
4
M. Morcellini, P. De Nardis, a cura di, Società e industria culturale in Italia, Roma, Meltemi, 1998 e M.
Morcellini, a cura di, Il Mediaevo, 2000, cit.
12
In secondo luogo, i mass-media giocano un ruolo primario nella modernizzazione del Paese.
Essi incidono «sulla struttura materiale ed economica, sugli standards culturali e sulle
personalità individuali, agendo quasi da “sistema nervoso centrale”» (2000: 23). A parere di
Morcellini, è la comunicazione la diretta responsabile del passaggio dell’Italia alla
«modernità, intesa come la fase di più decisa industrializzazione dei mezzi e di
generalizzazione dei fenomeni comunicativi» (2000: 22). I mutamenti che hanno coinvolto e
sconvolto la società italiana sono stati così rapidi e profondi che non si può non leggervi una
precisa influenza della comunicazione di massa. Anche Giovanni Bechelloni
5
sostiene che, in
generale e quindi non solo per quanto riguarda il caso italiano, la storia sociale di un Paese si
intreccia con la presenza dei mass media ed i nessi che si instaurano incidono sull'evoluzione
dell'industria culturale. Le società che hanno conosciuto lo sviluppo dei mezzi di
comunicazione si avviano a una forma di modernizzazione democratica, economica e sociale.
Questo perché essi rappresentano uno dei nodi centrali del funzionamento del mercato e del
sistema politico di quelle società e le rendono secolarizzate e più individualizzate. Tuttavia,
anche se Bechelloni qui non lo sottolinea, ciò che rende l’Italia diversa dalle altre nazioni è la
parte di assoluto rilievo dei mass media nel suo percorso alla modernità, nonostante la
lentezza causata da freni di tipo politico; una parte assunta in ritardo, in un momento storico
drammatico come il dopoguerra. Rosengren, nella sua tesi riportata da Denis Mc Quail
6
,
definisce interdipendenza (cui si contrappongono idealismo, materialismo, e autonomia) il
rapporto di continua interazione tra mass media e società:
L'industria culturale e dei media risponde alla domanda sociale di informazione e intrattenimento
e, insieme, stimola l'innovazione e favorisce un nuovo clima socio-culturale che innesca nuove
domande di comunicazione. [...] I media possono essere considerati lo specchio, o lo stampo, della
società e dei cambiamenti sociali (1996: 78).
In realtà, come osserva Mc Quail, l'approccio "media-centrico", che vede cioè nei media il
motore del cambiamento, si contrappone ad un altro approccio, detto "socio-centrico",
secondo il quale i mutamenti hanno avvio nella società. I due orientamenti non sono
conciliabili, perché partono da presupposti filosofico-metodologici contrapposti, ma
5
G. Bechelloni, L’immaginario quotidiano. Televisione e cultura di massa in Italia, Torino, Rai-Eri, 1984.
6
D. Mc Quail, Sociologia dei media, Bologna, Il Mulino, 1996.
13
l’influenza dei media sulla società (per esempio nei modelli di interazione sociale, nel
rapporto pubblico-privato, come evidenziato da Thompson
7
) è innegabile.
In terzo luogo, secondo quanto ipotizzano Rositi e Bechelloni
8
, la transizione alla modernità
in Italia è avvenuta «più per effetto dimostrativo internazionale – la cultura di massa – che
non per la spinta proveniente dall’allargamento della base produttiva». Inoltre, gli stessi autori
sostengono che «il percorso classico è: aumento della scolarizzazione, diffusione di massa
della stampa quotidiana e periodica, diffusione della radio, poi del cinema, poi della
televisione. Da noi invece la diffusione di massa della radio, del cinema e soprattutto della
televisione precedono l’aumento della scolarizzazione»
9
(2000: 36). Questo assunto, oltre a
ribadire la centralità dei media nel passaggio alla modernità, permette di segnalarne un paio di
distorsioni, così denominate da Morcellini, riscontrabili all’inizio del secolo scorso e nella
prima fase di affermazione dell’industria culturale. La prima, riguarda il susseguirsi di periodi
a velocità quasi nulla ed altri di brusche accelerazioni, dovute alla capacità interna degli stessi
mezzi di comunicazione di proporsi come elemento innovatore e, nello stesso tempo, di
“auto-congelarsi” rispetto al cambiamento sociale. Essi si rivelano importanti diffusori delle
mete socioculturali collettivamente condivise (ad esempio negli anni Cinquanta) ma, quando
particolari soggetti sociali (i giovani, gli studenti, le donne, i lavoratori, ecc.) si fanno
promotori di forti istanze di trasformazione, scavalcano i media nella loro funzione
propulsiva. La seconda riguarda la fragilità strutturale dell’industria culturale, le cui cause
vanno ricercate nella debolezza dei rapporti con gli apparati economici, nel ritardo
tecnologico, nella gestione tradizionalista e pedagogica. L’autore ritiene che tutti questi
aspetti siano riconducibili ad un’unica matrice: la centralità del sistema politico, che ne ha
frenato il potere di modernizzazione. Così,
i media sono più utilizzati come nuovo e luccicante instrumentum regni da parte di una classe
politica dirigente che non ne afferra completamente la portata e le virtualità innovative, piuttosto
che come “colonna sonora” del cambiamento e della modernizzazione (2000: 39).
7
J.B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, Il Mulino, 1998.
8
G. Bechelloni, F. Rositi, Il sistema delle comunicazioni di massa in Italia, citato in M. Morcellini, Il Mediaevo,
cit., pag. 36.
9
Ibid.
14
Come si riconduce tutto questo dibattito alla presente trattazione? Le televisioni musicali in
Italia (Mtv prima, VideoMusic e Rete A – All Music poi) hanno avuto un’influenza tale nei
comportamenti, nei linguaggi che, se da un lato rappresentano certamente un ambito molto
ristretto del fenomeno, dall’altro ne costituiscono un risvolto importante. Questi mezzi di
comunicazione, infatti, si rivolgono ad un pubblico giovanile, particolarmente propenso a
riceverne il messaggio e a rielaborarlo secondo proprie modalità. Eventi come il predominio
dell’immagine, il divismo, l’affievolimento del comune senso del pudore hanno assunto, a
partire dagli anni Ottanta, nuove caratteristiche e una portata senza precedenti.
Evidentemente, le televisioni musicali, a questo proposito, hanno rivestito un ruolo più da
protagoniste che da semplici comparse.
2. STRATEGIE, SOGGETTI, PRODOTTI
Dopo aver descritto in linea generale le peculiarità del sistema dei media e dell’industria
culturale in Italia, passerò ad un’analisi delle unità costitutive. La classificazione in strategie,
soggetti e prodotti è tratta dal prezioso lavoro di Fausto Colombo
10
, che mi permette di entrare
nel vivo di questo sistema e di sviscerarne le logiche. Apporterò anche i contributi di altri
studiosi, ma il punto di riferimento principale rimane Colombo, per la ricostruzione
dell’industria culturale nella sua complessa varietà durante l’intero arco della sua storia (di
cui, ricordiamo, l’autore data l’inizio nell’ultimo ventennio dell’Ottocento) e per la sua
capacità di guardare oltre i singoli episodi, mostrando elementi di continuità o di
trasformazione tra momenti anche molto distanti tra loro.
2.1 Le strategie
Fausto Colombo individua due tipi di strategie: la strategia pedagogizzante, che consiste
nell’utilizzo dei media da parte dei dirigenti, delle élites o delle istituzioni a fini educativi o di
indottrinamento; ad essa si contrappone la strategia dell’intrattenimento, che invece ha la
precisa funzione di rispondere alla domanda di svago e di leggerezza del pubblico. Entrambe
si suddividono poi in due modalità, definite metaforicamente con nomi di animali. La
10
F. Colombo, La cultura sottile, cit., pagg. 15-36.
15
strategia pedagogizzante comprende il grillo, che richiama il Grillo Parlante di Collodi e
raffigura l’atteggiamento morale dell’intellettualità verso i mezzi di comunicazione, e il
corvo, cioè l’intento formativo in chiave ideologica, che rappresenta «il gracchiare della
radiofonia fascista e il lugubre colore delle camicie nere, ma anche e soprattutto […] il
protagonista della riflessione forse più lucida condotta sulla strategia propagandistica da un
prodotto dei media: Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini» (1998: 18).
Anche la strategia dell’intrattenimento, a sua volta, prevede due distinte logiche: il topo, che
riesce a coniugare i suggerimenti e i materiali provenienti dall’estero secondo gusti e stile
tipicamente italiani, prende la sua definizione dal “Topolino” disneyano adattato per l’Italia
da Giuseppe Nerbini; il gatto, identifica la serialità, l’omologazione a standard internazionali,
in cui il prodotto viene proposto senza nessun adeguamento locale. Viene scelto per designare
questa logica poiché è strettamente legato alle televisioni private che ne hanno sancito la
fulminea diffusione, dato che è proprio il Telegatto il premio che celebra il successo di
pubblico di questo tipo di contenuti. Nonostante il presente capitolo affronti unicamente gli
ultimi cinquant’anni di media e cultura in Italia, ho deciso di riportare anche il periodo
precedente, in modo da rispettare la scelta dell’autore e mostrare quegli elementi di
continuità-discontinuità che non sarebbero altrimenti evidenti.
A partire dal 1881, nel percorso che lo ha portato ad indagare sull’industria culturale fino
quasi ai giorni nostri, Colombo individua delle fasi in cui è riscontrabile il prevalere di una o
più logiche. Nella prima (dal 1881 al 1900), egli situa la nascita del prodotto culturale di
massa ed ipotizza una compresenza, sia nel romanzo d’appendice che nella letteratura per
l’infanzia, del topo, ossia un puro e semplice intrattenimento nel tentativo di rispondere alle
richieste del mercato con le tecniche dell’artigianato industriale nostrano, e del grillo, che
soprattutto in questa fase si assume il compito di alfabetizzazione ed educazione. Dal 1900 al
1918, si legge una progressiva affermazione della logica del corvo, in cui un numero via via
maggiore di intellettuali sfrutta i media in chiave ideologica, come palcoscenico di uno
scontro politico e culturale sullo sfondo di un diffuso antigiolittismo. Questa si interseca con
il modello sempre più forte del topo, che comprende una serie di fenomeni come la
definizione di un pubblico moderno e di un immaginario comune, la legittimazione
dell’industria culturale da parte dell’intellettualità e la comparsa di nuovi media e nuove
tecnologie (tra gli altri, fotografia e cinema). Durante la terza fase, dal 1918 al 1945, gli
16
intellettuali stentano a comprendere la logica del topo, impostasi con la crescita del peso delle
masse, sia perché si pongono a difesa della produzione nazionale contro quella straniera, sia
perché sottovalutano l’impatto dell’intrattenimento come acceleratore del mutamento del
pubblico, a favore di un ritorno alle finalità grillesche (in linea con le direttive fasciste).
Il quarto periodo (1945-1960) introduce il lasso temporale oggetto di questo capitolo. Il topo
pervade i vari media, dal fumetto, con gli esempi dell’editore Bonelli e della Disney italiana,
passando per la radio e la neonata televisione, le quali connettono intrattenimento e vocazione
pedagogica, nonostante soprattutto negli ambienti dirigenziali e della critica intellettuale si
auspicasse ad un prevalere di quest’ultima. Il cinema rivela la stessa contrapposizione,
mostrando il successo di pellicole cosiddette “popolari” e commerciali, ma considerate dagli
specialisti prive di qualità estetica e civile, e i film neorealisti, che invece incarnano queste
istanze. Gli anni dal 1960 al 1992 segnano l’ultima fase, che rappresenta un punto di svolta
fondamentale nel rapporto “cultura di massa-cultura d’élite”. Negli anni Sessanta, infatti,
nascono i primi prodotti seriali di “divertimento intellettuale”, in cui contenuti impegnati
frutto di menti colte, alte, convivono con una dimensione di svago. Ciò sta a significare che è
il topo a farsi portatore della logica del corvo, non più il contrario. Il decennio successivo è
lacerato da eventi drammatici, come le tensioni sociali, il terrorismo, la crisi economica,
nonostante i quali (o forse per farvi fronte) si sviluppa un forte bisogno di intrattenimento che
sfocia in due particolari fenomeni: il contributo dei media alla modificazione del comune
senso del pudore e le trasformazioni del sistema radiotelevisivo. In entrambi, la strategia
pedagogica e di protesta di molti autori e dirigenti si configura come un’operazione d’élite e
si scontra con il successo sempre maggiore dell’intrattenimento industriale. Inizialmente i due
fattori rimangono rigorosamente separati ma, con la diffusione dei movimenti di
contestazione, i contenuti ideologici diventano condivisi e partono dal “basso”. Corvo e topo
non sono più contrapposti, ma si confondono, si amalgamano. Gli anni Ottanta e Novanta
salutano l’arrivo del gatto, ossia l’assunzione del successo di pubblico come criterio di qualità
e l’importanza del marketing nel momento dell’ideazione e produzione. Diventa centrale la
raccolta pubblicitaria nell’economia dei media e questo porta a modificare il rapporto col
pubblico: esso non è più il destinatario, bensì il punto di partenza del processo. Questo
ventennio sancisce la fine delle logiche pedagogizzanti e lo scontro si limita a quello tra topo
e gatto. È l’intrattenimento il vero protagonista del panorama mediatico dei giorni nostri. Le
17
tv musicali in Italia rientrano in piena logica del topo, specialmente VideoMusic e Rete A –
All Music. Mtv, invece, tende ad avvicinarsi maggiormente al gatto, in quanto propone spesso
programmi di produzione straniera senza adattamenti (a malapena vengono aggiunti i
sottotitoli in italiano).
Molto simile è la ricostruzione di Michele Sorice
11
. Le due fasi da lui individuate, pedagogica
e orientata al mercato, coincidono con quelle di Colombo. La prima è caratteristica del
periodo fascista e degli anni della ricostruzione e si suddivide in due strategie: artigianale-
universalistica, rivolta ad una acculturazione delle masse, e industriale-ideologica, utile alle
esigenze del potere politico. La seconda è trasversale, si riscontra in più momenti e prevede
due modi di lettura dei media: come apparati distinti e in concorrenza reciproca in un mercato
poco sviluppato, o come media system, in cui i mezzi di comunicazione si intersecano nel
contesto di un mercato diffuso. Le dinamiche evidenziate dall’autore sono le stesse messe in
luce da Colombo, ma mentre quest’ultimo esamina strategie, prodotti e soggetti in separata
sede, Sorice ne dà un resoconto unitario ma stringato, dati i limiti del saggio rispetto ad un
intero testo.
2.2 I soggetti
Una volta delineate le strategie, è possibile interpretarle nuovamente alla luce dei soggetti che
se ne fanno portatori:
…Le logiche pedagogizzanti sono fortemente connesse al ruolo delle élites, mentre quelle
dell’intrattenimento hanno piuttosto a che vedere con la relazione tipicamente economica fra
produttori industriali di cultura e consumatori dei loro prodotti. Come a dire che – nei due casi – il
tipo di rapporto tra produttori e destinatari vede rispettivamente al centro la relazione sociale (nel
caso delle strategie pedagogizzanti) e la mediazione tra domanda e offerta di consumo (nel caso
dell’industria dell’intrattenimento). Ciò non toglie, naturalmente, che anche i “pedagoghi” e i
“propagandisti” cerchino di sfruttare le leggi del mercato; mentre, viceversa, anche gli “artigiani” e
gli “industriali” si confrontano continuamente con il problema del loro ruolo “politico-culturale”
(1998: 22).
11
M. Sorice, Scenari della produzione dell’immaginario, in M. Morcellini, Il Mediaevo, cit., pagg. 209-225.
18
Le figure chiamate in causa dall’autore sono quindi tre: élites ed intellettuali, il pubblico ed i
produttori.
2.2.1 Elites ed intellettuali
Ne descrive i dibattiti, le proposte e le critiche nelle singole fasi della sua ricostruzione
storica, come visto sopra. Tuttavia, vorrei riportare anche due contributi molto diversi sul
rapporto delle élites con l’industria culturale italiana: il primo è di Alberto Abruzzese
12
,
assertore del lavoro intellettuale come matrice dello sviluppo del sistema della cultura; il
secondo porta la firma di Giuseppe De Rita
13
, il quale sostiene invece che negli ultimi
cinquant’anni esse abbiano perso il contatto con la realtà sociale.
Abruzzese individua quattro livelli di interazione:
1. intellettuali che, in posizione apparentemente esterna, giudicano i prodotti mediatici (è
il livello forse più rilevante per la sua influenza socio-politica);
2. intellettuali che occupano cariche autorevoli negli apparati di produzione e
distribuzione, ma che spesso si rivelano troppo rigidi nelle pratiche; per questo,
soprattutto nei settori più avanzati della comunicazione (moda, pubblicità, marketing),
vengono soppiantati dai cosiddetti creativi;
3. la relazione intessuta fino ad ora con l’industria culturale, a causa della progressiva
centralità del consumo, perde contatto con il pubblico il quale, grazie ai new media e
alle nuove possibilità di interazione, può costruirsi il proprio rapporto con i mezzi di
comunicazione;
4. probabile riconnotazione della figura dell’intellettuale in un futuro prossimo, in quanto
la sua natura oppositiva al sistema globale di appartenenza dovrà adattarsi
all’inevitabile avvento delle reti digitali.
Ciò dimostra la centralità che queste personalità colte hanno rivestito, nonostante abbiano
dovuto cedere il dominio sugli apparati culturali istituzionali e sulla radiotelevisione al potere
politico. Tuttavia hanno continuato a partecipare ai processi produttivi della cultura di massa,
12
A. Abruzzese, Intellettuali e industria culturale, in M. Morcellini, Il Mediaevo, cit., pagg. 75-102.
13
G. De Rita, L’Italia tra “primo” e “secondo” popolo, in M. Morcellini, P. De Nardis, Società e industria
culturale in Italia, cit., pagg. 65-76.
19
«sceneggiando i bisogni espressivi del consumo, ma senza poter scrivere e dirigere la qualità
generale del sistema» (2000: 90).
De Rita, invece, contrappone “primo” popolo e “secondo” popolo, rifacendosi in modo molto
critico ad una distinzione di un filosofo risorgimentale, De Melis, per il quale il primo popolo
è la massa, la gente comune, il secondo l’élite, che decide cosa e come pensare e si presta ad
esserne “il legittimo sovrano”. In proposito, il caso della videomusica ne è un esempio
lampante: altamente bistrattata da teorici e studiosi quanto apprezzata dal pubblico. La “crisi
dell’élite”, per l’autore, è dovuta essenzialmente alla sua incapacità di collegarsi con il primo
popolo, che è andato avanti per proprio conto. Solo nell’immediato dopoguerra sono stati
vicini e si è quindi creato un rapporto profondo con il tessuto sociale, ma presto la situazione
è cambiata, per restare immutata fino ad oggi. Egli si pone una domanda: «quanto la
comunicazione è legata al modificarsi della società italiana e quanto, invece, è ancora un
modo della cultura intellettuale di interpretare la realtà in base ad idee fondamentali?» (1998:
68). Lancia quindi una provocazione perché, a suo parere, la comunicazione di massa dal
dopoguerra non ha ancora saputo dare un’immagine della società che corrispondesse alla
realtà, cosicché esse vivono in mondi separati. Si crea cioè una sorta di situazione di comodo,
in cui nulla viene modificato, in cui primo e secondo popolo rimangono estremamente distanti
e che rappresenta un’anomalia critica del nostro sistema.
2.2.2 Il pubblico
Colombo sottolinea la differenza tra industrializzazione tout court, volta alla costruzione di
nuovi bisogni e desideri o alla ridefinizione di bisogni e desideri preesistenti e
industrializzazione della cultura, orientata alla soddisfazione in vie nuove di istanze già
sedimentate nel sociale. La domanda è quindi importante per capire le tendenze evolutive e la
concezione di qualità del prodotto e, più in generale, perché i consumi culturali fungono da
coordinate per l’orientamento all’interno di società complesse. L’aumento della
scolarizzazione ha provocato la richiesta di una letteratura per l’infanzia e quindi la nascita
dell’editoria moderna, come la diffusione del consumo di musica ha portato alla discografia
attuale. Il processo di consumo si verifica quando, oltre al bisogno-desiderio e all’offerta-
evento, vi è disponibilità di reddito, fiducia nel futuro della società e disponibilità di tempo
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libero. Il ruolo del pubblico è alquanto cambiato con l’evoluzione sociale e presenta
caratteristiche differenti, a seconda si tratti di strategie pedagogizzanti o di intrattenimento.
Alla fine dell’Ottocento i ceti popolari sono esclusi da gran parte dell’industria culturale, che
spinge su espressioni alte come il teatro o la letteratura colta. Inoltre i media devono
concorrere alla costruzione di un’identità nazionale alla pari della scuola, di cui condividono
stile e linguaggio. I consumatori, quindi, non possono che «accettare contenuti e forme
dell’offerta, perché non (sono) in possesso di alcuna “cultura alternativa” socialmente
rilevante, politicamente forte, insomma in grado di esercitare delle controspinte» (1998: 24).
Un secolo più tardi la situazione è completamente diversa: il pubblico a cui i media si
rivolgono è molto più ampio, poiché il boom economico ha consentito l’accesso a tutti i livelli
sociali, e molto più emancipato, protagonista di un auto-riconoscimento della propria
importanza nell’imporre standards di fruizione. Si possono così precisare due fasi: durante
l’allargamento della base del pubblico e della sua maturazione prevale una strategia
pedagogizzante, mentre successivamente il topo e il gatto ne contrastano il dominio ed infine
si impongono. La sola dimensione del consumo, però, limita la visione d’insieme, in quanto
non è possibile verificare se il successo di un dato prodotto costituisca una scelta attiva
oppure una semplice adesione in mancanza di reali alternative. Il peso dei produttori non va
sottovalutato, anche se il lato della domanda può influenzare il trionfo di una strategia rispetto
ad un’altra.
2.2.3 I produttori
Un insieme variegato e composito di attori accompagna e segna lo sviluppo dell’industria
culturale italiana: si tratta di soggetti politici, economici, intellettuali più o meno integrati nel
mercato della comunicazione.
I soggetti politici chiamati in causa dall’autore sono i partiti, i movimenti, le istituzioni. I
primi due hanno adottato da sempre la strategia del corvo (propagandistico-ideologica), le
seconde quella del grillo. Dal dopoguerra è la stampa quotidiana a rivestire il luogo votato
allo scontro tra diverse filosofie politiche, uno scontro che ha come spettatore solo il livello
medio-alto della popolazione. La dimensione elitaria è quindi più che evidente.