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INTRODUZIONE  
 
L’espressione  «realtà virtuale», dall’inglese  virtual reality, fu 
coniata da J.  Lanier nel 1989,  per  unificare  sotto  un  unico  termine  
una  serie  di  progetti  distinti,  relativi  alla definizione di mondi 
virtuali. Secondo il senso comune la realtà virtuale viene definita in 
riferimento ad una serie di strumenti tecnologici che comprendono 
computer, caschi con  display  visivi  collocati  davanti  agli  occhi  e  
sensori  per  il  rilevamento  del movimento  della  testa  e  degli  arti.  
Tuttavia,  una definizione di questo tipo non sottolinea adeguatamente 
l’utilità di questo strumento all’interno di un contesto psico-sociale. 
Un  ambiente  di  realtà  virtuale,  secondo  l’impostazione  
classica,  è  una  simulazione realistica  di  un  luogo  verosimile,  che  
l’utente  vive  come  reale  e  che  può  essere manipolato con le stesse 
modalità usate nel mondo reale. Questo tipo di realtà virtuale, 
comunemente detta «immersiva», è distinta da altre soluzioni meno 
sofisticate che, pur basate sugli stessi principi, non offrono il senso di 
inclusione.  
Nella  soluzione  «non  immersiva»,  l’utente  interagisce  con  la  
realtà  tridimensionale attraverso  lo  schermo  di  un  computer,  
sostituendo  così  all’immersione  percettiva, un’immersione mentale 
ed emozionale. 
La realtà virtuale comincia ad affacciarsi al mondo della 
psicologia nei primi anni  ‘90. Dopo i primi lavori di ricerca, sono 
emerse le opportunità di sviluppo che questo medium comunicativo 
offre nell’ambito della psicologia clinica. 
In particolar modo, la realtà virtuale rappresenta un innovativo 
strumento per la valutazione e la riabilitazione di molteplici disturbi
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organici, psicologici e psichiatrici.  
L’applicazione della realtà virtuale nel campo dell’assessment 
neuropsicologico permette di superare alcuni limiti tipici degli 
strumenti di valutazione tradizionali. Infatti, la realtà virtuale possiede 
qualità di validità e di attendibilità più elevate, rispetto ai test classici, 
e permette di effettuare una valutazione altamente controllata e dotata 
di una buona validità ecologica. 
Tuttavia, sono piuttosto rari gli studi che coniugano l’utilizzo del 
virtual reality con l’assessment del disturbo ossessivo compulsivo. 
Sebbene, strumenti come il Virtual Multiple Errands Test potrebbero 
consentire una più approfondita valutazione dei deficit cognitivi ed 
esecutivi presenti in questo disturbo. 
 
La presente tesi si propone come un contributo di ricerca per la 
valutazione dei deficit esecutivi nei pazienti con disturbo ossessivo 
compulsivo attraverso l’utilizzo della realtà virtuale. 
La struttura generale della trattazione è suddivisa il sei parti. 
Nel primo capitolo è stata svolta un’introduzione generale che 
spiega che cos’è la realtà virtuale, come nasce e si sviluppa nell’abito 
della psicologia clinica e quali sono le strumentazioni utilizzate. 
Inoltre, verranno approfonditi i concetti di “senso di presenza” e di 
“embodied cognition”, che spiegano come sia possibile apprendere 
attraverso la realtà virtuale. 
Nel corso del secondo capitolo, verranno illustrati alcuni degli 
attuali campi di applicazione della realtà virtuale, sia per quanto 
riguarda la valutazione sia per la riabilitazione. Infatti, nella pratica 
clinica, questo strumento viene usato con molteplici classi di disturbi 
(per es., disturbi d’ansia, disturbi alimentari, traumi cranici, etc.).
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Nel terzo capitolo, dopo una breve introduzione sulla valutazione 
tradizionale e sui suoi limiti, sono state esaminate le peculiarità della 
realtà virtuale nell’ambito dell’assessment. In particolare, è stato 
sottolineato come la realtà virtuale favorisca un’analisi dei deficit 
cognitivi in ambienti più controllati, con maggiore validità ecologica, 
facilmente manipolabili e plasmabili in base alle esigenze del clinico e 
alle caratteristiche del soggetto. 
Per quanto riguarda il quarto capitolo, è stata messa a confronto 
la tradizionale valutazione carta e matita delle funzioni cognitive ed 
esecutive con la versione virtuale del Multiple Errands Test. Questo 
test, e la sua applicazione in VR, consente di valutare in modo 
integrato ed approfondito i deficit esecutivi che ricorrono in diverse 
patologie. 
Nel quinto capitolo, infine, verrà approfondito il tema del 
disturbo ossessivo compulsivo: le manifestazioni cliniche, le ipotesi 
eziologiche e l’epidemiologia del disturbo. Inoltre, sono stati 
evidenziati i deficit cognitivi ed esecutivi che caratterzzano questi 
pazienti.
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CAPITOLO I  
LA REALTÀ VIRTUALE 
 
“ Neo: Credevo che non fosse reale. 
Morpheus: la tua mente lo rende reale.” 
tratto da Matrix di A. e L. Wachowski, 1999 
 
1.1.  Che cos’è la realtà virtuale 
Cartesio distinse tra res extensa e res cogitans, creando così una 
distinzione fra la realtà fisica e la realtà psicologica. La realtà fisica è 
estesa nello spazio, esiste indipendentemente dall’osservatore ed ha 
delle proprietà tangibili; invece, la realtà psicologica esiste solo nella 
mente dell’osservatore, non è tangibile e non ha dimensioni spaziali. 
Tuttavia, con la realtà virtuale (Virtual Reality, VR) sembra che si 
formi una terza e nuova categoria distinta. Infatti, la realtà virtuale ha 
un’apparente estensione nello spazio, ma questa estensione non è 
reale, esiste solo nella mente dell’osservatore che interagisce con una 
determinata attrezzatura. Con le cuffie, il casco, e appropriati feedback 
per i movimenti corporei, si può avere l’impressione di essere in un 
mondo virtuale esteso nello spazio fisico. Sembra di muoversi 
all’interno di mondi virtuali, ma questi cambiamenti apparenti della 
propria posizione non corrispondono a cambiamenti reali di posizione 
(Velmans, 2008). 
Riva (2005) osserva che molti altri autori, (come Rubino, 
McCloy e Stone, Székely e Satava), nelle loro recensioni sull’utilizzo 
del VR nel settore sanitario, condividono la visione del virtual reality 
come un insieme di tecnologie che permettono alle persone di 
interagire in tempo reale con le banche dati computerizzate in 3D,
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usando i propri sensi e competenze. Le scienze del comportamento 
hanno una visione del tutto diversa; la realtà virtuale è descritta come 
una forma avanzata di interfaccia uomo-computer, che consente 
all’utente di interagire e di immergersi in un ambiente generato dal 
computer in modo ecologico. Gli utenti, non sono più soltanto 
osservatori esterni delle immagini sullo schermo, ma sono partecipanti 
attivi all’interno di un mondo virtuale. Quindi, in VR l’utente da 
osservatore di un’azione ne diventa il protagonista, vivendo una 
sensazione di coinvolgimento e partecipazione, nonostante quegli 
oggetti e quegli spazi esistano solo nella memoria del computer e nella 
mente del soggetto (Botella et al., 1998). 
Pertanto, possiamo generalmente definire la realtà virtuale come 
un insieme di dispositivi informatici in grado di consentire un nuovo 
tipo di interazione uomo-computer (Steuer, 1992; Ellis, 1994). 
Secondo Morgantini e Riva (2006), questa definizione offre 
un’occasione di riflessione su due principali aspetti del virtual reality: 
il primo è quello che riguarda l’insieme di dispositivi informatici che 
la compongono; il secondo è legato alla definizione di un nuovo tipo 
di interazione tra l’uomo e il computer. Infatti, quando si parla di 
virtual reality è importante fare riferimento sia alle caratteristiche 
tecnico-informatiche, sia alle esperienze che questo tipo di tecnologia 
è in grado di suscitare nell’utente.  
In base alla tecnologia usata e al grado di immersione e di 
coinvolgimento, si distinguono tre forme di virtual reality 
(Morgantini, Riva, 2006; Riva, 2006): 
- realtà virtuale immersiva (full immersive VR): i canali 
percettivi del soggetto vengono isolati dal mondo esterno, 
immergendolo sensorialmente nell’ambiente tridimensionale
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generato dal computer. Questa illusione di immersione è resa 
possibile da dispositivi di output e input (come head-mounted 
displays, sensori di posizione, etc.) che, garantendo un’esatta 
corrispondenza e coordinazione dei movimenti dell’utente con i 
feedback ambientali, isolano il soggetto dall’ambiente esterno. 
- realtà virtuale non immersiva (desktop VR): l’utente, di solito, 
utilizza un semplice monitor attraverso cui osserva il mondo 
virtuale. Si ottiene così una sorta di effetto finestra, che sfrutta 
la capacità di immersione soggettiva. In questo caso, 
l’interazione con il mondo virtuale avviene tramite periferiche 
come la tastiera, il mouse o un joystick. 
- realtà virtuale semi immersiva: per limitare l’effetto finestra 
della realtà virtuale non immersiva, sono stati realizzati sistemi 
semi immersivi come il Cave, che consiste in una piccola stanza 
dove il mondo virtuale è proiettato sulle pareti, costituite da 
schermi retroproiettati. 
Inoltre, l’intuizione di fondere la realtà virtuale con gli ambienti 
reali ha portato alla nascita della realtà mista (mixed reality), che 
permette di sovrapporre immagini tridimensionali all’ambiente reale. 
Un tipico esempio della realtà mista è la realtà aumentata (Augmented 
Reality), dove l’utente interagisce in un ambiente reale, ma può 
contemporaneamente visualizzare un ambiente virtuale che lo 
supporta nell’interazione. Ad esempio, in applicazioni militari, la 
scena viene arricchita con pittogrammi che anticipano la presenza di 
oggetti o soggetti fuori dalla visuale (Riva, 2000). 
La scelta dei diversi tipi di realtà virtuale dipende strettamente 
dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, perciò è necessaria 
un’accurata e preliminare pianificazione dei contenuti degli ambienti
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virtuali creati, se si intende garantire un appropriato utilizzo di queste 
tecnologie. 
 
1.2.  Breve excursus storico sulla realtà virtuale 
I primi esempi di una riproduzione percettivamente realistica 
della realtà risalgono agli anni 50 e vennero effettuati da Morton 
Heilig, che utilizzò come strumento di simulazione il cinema. Heilig 
concepì l’idea di un cinema come esperienza totale, il cui fine era 
quello di coinvolgere più sensi possibili in maniera realistica. Nel 
1956 progettò il Sensorama, una macchina ideata per il cinema 
dell’esperienza, primo esempio di tecnologia immersiva e multi-
sensoriale. Il Sensorama era in grado di visualizzare le immagini in 
3D, forniva feedback tattili, riproduceva l’audio in stereofonia, e 
possedeva un sistema per la produzione del vento e per la 
stimolazione olfattiva. Purtroppo, il costo elevato ne bloccò 
l’evoluzione e il brevetto (Rheingold, 1992). 
Nel 1968 Ivan Sutherland, allora docente ad Harvard, ebbe la 
geniale intuizione di integrare l’apparecchiatura VR con un visore 
stereoscopico, ottenendo così che il campo visivo del fruitore fosse 
totalmente impegnato dall’illusione percettiva, anche se il livello 
tecnico era ancora molto basso.  
Il primo sistema di realtà virtuale ottenuto attraverso un computer 
fu l’Aspen Moviemap, realizzato nel 1978 al MIT di Boston sotto la 
direzione di Nicholas Negroponte. Si trattava di una rudimentale 
simulazione della cittadina di Aspen, di cui era possibile percorrere le 
vie. 
Il vero salto di qualità avvenne nel 1985, quando presso la NASA 
Scott Fisher istituisce il Virtual Environment Workstation, che
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permetterà la nascita dei primi progetti e applicazioni per istruire i 
piloti dell’aeronautica statunitense. L’ambiente generato permetteva di 
sperimentare situazioni pericolose, costose o difficilmente ripetibili, 
senza il rischio di perdite di personale o materiale. 
Solo qualche anno dopo, nel 1989, Jaron Lanier fondò la 
compagnia Virtual  Programming Languages Research (VPL 
Research) e coniò il termine Virtual Reality. Ultimamente il maggiore 
sviluppo della realtà virtuale è conseguente a due fattori trainanti: in 
primo luogo lo sviluppo di tecnologie e periferiche hardware sempre 
più performanti; in secondo luogo un mercato sempre più ampio con 
un notevole abbassamento dei costi. 
Eppure, nonostante questa recente maggiore fruibilità del VR, 
Riva et al. (2009) hanno individuato quattro elementi principali che 
limitano l’uso della realtà virtuale in psicoterapia e nelle neuroscienze: 
- la mancanza di standardizzazione di hardware e software VR, e 
la limitata possibilità di personalizzare gli ambienti virtuali in 
base alle specifiche esigenze del clinico o dell’impostazione 
sperimentale; 
- la scarsa disponibilità di protocolli standardizzati che possano 
essere condivisi dalla comunità dei ricercatori; 
- costi elevati necessari per la progettazione e il collaudo di 
un’applicazione clinica di realtà virtuale; 
- le difficoltà nell’utilizzo, la costosa assistenza tecnica e la 
continua manutenzione. 
 
1.3.  La tecnologia 
Un sistema VR è dato dalla combinazione  di hardware e 
software che consentono agli sviluppatori di creare applicazioni VR. I