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INTRODUZIONE
Uno degli insegnamenti tratti dalla crisi finanziaria del 2007-2009 è che
l‟architettura che disciplina l‟insolvenza delle banche e delle altre istituzioni
finanziarie ha bisogno di una revisione importante.
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha stabilito di rafforzare
la regolamentazione bancaria perché non solo la quantità, ma anche la
qualità del capitale bancario gioca un ruolo cruciale
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. Particolare attenzione
è stata dedicata alla progettazione di una struttura del capitale prudenziale
che garantisca sufficiente assorbimento di perdite di capitale per le grandi
istituzioni finanziarie ed elimini la necessità del piano di salvataggio
pubblico. Basilea 3 rappresenta quindi una parte essenziale, ma non l‟unica,
di un programma molto più ampio coordinato dal Financial Stability Board
e teso a costruire un sistema finanziario più sicuro e a garantire la sua tenuta
nelle fasi di tensione.
Tradizionalmente, la regolamentazione del capitale bancario è stata
pensata come corollario all‟introduzione di un‟assicurazione sui depositi.
L‟esistenza di questa assicurazione rende il debito una fonte di
finanziamento conveniente per le banche. I depositanti e gli altri creditori
riceveranno bassi tassi di interesse perché consci che i debiti sono sicuri:
saranno rimborsati dalla banca se le cose vanno bene, e dal governo nel
caso in cui la banca non fosse in grado di rimborsarli. I requisiti
patrimoniali, poi, servono anche per impedire alle banche di abusare della
capacità di prendere in prestito capitali a basso costo, e scaricare il rischio
di eventuali perdite sui creditori. La normativa sull‟adeguatezza
patrimoniale, per esempio, richiede alle banche di mantenere un certo
livello minimo di capitale.
Il Comitato di Basilea ha fissato i criteri sui titoli, i quali dal 2013 in poi
dovranno contenere una clausola che dia il potere all‟autorità di vigilanza di
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Banca dei Regolamenti Internazionali, Comunicato stampa, (13 gennaio 2011).
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convertire o svalutare i titoli se si verifica un evento scatenante (trigger
event), questo comporta l‟esclusione dal capitale tier 1 e tier 2 degli
strumenti che non prevedono la conversione o la svalutazione. Basilea 3
prevede infatti una esclusione graduale dal patrimonio degli “strumenti
subordinati” che non prevedono un abbattimento del loro valore nominale o
conversione in azioni al verificarsi di eventi sfavorevoli relativi al
patrimonio stesso della banca. Rientrano in tale categoria le obbligazioni
subordinate che, se emesse prima del 12/9/2010, perderanno dal gennaio
2013 la qualifica di “capitale regolamentare” in ragione del 10% all‟anno.
Si tratta di caratteristiche e requisiti impegnativi, dunque, destinati ad
incidere sulle abitudini degli emittenti ma anche su quelle degli investitori
ai quali, in cambio di spread di rendimento superiori rispetto a quelli offerti
attualmente dalle obbligazioni bancarie subordinate, viene richiesta una
maggiore “condivisione” del futuro della banca.
Il documento aggiunge che ogni qualunque pagamento ai possessori di
titoli in seguito alla svalutazione deve essere fatto in azioni ordinarie. Le
banche emittenti dovranno avere tutte le autorizzazioni necessarie per
l‟emissione immediata del numero necessario di nuove azioni, nel caso si
concretizzi l‟evento scatenante. Quest‟ultimo è definito in due modi: 1) la
decisione che il write-off, senza il quale la banca non sarebbe più attiva, è
necessario, come determinato dall‟autorità competente; 2) la decisione di
effettuare un‟iniezionedi capitale pubblico, o equivalente, senza la quale la
banca non sarebbe più attiva.
La strada maestra per rendere più solida una banca è destinare buona
parte degli utili a rafforzare il patrimonio e, in seconda battuta, provvedere
se necessario a una ricapitalizzazione, chiamando in causa gli azionisti.
L‟altra strada possibile, anche da affiancare alle precedenti iniziative, è
l‟emissione di CoCo bond da parte delle banche.
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Lo scopo di questa tesi è l‟analisi del contingent capital. Un titolo con
caratteristiche innovative di recente istituzione. Il lavoro approfondisce i
vari aspetti del titolo nell‟ambito degli strumenti di ricapitalizzazione delle
banche.
Il CC è uno strumento che le grandi società finanziarie potrebbero
emettere al fine di mantenere i loro coefficienti patrimoniali regolamentari
sopra i livelli minimi.
Il contingent capital potrebbe essere emesso come obbligazione di
debito, ma con conversione in azioni ordinarie se il coefficiente
patrimoniale dell‟emittente scende sotto alcuni valori critici prestabiliti.
Nel perseguimento di una struttura del capitale prudenziale, sono stati
proposti titoli di debito alternativi che consentano la conversione in azioni
nei periodi di difficoltà, quando la capitalizzazione della banca è bassa.
Questo tipo di protezione potrebbe limitare il problema del “too big to
fail”
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ovvero il principio per cui l‟autorità monetaria non consente di cadere
in stato di insolvenza, e di fallire, a una banca o ad altro intermediario
finanziariodi dimensioni tali da generare potenziali effetti sistemici
negativi. La conversione obbligatoria aumenta il buffer di capitale e
interiorizza le perdite all‟interno dell‟impresa.
Questa tesi esamina il dibattito sui meriti e i limiti del contingent capital,
analizzando le sue motivazioni economiche e il suo potenziale ruolo nella
prevenzione delle crisi.
Ci si è concentrati in particolar modo sui progetti che hanno riscosso
maggior successo, cercando di evidenziare le differenze fra le varie
proposte, i possibili utilizzi e gli effetti (positivi e negativi) che potrebbero
avere sulla struttura delle banche e sul mercato azionario e obbligazionario.
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Portes (2009)
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L‟attenzione si è poi concentrata sul trigger di conversione da debito in
capitale, che è forse il parametro più importante e controverso del
contingent capital, poiché la conversione obbligatoria si verifica quando il
prezzo delle azioni della banca è basso, ed è improbabile che sia
nell‟interesse degli investitori obbligazionari, poiché ovviamente essi
vorrebbero convertire in azioni quando la banca è ben capitalizzata.
La struttura, soprattutto il trigger di conversione, del contingent capital
non è specificato nella nuova normativa. Il Dodd-Frank Act
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richiede
esplicitamente uno studio della fattibilità, dei vantaggi e dei costi del
contingent capital per le società finanziarie non bancarie sotto la
supervisione del Consiglio Direttivo e delle holding bancarie. In particolare,
la legge prevede uno studio delle caratteristiche del contingent capital, che
dovrebbero essere richieste, e i potenziali standard prudenziali che devono
essere utilizzati per determinare se il contingent capital sarebbe stato
convertito in titoli azionari nei momenti di difficoltà finanziarie.
Con l‟introduzione della nuova normativa sull‟adeguatezza patrimoniale,
le banche attive a livello internazionale avranno l‟autorità per svalutare e/o
convertire gli strumenti tier 1 e tier 2 non comuni (debito e azioni
privilegiate), ma Basilea 3 lascia la definizione del trigger di conversione
all‟autorità di vigilanza bancaria nazionale.
Alla luce di questi sviluppi, è importante analizzare se il CC può essere
un valido strumento per garantire stabilità alle banche e ai mercati, in linea
con le aspettative dei responsabili politici e dei professionisti.
Il lavoro è articolato come segue. Il primo capitolo riassume l‟evoluzione
del regime prudenziale di Basilea evidenziandone il ruolo ricoperto,
avendo, la crisi finanziaria, fatto emergere alcune debolezze dell‟Accordo.
Il Comitato di Basilea, nelle sue recenti proposte di riforma (Basilea 3),
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United States Congress (2010).
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approvato da parte dell‟industria bancaria e finanziaria internazionale, si è
focalizzato sui principali punti di debolezza del sistema di adeguatezza
patrimoniale messi in risalto. Vengono quindi descritti sinteticamente i
principali problemi emersi dall‟attuale assetto di vigilanza prudenziale.
L‟organo direttivo del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, ha
annunciato un sostanziale rafforzamento dei requisiti patrimoniali esistenti
e ha approvato senza riserve gli accordi stipulati il 26 luglio 2010. Queste
riforme, insieme all‟introduzione di un parametro di liquidità globale, sono
fondamentali per la riforma finanziaria globale.
Vengono quindi presentati brevemente i nuovi requisiti patrimoniali. Tali
misure rafforzano la definizione di patrimonio più stringente concordata dai
governatori e dai supervisori a luglio 2011, nonché l‟innalzamento dei
requisiti patrimoniali per le attività di trading, derivati e cartolarizzazioni,
che saranno introdotte alla fine del 2011.
Il secondo capitolo introduce lo strumento e le condizioni per la
conversione del debito in capitale. Si esamina come il patrimonio netto
della banca sarà ripartito tra gli azionisti e gli obbligazionisti convertiti.
Vengono discusse alcune recenti proposte di contingent capital definendone
le caratteristiche di base, il funzionamento e il ruolo potenziale che
potrebbero avere nell‟ambito della prevenzione e della gestione delle crisi.
Infine vengono analizzate le varie proposte elaborate in letteratura
mettendole a confronto per evidenziare i differenti effetti che avrebbero sul
mercato.
Il terzo capitolo si concentra sugli aspetti operativi degli strumenti di
contingent capital, soprattutto i pro e i contro dei trigger che fanno scattare
la conversione, i tassi di conversione e gli effetti che avrebbe la conversione
sul prezzo delle azioni.
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Il quarto capitolo analizza gli aspetti normativi, in particolare come
potrebbe essere influenzato il rating e il pricing di questi strumenti. Viene
confronta il funzionamento dello strumento CC con altri strumenti di debito
ibridi e subordinati e l‟impatto che lo strumento CC avrebbe per le banche
sul mercato obbligazionario e in particolare sul mercato italiano.
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Capitolo 1
LA DEFINIZIONE DEL PATRIMONIO DI
VIGILANZA NELLA RECENTE NORMATIVA
FINANZIARIA
1.1. Il ruolo di Basilea 2 nella recente crisi finanziaria
Dalla metà del 2007 sino a oggi, in merito all‟efficacia delle regole
prudenziali di Basilea 2, si è alimentato un inevitabile dibattito sulle
possibili cause della crisi. Da una parte si è andata progressivamente
rafforzando la schiera di coloro – economisti, policy maker, operatori – che
vi attribuiscono la responsabilità di aver contribuito alla crisi finanziaria
originatasi nel settore dei mutui subprime negli Stati Uniti e, in seguito,
divenuta globale. Dall‟altra coloro i quali ritengono che Basilea 2 non ha
particolari responsabilità nella crisi e che sicuramente non ha giocato un
ruolo determinante
4
.
A dire il vero, sono tanti gli aspetti del sistema finanziario internazionale
che sono oggi sotto accusa, ma Basilea 2 risulta il bersaglio più menzionato
nonostante il fatto che il Nuovo Accordo sul Capitale proposto dal Comitato
di Basilea sia entrato in vigore solo nel 2008, a crisi già ampiamente
sviluppata. L‟adeguatezza della dotazione complessiva di capitale nei
sistemi bancari, il ruolo dei rating delle agenzie nelle norme prudenziali, il
grado di prociclicità dei meccanismi di calcolo dei requisiti minimi, la
valutazione al fair-value (ossia al valore di mercato, se esiste, o, in caso
contrario, al valore derivante dall‟applicazione di modelli statistici di
pricing) delle attività bancarie e sono solo alcuni dei temi oggi in
discussione.
4
Cannata, Quagliariello (2009).
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La recente crisi finanziaria internazionale ha chiaramente evidenziato
alcuni punti deboli che caratterizzano l‟attuale sistema di adeguatezza
patrimoniale. Essi sono peraltro esplicitamente riconosciuti dallo stesso
sistema normativo di Basilea, il quale li riassume in modo efficace in una
singola frase: «una delle ragioni principali per cui la crisi economica e
finanziaria è stata così grave è il fatto che il settore finanziario di molti
Paesi aveva una leva finanziaria eccessiva. Questo fu accompagnato da
una graduale diminuzione del livello e della qualità del capitale di base.
Allo stesso tempo, molte banche avevano un livello di liquidità troppo
basso. Il sistema bancario perciò non fu in grado di assorbire le perdite. La
crisi fu poi ampliata da un processo prociclico e dalla interconnessione
delle istituzioni finanziarie attraverso una serie di operazioni complesse»
(Comitato di Basilea 2009b).
Le principali imputazioni mosse a Basilea 2 in connessione con la crisi
finanziaria sono le seguenti:
1. il livello di capitale richiesto in media da Basilea 2 è insufficiente a
fronteggiare i rischi di perdita a cui sono sottoposte le banche.
Nonostante molte delle banche che hanno sofferto perdite ingenti durante
la crisi e/o sono state salvate da interventi governativi presentassero un
coefficiente patrimoniale, prima della crisi, largamente al di sopra del limite
imposto da Basilea
5
, la prima critica che viene mossa a Basilea 2 è l‟aver
contribuito a determinare un livello di capitale bancario insufficiente
rispetto alle esigenze emerse nel corso della crisi finanziaria. Inoltre la
maggioranza degli strumenti ibridi e innovativi, computati all‟interno del
patrimonio di vigilanza, si sono rivelati inefficaci quali strumenti per
assorbire le perdite subite dalle banche
6
. Lo schema di adeguatezza
patrimoniale introdotto con la nuova normativa sull‟adeguatezza
5
Ad esempio, il coefficiente patrimoniale di base (tier 1) dei grandi gruppi bancari a fine 2006,
poco prima della crisi, era in media pari all‟8%, ben al di sopra del minimo regolamentare del 4%.
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Colletti, (2009).
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patrimoniale consente alle banche di computare nel patrimonio di vigilanza
un‟ampia gamma di strumenti – ibridi e innovativi – i quali non posseggono
la stessa valenza, in termini di capacità di assorbimento delle perdite, delle
più tradizionali forme di patrimonio quali il capitale sociale versato e le
riserve di utile. Come mostrato da alcuni recenti lavori empirici, peraltro,
negli anni recenti numerose banche hanno conseguito un aumento del
proprio coefficiente patrimoniale in misura prevalente mediante l‟emissione
di strumenti ibridi e solo marginalmente con l‟aumento della componente di
patrimonio vero e proprio (core tier 1)
7
.
La spinta verso un ricorso crescente a strumenti ibridi di capitale è stata
motivata da diversi fattori: anzitutto, il desiderio di non diluire il controllo
inevitabilmente associato all‟emissione di titoli azionari tradizionali; in
secondo luogo, il vantaggio di natura fiscale associato a questi strumenti, i
quali si qualificano nella maggioranza dei casi come debito per le autorità
fiscali e presentano dunque un costo fiscalmente deducibile; infine, il
profilo di rischio-rendimento di alcuni di questi strumenti, che si presentava
come particolarmente gradito per alcune categorie di investitori
istituzionali, i quali non erano disponibili ad investire nel capitale di rischio
tradizionale delle banche.
A fronte di questi vantaggi, gli strumenti ibridi presentavano tuttavia
alcuni svantaggi che sono emersi in modo piuttosto evidente durante la crisi
recente. Seppure considerati strumenti di capitale dagli organi di vigilanza,
infatti, essi sono sempre stati percepiti dagli investitori come strumenti di
debito e tali sarebbero stati trattati dagli emittenti, ossia dalle banche. In
altri termini, nel mercato si è diffusa la convinzione che le banche emittenti
non avrebbero rinunciato, neppure in caso di difficoltà, a pagare gli interessi
e/o il capitale associati a questi strumenti. Come mostrato da una recente
7
Acharya, Gujral, Shin (2009).