certamente reso più problematici alcuni aspetti della fase
adolescenziale. La durata dell’infanzia ha subito un accorciamento: il
bambino, infatti, come dice Crepet, “non solo tende ad essere più
precoce dal punto di vista psicomotorio, ma porta a compimento
prima l’età del gioco così come si relaziona con gli altri in modo più
adulto sin dalla sua preadolescenza”. L’adolescenza subisce, nei suoi
tempi, una precocizzazione che non riesce, però, a corrispondere ad
una anticipazione del momento di passaggio alla vita adulta. Infatti il
contesto sociale, che tarda nel conferimento dei suoi ruoli
soprattutto per ragioni di ordine economico (precarietà lavorativa,
disoccupazione), ed il contesto familiare, oggi sempre più incline,
rispetto al passato, a trasmettere nei confronti dei suoi giovani il
“doppio messaggio”, di invito all’autonomia e al tempo stesso di
mantenimento della dipendenza dalle figure genitoriali, comportano
un prolungamento del tempo dell’adolescenza, che diviene, come la si
indica comunemente, “protratta” o “interminabile”.
Giovani trentenni si trovano così ancora a vivere nelle case dei
genitori, in una condizione di dipendenza affettiva oltre che, spesso,
materiale e a dover affrontare, dunque, problematiche tipicamente
adolescenziali che nella fase della vita in cui si trovano dovrebbero già
essere superate. “L’adolescenza, quindi,” dice Crepet “se da un lato
è portata ad anticipare il suo esordio, dall’altro è costretta a
prolungarsi in epoche della vita che certamente non le sono proprie.
Si realizza così un vuoto che ha dimensioni non solo esistenziali
quanto, soprattutto, di identità soggettiva”.
In un’ottica relazionale l’identità personale sorge dal processo
dell’esperienza e dell’attività sociale e dal significato emotivo che si
attribuisce al gruppo di cui si fa parte. Alla base della costruzione del
sé sta, quindi, per prima cosa una buona relazione familiare che
fornisca all’adolescente elementi di sostegno e di stimolo, che attivi
processi di comprensione degli eventi trasformandoli in esperienze e
che induca la ricerca, il ritrovamento e l’interiorizzazione del limite.
Oggi, si sta assistendo a delle modificazioni nell’interpretazione dei
ruoli genitoriali che stanno avendo significative ripercussioni nella
relazione con i figli.
Divenire genitori è evidentemente un’esperienza estremamente
complessa che conduce all’acquisizione di una nuova immagine di sé
nei rapporti con gli altri, ma anche con se stessi e che, quindi, modifica
profondamente sia il proprio ruolo sociale che il proprio sentimento di
identità. Si parla a questo proposito di “terza individuazione”, cioè
del continuo lavoro psicologico di adattamento e di maturazione che
si deve svolgere per giungere ad essere genitori “sufficientemente
buoni”, cioè in grado di avviare i propri figli sulla strada di una crescita
sana, di un distacco psicologico dalle figure genitoriali che consenta
di raggiungere una propria identità separata ed autonoma.
L’elemento di maggiore cambiamento ci sembra quello che
Gustavo Pietropolli Charmet individua come il passaggio dalla
“famiglia etica” alla “famiglia affettiva”. Tale passaggio sarebbe
principalmente dipeso da una parte dalla tendenza alla
“maternalizzazione” del padre e dall’altra da una nuova
interpretazione del ruolo materno, maggiormente orientato a favorire
lo sviluppo di capacità identificatorie da parte dei figli. “Gli attuali
adolescenti provengono da un’organizzazione familiare che sembra
aver collocato al centro dei propri interessi la costruzione di buone
relazioni fondate sulla prospettiva, da parte degli adulti, di farsi
obbedire per amore e non per paura”2. Secondo Gustavo
2
Pietropolli Charmet G. I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida. Milano:
Raffaello Cortina Editore; 2000.
Pietropolli Charmet il cambiamento più significativo nei modelli
educativi è stato la valorizzazione dell’identificazione reciproca che
consiste nel “premiare la capacità di capire le ragioni profonde
dell’altro, proporre come valore di riferimento l’attitudine a rispettare
le esperienze, il bisogno e il dolore dell’altro”3. Ciò è in netto
contrasto con i principi fondanti della “famiglia etica” in cui “l’invito
formulato dai genitori era di astenersi in modo perentorio dal trattare
in modo paritetico la vita affettiva”4. Oggi nella nuova famiglia,
“affettiva”, il messaggio educativo non è più quello di controllare i
propri bisogni e i propri desideri, non assecondandoli, ma è quello di
imparare a dare spazio al proprio mondo interno e a comunicarne i
movimenti emotivi ed affettivi.
Dalla famiglia tradizionale “normativa”, in cui il principio
d’autorità era rigidamente mantenuto dal padre e l’attenzione agli
affetti era di esclusiva competenza materna, si è passati ad una
struttura familiare in cui, come si è gia detto, si è profondamente
modificato il ruolo paterno. Il “nuovo” padre, utilizzando come modello
la competenza della propria compagna nella gestione del mondo
3
Ibidem.
4
Ibidem.
affettivo del loro figlio, è divenuto “affettivo”, incline, cioè, ad
ascoltare le esigenze reali del figlio, a sostenerne la crescita affettiva
e relazionale ed è, quindi, in grado di assolvere a tutte le funzioni del
“maternage”.
L’assetto familiare che consegue alla nuova declinazione della
paternità e della maternità5 comporta da un canto il superamento di
un’eccessiva asimmetria tra genitori e figli, ma dall’altro porta con sé il
rischio della perdita del “principio paterno”, cioè della funzione
normativa, di guida e di limite, punitiva e protettiva, che consente lo
sviluppo nel figlio della norma e della legge interiore. Oggi lo scontro
generazionale, spinta alla crescita che aiuta il giovane a diventare
adulto, si è fatto così molto meno intenso perché non c’è più una
figura autorevole e soprattutto autoritaria, portatrice delle regole, da
sfidare. Al tempo stesso per il figlio è venuta meno anche la
possibilità di identificarsi nella figura paterna nel momento in cui,
5
Accenniamo soltanto a quella che Silvia Vegetti Finzi e Anna Maria Battistin
chiamano “crisi di identità” dei genitori. “La giovinezza che sfugge e la vecchiaia che
avanza” (in Vegetti Finzi S, Battistin AM. L’età incerta. I nuovi adolescenti. Milano:
Arnoldo Mondatori Editore; 2000.) possono spingere i genitori quarantenni-
cinquantenni verso una “seconda giovinezza” con l’assunzione di impegni, interessi,
atteggiamenti, modalità relazionali più simili a quelle dei loro figli e tali da determinare una
confusione di ruoli nel rapporto genitori-figli.
proprio per il ruolo che ha via via assunto, sempre più “materno”, il
padre non riesce più a porsi come elemento di interruzione della
fusione madre-figlio. Adolfo Pazzagli riassume così gli aspetti
principali della funzione paterna: “In breve si può dire che il padre è
esterno alla coppia madre-bambino, ma tutt’altro che estraneo, anzi
ad essa necessario in quanto introduce il contatto con la realtà
esterna nel bambino, garantisce, con la sua presenza, spazi di
autonomia nella mente della madre, determina nel bambino una
relazione diversa, triangolare, con i suoi bisogni e con l’oggetto del
bisogno. In quest’area il padre stimola nel bambino, tramite
l’identificazione, lo sviluppo di capacità autonome nella ricerca
dell’oggetto, la capacità autonoma di percepire i diversi bisogni e di
ricercare oggetti diversi ed adeguati ai propri bisogni e desideri; il
padre favorisce quindi l’indipendenza sia per quanto riguarda la
percezione che la soddisfazione autonoma dei bisogni e desideri e,
nello stesso tempo, ha una funzione normativa, di guida e di limite di
realtà all’onnipotenza, senza essere solo frustrante in quanto ama ed
è amato dal figlio”6.
6
In Argentieri S: Il padre materno da San Giuseppe ai nuovi mammi. Roma: Meltemi
Il passaggio, consentito dalla presenza del padre, dalla
relazione duale simbiotica madre-bambino alla soluzione edipica, che
permette al figlio di affrontare i vissuti di separazione ed esclusione
rispetto all’accoppiamento dei genitori tra loro, è legato “ad un
continuo lavoro di rielaborazione libidico-emotiva”7 del figlio che
porta, infine, allo sviluppo dell’identità. Se l’uomo-padre è latitante
ed oggi, per le ragioni che abbiamo già detto, sembra che accada
sempre più spesso, i processi di identificazione ed introiezione per il
bambino divengono deficitari soprattutto quando, come sostiene
Fulvio Tagliagambe, vi è una madre che si è relazionata
difensivamente, proponendo il controllo su tutti i movimenti interni del
figlio. Tale meccanismo di difesa, la cui messa in atto è facilitata,
come abbiamo detto, dalla “assenza” del compagno come “colui che
promuove il conflitto e la crescita, fulcro del “complesso edipico”
maschile e femminile, depositario della parola e della legge”8, è
correlato ad una carenza nella madre della capacità di rielaborazione
editore; 1999.
7
Tagliagambe F. La nuova organizzazione del disagio giovanile. Gli Argonauti 2000; 87:
309-328.
8
Argentieri S: Il padre materno da San Giuseppe ai nuovi mammi. Roma: Meltemi
editore; 1999.
e restituzione di quanto accade nel mondo interno del bambino. “La
madre tende ad ingabbiare i livelli emozionali e pulsionali in quanto
non le è possibile sostenere ciò che preferisce essere altro da lei
stessa. Il bambino diventa deanimato, un oggetto che viene riempito e
addestrato nel movimento, nella percezione, nelle sue forme di
pensiero, secondo il desiderio materno”9.
Verrà così impedita, come accennato, “la conquista
dell’universo edipico”10, cioè di “un’adeguata integrazione fra norme
interiorizzate e capacità di autonomia che apre uno spazio psichico di
libertà e di autentica (relativa) indipendenza”11. Si delineerà, allora,
un’area borderline come la intende Agostino Racalbuto, cioè un’area
“ai margini dello psichismo” dove “la psiche (e il suo “lavoro” che tende
alla rappresentazione) è costretta a fare i conti con l’irrapresentabile
enigma di un inconscio, pulsionale e non, per nulla addomesticabile e
comprensibile”12. Emergerà, quindi, la problematica narcisistica in cui
prevale “l’indifferenziazione e la dipendenza dall’oggetto esterno
9
Tagliagambe F. La nuova organizzazione del disagio giovanile. Gli Argonauti 2000; 87:
309-328.
10
Racalbuto A. Vivendo lungo il “border”. Rivista di Psicoanalisi 2001; XLVII, 1: 29-49..
11
Ibidem.
12
Ibidem.
concreto, congiunta al possesso di tale oggetto”13. Le manifestazioni
del disagio non riguarderanno più l’ambito nevrotico, edipico, cioè
della relazione a tre con la madre e il padre, ma si sposteranno ad una
fase più precoce dello sviluppo, dove è dominante il legame a due con
la madre, che dà origine ad una “carenza di formazione di soggetto”14
e, quindi, ad un profondo senso di vuoto esistenziale, di
inadeguatezza e di inutilità. Per compensare tali sentimenti, legati
dunque ad un difetto dell’Io, è necessario assumere posizioni
difensive che costringano ad un ritiro dagli investimenti e, in
mancanza di un reale accesso al livello emotivo profondo, alla
produzione di risposte adattative solo apparentemente adeguate alle
situazioni contingenti. Il fallimento dei normali processi di
identificazione e il conseguente blocco dei meccanismi di introiezione
(con la mancanza, che ne deriva, di rappresentazione emotiva e
costanza d’oggetto) porta al prevalere come modalità d’adattamento,
dell’identificazione imitativa. Da un lato in risposta alla paura di
perdere l’oggetto e dall’altra alla ricerca di gratificazioni narcisistiche
si sceglie, temporaneamente o permanentemente, l’adeguamento alle
13
Ibidem
14
Ibidem.
aspettative, alle motivazioni e alle pressioni del mondo esterno
lasciando emergere un assetto personologico assimilabile al concetto
di personalità come se (as if personality) di Helen Deutsch, di sé
artificiale o falso Sé (pseudoself) di D. W. Winnicott, di personalità
pseudonormale di Jean Bergeret.
Nella sua ottica “strutturalistica” Bergeret afferma che “le
personalità pseudonormali non sono strutturate né in senso
nevrotico, né in senso psicotico; esse si costituiscono, in modo a volte
abbastanza duraturo anche se sempre precario, secondo
accomodamenti diversi, non molto originali, che costringono questi
soggetti, per non scompensarsi nella depressione, a “giocare a fare i
normali”, e spesso più gli “ipernormali” che gli originali”15. Bergeret
parla, quindi, di “normalità patologica” in cui predomina una relazione
d’oggetto di tipo principalmente anaclitico16 che evita il pericolo più
15
Bergeret J: La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il carattere, i
sintomi. Milano: Raffaello Cortina Editore; 1984.
16
Il termine greco ανακλιτος significa rovesciato all’indietro, supino, in modo
essenzialmente passivo. Nella relazione analitica “è necessario appoggiarsi
sull’interlocutore, sia ponendosi in una situazione di attesa passiva e mendicando
gratificazioni, sia manipolando in modo molto più aggressivo questo partner
indispensabile” (Bergeret J. La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il
carattere, i sintomi. Milano: Raffaello Cortina Editore; 1984).
grosso rappresentato dalla depressione17.
Nel 1965 al panel organizzato a New York dall’American
Psychoanalytic Association, durante il quale Helen Deutsch espose
il suo concetto di carattere “come se”, Ralph Greenson espresse una
posizione che ci appare in linea con tutto quello che abbiamo detto
finora. Sulla scia dell’invito formulato al panel da Hellen Tartakoff a
spostare l’attenzione, nella definizione del carattere “come se”, sui
fattori relazionali (correlati alla costituzione psicologica dei genitori e
all’organizzazione della società), Greenson avanzò l’ipotesi che uno
dei motivi della predominanza dei caratteri “come se” risiede nel fatto
che molti genitori agiscono solo “come se” fossero i veri genitori.
Inoltre il conformismo così diffuso incrementerebbe il numero dei
caratteri “come se” a scapito di una vera individualità.
Lo smarrimento dei genitori e la perdita di una società
credibile, orientata sempre di più verso il superamento del limite,
creano il presupposto per la ricerca di modelli non personali, ma
stereotipati, espressione dell’assenza di progetti e tendenza
17
Bergeret sottolinea che non si tratta di una depressione di tipo melanconico perché il
lutto rimane impossibile dato che, in questa “organizzazione”, l’oggetto non può ancora
trovarsi introiettato.
all’evitamento delle responsabilità, tentativo di totale omologazione
all’esterno.
La droga, con il suo “addormentare” il mondo psichico ed il suo
ricomporre i frammenti di un Io fragile e incapace di elaborare in modo
significativo le esperienze, si può allora fare garante di un buon
funzionamento “come se”. In particolare, il ricorso alla cocaina e
all’ecstasy e gli stati sensoriali eccitatori che queste sostanze
determinano divengono elemento favorente una integrazione
ipomaniacale al sistema. Per i giovani che assumono ecstasy ha più
valore l’apparire che l’essere. Emerge con chiarezza l’aspetto
posticcio del sé e la difficoltà ad una relazione autentica.
“Dall’esperienza di “vuoto” esistenziale, che non è se non un franare
nel gorgo del nonsenso e del venire meno di un’autentica realizzazione
personale, si cerca di uscire e di rifugiarsi in un mondo di labili e
volubili apparenze”18.
Concludiamo ancora con le parole di Eugenio Borgna, che ci
sembrano riassumere al meglio tutto ciò che è stato detto finora: “I
meccanismi di imitazione, di compensazione (di inquietudini e di ansie
18
Borgna E: Noi siamo un colloquio. Milano: Feltrinelli; 1999.
interiori: che si arroventano nella loro intensità sconfinando in
angosce inarrestabili), di immedesimazione nei modi di essere altrui, di
riempimento di esperienze di vuoto interiore, di (ingenua)
sperimentazione si alleano a frustrazioni esistenziali, a esperienze di
dolore, a solitudini laceranti e insostenibili, a timidezze esasperate
dalle incomprensioni, a comunicazioni familiari precarie e inadeguate;
e ne nascono allora condizioni psicologiche e umane che fanno
precipitare l’esistenza adolescenziale nel vortice delle fantasmagorie
allucinatorie (visive e uditive: come quelle emblematiche di esperienze
con dietilamide dell’acido lisergico), delle esperienze di dilatazione
(effimera) della coscienza del reale (della coscienza del tempo e dello
spazio), delle esperienze di ebbrezza (di condizioni di metamorfosi
estatica della vita interiore)”19.
19
Ibidem.