La sua mi è sembrata un’arte acuta, colorata, sentimentale ed ingenua
nell’espressione, non nei contenuti; un ponte legato alla tradizione e inserito
nelle avanguardie mondiali.
Passato e presente, storia ed arte in lui hanno camminato all’unisono, alla
ricerca di un punto di contatto tra l’antico e il nuovo.
Il suo ritorno alle origini ha rappresentato la riappropriazione di un’identità
collettiva che, anche grazie all’arte, ha ridato valore al popolo messicano e ha
legittimato le sue istanze di cambiamento culturale e socio-politico.
Arrivando in Messico, colpiscono volti e fisionomie che sembrano riportare al
passato; abitudini, feste, riti che ripetono situazioni tradizionali ma ancora
vive in una contemporaneità che, comunque, segue l’andamento della nostra
epoca.
Mirabili siti archeologici, testimonianze delle antichissime civiltà, aiutano a
comprendere origini e svolgimento di un’antica e complessa storia.
Tutto ciò racconta un passato lontano ancora forte e vivo, a dispetto di una
colonizzazione plurisecolare, influente per la popolazione messicana, per il
corso della sua storia ma non capace di distruggerne l’essenza, la
“mexicanidad”.
Segni di coesistenza di antico e nuovo, di passato e presente sono ovunque
in Messico, ma appaiono ripresi ed esaltati nelle opere dei muralisti.
Opere d’arte straordinarie, ispirate ad una ideologia di riscatto nazionale,
diventate quasi rappresentazione didascalica e occasione di recupero di
un’identità collettiva.
Tra l’800 e il ’900, i profondi cambiamenti politici, l’idea di “rifondazione”
sociale, il fervore di scavi archeologici, i grandiosi murales hanno portato alla
luce in Messico istanze tese al recupero del passato e alla ricerca di una
propria identità che in qualche modo sostituisse la dipendenza culturale
dall’Europa.
Le opere dei muralisti recuperano una realtà passata con tracce ancora forti
nella società messicana, illustrano ed esaltano con affreschi emblematici,
origini, memoria, svolgimento, essenza della storia del Messico.
Rivera, sopra tutti, le sue opere ed in particolare il lavoro nel Palazzo
Nazionale di Città del Messico appaiono quasi un disvelamento, una potente
rappresentazione e sintesi di cultura e tradizioni antichissime.
Gli affreschi del Palazzo Nazionale sono opera forte e poderosa, espressione
d’idee e linguaggio d’avanguardia di un messicano colto ed evoluto, figlio del
suo tempo. Un grande artista che ha saputo mirabilmente rappresentare un
passato tragico, importante, raffigurandolo in forme apparentemente semplici,
ma ricche di contenuti emblematici di rinascita.
Il “realismo” di Rivera è veramente “sociale”, perché sentito, sofferto e trae
origine dal suo vissuto e da quello del suo popolo.
L’artista rappresenta il passato, lo usa, lo esalta ne fa storia e memoria per
popolazioni che, proprio attraverso la memoria, riescono a cercare e, forse, a
trovare slancio e forza per un riscatto e un cambiamento.
La sua opera è recupero e continuità; continuità che diventa presente,
prospetta futuro e illustra il percorso personale di un’artista e la storia
collettiva di un popolo.
Capitolo Primo
PROFILO STORICO DEL MESSICO DAL 1857 AL 1935
INTRODUZIONE
Il Messico contemporaneo è il prodotto di tre vicende rivoluzionarie: la
Rivoluzione dell’Indipendenza (1810-1821), la Rivoluzione della Riforma
(1854-1867) e la Rivoluzione Messicana (iniziata nel 1910).
La prima ha emancipato il Paese dal dominio coloniale spagnolo; la seconda
ha proclamato la libertà di coscienza e la laicità dello Stato; la terza ha messo
in moto un processo rigeneratore, per la conquista della democrazia: tre
pilastri di un medesimo edificio, eretto ad individuare le caratteristiche della
“mexicanidad”.
La costruzione di questo sistema è costata sangue e sofferenza, ma ha
anche messo in luce l’eroismo di tutto un popolo, appassionato artefice del
proprio destino.
Le tappe fondamentali dell’evoluzione messicana hanno un comune
denominatore: il Piano Politico.
Tre sono i Piani Politici fondamentali per lo sviluppo della democrazia: il
Piano di Iguala, con Agustín Iturbide 1 proclamò il 24 febbraio 1821
l’indipendenza del Messico; il Piano di Ayutla, del 1°marzo 1854 che scatenò
l’insurrezione contro il dittatore Santa Anna e schiuse la via della Reforma; e
il Piano di San Luis Potosi, lanciato il 5 ottobre 1910 da Francisco Indalecio
Madero per far esplodere la Rivoluzione antiporfirista.
Attraverso la Rivoluzione, il messicano si è voluto riconciliare con la propria
origine e riconquistare così se stesso e il suo passato.
La fine di Santa Anna e l’avvento di Benito Juárez
Nell’agosto del 1847 i nordamericani penetrarono in Messico, conquistarono
e saccheggiarono la capitale, occuparono Puebla e, nello Yucatán,
spogliarono gli indios maya di parte delle loro terre.
Il presidente messicano, Lucas Alamán, attraverso un foglio filomonarchico, “
El Universal”, chiedeva il ritorno all’era dei re e del clero; nel 1853 ritornò al
potere assieme ai conservatori e concepì l’idea di riconvocare Antonio López
de Santa Anna 2 dall’esilio, perché pareva fosse l’unico uomo forte
abbastanza da raccogliere i messicani intorno ai propri compiti e l’unico in
grado di rinnovare una situazione così catastrofica.
Il 20 aprile 1853, Santa Anna venne trionfalmente accolto nella capitale e
iniziò una politica d'aperto appoggio ai gruppi conservatori che lo avevano
riportato al potere. Dopo la morte di Alamán, avvenuta lo stesso anno, egli
riacquistò il completo potere, favorì di nuovo un malgoverno, vendette
118.000 km 2 di territorio agli Stati Uniti aumentando ulteriormente la sua
fortuna personale e i suoi eccessi.
Il generale accecato dal benessere e dalla sua posizione, apparentemente
sicura, non vedeva gli intrighi che si ordivano intorno a lui. Venne di nuovo
deposto il 16 agosto del 1855 e costretto alla fuga per un definitivo esilio.
Una figura di singolare rilievo allora fece il suo ingresso sulla scena politica
messicana: Benito Juárez 3 (Tav.1).
Il periodo di Juárez, (1855-1876), è comunemente conosciuto come quello
della Reforma che iniziò nel 1854; il personaggio di spicco e oraganizzatore
fu Juan Alvarez, caudillo indiano analfabeta, portavoce militare dei liberali
isolati uniti dall’odio verso Santa Anna; le loro richieste erano: nuovi
governanti, nuovo governo e nuova costituzione.
La loro prima dichiarazione di guerra contro Santa Anna fu il Plan de Ayutla
stilato nel marzo del 1854, in cui si sollecitava l’eliminazione definitiva del
dittatore e l’immediata convocazione di un congresso per stendere la nuova
Costituzione.
Juan Alvarez e i liberali occuparono la capitale nel novembre del 1855 e
venne formato un Governo provvisorio, Alvarez venne nominato Presidente e
Juárez Ministro della Giustizia; essi emisero subito un editto, la Ley Juárez,
che limitava il potere dei tribunali militari ed ecclesiastici.
Nel 1856 furono enunciate nuove misure anticlericali, fra cui la soppressione
dell’ ordine dei Gesuiti.
Un altro editto, la Ley Lerdo, stilata da Miguel Lerdo de Tejada, andò a
gravare ancor più la posizione della Chiesa, imponendo alla Chiesa stessa e
a tutti i suoi Ordini di abbandonare le terre non destinate ai fini religiosi, le
quali sarebbero state vendute con facilitazioni di pagamento a nuovi
proprietari.
La legge era diretta contro la Chiesa, la quale dall’inizio del secolo XVIII fino
alla metà del XIX era diventata proprietaria e detentrice di circa la metà delle
terre in uso. Le grandi fattorie del clero arricchivano sempre più i benestanti e
impoverivano in maniera considerevole i braccianti; in più non davano un
giusto impulso all’incremento della produzione.
Il fine delle nuove leggi era tra l’altro quello di risanare il Tesoro dello Stato,
ma purtroppo il progetto fallì cosicchè le terre vennero acquistate da chi
possedeva già grandi proprietà o da terzi che desideravano sistemarsi come
hacendados Le leggi, fatte per agevolare il potere d’acquisto dei contadini, li
costrinsero invece a spostarsi da uno all’altro padrone: dai sovrintendenti
clericali ai nuovi signori secolari.
La Chiesa, perdute le proprietà terriere, accumulò una cospicua riserva di
denaro, con cui continuò ad esercitare il ruolo di principale banchiere del
paese.
La nuova Costituzione del 1857 fu stesa da un congresso dominato dai
liberali dell’ala più moderata e sollevò dispute rumorose, a partire dalla
Chiesa che lanciò la scomunica contro tutti quelli che giurarono fedeltà ad
essa.
Gli ufficiali dell’esercito la denunciarono come un affronto all’autorità militare,
mentre i liberali la considerarono troppo mite; in realtà questi ultimi, avevano
confuso l’anticlericalismo con il progressismo, ed erano oltremodo
consapevoli della necessità di fondamentali riforme sociali ed economiche. Il
loro primo passo fu quello di varare una riforma agraria attraverso la
costituzione di un corpo di piccoli possidenti, di ceto medio; fallirono però
miseramente facendo si che la situazione si aggravasse ulteriormente.
Le vaste haciendas 5 crebbero di numero e proporzioni, mentre le terre
ejidales dei villaggi indiani vennero annesse dai loro potenti vicini.
I liberali al potere infine riuscirono ad aumentare solo il numero dei
senzaterra e non capirono che più di una riforma politica era necessaria una
riforma economica.
Le elezioni del 1857 confermarono Comonfort 7 alla Presidenza e
nominarono Benito Juárez vicepresidente.
Dopo due settimane il generale Félix Zuloaga, in rappresentanza
dell’esercito, emanava un pronunciamento conservatore contro la
Costituzione e ordinava a Comonfort di adoperarsi per varare un codice più
accettabile.
Comonfort, incapace di realizzare riforme nel 1858 scappò lasciando la
capitale sotto il controllo di Zuloaga che assunse i poteri presidenziali.
Settanta deputati liberali, riunitesi in un Congresso scissionista nel Querétaro,
proclamarono Benito Juárez presidente della nazione.
Benito Juárez era nato il 21 marzo 1806 nel villaggio di San Pablo Guelatao
vicino a Oaxaca, la sua famiglia viveva del proprio minuscolo appezzamento
di terra coltivata a cereali, con poche pecore e poco pollame.
Liberale, difensore della Repubblica, della Costituzione e della libertà della
nazione, considerava gli incarichi pubblici come un compito sacro, abbracciò
e servì per tutta la vita la causa dei più poveri, in difesa anche delle sue
origini.
Rilevò il Tesoro dello Stato vuoto, e lo lasciò dopo cinque anni con un attivo
di 50.000 pesos.
Introdusse nuova energia e onestà nella pubblica amministrazione e fece di
tutto per scoraggiare la richiesta di lavoro a carico della spesa pubblica.
Nel 1867 fece approvare una legge che cercava di organizzare la diffusione
dell’insegnamento pubblico elementare, per estendere l’istruzione popolare.
Aprì perfino le scuole alle donne, in cui egli vedeva “il fertile seme della
rigenerazione sociale” .
Incominciò così una lenta opera di trasformazione sociale, destinata a
migliorare il paese. Benito Juárez combatté con grinta per rivendicare i torti
fatti agli indiani, non arrivò purtroppo a niente visto che la sua lotta non
conteneva un programma per migliorare tecnicamente l’agricoltura e la
ricerca mineraria.
Il suo spirito conciliatore lo portò a trattare con la Chiesa e trovò sacerdoti
pronti a cooperare per il bene del popolo.
Portò a termine il suo incarico come uno fra i migliori governatori degli stati
messicani; infine morì nel 1872.
Tra il 1858-1860 il Messico si trovava di fronte a due presidenti e ad una
guerra civile che durerà per tre anni.
Félix Zuloaga verrà in breve soppiantato da Miguel Miramón, il quale,
spalleggiato dalla chiesa, dall’esercito regolare e dalla borghesia più
facoltosa ebbe la meglio, mentre Juárez governò irregolarmente negli stati
circostanti con pochi fidi aiutanti e fedeli.
Da questa situazione seguì la guerra civile in cui i conservatori, i cui alleati
erano la Chiesa e i grandi proprietari terrieri, vinsero le prime battaglie. I
liberali, però grazie all’appoggio delle grandi masse, riuscirono in seguito a
prevaricarli.
Alleati dei conservatori erano la Chiesa e i grandi proprietari terrieri che
aprirono le loro casse per finanziare la battaglia .
La difficile contingenza incitò e affrettò la promulgazione delle leggi della
riforma, varata nel 1859, che imponevano l'immediata confisca di tutta la
proprietà ecclesiastica, ad eccezione dei templi usati per il culto, la
soppressione dei monasteri, la nazionalizzazione dei cimiteri e la
laicizzazione del matrimonio.
La riforma servì a separare ideologicamente i conservatori dai liberali. I primi,
spiazzati di fronte a queste promulgazioni e impotenti di fronte alla massa,
s’avvalsero dell’aiuto delle Monarchie europee; i liberali invece ebbero
sostegno degli Stati Uniti.
Juárez riprese il governo nel 1860, sensibilmente preoccupato dalla minaccia
dell’intervento europeo e dal deficit del Tesoro Messicano. In questo speciale
momento di crisi l’intervento di Francia, Inghilterra e Spagna non si fece
attendere, aggravato anche dall’ordine di Juárez del 1861 di sospendere ogni
pagamento concernente il debito pubblico.
Nel 1863 i Francesi riuscirono ad entrare trionfalmente in Città del Messico e,
costringendo Juárez ad abbandonare la capitale, egli creò il nuovo quartier
generale ai confini con il Texas, da dove non perse mai di vista la situazione
e da dove lancerà i suoi sporadici ma violenti attacchi alla monarchia che gli
successe.
Il regno messicano venne donato da Napoleone III, al quale piacque la
prospettiva di riconquistare un impero coloniale americano, all’Imperatore
Massimiliano d’Austria, fratello minore dell’Imperatore Francesco Giuseppe 9
, e all’Imperatrice Carlotta nel 1864.
Nel gennaio 1865 Massimiliano confermò le leggi della Reforma schierandosi
dalla parte liberale.
Juárez non ne fu addolcito ma mosse le truppe liberali contro quelle
dell’Impero; riuscì a far fucilare Massimiliano e, rientrato nella capitale, chiese
nuove elezioni venendo così rieletto Presidente degli Stati Messicani.
Si prepararono intanto le elezioni del 1871, tre erano i candidati per la
presidenza: Benito Juárez, Sebastian Lerdo de Tejade e Porfirio Díaz.
Vinse Juárez ma la carica durò pochi mesi perché egli morì il 18 luglio 1872.
Venne immediatamente sostituito per quattro anni da Sebastian Lerdo de
Tejade, ma nel novembre del 1876 Porfirio Díaz, proclamando la nuova era
del “Suffragio effettivo senza rielezione”, entrò a Città del Messico con il suo
esercito di ribelli. Iniziava così l’era di Porfirio Díaz mentre finiva l’era di
Juárez e della Reforma.