2
del 1989-1991 e hanno resistito in modi e forme diversi e
contraddittori, non omologabili in un unico blocco, da Cuba alla
Cina - è in gran parte ignorata, pochissimo studiata nei suoi
svolgimenti reali e, soprattutto, l’interesse a studiarla e conoscerla
da parte di chi agita oggi la bandiera di un “nuovo mondo
possibile” è scarsissimo, se non nullo. Queste esperienze sono ora
ripudiate e condannate ad una damnatio memoriae. Con ciò non
s’intende dire che non continuino studi seri e documentati, anche
sulla scorta del nuovo materiale d’archivio disponibile dopo il
1991, ma che non c’è allo stato attuale nessun organico studio su
quelle esperienze da parte di chi si ritiene, a torto o a ragione,
portatore di progetti e lotte per un radicale cambiamento sociale
(che non si vuole o non si osa più chiamare coi nomi di socialismo
e comunismo), rappresentante e voce degli sfruttati e oppressi, di
cui proclama la volontà di emancipazione. Insomma, di chi si
richiama in qualche modo agli ideali e al nome del comunismo.
Ci troviamo ancora nello stadio in cui vengono proposte le più
svariate spiegazioni, ma in realtà poco viene fatto per verificare
queste teorie. Secondo una di queste versioni il sistema economico
sovietico non ha mai funzionato e quindi la sua fine non ha come
spiegazione che la scomparsa di un miraggio
2
. Una teoria
alternativa ha attribuito il logorio dell’economia sovietica nelle sue
ultime tre decadi, dopo un’iniziale fase di vitalità, a diversi fattori
come l’esaurimento delle risorse naturali, uno sfavorevole sviluppo
demografico, l’introduzione dei computer o ad altri eventi
egualmente inevitabili
3
. C’è inoltre chi tende a supporre che sia
2
A. Schlesinger Jr., “Who really won the cold war”, The Wall Street Journal,
14/09/1992.
3
F. Holzman, “Inefficient soviet economy halted cold war” The New York Times,
22/11/1992.
3
stata la classe dirigente sovietica a distruggere intenzionalmente
l’Urss con lo scopo di appropriarsi del patrimonio economico di un
sistema a proprietà statale. Infine possiamo trovare anche versioni
che focalizzano l’attenzione sulle conseguenze non volute delle
azioni governative e sulla centralità di fattori non economici; la
classe politica dirigente nel tentativo di dare nuovo slancio
all’economia non fece altro che danneggiare i pilastri ideologici e
politici portando al crollo l’intero sistema, economia compresa
4
.
L’ultimo decennio della storia dell’Urss è stato caratterizzato da
tentativi di cambiamenti per uscire dal lungo periodo di
stagnazione dell’era Breznev; il primo tentativo di riforma fu
abbozzato, forse intuito, da Andropov che nel 1982 succedette al
vecchio leader. Capo del KGB dal 1967, il nuovo leader conosceva
meglio di tutti i problemi strutturali dell’economia del gigante
sovietico e nello stesso tempo aveva in mano i dossier di tutti i
giovani dirigenti più promettenti del Partito. Prima di ammalarsi di
un male che il potere del silenzio sovietico rendeva
impronunciabile, Andropov chiamò a Mosca questi giovani
bolscevichi e ancora dalla stanza della sua clinica creò un network
del tutto irrituale, mettendo in contatto tra loro Gorbaciov,
Ligaciov e uomini che sarebbero poi rimasti affondati
nell’apparato di periferia. Tra loro, protetti dal Segretario
Generale, cresceva sottovoce l’eresia più ortodossa: il comunismo
doveva cambiare, per restare se stesso
5
. Non esiste una teoria
politica, un pensiero, a guidare una stagione che pure metterà fuori
gioco la cremlinologia cambiando involontariamente la storia
d’Europa e liberando la geografia dell’Urss, fino a travolgere la
4
M.Elmann-V.Kontorovich, The destruction of the soviet economic system, London,
M.E.Sharpe, 1998, p. 4.
5
La Repubblica, 25/02/2005, p. 47.
4
stessa “natura” sovietica, immobile e intatta per settant’anni,
costruita com’era col ferro e col fuoco per durare per sempre.
Gorbaciov non ha un ceto di riferimento, né una leva sociale a
disposizione, né una cultura di ricambio. Si muove interamente
dentro l’orizzonte del comunismo tentando un’opera di
manutenzione straordinaria, senza sapere dov’è la sponda verso la
quale si dirige a zigzag, mentre dietro di lui la vecchia sponda
brucia. La sponda evidentemente sarebbe diventata visibile solo
pronunciando la parola definitiva della fuoriuscita dal comunismo:
democrazia. Ma tutto il “gorbaciovismo” sta al di qua di
quell’approdo, che non riesce a concepire. Tutta l’idea forza del
leader è imprigionata nel fascino a sovranità limitata di due
concetti intermedi, di due parole a metà: perestrojka invece di
democrazia, glasnost invece di verità. Il comunismo sovietico ferma
qui il suo alfabeto leninista, non riesce nemmeno nella fase di
massima torsione ad andare oltre se stesso.
Il “gorbaciovismo” dopo una favorevole fase iniziale si apre in
due. All’estero acquista credito con Thatcher prima, con Kohl e
infine con Reagan. In patria è imprigionato nei rapporti di forza
dentro il Politburo dove uomini come Ligaciov a nome di tutto
l’apparato bolscevico, cominciano a ostacolare il cammino di
Gorbaciov sulla strada delle riforme. Gorbaciov risponde con la
sola formula in cui crede: la riforma; il cambiamento che è l’unico
orizzonte possibile per il comunismo di fine secolo. Questa è la
frontiera politico – culturale oltre la quale l’uomo della perestrojka
non riesce a spingersi, perché rappresenta la curva estrema della
sua formazione e anche della deformazione possibile del sistema,
ricevuto da Gorbaciov in custodia dal Comitato Centrale perché ne
fosse il difensore supremo. La sua difficoltà gli rallenta il passo,
l’opposizione del Partito imprigiona le riforme, l’incertezza
5
culturale annebbia il percorso, la contraddizione per cui il capo del
PCUS deve diventare il distruttore della sua onnipotenza diventa
paralisi. Le assemblee con i primi candidati liberi diventano un
processo agli uomini di Partito, la riforma economica inceppa il
vecchio meccanismo di approvvigionamento minimo senza
sostituirlo con uno nuovo. Ma intanto le maglie di ferro del
sovietismo stremato si stanno allargando: dal Baltico, dove un
milione di persone scende in piazza a Vilnius (Lituania) per
chiedere l’indipendenza dall’Urss, arriva l’anticipazione della fine
dell’Impero; a Mosca, sfidando il PCUS, Eltsin si fa eleggere
presidente della Russia. Il golpe di agosto, nel ’91, è una reazione
tardiva e automatica del Partito allo svuotamento del potere e alla
perdita del controllo sul Paese dopo sei anni di perestrojka. I
golpisti credevano di bloccare la perestrojka, mentre mettevano in
scena l’autodistruzione del bolscevismo, settant’anni dopo.
Il crollo e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica negli
anni 1989-91 hanno costituito un avvenimento fondamentale, che
ha mutato i rapporti di forza in modo decisivo su scala mondiale
6
.
L’intera costruzione dei rapporti internazionali creatasi a partire
dal 1945 è stata distrutta, con la dissoluzione del Patto di Varsavia,
la rapida espansione del capitalismo e dell’imperialismo nei paesi
dell’Europa orientale, la frantumazione dell’Urss, l’emergere
dell’imperialismo Usa come unica superpotenza su scala mondiale.
6
A. Catone, “I comunisti e la storia delle rivoluzioni socialiste del ’900. Una questione
da archiviare?”, Marxismo Oggi, n. 2, 2004.
6
Capitolo 1
La perestrojka
7
I.1 L’URSS ALLA MORTE DI BREZNEV: IL RISTAGNO
DELL’ECONOMIA
Alla fine del 1982, l’Unione Sovietica era un colosso dai piedi
d’argilla che presentava il doppio volto di una grande potenza
mondiale e di un paese economicamente arretrato. Si trattava di un
paese dotato di una considerevole forza militare, partner e, insieme,
avversario degli Stati Uniti nel mondo bipolare ereditato dalla
seconda guerra mondiale e la cui influenza si estendeva su tutti i
continenti e su tutti i mari del globo. Tuttavia, la sua economia era
inefficace, era incapace di valorizzare le enormi potenzialità interne
in fatto di risorse naturali e di mercato, e la società era bloccata: le
condizioni e i livelli di vita non erano degni di una grande potenza
industriale.
Una gestione ipercentralizzata e burocratica
L’economia sovietica rimaneva inchiodata al modello stalinista di
organizzazione fondato sull’onnipresenza e sull’onnipotenza del
Partito comunista e sulla subordinazione delle imprese alle direttive
del Gosplan
7
e dei ministeri, sacrificando, così, la competenza e
l’efficacia economiche all’ideologia sulla quale si fondava il potere
dell’apparato e della nomenclatura
8
. Un sistema rigido, dal
momento che non esisteva alcun meccanismo regolatore che
avrebbe permesso l’aggiustamento dei piani in corso di esecuzione,
e inadatto alle esigenze di un’economia potente e diversificata.
Il Gosplan pianificava all’incirca 6 mila gruppi di prodotti
7
Gosplan: commissione statale per la pianificazione, G. Boffa, Storia dell’Unione
Sovietica, Trento, Mondadori, 1979.
8
Nomenclatura: consiste in una lista regolarmente ampliata e aggiornata, di tutti gli
incarichi di rilievo che vengono assegnati esclusivamente dall’apparato del partito. P.
Ostellino, Gorbaciov e i suoi fratelli, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 43.
8
suddividendoli in base a indicatori fisici (tonnellate, metri lineari,
metri quadrati, metri cubi, Kwh, ecc.) attraverso il metodo delle
materie bilanciate. I ministeri a loro volta elaboravano i dettagli di
questi piani per 40/50 mila prodotti. Il Gossnab, suddividendo la
produzione delle imprese fra i loro clienti, attribuiva dei buoni per 1
milione di articoli. Le carenze di un simile sistema erano molteplici
sia a monte che a valle delle imprese. A monte, la centralizzazione
dei rifornimenti di materie prime e di beni strumentali determinava
una grande irregolarità nelle consegne, notevoli perdite di tempo e
l’allungamento delle scadenze per l’attivazione di nuove capacità di
produzione o il mancato compimento di alcuni progetti che
determinava anche lo sperpero di importanti investimenti, ed è
proprio questo fenomeno che l’accademico Kossyguine denunciava
quando parlava di “immobilizzo delle infrastrutture
9
”. A valle, un
terzo dei contratti sottoscritti dalle imprese non venivano onorati e i
prodotti fabbricati erano spesso di cattiva qualità e invendibili.
La priorità agli armamenti e il ritardo tecnologico
Gli imperativi di difesa del paese, la lotta per la supremazia militare
con gli Stati Uniti, la volontà di conservare (attraverso interventi
armati nelle democrazie popolari), o di estendere ( con l’invasione
dell’Afghanistan) l’impero sul quale si esercitava la dominazione
dell’Urss, spiegano l’entità delle spese militari.
Difficili da quantificare, le spese reali dovrebbero essere state pari
ad una quota compresa tra il 15 e il 20% del PNL (rispetto al 6%
degli Stati Uniti). Il rafforzamento della potenza sovietica sotto
Breznev aveva aggravato questo prelievo realizzato dall’esercito sul
PNL, poiché, dal 1965 al 1982, l’aumento delle spese per gli
9
A. Gauthier, L’economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, Il Mulino, 1995, p.
393.
9
armamenti aveva superato ogni anno il tasso di crescita economica,
riducendo sempre di più gli investimenti civili. All’ inizio degli
anni ’80, dunque, l’esercito assorbiva, direttamente o
indirettamente, un terzo della produzione industriale sovietica.
La scienza e la tecnica ebbero un grande sviluppo in Urss,
soprattutto nei settori della matematica, dell’industria spaziale e
della fusione nucleare. Esse, però, dipendevano dal complesso
militar-industriale nel cui ambito si effettuava gran parte del lavoro
di ricerca e soffrivano della presenza di una burocrazia invadente e
della mancanza di collegamenti fra la ricerca di base (condotta dalle
Accademie delle scienze attive a Mosca e nelle quindici
Repubbliche sovietiche) e la ricerca applicata che dipendeva dai
diversi ministeri. Queste condizioni sfavorevoli furono responsabili
del baratro tecnologico che separava l’Urss dai paesi
industrializzati occidentali in tutte le branche dell’attività
industriale, soprattutto nella fabbricazione di attrezzature destinate
alla produzione e al trasporto dell’energia e nelle industrie di punta
come l’elettronica e l’informatica
10
. Per cercar di colmare questo
ritardo l’Urss acquistò nel corso degli anni ’70, macchine e intere
fabbriche consegnate “chiavi in mano” dai paesi occidentali, ma si
trattava di una soluzione costosa e parziale. Lo spionaggio
industriale era un’altra soluzione utilizzata su vasta scala per la
raccolta di informazioni all’estero da parte di organismi dipendenti
dall’esercito, dalla Direzione T del KGB e anche dallo stesso
ministero del Commercio estero. Le informazioni così raccolte
venivano comunicate al Comitato di stato per la scienza e la tecnica
(Gknt), e utilizzate dai ricercatori sovietici per cercar di copiare
alcune fabbricazioni occidentali.
10
All’inizio degli anni ’80 lo stock di personal computer era valutato in 8 mila
macchine contro i 24 milioni degli Stati Uniti.
10
Le carenze della manodopera
La scarsa produttività dell’economia sovietica non era legata
esclusivamente alla natura del sistema di gestione, ma anche al
cattivo utilizzo e alla mediocre qualità dei lavoratori. La
popolazione attiva sovietica aumentò di 32.5 milioni di persone fra
il 1965 e il 1982 (v. tabella 1.1) grazie,essenzialmente alla crescita
del lavoro femminile, ma essa era distribuita in modo estremamente
diseguale, tanto che se alcune imprese situate nell’Est del paese
avevano carenze di personale altre, situate in Europa, davano lavoro
a una manodopera spesso eccessiva, largamente superiore ai loro
bisogni. Inoltre, in un regime che esaltava il lavoro, il diritto alla
pigrizia era diventato una sorta di contropartita alla scarsità delle
remunerazioni e alla frustrazione dello spirito d’iniziativa.
I contadini dedicavano la maggior parte del loro tempo e dei loro
sforzi ai piccoli appezzamenti privati, trascurando le terre collettive
dei kolchoz
11
sulle quali si abbattevano i prelievi dello stato. La
demotivazione degli operai, degli impiegati dell’industria e
dell’amministrazione era, invece, dovuta alla difficoltà di spendere
i loro guadagni, data la scarsità di beni di consumo, mentre per i più
qualificati era una conseguenza del livellamento dei salari. Lo
scontento si manifestava con l’assenteismo, l’alcolismo e
l’instabilità del lavoro: il 20% dei lavoratori sovietici cambiava,
infatti, ogni anno posto di lavoro e la durata media di permanenza
di un lavoratore nella medesima azienda non superava i tre anni.
11
Kollektivnoe chozjiaistvo: azienda collettiva nelle campagne.