Introduzione
2
Forse gravemente malato
2
, la sua latitanza, durata più di 40 anni,
continua tutt’oggi.
Ci rimangono le immagini dei telegiornali che propongono un Totò
Riina impegnato in proteste “sociali” contro il carcere duro imposto dal
41bis, invecchiato, dimagrito, quasi patetico e soprattutto così lontano
dalle istantanee della “belva” sicura di sé, determinata, irriverente, di
quel boss dei boss che, sia nel periodo della latitanza che lo stesso
giorno dell’arresto, ritraevano il capo dei corleonesi.
Gli stralci delle deposizioni del pentito Tommaso Buscetta,
saltuariamente proposte da televisioni e giornali, più che argomento di
discussione e di attualità sembrano rientrare ormai nell’ambito del
documentario storico, quasi accomunate, in tale contesto, a documenti di
un’epoca che non c’è più come un’intervista a John F. Kennedy, un
approfondimento sul nazismo, o per rimanere in argomento, una
ricostruzione delle gesta di Salvatore Giuliano.
Si assiste altresì ad una “rinascita” del meridione, sicuramente
ancora gravato da problematiche sociali irrisolte, in primis in relazione
alla disoccupazione, ma per lo meno non più protagonista del quotidiano
bollettino di guerra che i mass-media ci hanno a lungo proposto; notizie
ed immagini che, a partire dagli anni ’70, parevano tristemente
accomunare Palermo a realtà tragiche come Beirut o Belfast, e che oggi,
apparentemente, si ritengono superate.
2
“Una conferma diretta e recente che il numero uno di Cosa nostra sarebbe in
condizioni di salute precarie viene proprio da una conversazione di alcuni mesi fa, tra
Pino Lipari, "cassiere e postino" di Bernardo Provenzano, e la moglie, Marianna
Impastato, intercettata dalle microspie di polizia e carabinieri. Marito e moglie, per
motivi di precauzione, quando parlano di Provenzano lo indicano come "Santa Brigida"
e, in un momento di sfogo, la donna, lamentandosi delle difficoltà procurate alla sua
famiglia dalla latitanza e dalla gestione dei beni del boss, dice: "Se 'Santa Brigida' fosse
un uomo con i coglioni dovrebbe presentarsi e dire, io sono qua. Ormai non ha nulla da
perdere, tanto sta morendo pure.” (F.Viviano, Caccia a Provenzano malato blitz a
sorpresa negli ospedali,”La Repubblica”, 28 gennaio 2002, il corsivo è mio).
Introduzione
3
Pare, insomma, che il “peggio” sia passato; che questa
fenomenologia criminosa - che, in virtù dei più sgradevoli luoghi
comuni, ha reso il nostro paese tristemente famoso nel mondo, per lo
meno tanto quanto fortunatamente lo è grazie all’arte, alla storia, ai
luoghi splendidi che lo contraddistinguono - sia ormai materia per i libri
di storia e che, al più, essa debba essere monitorata dalle agenzie di
contrasto, allo scopo di evitarne la rinascita; ma, quel che è certo è che
non suscita, nella grande maggioranza degli italiani, la stessa
inquietudine che le era propria appena una decina d’anni or sono.
Eppure qualche segno di attività permane; si pensi, per portare un
esempio noto a tutti, alla solidarietà espressa nei confronti dei boss
sottoposti al carcere duro previsto dal 41bis, mediante alcuni striscioni
esposti dai tifosi del Palermo nella curva Sud dello stadio La Favorita,
nel mese di dicembre del 2002. Un simile gesto non si può imputare ad
un’improvvisa sensibilità nei confronti delle condizioni dei detenuti
segregati nelle carceri italiane; al contrario impone, per lo meno, una
doverosa riflessione in ordine alla possibilità che esso sia scaturito da
una volontà esterna al mondo dei tifosi, una volontà che ha ancora la
forza di imporre le proprie posizioni a parte del mondo siciliano,
strumentalizzandone all’occorrenza le azioni in funzione dei propri
scopi.
Inoltre, proclamare l’assoluta vittoria dello Stato e sostenere una
tendenza alla scomparsa del fenomeno, significa dimenticare
completamente la capacità della mafia di celarsi nei contesti più diversi,
significa, altresì, non considerare le due facce della stessa medaglia
descritte dallo storico americano Alan Block
3
, quando introduce i
3
Per una più approfondita analisi sull’applicazione della tesi di Block a Cosa Nostra
cfr. qui par.1.1.6.
Introduzione
4
concetti di power syndicate e di enterprise syndicate
4
. Non è necessario
osservare una forma di controllo del territorio basata su di un rigido
centralismo organizzativo, un’impressionante potenza di fuoco, una
forza militare degna di un esercito, un terrore condiviso da tutta la
popolazione, per rilevare la presenza mafiosa. Essa, al contrario, può
evincersi da comportamenti ben più occultati ed improntati ad un “basso
profilo” e ad una modalità organizzativa “flessibile”, tipica dell’agire
mafioso quando esso è rivolto non tanto al controllo del territorio,
quanto piuttosto all’organizzazione dei traffici illeciti
5
. Si tratta di
caratteristiche che Rocco Sciarrone definisce:
due sfere distinguibili concettualmente ed empiricamente, ma in rapporto di
reciproca funzionalità e, quasi sempre, intrecciate e sovrapposte. Questa
distinzione permette di tenere conto delle ambivalenze organizzative della
mafia
6
A tali considerazioni, proprie del fenomeno “mafie italiane”, non si
può che aggiungere una presa di coscienza in relazione alle cosiddette
“mafie esogene”.
Come infatti rilevano Stefano Becucci e Monica Massari:
nel caleidoscopio della società italiana, in cui fisionomie, linguaggi, colori,
odori testimoniano la presenza di popolazioni provenienti da diversi luoghi del
mondo – situazione inusuale per un paese che fino ad alcuni decenni fa era
terra d’emigrazione – emergono, insieme con nuove popolazioni, anche
4
A.Block, East Side-West Side:organizing Crime in New York 1930-1950 , University
College Cardiff Press, Cardiff 1980.
5
Sul tema cfr. R.Catanzaro, Recenti studi sulla mafia, “Polis”, n.2, 1993, p.335.
6
R.Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove.Radicamento ed espansione, Donzelli
editore, Roma, 1998, p.43.
Introduzione
5
fenomeni criminali di una certa consistenza che, talvolta, ricalcano le modalità
organizzative assunte dai gruppi della criminalità organizzata italiana.
7
Si obietterà che alcune di queste fenomenologie criminose non
possano essere fatte rientrare a pieno titolo nella nozione di “mafia”
8
- ed
infatti Becucci e Massari non utilizzano tale termine – ma, più
correttamente, nella più ampia categoria concettuale di crimine
organizzato, che, come osserva Fabio Armao “per la letteratura
anglosassone costituisce la principale categoria di riferimento”
9
, ma che
individua invece, se proprio si vuole, una delle finalità dell’agire mafioso;
finalità, tuttavia, che non esaurisce i compiti della mafia e che essa non
persegue in condizioni di monopolio.
10
Aldilà di tale distinzione concettuale - peraltro del tutto condivisibile
- nell’ambito dell’analisi che si intende realizzare, non si potrà
prescindere dall’indagine di queste fenomenologie criminose. E’
sicuramente vero che, in un’ottica maggiormente “purista”, non
dovrebbero essere contemplate, ma non vi è dubbio che esse rientrino
comunque - ed a pieno titolo - nella definizione di mafia, anzi di mafie,
proposta ancora da Armao:
7
S.Becucci – M. Massari, Introduzione, in S.Becucci – M. Massari (a cura di), Mafie
nostre, mafie loro. Criminalità organizzata italiana e straniera nel Centro-Nord,
Edizioni di Comunità, Torino 2001, p.XXVII.
8
Yakuza, Triadi cinesi, Mafiya russa sono indiscutibilmente catalogabili in tale
categoria concettuale. Diverso è l’approccio nei confronti di altre fattispecie criminali
esogene fortemente attive nel nostro paese, per esempio quelle di origine balcanica,
albanese, e magrebina, per cui è più corretto parlare di criminalità organizzata, non
essendo state riscontrate, in tali sodalizi, alcune delle componenti tipiche della mafia,
come ad esempio il ritualismo ed il simbolismo delle cerimonie di affiliazione.
9
F.Armao, Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale, Bollati
Boringhieri, Torino 2000, p.14.
10
Ibidem.
Introduzione
6
organizzazioni più o meno strutturate, a seconda dei tempi e delle esigenze,
che si propongono di perseguire l’utile economico di un’élite attraverso il
controllo e/o la conquista di posizioni di potere politico, la gestione diretta e
massiccia dei mercati illegali, nonché l’uso strumentale di sezioni crescenti di
mercati legali, l’annullamento dei rapporti di solidarietà civile, utilizzando
come mezzo non esclusivo, ma specifico, la violenza.
11
Obiettivo di questo scritto è cercare di dimostrare che la situazione
attuale, che parrebbe suggerire un ripiegamento del fenomeno mafia su
se stesso, quasi essa fosse stata incapace di reagire ai duri colpi infertile
dallo Stato nel corso degli anni ’90, nasconde invece un mutamento
strategico.
L’attuale condotta, in completa antitesi con quella linea dura scelta e
perseguita dal clan dei corleonesi, che pareva prefigurare una vera e
propria strategia eversiva di aperta opposizione alle istituzioni, è ispirata
alla clandestinità, al basso profilo, ad una presenza costante ma
“discreta”, che evita le prove di forza ed il confronto aperto.
Si cercherà quindi di provare che al modello organizzativo di
riferimento degli anni ’90, che proponeva la mafia in veste di anti-Stato,
si è gradualmente sostituito l’attuale, che prevede invece lo Stato
mafioso nascosto tra le pieghe dello Stato italiano – quest’ultimo inteso
come società - posizione chiaramente antitetica a quella scaturita
dall’egocentrismo corleonese, che aveva fatto ritenere ai boss di
esercitare un controllo così forte su società ed istituzioni, da potersi
permettere azioni eclatanti senza alcun timore di ritorsioni.
Il Senatore di Forza Italia Carlo Vizzini, nel corso della seduta del 12
marzo 2002 della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno
della criminalità organizzata mafiosa e similare, a seguito di quanto
11
Ivi, p.15.
Introduzione
7
emerso dalla relazione presentata dal Procuratore Nazionale Antimafia
Pier Luigi Vigna, afferma:
seconda questione. Non ritiene che il messaggio: “Cosa nostra è finita e quindi
prendetene atto anche voi che siete fuori”sia un messaggio molto debole?
Infatti, chi è fuori non solo è al corrente del fatto che la Cosa nostra delle
stragi è finita, ma ha anche cambiato completamente atteggiamento e non
credo che si ritirerebbe mai dal mondo degli affari in cui opera controllando
pezzi di territorio. Il ragionamento “Cosa nostra è finita” lo conoscono e lo
riferiscono, ovviamente al periodo delle autobomba, delle stragi e dei grandi
attentati.
12
Ma la nuova linea, che apparentemente risulta essere meno dannosa,
perché non supportata dal “terrore” scaturito da centinaia di omicidi, è
invece infida e subdola e affianca alla consueta dotazione di “disvalori”
una capacità strategica, ben più sottile della vecchia, che le permette di
rapportarsi e recare danno ad una società profondamente mutata a
seguito dei nuovi equilibri del sistema internazionale post guerra fredda.
In un recente articolo di commento al Rapporto annuale sul
fenomeno della criminalità organizzata per l’anno 2002 del Ministero
dell’Interno, si osserva:
in una Cosa Nostra che si sta rinnovando e dove “permane il primato” di
Bernardo Provenzano, l’aspetto più saliente è che “sono stati definitivamente
sanati – scrive il Viminale – i contrasti tra i provenzaniani e i “falchi” di Riina,
con il ripristino di un basso profilo atto a rendere più efficace la gestione
dell’economia mafiosa”.
13
12
Commissione Parlamentare d’inchiesta del fenomeno della criminalità organizzata
mafiosa e similare, Resoconto stenografico della seduta di martedì 12 marzo 2002,
bozza non corretta, (intervento del senatore Vizzini), A.P., Camera dei Deputati-Senato
della Repubblica, XIV legislatura,, Roma 2002, p. 5.
13
Cosa Nostra si rinnova, è pace fra gli uomini di Riina e Provenzano, “La Stampa”,
27 agosto 2003.
Introduzione
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Non siamo quindi al cospetto di uno scomodo residuo ereditato dal
passato, germinato grazie a sottosviluppo ed incapacità di integrazione,
ma di un vero e proprio aspetto del mondo moderno, che come tale deve
essere oggetto di attenzione e di studio.
14
E’, in altre parole, una forma di agire sociale, magari non del tutto innovativa,
almeno in alcuni dei suoi aspetti, ma certamente originale nella sua sintesi.
Che oggi la vede protagonista di primo piano delle relazioni internazionali per
la sua particolare capacità di conciliare (meglio di quanto non si stia rilevando
in grado di fare il “vecchio” stato) tendenze apparentemente in contraddizione
tra loro quali la riscoperta, da un lato, della territorialità, persino nelle sue
forme estreme di rivalutazione dell’appartenenza etnica, e la rivendicazione
enfatica, dall’altro, dei vantaggi del processo (peraltro ritenuto inarrestabile) di
globalizzazione dei mercati.
15
L’Onorevole Giuseppe Lumia, capogruppo Ds in commissione
Antimafia, ed ex presidente della stessa, in un intervento su Repubblica
di Palermo dell’agosto 2002, in proposito scrive:
è vero, alcuni studiosi utilizzano il paradigma della globalizzazione per
sostenere che Cosa nostra, come le altre mafie del nostro Paese, è in una fase
di declino. A conforto di tale ipotesi si mette in luce il rapporto mafia
territorio, visto anche questo come sintomo di un ancoraggio al passato.[…]
Devo dire con molta onestà che non mi trovo affatto d'accordo con questa
possibile analisi […]La mafia di oggi non è in declino, anzi è in piena sintonia
con due bisogni entrambi espressione dell'attuale dimensione, contraddittoria e
ambivalente, della modernizzazione: territorialità e globalizzazione.
La territorialità non è di per sé segno di arretratezza, anzi in tutto il mondo
essa è il più delle volte punto di forza per attivare forti processi economici e
sociali.
16
14
Cfr. F.Armao, op.cit., p.23.
15
Ivi, pp.23-24.
16
G. Lumia, Cosa nostra nel territorio globale, "La Repubblica - Palermo", 7 agosto
2002.
Introduzione
9
In concreto, la prima parte di questo lavoro verrà dedicata ad una
ricostruzione storica della mafia siciliana, dalla fine della seconda guerra
mondiale sino ai giorni nostri.
La seconda parte analizzerà, le altre espressioni mafiose tradizionali
autoctone, in relazione alle strategie adottate nelle regioni ove esse sono
nate - sia sotto l’aspetto del controllo del territorio, sia per quanto
riguarda l’attitudine alla dimensione di impresa criminale - ai tentativi di
colonizzazione effettuati in altre aree e all’eventuale penetrazione nel
mondo legale.
Nella terza parte si cercheranno di esaminare le cosiddette mafie
esogene, tralasciando, se non per sommi capi, lo studio delle origini nei
rispettivi paesi di provenienza, ma puntando invece in maniera più
mirata all’indagine dell’impatto di queste fenomenologie criminali sulla
società italiana, mediante l’ausilio di dati empirici e di valutazioni
inerenti criminalità ed immigrazione, estrapolati da pubblicazioni della
Commissione Parlamentare antimafia, del Ministero dell’Interno, della
Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e della Direzione Nazionale
Antimafia (DNA).
Al capitolo conclusivo spetterà, sulla scorta di quanto emerso nelle
prime tre parti e con l’ausilio delle più recenti analisi messe a punto
dalle agenzie di contrasto, trarre le dovute osservazioni in merito alle
connivenze tra sistemi criminali di origine diversa e a come è
complessivamente cambiata la strategia mafiosa in questi ultimi anni.