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Introduzione
Il capocomico: E dov’è il copione?
Il padre: E’ in noi, signore. Il dramma è in noi; siamo noi
e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione!
(Sei personaggi in cerca d’autore – L. Pirandello)
L’idea di questa tesi nasce da un’attrazione naturale per le storie dell’uomo e il
posto che egli occupa nel mondo ogni giorno, intessendo relazioni con i suoi
simili. Dopo la visione del film Carnage di Roman Polanski, nella mente di chi
scrive si è acuito un interesse ancor più profondo nei confronti di quelle opere
che indagano l’interiorità dell’essere umano, soprattutto in relazione agli altri, e
quindi un interesse per il procedimento di costruzione e sviluppo del
personaggio in ambito cinematografico.
Il fascino deriva dal fatto che il personaggio/uomo stesso sembra essere
messo alla prova giorno dopo giorno all’interno di un’arena, una sorta di ring,
nel quale si ritrova a lottare per la sopravvivenza – sopravvivenza intesa non
solo in senso fisico, quanto come ritrovamento di se stesso, della propria
ragione, dei propri meriti.
L’obiettivo primario della trattazione è analizzare la complessità dei
personaggi cinematografici che si trovano rinchiusi in un unico spazio per
l’intera durata del film e la loro evoluzione all’interno di esso. Carnage è stata
solo la ciliegina sulla torta, già in altre opere cinematografiche si era riscontrata
la formula peculiare della reclusione e del gioco delle parti all’interno di uno
spazio chiuso, claustrofobico, concentrazionario. La concentrazione di più
personaggi in un unico ambiente stimola una riflessione su come essi siano
stata ideati e sviluppati narratologicamente, come reagiscano alla loro
condizione di prigionia, se sviluppino una fobia o un morboso attaccamento
per questo stato di reclusione. Non a caso, molti di questi film si trovano
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sempre in bilico sulla dicotomia claustrofobia-claustrofilia, e intendiamo
dimostrare che il secondo dei sentimenti sia quello più provocatorio e
stuzzicante, proprio perché è quello che principalmente spinge i registi a
mettersi alla prova nello spazio interno.
Come già messo in luce, i film ricchi di stimoli su questo tema sono
innumerevoli, e se questa abbondanza è una gioia per gli occhi e la mente
dello studioso, il rischio in cui si poteva incorrere era quello di mettere troppa
carne al fuoco. Così è stata necessaria una cernita, consapevoli anche del fatto
che all’interno della lista dei film da selezionare o meno ne sarebbero mancati
un’infinità che non rientrano nel bagaglio conoscitivo di chi scrive, con
l’ulteriore rischio quindi di dimenticare opere con le giuste caratteristiche
semplicemente per ingenua ignoranza e per la vastità di contenuti audiovisivi
prodotti nel mondo. Si è quindi cercato di imporre un’unica regola
abbastanza rigida, ossia che i film presi in esame fossero lungometraggi
finzionali caratterizzati da una chiusura totale, da un unico set il più possibile
angusto e di piccole dimensioni e dall’assenza di riprese in esterno, fatta
eccezione per incipit e explicit funzionali a definire il contesto e a lasciare
qualche secondo di respiro allo spettatore – oltre a definire ancora di più il
contrasto aperto/chiuso. Oggetto di esame è stata quindi la porzione di set
compresa tra pareti fisiche che dessero un effettivo senso di chiusura,
coadiuvato ovviamente dalle scelte di regia.
L’analisi dei film e dei loro protagonisti è stato l’ultimo passo, proprio perché
occorreva prima di tutto indagare il contorno, ciò che stava intorno ai
personaggi e che li condizionava, lo spazio, appunto, entro i cui limiti essi si
sarebbero mossi.
La riflessione è partita dalla consapevolezza che secondo Aristotele e i neo-
aristotelici le opere teatrali dovessero essere ambientate interamente in un
unico luogo. Il ponte tra cinema e teatro è risultato inevitabile, così si è
cercato di indagare la relazione tra i due: d’altronde la maggior parte dei film
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presi in esame nascono come sceneggiature teatrali, per poi dare vita a risultati
ovviamente diversi da quelli della messinscena su palcoscenico. Nell’affrontare
questo ambito è stato fondamentale lo studio delle teorie di André
Gaudreault, che si è cercato di illustrare nel primo capitolo attraverso i
concetti di narrazione e mostrazione. Il campo in cui ci muoviamo è infatti pur
sempre quello narratologico, e le domande alle quali tentiamo di dare risposta
giocano nello stesso settore: come si costruisce la narrazione in un cinema che
lascia grande spazio alla mostrazione, un cinema quasi amputato del
movimento e della libertà di spaziare che più gli appartengono? Grazie a
Gaudreault il cerchio si apre e si chiude allo stesso tempo, con il ferro che
torna a battere sul ruolo della narrazione che più ci preme, quella del
personaggio. Quest’ultimo e il contesto in cui agisce sono messi sotto una
lente d’ingrandimento durante l’osservazione dei film: come si presentano i
protagonisti? Chi li racconta e chi ci racconta la storia? E’ individuabile uno
schema narrativo in cui inscriverli? Che differenza c’è tra personaggio come
persona e personaggio come ruolo?
Inoltre l’esplorazione sarà ovviamente geografica. Si intraprenderà un viaggio,
seppur breve, tra la concezione di luogo e il ruolo dello spettatore all’interno
di esso, proprio perché il nostro occhio deve imparare ad osservare e abitare i
set che vengono ricreati per comprendere il modo in cui li abiteranno i
personaggi stessi. Lo scontro interno/esterno è continuo. L’altrove, il fuori,
sono sempre intuibili ma non sono vissuti, tanto meno dal pubblico che prova
a immaginarseli. E’ sempre omesso uno spazio comune, lo spazio del mondo
esterno, per concentrare il piacere della narrazione su dinamiche private. Si
tenterà di capire l’importanza di questa dimensione privata e chiusa per gli
attanti della storia, che a loro volta riflettono questa necessità sul pubblico che
si chiude nel buio della sala cinematografica.
D’altronde siamo in un’epoca in cui il voyeurismo è alle stelle, epoca in cui
reality show come Il Grande Fratello o L’isola dei famosi arruolano persone (o
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personaggi?) con la finalità di rinchiuderli per mesi in una casa o su un’isola in
mezzo al mare. Un occhio li osserva – il nostro occhio – e commenta le
dinamiche che si vengono a creare, i drammi messi in scena non tanto distanti
dalla vita di ciascun essere umano. Di certo, le teorie e le tecniche televisive
sono diverse da quelle cinematografiche e con esempi di questo tipo si tenta
solo di richiamare una tendenza comune funzionale al dispiegamento del
nostro discorso. Eppure è innegabile che lo sguardo, per quanto affamato, ami
muoversi sempre all’interno delle quattro pareti, in una dimensione
rettangolare al quale si è ormai abituato grazie alla conformità di tutti gli
apparecchi di fruizione di cui l’uomo di serve ogni giorno, e non solo – basti
pensare alla pittura e alla fotografia, arti più antiche che si sono sempre
servite, per forza di cose, di una cornice.
Tramite una serie di esempi e divagazioni intermediali, si potrà poi arrivare,
con l’ultimo capitolo, alla vera e propria analisi dei nove film scelti come
rappresentanti di questo sotto genere, se così si può definire.
Il cammino non sarà semplice perché, sebbene lo spazio di indagine sia
sempre delimitato dai quattro lati dell’inquadratura o dalle quattro mura del
set, i temi che si andranno a toccare anche solo per poco tempo saranno
molteplici e diversi tra loro. Si salterà senza troppa cura, con l’entusiasmo del
neofita, tra cinema, teatro, letteratura, televisione e accenni di psicologia,
cercando di tirare delle somme che possano rispondere alle nostre domande e
che siano in grado di piegare opere e autori molto diversi tra loro al nostro fil
rouge.
La trattazione si giostra infatti tra spunti bibliografici abbastanza consistenti,
ma non mirati esplicitamente all’argomento in sé, e umili considerazioni di
natura privata, date dalla visione della filmografia e da uno scheletro di analisi
e approfondimento impostato nel tempo della stesura. Essa è anche il frutto
della rielaborazione dei concetti, delle teorie, degli stimoli offerti in poco più
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di due anni dagli insegnamenti dell’Università IULM, la sintesi di un percorso
di educazione all’analisi del testo in tutte le sue forme.
A guidare lo studio sono la passione e la fascinazione per la capacità
dell’uomo di raccontare storie, anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni.
Per la sua capacità di adattamento al contesto unita all’abilità di creare
condizioni favorevoli a una narrazione costante della vita. Per quel dramma che
è in tutti i noi e che non vediamo l’ora di rappresentare, come ci ricorda Luigi
Pirandello.
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Capitolo 1 – La concezione di luogo tra teatro e cinema
Il grande incubo che ha ossessionato il XIX secolo è stato la storia.
L’epoca attuale sarà forse piuttosto l’epoca dello spazio. Siamo nell’epoca
del simultaneo, siamo nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca del vicino
e del lontano, del fianco a fianco, della dispersione.
(M. Foucault 1984)
1.1 – Ipse dixit
Uno dei testi che, probabilmente, ha da sempre ispirato la fertile creatività
degli sceneggiatori teatrali e cinematografici, è la Poetica di Aristotele, scritta
dall’autore intorno al 330 a.C. Nata come trattato con finalità didattiche, essa
si prefigge di dar vita a un’analisi dell’arte della tragedia, dell’epica e forse della
commedia (nonostante quest’ultima parte dell’opera sia andata perduta).
Proprio evidenziando le differenze e le caratteristiche delle due diverse
tipologie di narrazione e rappresentazione, Aristotele getta le basi di quelle che
saranno codificate dagli studiosi del neoclassicismo come le “regole” che
qualsiasi opera teatrale dovrebbe seguire per risultare efficiente e completa: le
tre unità aristoteliche. Infatti, nonostante siano tutte e tre attribuite e
riconoscibili nel canone di narrazione aristotelico, il filosofo nel suo trattato si
sofferma solamente sull’unità d’azione, senza pronunciarsi rigidamente sulle
altre due unità – tempo e luogo. Sarà in epoca rinascimentale che verrà
istituita ed approfondita la triade che oggigiorno tutti attribuiamo ad
Aristotele.
Ma andiamo con ordine, quelle che seguono sono le tre unità classiche della
tragedia
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:
1
Istituto
dell’Enciclopedia
Italiana.
Enciclopedia
Italiana
[Online].
Disponibile
all’indirizzo
http://www.treccani.it/enciclopedia/.