corretta gestione di entrambi gli aspetti comporta un rafforzamento
della credibilità delle istituzioni, mentre una gestione inadeguata della
crisi può avere gravi conseguenze.
Le istituzioni sono il punto di riferimento a cui si rivolgono i cittadini,
soprattutto in caso di emergenza. La consapevolezza dei diritti
fondamentali del cittadino, in particolare di quello alla sicurezza,
comporta aspettative sempre maggiori nei confronti della pubblica
amministrazione a cui deve corrispondere, di conseguenza, un
impegno crescente da parte di coloro che hanno il compito di tutelarli.
Affrontare le situazioni critiche in maniera efficiente ed efficace si
configura, quindi, sempre di più come un’esigenza per le
amministrazioni pubbliche, sia per dimostrare al proprio interno la
validità delle procedure adottate, sia per trasmettere all’esterno
un’immagine di efficienza, dinamicità e risolutezza.
L’incremento del numero dei viaggi e degli scambi internazionali,
l’aumento del numero degli italiani all’estero e l’emergere di nuovi
fattori di rischio fanno sì che il Ministero degli Affari Esteri, il cui
compito tradizionale consiste nella tutela dei connazionali e degli
interessi italiani all’estero, sia una delle amministrazioni dello Stato
maggiormente impegnata nell’applicazione delle tecniche di gestione
delle crisi a livello internazionale. Strumento operativo per eccellenza
è l’Unità di Crisi, punta di diamante del dicastero, istituita per
rispondere in maniera adeguata a queste esigenze e per garantire ai
connazionali l’assistenza necessaria in caso di emergenza.
L’Unità di Crisi costituisce l’oggetto della mia ricerca. Questo lavoro
nasce dalla curiosità, e al tempo stesso dalla passione, per le attività
svolte dal Ministero degli Affari Esteri, dalle Ambasciate e dai
Consolati. A ciò si unisce l’esperienza personale che, attraverso una
situazione di emergenza vissuta in prima persona che mi ha fornito un
8
osservatorio molto particolare, ha fatto nascere l’interesse verso la
tematica della gestione delle crisi.
Il primo capitolo di questa tesi ha una funzione introduttiva e,
attraverso l’analisi dell’evoluzione della diplomazia, dello sviluppo
delle comunicazioni di massa e dell’intreccio tra comunicazione
politica e comunicazione istituzionale, intende spiegare il contesto in
cui ha avuto luogo la riforma del Ministero degli Affari Esteri e in cui
si svolge la sua attività.
Il secondo capitolo descrive la struttura del Ministero degli Esteri,
prendendone in analisi gli aspetti organizzativi e comunicativi, per poi
focalizzarsi sull’Unità di Crisi e sui suoi compiti istituzionali.
Il terzo capitolo si occupa del concetto di crisi ed espone le riflessioni
teoriche sul Crisis Management, di cui si descrivono le fasi sia dal
punto di vista operativo che da quello della comunicazione.
Il quarto capitolo si occupa del caso specifico del maremoto nel sud-
est asiatico del 26 dicembre 2004 e delle azioni intraprese dall’Unità
di Crisi, coadiuvata dalle Ambasciate e dai Consolati presenti nei
Paesi colpiti, per fronteggiare l’emergenza e superarla con successo.
Il quinto capitolo, infine, mette a confronto le caratteristiche del
modello organizzativo dell’Unità di Crisi con il sistema di risposta alle
emergenze adottato dal Foreign and Commonwealth Office, il
corrispondente britannico del nostro Ministero degli Esteri,
individuandone differenze e analogie, prendendo anche in
considerazione come è stato affrontato dalle due strutture il caso
specifico dello tsunami. Attraverso il confronto si è quindi cercato di
delineare quali sono gli elementi necessari per un’efficace gestione
delle crisi.
9
10
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Il Ministero degli Affari Esteri (MAE) è l’organo responsabile
dell’attuazione della politica estera del governo.
La politica estera può essere definita come quel processo finalizzato
attraverso cui gli attori del sistema stato mirano ad avere effetti al di
fuori dei confini del loro sistema politico. La significatività e il
risultato di tale intervento dipendono dalle risorse di cui gli attori
dispongono, dalla percezione del proprio ruolo, dalle caratteristiche
del sistema internazionale in cui si muovono e dalle relazioni esistenti
al suo interno. La politica estera, infatti, si basa su fattori oggettivi e
quindi misurabili quali l’estensione del territorio, la dimensione della
popolazione, delle forze armate e le capacità economiche, e su fattori
soggettivi non calcolabili come la qualità della leadership e della
popolazione. La politica estera, poi, è volta al conseguimento di
obiettivi che possono essere operativi, cioè commisurati alle risorse
dello Stato, oppure dettati dalle aspirazioni determinate dalle
ambizioni dei responsabili della politica estera. In ogni caso, una
buona politica estera presuppone alcune condizioni: continuità,
necessaria poiché la credibilità degli impegni di politica estera si
giudica valutando se gli oneri precedenti sono stati mantenuti; ampie
prospettive temporali, è impossibile infatti attuare una politica estera
11
coerente se non si tengono presenti gli obiettivi a lungo termine;
consenso interno sugli obiettivi generali e concretezza che sostengano
il progetto di politica estera.
La politica estera è prodotta da fattori sia interni che esterni al sistema
politico: le caratteristiche statiche proprie degli Stati quali, ad
esempio, la geografia o la collocazione, e quelle dinamiche, ossia i
loro comportamenti; le interazioni, cioè le sequenze di azioni e
reazioni tra due o più attori statali; le relazioni, ovvero quelle
interconnsessioni particolari tra stati che rimangono tali anche in
assenza di interazioni.
Possiamo vedere la politica estera come un sistema
1
.
PROCESSI
RISULTATI
Feedback loop
INPUTS OUTPUTS
RISULTATI
PROCESSI
1
2
3
4
5
6
Vediamo gli elementi che compongono il sistema nel dettaglio.
Gli inputs sono costituiti dal complesso delle variabili indipendenti
esterne ed interne al sistema politico. Questi vengono elaborati dai
1
Cfr. GORI U., Lezioni di relazioni internazionali, Padova, CEDAM, 2004.
12
processi, ovvero quei meccanismi, diversi da Stato a Stato, che li
trasformano in outputs. Gli outputs si possono quindi identificare con
la politica estera e differiscono dai risultati che sono invece tutto ciò
che accade realmente, aldilà di quelle che sono le intenzioni dei
responsabili politici. I risultati, a loro volta, non corrispondono agli
effetti sperati ma sono la somma delle conseguenze degli inputs, dei
processi e degli outputs. I decisori valutano poi le differenze tra inputs
e risultati e traggono delle indicazioni utili per agire di nuovo sugli
stessi inputs e processarli in maniera differente, questa operazione
prende il nome di feedback loop.
I diversi fattori del sistema sono messi in relazione tra di loro
attraverso diversi collegamenti. Il collegamento 1 identifica gli
outputs come conseguenza degli inputs, la politica estera di uno Stato
è così funzione delle caratteristiche interne dello Stato stesso, del
sistema internazionale e dei loro comportamenti; il collegamento 2,
invece, mostra la reazione del sistema agli inputs; il collegamento 3
indica come le decisioni diventano azioni; il collegamento 4 dimostra
che gli inputs possono avere delle conseguenze oggettive non previste
e, pertanto, sono indipendenti dagli outputs; il collegamento 5
suggerisce che modalità diverse di prendere le decisioni conducono a
risultati diversi; infine, il collegamento 6 che indica le conseguenze
derivanti dalle decisioni prese riguardo alla politica estera.
La politica estera comprende tutta la rete di relazioni di carattere
internazionale che i governi dei vari stati intrattengono reciprocamente
tra di loro. Per gestire gli affari internazionali, quindi, quasi tutti i
paesi del mondo si sono dotati di un complesso di organi che
costituiscono gli strumenti della diplomazia a cui sta dietro una fitta
rete di funzionari internazionali che si occupano del mantenimento dei
rapporti tra ciascun governo nazionale e quelli esteri.
13
Gli strumenti
2
di cui dispone la diplomazia sono i ministeri degli esteri
e i rappresentanti diplomatici. Tuttavia, mentre la necessità di
intrattenere rapporti con le altre comunità umane ha origini molto
antiche, la diplomazia permanente con i relativi strumenti
organizzativi per svolgere queste funzioni sono stati istituzionalizzati
solo in tempi relativamente recenti e si sono trasformati nel corso dei
secoli.
1.1 La diplomazia e le sue trasformazioni
L’attività diplomatica è stata praticata sin dall’antichità, infatti da
quando gli uomini hanno iniziato ad organizzarsi in gruppi sociali
separati si è avvertita la necessità di comunicare e di intrattenere
rapporti tra le varie comunità. Ciò nonostante, bisogna attendere
diversi secoli prima che vengano creati organi permanenti incaricati di
svolgere queste funzioni.
La diplomazia moderna è nata nel XV secolo, nell’Italia
rinascimentale divisa tra diverse signorie, ognuna delle quali tentava
di allargare i propri confini ma, non essendo in grado di predominare
sulle altre, ne temeva al contempo le ambizioni. L’esigenza, quindi, di
vigilare sull’equilibrio tra i diversi Stati italiani ha portato alla
creazione delle prime ambasciate e dei primi corpi diplomatici
permanenti che avevano il compito di rappresentare simbolicamente,
legalmente e politicamente i loro Stati, raccogliere informazioni sullo
Stato ospitante, riferire ai propri governi e negoziare. Il secolo
successivo vede il diffondersi dell’esempio italiano nei maggiori Paesi
europei. Nel XVII secolo, con l’affermarsi degli Stati-nazione,
2
MORGENTHAU H. J., Politica tra le nazioni, Bologna, Il Mulino, 1997.
14
l’obiettivo principale della diplomazia diventa la promozione
dell’interesse nazionale e la pratica della dissimulazione e
dell’inganno, che aveva caratterizzato la diplomazia rinascimentale,
lascia il posto a una nuova condotta regolata da un codice di
comportamento formale accettato reciprocamente.
Per quanto riguarda il nostro paese, il precursore del Ministero fu la
Segreteria di Stato degli affari esteri del Regno di Sardegna, che
assunse l’attuale denominazione di “Ministero degli Affari Esteri” nel
1848 con la proclamazione dello Statuto albertino. Il Ministero
passerà poi attraverso diversi adeguamenti e riordinamenti legati
all’evoluzione dello Stato italiano.
Una trasformazione decisiva dell’attività diplomatica si ha in seguito
alla prima Guerra Mondiale, agli occhi di molti causata dagli accordi
segreti dei diplomatici. Questa responsabilità attribuita alla diplomazia
europea ne ha causato quindi il discredito e ha inizio quello che
Morgenthau definisce il “declino della diplomazia”
3
. Divenne
opinione condivisa che se i trattati internazionali fossero stati condotti
sotto l’occhio vigile dell’opinione pubblica, sarebbe stata favorita una
soluzione pacifica delle controversie. La diplomazia segreta del
passato venne quindi soppiantata dall’open diplomacy. Promotore
della nuova diplomazia “aperta” e principale esponente di una nuova
filosofia della politica internazionale fu l’allora presidente degli Stati
Uniti d’America Woodrow Wilson che, enunciando i suoi quattordici
punti, ha ripudiato i concetti della diplomazia tradizionale e
soprattutto la segretezza con cui venivano condotti i negoziati. Già nel
preambolo si legge:
3
MORGENTHAU H. J., op. cit. p. 512.
15
Il nostro desiderio e il nostro obiettivo sarà che i processi
di pace, una volta iniziati, dovranno essere completamente
aperti, e che essi d’ora in poi non implicheranno né
consentiranno alcuna intesa segreta, di nessun tipo.
L’epoca della conquista e dell’espansione è passata; così
pure quella dei patti segreti conclusi a favore di particolari
governi, che nel momento più inatteso possono mettere in
pericolo la pace nel mondo […]. Il primo punto dice: «La
diplomazia procederà sempre onestamente e
pubblicamente per arrivare apertamente a patti di pace
palesi, sui quali non graverà alcuna intesa privata»
4
.
Inoltre Wilson contrapponeva ai tradizionali interessi degli Stati
europei i principi della sicurezza collettiva auspicando la costituzione
di una organizzazione internazionale. Nel 1919, dopo la prima Guerra
Mondiale, fu fondata la Società delle Nazioni i cui scopi fondamentali
erano il controllo degli armamenti internazionali, la gestione
diplomatica dei conflitti fra Stati e la prevenzione delle guerre. Lo
scoppio della seconda Guerra Mondiale dimostrò però il fallimento
del suo obiettivo principale, ovvero quello di evitare un altro conflitto,
e quindi, nel 1945, al suo posto fu istituita l’Organizzazione delle
Nazioni Unite. In seguito all’introduzione delle organizzazioni
internazionali, ai rapporti bilaterali tra due Stati si aggiungono i
rapporti della diplomazia multilaterale che coinvolgono
simultaneamente un gran numero di Stati presso la sede di
un’organizzazione internazionale. La diplomazia diventa così aperta e
multilaterale. Tuttavia, ciò non comporta la totale scomparsa della
diplomazia segreta, tuttora praticata dagli Stati.
4
MORGENTHAU H. J., op. cit. p. 514-515.
16