Introduzione
dell’Unione Monetaria Europea e sugli eventi che hanno spinto ad optare per questa
soluzione.
Al contempo, viene chiarito il quadro istituzionale in cui opera la Banca Centrale
Europea e gli obiettivi di politica monetaria che ad essa, come all’Eurosistema nel
suo complesso, sono stati affidati, e si sottolinea come, pur nel rispetto di una
regolamentazione comune, la gestione della politica fiscale rimanga di competenza
delle singole autorità nazionali.
Infine, si propone una rassegna della letteratura delle Aree Valutarie Ottimali, ovvero
di quelle teorie nate a seguito all’acceso dibattito sulla validità dei sistemi di cambio
fissi o flessibili per risolvere il problema dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti,
e che permettono di individuare a quali condizioni un paese abbia convenienza ad
adottare la moneta unica.
Nel secondo capitolo l’analisi si concentra sulle caratteristiche che nella fase attuale
contraddistinguono l’Unione Monetaria Europea.
In primo luogo l’attenzione è stata rivolta allo studio della funzione di reazione della
Banca Centrale Europea, attraverso la regola di Taylor, per valutare se le sue
decisioni di politica monetaria siano state sufficienti a conseguire il suo obiettivo
principale, ovvero la stabilità dei prezzi.
Tale comportamento è stato poi confrontato sia con quello praticato prima dell’avvio
dell’euro dalla Banca Centrale tedesca, la Bundesbank, da cui la BCE sembra aver
ereditato la reputazione antinflazionistica; sia con quello della Federal Reserve
americana, per determinare se, ed eventualmente in che misura, ne venga influenzato.
A seguire, vengono illustrati i modelli di specializzazione produttiva dei principali
stati membri dell’UME, dato che, a seconda della struttura e del grado di omogeneità
che queste economie presentano, si assisterà a risposte diverse delle stesse agli shock
esogeni: tra essi va annoverata la politica monetaria comune, il cui esercizio risulta
facilitato qualora i cicli economici siano allineati e i meccanismi di trasmissione
abbastanza simili.
Particolare approfondimento ha, poi, meritato la questione dell’integrazione
finanziaria e della stabilità dei mercati all’interno dell’Eurozona, dato che per i
mercati internazionali l’Unione Monetaria Europea è stato senza dubbio l’evento più
significativo dopo il collasso del sistema di Bretton Woods, contribuendo ad
5
Introduzione
accreditare l’ipotesi della creazione del più grande mercato finanziario mondiale in
Europa.
L’introduzione dell’euro, pur costituendo una condizione necessaria ma non
sufficiente per la realizzazione di un mercato dei capitali paneuropeo, ha prodotto
una molteplicità di effetti diretti ed indiretti che vanno considerati in relazione a
quattro segmenti: il mercato monetario, quello azionario, quello obbligazionario e il
settore bancario.
Un accenno viene fatto, in chiusura di sezione, all’attuale sistema di vigilanza e al
nuovo impianto normativo proposto per contrastare il fallimento del mercato
finanziario all’interno dell’UME , basato sul modello della “regulatory co-opetition”.
Il capitolo si conclude con la valutazione dell’Unione Monetaria Europea in quanto
area valutaria, sulla base di quei prerequisiti necessari esplicitati dalla letteratura in
materia. Tale giudizio è influenzato da fattori endogeni allo stesso processo di
unificazione e non può, dunque, non tener conto delle profonde modificazioni nel
comportamento degli operatori economici e nelle caratteristiche dell’Eurozona che si
sono realizzate ex-post, una volta avvenuto il passaggio alla valuta comune.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, partendo dall’analisi dei punti di forza e di
debolezza che il progetto comune presenta, si raccolgono e valutano una serie di
proposte per il miglioramento dello stesso e si analizzano i diversi effetti che
ciascuna potrebbe produrre.
Vengono, dunque, approfonditi i progetti di unione politica ed unione fiscale, quali
soluzioni per incrementare la sostenibilità dell’Unione Monetaria Europea
considerato il suo debole disegno istituzionale.
E’ in questa sede, infatti, che si discute dell’inadeguatezza del Patto di Stabilità e
Crescita ma anche della sostanziale impossibilità ad abbandonare l’euro una volta
che la valuta comune sia stata adottata, nonostante ad essa possano essere
riconosciute numerose manchevolezze, che contestualmente verranno approfondite.
Successivamente si dibatte sull’opportunità di un eventuale ulteriore allargamento
della zona euro a nuovi partecipanti, si discutono i pro e i contro di una simile scelta,
e si riportano i primi dati relativi alla recente adesione dei tre nuovi membri,
Slovenia, Malta e Cipro.
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Introduzione
Oggetto d’indagine sono, però, anche quelle economie che hanno preso parte alla
all’Unione Monetaria Europea sin dal momento della sua costituzione. La
partecipazione della Germania, in modo particolare, si è rivelata determinante per la
realizzazione del progetto comune.
Il lavoro si conclude con la valutazione del ruolo che l’euro ricopre oggi nel sistema
internazionale, valutazione che viene condotta principalmente mediante un confronto
con il dollaro statunitense, che nel contesto economico mondiale deve salvaguardare
il suo primato di divisa internazionale per eccellenza.
Per verificare se l’euro abbia guadagnato i requisiti per meritare lo status di valuta
internazionale viene, infine, calcolata la quantità di riserve in valuta estera detenute
in euro: questo criterio è senza dubbio quello più utilizzato non solo poiché i dati
relativi sono disponibili su un lungo orizzonte temporale, ma anche perchè la
questione delle riserve è centrale nell’ambito del dibattito attuale circa la sostenibilità
del crescente deficit di parte corrente degli Stati Uniti.
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Capitolo 1
Capitolo I
Uno sguardo al passato: cause e conseguenze
della nascita dell’Unione Monetaria Europea
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Capitolo 1
Capitolo 1: Uno sguardo al passato: cause e conseguenze
della nascita dell’Unione Monetaria Europea
1.1 Percorsi alternativi per un’unione monetaria completa
L’attuale organizzazione dell'Unione Monetaria Europea è il risultato di un lungo
processo di cooperazione iniziato dopo la II guerra mondiale e di una lunga serie di
riforme monetarie attuate nell’Europa continentale. Pertanto un’analisi del
background storico di questa nuova realtà si rende necessaria, al fine di comprendere
meglio il contesto in cui essa è venuta ad esistere e i fattori che hanno spinto verso la
sua realizzazione.
E’ opportuno, in primo luogo, operare una distinzione tra il concetto di pseudo
unione monetaria e quello di unione monetaria completa.
Nel primo caso, i paesi membri mantengono la propria valuta ed un’autonoma Banca
Centrale nazionale, accordandosi piuttosto per una gestione comune della politica
monetaria, allo scopo di mantenere tassi di cambio fissi fra le monete di coloro che
aderiscono. Inoltre, è previsto l’intervento a favore dei paesi deficitari da parte di
quelli in surplus, mediante concessione di finanziamenti a breve termine; nonché il
controllo dei movimenti di capitale per arginare la possibilità di attacchi speculativi.
Diversamente, all’interno di un’unione monetaria completa i singoli paesi rinunciano
a detenere riserve di valuta estera e collaborano per l’istituzione di un’autorità
monetaria centrale, a cui delegano il compito di sviluppare una politica monetaria
valida per tutti gli stati membri. Ne deriva che in una siffatta realtà i cambi siano
irrimediabilmente fissi.
I primi tentativi volti alla realizzazione di un’unione monetaria in Europa, risalenti
alla fine del IX secolo, vennero intrapresi al fine di ottenere mezzi di pagamento
migliori.
Ne è un esempio l’unificazione italiana del 1861; che portò nel 1862 all’emissione di
una moneta unica, la lira, e alla costituzione di una sola banca centrale, la Banca
Nazionale del Regno d’Italia, la futura Banca d’Italia.
9
Capitolo 1
Nel 1871 venne realizzata l’Unione monetaria tedesca, a seguito dell’abbandono del
previgente sistema a due monete e dell’istituzione della Reichbank, sul modello della
Banca Centrale Prussiana.
E già a partire dal 1865 venne dato inizio all’Unione Monetaria Latina, tra Francia,
Belgio, Svezia, Italia e Grecia; destinata, tuttavia, a fallire a causa dello scoppio della
guerra franco-prussiana e dell’abbandono italiano, dovuto all’ingente quantità di
debiti contratti da questo stato con gli altri membri.
Infine, Svezia, Norvegia e Danimarca avviarono, nel 1873, l’Unione Monetaria
Scandinava; ad essa fu, però, fatale l’avvio della I guerra mondiale.
Il maggior successo delle unioni monetarie all’interno di uno stesso paese rispetto a
quelle tra stati, come le esperienze del IX secolo mostrano, è dovuto essenzialmente
a due fattori.
Innanzitutto l’esistenza di una banca centrale nazionale, sostenitrice della moneta
unica e della politica nazionale; istituto assente in un’unione monetaria
multinazionale.
In secondo luogo la mancanza, in un’unione tra più stati, di un’autorità responsabile
della politica fiscale a livello comunitario, che si adoperi affinché i deficit registrati
da uno stato membro non mettano a rischio la stabilità dell’intera unione; come nel
caso della partecipazione italiana all’Unione Monetaria Latina.
Percorsi alternativi possono essere intrapresi dai singoli paesi che decidono di
rinunciare alla gestione della loro politica monetaria, affidandola ad un’istituzione
centralizzata, e di adottare una moneta comune.
Essi possono, cioè, seguire due approcci differenti:
ξ Shock therapy (“All at once approach”);
ξ Gradualist approach.
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Capitolo 1
Tavola 1.1 Metodi alternativi per un’unione monetaria
Valute nazionali ed autonome
Banche centrali e nazionali
Shock therapy Gradualist approach
Market approach Institutional approach
Fonte: Ns. elaborazione
La shock therapy, anche conosciuta come metodo del “tutto in una mossa”, elimina il
bisogno di un periodo di transizione e la possibilità che un paese ritardi l’adozione
della moneta unica. Essa prevede che il governo converta, secondo il tasso di cambio
vigente sul mercato nel momento in cui decide di dar vita alla nuova realtà
monetaria, la valuta locale nella nuova moneta prescelta e che a quest’ultima
vengano adeguati tutti i contratti stipulati precedentemente.
L’utilizzo di questo approccio permette di ottenere un’inflazione comune nei paesi
coinvolti, senza l’esigenza di stabilire in via preventiva un sentiero comune di
movimento dei tassi.
A rendere, però, costoso l’impiego di questo metodo, è la necessità di prezzi e salari
pienamente flessibili, in assenza dei quali l’allocazione delle risorse può essere
errata: l’elevata disoccupazione in un paese viene, infatti, giudicata inaccettabile da
parte dell’elettorato nazionale.
Il secondo tipo di orientamento, quello gradualista, ammette, a sua volta, la
possibilità di intraprendere due criteri alternativi.
11
Capitolo 1
Il primo, l’approccio di mercato
1
, prevede che un’istituzione comune promuova la
circolazione di una moneta comune accanto a quelle nazionali e, di conseguenza, che
ciascun governo permetta ai cittadini residenti di utilizzare nelle transazioni
alternativamente l’una o l’altra; mentre, al contempo, i relativi tassi di cambio
possano oscillare a seconda del valore assunto dal tasso di inflazione.
Se il tasso di deprezzamento della moneta comune sarà più basso di quello delle
singole valute nazionali, queste ultime smetteranno di circolare. Saranno dunque le
forze del mercato, e non quelle politiche a determinare, mediante un processo di
sostituzione graduale, l’affermazione della nuova valuta, che rifletterà una minore
inflazione.
Inoltre, se gli agenti rinunceranno all’utilizzo delle monete nazionali, il tasso di
inflazione nella nuova area comune diminuirà.
E’ da sottolineare, tuttavia, che l’introduzione di questa nuova valuta non ne
garantisce l’automatico utilizzo come mezzo di scambio e di deposito di valore.
Inoltre, essa fungerà da mezzo di pagamento solo se ne verrà dichiarato il corso
legale da parte dei singoli stati nazionali.
Rimarrà, da ultimo, il compito di decidere a quale istituzione dovrà essere affidata
l’emissione della nuova valuta e la fissazione degli obiettivi di politica monetaria.
Risolvere questa incombenza è il compito primario perseguito dall’approccio
istituzionale, giacchè esso prevede che il processo di costituzione dell’unione
monetaria venga affidato interamente al potere politico. In quest’ottica sono, quindi, i
governi nazionali dei futuri stati membri ad accordarsi circa la velocità con cui la
riforma monetaria dovrà essere implementata, a designare quali organismi
assumeranno un ruolo centrale nell’emissione della nuova moneta e a fissare i tassi di
cambio fissi.
La principale difficoltà legata all’attuazione di questo metodo risiede nella lunghezza
del periodo di transizione, che può ritardare a tempo indefinito lo switchover
2
e
aumentare l’instabilità del processo stesso. Inoltre, esso rende necessarie ampie
riforme per eguagliare le strutture dei partecipanti e garantire alla nascente unione un
1
Approccio ideato dagli accademici della rivista “The Economist”, nel 1975.
2
L’abbandono, cioè, della valuta nazionale e la conseguente adozione della valuta comune.
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Capitolo 1
efficiente meccanismo di aggiustamento in caso di shock; riforme che riguardano il
mercato del lavoro, i sistemi assicurativi e le politiche fiscali.
Alla luce di queste precisazioni, è possibile interpretare l’Unione Monetaria Europea
come il frutto del passaggio da una pseudo unione, il Sistema Monetario Europeo
3
,
ad un’unione monetaria completa, seppur imperfetta sotto molti aspetti; in cui le
decisioni di politica monetaria vengono accentrate nelle mani di un’unica autorità, la
Banca Centrale Europea. E’ stata essenzialmente una necessità di tipo politico a dare
vita al lento processo di transizione durato circa cinquanta anni, che ha portato alla
nascita dell’Unione Monetaria Europea nel 1999.
Dunque l’approccio di cui si sono avvalsi i governi nazionali è stato del tipo
gradualista, e più precisamente istituzionale; ben diverso da quello adoperato per la
realizzazione dell’Unione Economica e Monetaria Tedesca, nel 1989-90, vale a dire
shock therapy e al contempo unificazione politica delle due Repubbliche (Federale e
Democratica) in un unico stato. Diversamente dal caso tedesco, inoltre, l’Unione
Monetaria Europea si può considerare a tutti gli effetti un accordo multinazionale,
che ad oggi include 15 paesi
4
; caratterizzato da un’esigua probabilità di successo
additabile alla mancanza di coordinamento a livello politico, la quale incide
negativamente sulla velocità e sulla profondità del processo di integrazione. Tuttavia,
nonostante i percorsi intrapresi e le peculiarità che le contraddistinguono siano
assolutamente differenti, i problemi verificatisi all’alba della costituzione
dell’Unione Monetaria Europea appaiono non dissimili da quelli sorti in seguito alla
riunificazione tedesca. Infatti, come proprio in quest’ultimo caso era già avvenuto, la
nascente Unione Monetaria Europea si è trovata a dover fronteggiare un’elevata
domanda per trasferimenti fiscali, causata dai livelli di produttività, diversi e lenti a
convergere, che contraddistinguevano le economie degli stati membri. Con
un’aggravante, ovvero la mancanza di un meccanismo di redistribuzione fiscale tra i
paesi e l’assenza di flessibilità del mercato del lavoro e di mobilità dei lavoratori
stessi.
3
Il Sistema Monetario Europeo era accordo di cambio tra i paesi europei, in vigore dal 1979 al 1992,
in cui il marco tedesco fungeva da ancora del sistema.
4
Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta,
Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna.
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