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Il coordinamento di tali politiche è reso necessario anche dal fatto che gli stati
membri dell’Unione Economica e Monetaria non possono più manovrare
autonomamente la politica monetaria che è stata affidata, in virtù del Trattato di
Maastricht, al Sistema Europeo di Banche Centrali ( S.E.B.C. ) il cui compito
principale è quello di assicurare la stabilità dei prezzi.
In conclusione la riuscita dell’esperimento europeo dipenderà da quanto i
singoli governi dell’Unione sapranno fare non solo nel campo della politica
economica, ma anche e soprattutto nel campo delle riforme istituzionali al fine di
avvicinare anche politicamente gli Stati membri e giungere alla creazione degli
“Stati Uniti d’Europa”.
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I
La nascita dell’integrazione monetaria.
1. L’integrazione europea: alcuni cenni storici.
L�integrazione economica europea nasce da idee diffusesi gi� prima della fine
del II� conflitto mondiale, in quanto parve chiaro che l�unico modo per fermare
l�espansione sovietica, da un lato, e il risorgere dei diversi fascismi, dall�altro, era
quello di creare un�area politicamente ed economicamente unita.
Nonostante queste idee ed il �parere� favorevole degli Stati Uniti
all�unificazione europea, la ricostruzione post bellica ebbe inizio privilegiando la
riorganizzazione dei singoli stati che fin� per oscurare l�idea di federalismo
europeo tanto auspicato. La falsa partenza dell�integrazione europea � da attribuire
alla tradizione storica del �vecchio continente� ed alle resistenze dei singoli stati
che vedevano nell�unificazione un salto nel buio.
I primi tentativi concreti d�integrazione furono fortemente sostenuti dagli
States, specie nel decennio 1945 / 1954, a causa della temuta espansione ad
occidente delle idee del �socialismo reale� russo.
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La prima manifestazione europeista � quella che vide riuniti all�Aja, dal 7
all�11 maggio del 1948, tutti i movimenti che sostenevano l�unificazione nel
�Congresso d�Europa�. Merito della convention fu quello di mettere in risalto le
diverse concezioni che venivano sostenute: quella federalista, quella funzionalista,
quella unionista.
La corrente funzionalista propinava una graduale unificazione dei vari settori
per poi giungere ad un vero e proprio federalismo europeo. Gli unionisti, invece,
pensavano ad un�Europa con tante unit� sovrane e con diverse strutture che le
rappresentassero dal carattere sovranazionale.
Il primo atto concreto, ma meramente simbolico, dei governi che sostenevano
l�unificazione fu la creazione nel 1949 del �Consiglio d�Europa� il cui statuto fu
firmato a Londra sempre nello stesso anno. Si tratta di un atto simbolico in quanto
l�organo, essendo di natura consultiva, non incideva sulla sovranit� dei singoli
stati firmatari.
Pi� considerevole, dal punto di vista dell�impegno profuso verso
l�unificazione, e stata la creazione della Comunit� Europea dell�Acciaio e del
Carbone ( C.E.C.A. ) che riguard� la messa in comune della produzione e del
commercio dell�acciaio e del carbone.
L�uomo che matur� e sostenne la creazione di quest�organismo fu Jean
Monnet che partor� l�idea di porre sotto la supervisione di un�autorit�
sovranazionale, non dipendente quindi dai governi degli stati che aderivano al
progetto, la produzione ed il commercio dell�acciaio e del carbone. La
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realizzazione pratica del progetto di Monnet si ebbe nel 1950 quando tocc� a
Schuman, ministro degli esteri francese, tradurre l�idea in fatti.
L�avvenimento segna una svolta epocale: Francia e Germania, da sempre
nemici, decidono di porre in comune la produzione ed il commercio dell�acciaio e
del carbone. Alla proposta della creazione di un organismo sovranazionale che
controlli il mercato delle due materie prime aderiscono da subito anche il
Be.Ne.Lux ( Belgio, Olanda e Lussemburgo ) e l�Italia che chiedono di poter
aprire un negoziato sull�accordo. La Gran Bretagna si chiama, invece, fuori
dall�accordo.
Le reazioni politiche e degli stessi produttori delle materie in questione non
furono troppo entusiaste: da una parte comunisti e socialisti si dichiararono
contrari all�accordo, dall�altra i produttori di acciaio e carbone temevano di
perdere il controllo del mercato a causa della C.E.C.A. .
Il passo successivo verso l�integrazione dei paesi che nel 1950 diedero vita
all�organismo di cui abbiamo appena discusso, fu la creazione del Comitato
Europeo di Difesa ( C.E.D. ). � certamente un passo pi� delicato del primo: si
tratta ora di unificare le forze armate dei paesi aderenti al progetto. � dunque un
passo che in qualche modo pregiudica la sovranit� dei singoli stati.
Comincia in questa fase a farsi sentire la necessit� di incominciare a tessere
una trama pi� fitta di relazioni tra i membri dell�accordo. Ed � proprio il nostro De
Gasperi ad essere tra i pi� accesi sostenitori della necessit� irrinunciabile di
inserire, nel Trattato istitutivo del C.E.D., un articolo che lasciasse spazio alla
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futura creazione di una �Comunit� politica europea�, organismo pi� che mai
indispensabile nella prospettiva della creazione di un esercito unico europeo.
Nel marzo del 1953 il Belgio, per bocca di P. H. Spaak, si fa portatore del
progetto di �Statuto per la Comunit� politica europea�.
Quanti vedevano nel �Trattato C.E.D.� un passo decisivo per la nascita di uno
�Stato europeo� dovettero ricredersi quando la Francia nel 1954 decise di
rimandare, ad una data non meglio specificata, la ratifica del Trattato. Fu una
doccia fredda per tutti gli europeisti soprattutto se si considera che paesi come il
Belgio, il Lussemburgo e l�Olanda insieme alla Germania, avevano gi� recepito
nei propri ordinamenti l�accordo.
Se questo avvenimento segna uno stop nel processo d�integrazione politica
dell�Europa, non altrettanto si pu� dire a proposito dell�integrazione economica
che a partir dal 1955, con la �Conferenza di Messina� e successivamente nel 1957
con la creazione della Comunit� Economica Europea ( C.E.E. ), istituita con il
�Trattato di Roma�, e della Comunit� Europea per l�energia atomica ( Euratom ),
vide una forte accelerazione verso il progressivo abbattimento delle barriere
doganali e la libera circolazione delle merci, persone e capitali.
L�integrazione europea viaggia quindi verso la creazione di un mercato
comune piuttosto che verso la creazione di un�unica entit� politica e militare.
Gli atteggiamenti che hanno contraddistinto il modo di agire dei diversi
governi non sono andati sempre nel senso di favorire la piena integrazione
dell�Europa. Infatti negli anni Sessanta possiamo osservare come la Francia,
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guidata da C. De Gaulle, fosse restia a rinunciare alla propria sovranit� a
vantaggio del progetto di creazione di un�unica �Nazione europea�.
La recrudescenza di questi nazionalismi si trascin� fino alla fine del decennio,
quando con il �Compromesso del Lussemburgo� del 1966 la Commissione
europea afferm� che ogni stato ha il diritto di opporsi alle decisioni del Consiglio
della Comunit� ove queste ledano gli interessi vitali del paese stesso.
In quegli anni furono raggiunti anche parecchi risultati come la definizione di
una politica agricola comune e gi� nel 1968 vennero eliminate le barriere doganali
fra i sei paesi che costituivano il nucleo primordiale della C.E.E. ( Belgio, Francia,
Germania, Italia, Lussemburgo ed Olanda ).
Le pesanti crisi energetiche e la situazione di conflitto sociale presenti un po�
ovunque in Europa nel decennio �70 / �80, finirono per fiaccare la crescita
dell�integrazione ed accentuare le spinte protezionistiche.
Lo spirito europeista, comunque, rimase molto forte e nonostante la
situazione non proprio confortante alcuni paesi chiesero ed ottennero di entrare
nella Comunit�. Essi erano: Danimarca, Gran Bretagna ed Irlanda.
Solo all�ultimo momento un referendum popolare blocc� l�ingresso della
Norvegia nella Comunit�. Nel 1979 si svolsero le prime elezioni a suffragio
universale del Parlamento europeo.
Gli anni Ottanta si presentano come il momento dell�impasse sia politica che
istituzionale della Comunit� colpita ancora una volta dalla crisi economica.
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Cambiamenti significativi, soprattutto della politica agricola, dovettero essere
apportati quando fu allargata la base comunitaria alla Grecia, Portogallo e Spagna.
La svolta si profila sul finire degli anni Ottanta, quando con l��Atto unico�,
del 1986, che entr� in vigore nell�anno successivo, si snelliscono tutti i processi
decisionali e si potenziano gli strumenti per attuare le politiche comuni. Nascono
istituzioni politiche e finanziarie comuni.
L�inizio dell�ultimo decennio del XX� secolo imprime nuova forza alla
Comunit� che cambia nome e diventa �Unione Europea� ( U.E. ). L�U.E. appronta
una precisa tabella di marcia il cui obiettivo finale � quello di addivenire alla
creazione di una moneta comune, governata da una sola istituzione finanziaria: la
Banca Centrale Europea ( B.C.E. ). Il �Trattato di Maastricht� del 1991 apre la
strada ad una fase in cui i paesi dell�U.E. devono rinunciare sempre a pi�
consistenti porzioni di sovranit� nazionale, rinunce che non sempre sono state
affiancate dalla previsione di meccanismi di compensazione sia dal punto di vista
occupazionale che degli ammortizzatori sociali.
� da sottolineare come, seppure le regole della stabilit� economica e
monetaria, quello che viene definito �Patto di stabilit��, fossero il nodo cruciale
dell�integrazione europea, non vennero previsti interventi politici e sociali che
potessero assicurare la stabilit� stessa.
Per dare risposta a queste lacune dell�U.E. si organizz�, nel 1996, la
�Conferenza intergovernativa�. Fu in quella sede che l�Unione fu allargata
all�Austria, Finlandia e Svezia.
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Le contraddizioni degli ultimi anni del decennio scorso, dal punto di vista
delle politiche dei diversi paesi rientranti nell�Unione, danneggiarono il disegno di
integrazione europea cos� come si era venuto delineando fino a quel momento: da
una parte la Germania, guidata da Kohl, propinava la stabilit� monetaria come
obiettivo primario da raggiungere, dall�altro la Francia, Jospin ne guidava le sorti,
sottolineava il bisogno di dare un peso maggiore alle politiche sociali.
Le due opposte visoni di Francia e Germania furono al centro delle
discussioni del �Vertice europeo di Amsterdam� nell�estate del 1997. In quella
sede il Francese Jospin present� la sua proposta di affiancamento al �Patto di
stabilit�� di un �Patto per la crescita e l�occupazione�, il cui scopo era quello di
mitigare i duri parametri di Maastricht e di spostare l�attenzione degli altri governi
verso quei punti che non avevano ricevuto adeguata trattazione nella conferenza
del �91 in Olanda. A fianco della Francia si schier� l�Italia, insieme i due paesi
riuscirono a far inserire nel Trattato che scatur� dal vertice, il �Trattato di
Amsterdam�, la c.d. �Carta sociale� che ebbe il merito di far trovare un qualche
spazio ai problemi dell�occupazione e del lavoro all�interno dell�accordo.
Gli intenti della Carta sociale furono disattesi nella pratica in quanto non
adeguatamente sostenuti dal bilancio comunitario.
Negli anni Novanta si fecero importanti passi in avanti per ci� che concerne
le politiche comuni e questo soprattutto in tema di politica estera e di difesa.
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2. L’Europa dello S.M.E.
Nel 1971, dopo varie vicissitudini, croll� il sistema a cambi fissi di Bretton
Woods. Il sistema si basava sulla doppia convertibilit� delle monete aderenti allo
stesso. Pi� esattamente: le monete dell�accordo potevano essere convertite in
dollari e questi poi potevano essere convertiti in oro ad un prezzo prefissato ( 35$
per oncia ). La fine del �Sistema di Bretton Woods� segn� l�inizio di un periodo
di forte oscillazione delle valute dei paesi che aderivano alla C.E.E. . La
situazione sugger� di fare un primo, pionieristico, tentativo di unificazione
monetaria. Fu su queste basi che nel 1979 nacque il Sistema Monetario Europeo
( S.M.E. ): l�integrazione delle economie europee, infatti era messa a repentaglio
dalla forte volatilit� dei tassi di cambio.
Lo S.M.E. fu definito un sistema a cambi fissi ma aggiustabili, l�obiettivo che
con esso ci si poneva era quello di dar vita ad un�unica moneta di riferimento,
l�E.C.U. .
La definizione di sistema a cambi fissi ma aggiustabili fu dovuta al modo in
cui lo S.M.E. funzionava. Le autorit� monetarie dei governi partecipanti
all�accordo fissavano un tasso di cambio ufficiale nei confronti di tutte le altre
monete ( era questa la c.d. �parit� centrale� ) ed una banda di oscillazione, entro la
quale i tassi potevano liberamente fluttuare, del 2,25% verso l�alto e della stessa
percentuale verso il basso.
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Considerata la situazione italiana, al nostro paese fu consentito di utilizzare
una banda di oscillazione pi� ampia, del 6% ( 2 x 3% ), fino al 1990 quando anche
l�Italia dovette adeguarsi ai parametri previsti per gli altri paesi.
Anche la Gran Bretagna, il Portogallo e la Spagna utilizzarono la banda di
oscillazione pi� ampia, ma ci� avvenne perch� detti paesi entrarono solo in un
secondo momento nello S.M.E. .
La crisi valutaria che si ebbe verso la fine del terzo trimestre del 1990
costrinse i paesi ad allargare la banda di oscillazione dei tassi di cambio fino al
15% nei due sensi. Furono sanciti accordi tra le Banche Centrali dei paesi S.M.E.
affinch� queste si impegnassero ad intervenire per mantenere i tassi all�interno
della banda di oscillazione ( ci� costituiva il c.d. �intervento marginale� ). Gli
accordi permettevano che le Banche Centrali intervenissero anche quando, pur
mantenendosi all�interno dei margini stabiliti, i tassi di cambio superassero una
certa soglia.
Come sottolineato gi� in precedenza, la creazione dello S.M.E. aveva come
fine ultimo la creazione di un�unit� monetaria europea: l�E.C.U. .
L�E.C.U. fu definito sulla base di un paniere di monete appartenenti allo
S.M.E. utilizzando la seguente formula:
ECU = Σ a
j
S
j / i
( 1 )
Dove:
a: quantit� di moneta contenuta nel paniere
S: prezzo della moneta j in unit� di moneta i.
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Non tutte le monete comprese nel paniere avevano la stessa importanza, in
quanto quelle che tendevano a deprezzarsi vedevano diminuire il loro peso nel
paniere. Questa caratteristica dell�E.C.U. era politicamente inaccettabile. La
situazione venne risolta concordando un aggiustamento, ogni 5 anni, della
quantit� di moneta, a, contenuta nel paniere il che permise di avere una
stabilizzazione relativa delle quote nel lungo periodo. Il meccanismo prevedeva
aumenti nelle quantit� delle monete deboli e diminuzione di quelle forti.
Altra caratteristica dell�E.C.U. constava nel fatto che quando una delle valute
del paniere si deprezzava ( o apprezzava ) rispetto alle altre, contenute sempre nel
paniere, il deprezzamento ( o l�apprezzamento ) nei confronti dell�E.C.U. era pi�
basso.
In definitiva l�E.C.U. fu utilizzato solo come unit� di conto e dunque lo
S.M.E. fece a meno di esso.
Di fatto le parit� centrali venivano definite in termini di tassi di E.C.U. e,
successivamente, convertite in parit� centrali bilaterali attraverso la condizione di
arbitraggio triangolare:
S
i, j
= ECU
i
/ ECU
j
( 2 )
in cui:
S: parit� centrale della valuta i in unit� di valuta j
ECU
i
, ECU
j
: tassi di cambio centrali in E.C.U. delle due valute.
La condizione di arbitraggio triangolare presentata nella ( 2 ) permetteva di
ottenere la matrice dei tassi, ossia la griglia delle parit� bilaterali.
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Nelle intenzioni dei fondatori dello S.M.E., l�E.C.U. sarebbe dovuto essere
uno strumento in grado di introdurre una maggiore simmetria nel sistema degli
interventi nel mercato dei cambi. In effetti tale strumento non funzion� e fu ben
presto abbandonato.
Nonostante le contraddizioni ed i vizi strutturali del Sistema Monetario
Europeo, questo rest� in vigore fino al 1992 destando in alcuni stupore per la sua
longevit�.
Le critiche che vennero mosse a tale sistema furono diverse, tra queste spicca
quella di De Grauwe ( DE GRAUWE, 1998 ) che definisce il sistema europeo
come <<�l�esempio pi� eloquente di unione monetaria incompleta >>. Infatti
questo era un sistema a cambi fissi ma aggiustabili ed inoltre lo standard
monetario utilizzato non ebbe mai il successo che ci si aspettava.
In verit� lo S.M.E. riusc� a risolvere o, quanto meno, a mitigare il problema
della credibilit� che rappresenta il problema principale di tutti gli accordi a cambi
fissi. La presenza delle bande di oscillazione permettendo la libera fluttuazione
del cambio all�interno dei margini prestabiliti, conferiva flessibilit� al sistema e lo
poneva al riparo, sarebbe meglio dire affievoliva, la possibilit� di attacchi
speculativi. La flessibilit� del sistema permise anche a paesi come l�Italia di
rimanere nello S.M.E. bench� il suo tasso d�inflazione fosse superiore a quello
degli altri stati.
Ma quando nel 1987 i paesi dello S.M.E. dichiararono di voler restringere le
bande di oscillazione e passare di fatto ad un sistema a cambi fissi, le cose
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cambiarono: si poneva fine al sistema che aveva permesso allo S.M.E. di
sopravvivere per pi� di un decennio. L�evoluzione verso una maggiore rigidit� e
l�eliminazione dei controlli sui movimenti di capitale in paesi come Francia ed
Italia ( controlli esistiti per buona parte degli anni Ottanta ), segnarono l�inizio
della fine dello S.M.E. .
I consueti problemi di credibilit� e liquidit� osservati nei precedenti tentativi
di mantenere fissi i tassi di cambio, esplosero in tutta la loro drammaticit�.
L�Italia e la Spagna furono i primi paesi a sperimentare la crisi. Infatti dovendo, in
virt� dell�accordo S.M.E., implementare politiche anti-inflazionistiche per portare
il livello di crescita dei prezzi vicino a quello tedesco, all�interno dei due paesi si
fecero molti sforzi che per� non diedero i risultati sperati. La credibilit� sul fatto
che Italia e Spagna avessero potuto ridurre il proprio tasso d�inflazione portandolo
al livello osservato in Germania, venne meno iniziando a crepare il sistema.
L�inflazione italiana e spagnola, essendo pi� alta degli altri membri dello
S.M.E., rendeva meno competitive le loro industrie a causa della sopravalutazione
monetaria. La speculazione che interess� dapprima la lira e la peseta si allarg� poi
anche a monete ritenute �sane� come la sterlina ed il franco francese i cui
fondamentali erano ritenuti in linea con quelli tedeschi. La situazione paradossale
che vedeva coinvolte sterlina e franco francese fu, in un primo momento,
attribuita a fattori speculativi. La semplice spiegazione non dice tuttavia il vero,
essendo le cause da ricercarsi in altri fattori.
Vediamoli pi� da vicino.
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L�unificazione tedesca port� con s� problemi relativi all�inflazione che,
infatti, aument� proprio in seguito a questo evento in quanto la Germania
speriment� un periodo di espansione della congiuntura. La Bundesbank dovette
tenere a bada il fenomeno con una restrizione del credito.
Il clima congiunturale che c�era in Francia ed Inghilterra non era altrettanto
sereno. Una politica deflazionistica mal si concilia con la stagnazione o peggio
ancora con la recessione economica. Questo di certo non sfugg� agli speculatori
che scommisero sul fatto che Francia ed Inghilterra non avrebbero continuato a
seguire la Germania nel suo cammino di restrizione monetaria.
Le autorit� britanniche, infatti, portarono la sterlina fuori dallo S.M.E.
sottraendola alla speculazione e ridando ossigeno all�apparato produttivo
attraverso la svalutazione della moneta nazionale.
Recessione e mancanza di fiducia sul fatto che le autorit� francesi, e quelle
degli altri paesi in situazione congiunturali simili, avessero continuato a seguire
politiche deflative spinsero gli speculatori ad attaccare queste monete. La
situazione profilatasi, fece in modo che si abbandonasse il regime a cambi fissi
per tornare a quello delle bande di oscillazione che furono allargate fino al 30%
( 15% x 2 ) ( DE GRAUWE, 1997 ).
La causa della crisi fu, dunque, in questo caso, un problema di liquidit�: il
rifiuto della Germania di allentare la politica monetaria per finanziare
un�espansione francese.