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1.4 Dialogo intertestuale - saggio L'umorismo
Luigi Pirandello fa emergere le proprie idee proprio dalla contrapposizione con altri
scrittori e da questi trae approfondimenti e ulteriori conoscenze, accresce la propria
concezione umoristica, dove la visione del mondo è strettamente collegata all‟estetica.
Possiamo riscontrare una vasta varietà di toni, di forme e di finalità con le quali Pirandello
si confronta con le idee umoristiche ed estetiche altrui. Il saggio esordisce con lo studio di
D‟ancona su Cecco Angiolieri di Siena, poeta umorista del secolo decimo terzo (1880), del
quale Pirandello accetta la descrizione storica e documentata dell‟umorismo, mentre non
tollera l‟interpretazione seria e malinconica. L‟artista, riferendosi a D‟ancona, ma
soprattutto a Croce (ciò diventerà più evidente nella seconda edizione del saggio) ribatte
contro coloro che considerano l‟umorismo indefinibile, con questo verso: ”Piuttosto no I‟
comprendo, che te i‟ dica” (UM p. 8).
Prosegue con il volume di Momigliano su l’indole e
il riso di Luigi Pulci, dove Pirandello critica il giudizio sul Rinascimento come epoca
gioconda e la definizione di Filippo Masci dell‟umorismo e la valutazione contraddittoria
della soggettività e oggettività del riso pulciano. Pirandello apparentemente scardina la
concezione romantica dell‟arte. La sua visione dell' uomo la supera, profumandola di
scetticismo gnoseologico. Paola Casella, scrive: ”Mentre Johannes Thomas mette in luce la
tensione tra la concezione estetica ed esistenziale professata da Pirandello ne L’umorismo e
le sue reali ascendenze romantiche. Evidenzia, per esempio, come lo scetticismo
pirandelliano s‟incontri con la “metafisica naturalista di Jean Jacques Rousseau” (PC p.
134).
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La Casella evidenzia anche i punti di contatto tra Pirandello e il mondo romantico, e ancora
aggiunge: “E coglie la contraddizione tra la teoria estetica e psicologica della
scomposizione e “certe idee romantico-nostalgiche”, come la concezione desanctisiana del
personaggio autonomo e perciò “sintetico, stabile, prevedibile in tutti i suoi pensieri ed in
tutte le sue azioni” e l‟ idealistico “postulato del mondo dell‟arte come mondo trascendente
e migliore, organico e necessario” (PC ivi). Nencioni definisce l‟umorismo: “L‟umorismo
è una natural disposizione del cuore e della mente a osservare con simpatica indulgenza le
contraddizioni e le assurdità della vita” (PC p. 136). Secondo Pirandello, invece
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Tutte le citazioni che seguono si riferiscono al testo di Paola Casella, L’umorismo di Pirandello, ragioni
intra e intertestuali, Cadmo, Fiesole (Fi), 2002. D‟ora in avanti citato con la sigla PC.
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l‟umorismo non può essere visto in quanto “simpatica indulgenza” (PC p. 137). Nel 1908,
Pirandello pone la propria teoria in opposizione “a coloro che vedono soltanto un
umorismo bonario”(PC ivi),
ovviamente si riferisce a Nencioni, considerando che
menziona due volte, la frase: “Simpatica indulgenza” (PC ivi). Nel testo del 1908,
Pirandello discute riguardo l‟esistenza o meno dell‟umorismo nell‟antichità, (capitolo
secondo “Questioni preliminari”, prima parte). Alla pagina ventidue del testo, ritroviamo
il punto di vista a questo proposito di Nencioni, che negava l‟esistenza dell‟umorismo nel
mondo antico. Pirandello analizza l‟argomento con l‟ausilio di diversi letterati e con
diverse citazioni, e soprattutto esempi che mettono comunque in risalto l‟esistenza già
nell‟antichità dell‟umorismo.
Concedeva però il Nencioni che «anche sotto il cielo azzurro e nella vita facile delle razze latine
l‟umorismo ha fiorito e due o tre volte in modo unico, meraviglioso». E parlava in fatti del
Rabelais e del Cervantes, e anche dell‟umorismo «realista e vivente» di Carlo Porta e di quello
«delizioso e desolato» di Carlo Bini, e diceva il don Abbondio del Manzoni una creazione
umoristica di prim‟ordine. (PC p. 138)
Nencioni mette in luce i diversi umoristi italiani, ovvero alcune opere dove vede
dell‟umorismo in “senso stretto” (UM ivi), quali Sant’Ambrogio di Giusti, Il buco nel
muro e L’asino di Guerrazzi, alcune pagine di Farina, Capuana e Carducci, o ancora Il
copernico di Leopardi. Ciò è condiviso da Pirandello. Nella seconda parte del libro,
l‟autore fa riferimento a Nencioni e alla sue definizioni, proprio per mettere in luce la sua
concezione dell‟umorismo. Nencioni fa riferimento, rispetto alla sua concezione, alla
contraddizione tra il cuore e la mente, primordiali forze creative secondo l‟estetica
romantica e desactisiana. Anche Pirandello parla di contrasto tra questi due elementi, che
provocano lo sdoppiamento dal quale risulterà il sentimento del contrario. Nel quinto
capitolo Pirandello sottolinea quanto possa essere superficiale vedere nell‟umorismo un
“Particolare contrasto tra l‟ideale e il reale” (UM p. 200). Sottolinea l‟erronea definizione
del Nencioni, l‟uso della “simpatica indulgenza” (PC p. 137) rispetto ad un corretto
“sentimento del contrario” (PC p. 141), e ancora non “benevolo scetticismo” (PC p. 142) e
tolleranza che è frutto di dolorose esperienze, “amara esperienza della vita” (PC ivi).
In conclusione, si riscontra una forte opposizione tra le teorie di Nencioni e Pirandello, ma
i punti comuni esistono e derivano da un unica matrice, la preminenza sentimentale nella
creazione, l‟incompatibilità con l‟imitazione e la retorica, quindi l‟ estetica di De Sanctis.
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Nel 1885, Giorgio Arcoleo, giurista e letterato, sarà protagonista di due conferenze,
L’umorismo nell’arte moderna. Queste due conferenze avvieranno diverse polemiche
rispetto la concezione umoristica. Nella prima parte del saggio, Pirandello si opporrà alla
critica che pone forti delimitazioni cronologiche e geografiche; ovviamente, allude anche e
soprattutto all‟Arcoleo, che considera l‟umorismo una prerogativa delle genti del nord e un
fenomeno moderno.
“Ho voluto soltanto, in questa prima parte del mio lavoro, oppormi a quanti han voluto
sostenere che esso sia un fenomeno esclusivamente moderno e quasi una prerogativa delle
genti anglo – germaniche, in base a certi preconcetti, a certe divisioni e considerazioni,
arbitrarie le une, sommarie le altre, come mi sembra d‟aver dimostrato
”
(PC p. 148). La
controversia con Arcoleo è la principale protagonista nella prima parte del lavoro di
Pirandello, ma, secondo Milone – “Sul piano storico - critico il saggio pirandelliano
costituisce una confutazione della letteratura della poesia cavalleresca fatta da Hegel
nell‟estetica e ripresa da De Sanctis nelle sue lezioni zugheresi”
(PC p. 148) prosegue –
“tesi di un riso ironico, di una comicità puramente negativa, demolitrice del passato” (PC
ivi). Ma la vera anima della prima parte del Saggio è la polemica con Arcoleo. Nel sesto
capitolo Pirandello riserba uno spirito fortemente polemico per tutti i critici italiani: data
una concezione distorta del processo umoristico ne deriva una mancanza di propensione o
forse capacità nel riscontrare l‟autentico sentimento del contrario. L‟autore prende di mira
Nencioni, ma soprattutto Arcoleo. “D‟un canto Arcoleo osserva che basta confondere
l‟humor con i generi limitrofi del comico, dell‟ironia e della satira perché “n‟esca un
giudizio opposto al mio, o perché io vi sembri esagerato e ingiusto” (PC p. 151). Quindi,
come suggerisce Paola Casella l‟inganno risiede nella percezione falsata dell‟umorismo,
questa ventata polemica scaturisce da una diversa concezione di tipo categoriale da parte
dei due scrittori: “Umorismo come espressione letteraria di una determinata situazione
storica istituzionale e sociale per Arcoleo, umorismo come frutto di un particolar modo di
vedere e di sentire la vita per Pirandello” (PC p. 152). Pirandello e Arcoleo mostrano
comunque dei punti di convergenza: l‟odio nei confronti della retorica, che accomuna tutti
gli allievi di De Sanctis, la concezione organica dell‟arte, l‟approccio psicologico
all‟umorismo e l‟attenzione al contrasto tra cuore e mente. Quindi la prima parte del libro
ha le sue fondamenta nelle conferenze napoletane dell‟Arcoleo. L‟autore del Saggio,
considera il critico De Sanctis esponente autorevole dell‟estetica. Tra Pirandello e De
Sanctis vediamo una comunione in campo estetico: “Quello dell‟opera d‟arte concepita
come forma vivente organica indissolubile dal contenuto (svolto anche dal Capuana), e
quello del personaggio come persona viva e autonoma che si rivela liberamente nelle
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situazioni esteticamente riuscite (sviluppato sia da Capuana che da Cesareo)” (PC p. 155).
Dobbiamo ricordare la diversa percezione del romanzo di Manzoni, I promessi sposi.
Nel primo capitolo del saggio di Pirandello riscontriamo una sua precisazione rispetto
l‟atteggiamento che utilizzava Manzoni, per il quale la “realtà oggettiva” era una vera e
propria fissazione, nondimeno la “verità storica”, ciò collima con l‟interpretazione ironica
del De Sanctis. Bisogna precisare che De Sanctis vede nell‟ironia di Manzoni un mezzo
per dare spazio al realismo rispetto all‟idealismo romantico, quindi la non interpretazione
sotto l'insegna dell‟ironia è un dato consequenziale. D‟altro avviso Pirandello: Manzoni il
proprio stato esistenziale finisce per rifletterlo nell‟opera. De Sanctis invece mette in
evidenza la serenità dello scrittore a dispetto delle contraddizioni della realtà. Paola
Casella mette in luce alcuni punti di convergenza tra i due letterati rispetto la grande opera
di Manzoni:
Il rovesciamento della benevola compassione manzoniana nell‟ossimorica spietata pietà è avviene
in due tempi. In un primo momento Pirandello mette in luce come la rappresentazione comica di
Don Abbondio d‟un canto esponga il personaggio alla derisione, che punisce la devianza morale, e
dall‟ altro canto costituisca il presupposto necessario per una compassione non lassista. (PC p.
159)
Lo stesso autore prosegue, sottolineando: “Egli può compatirlo e farlo compatire,
commiserarlo e farlo commiserare” (UM p. 144). In un secondo momento, Pirandello, da
questa compassione e tramite la riflessione, finisce col dare spazio e importanza alle
debolezze umane, che diventeranno consolazione per Manzoni. Secondo De Sanctis il Don
Abbondio non risulta all‟altezza dell‟ideale religioso del Manzoni, secondo Pirandello
vengono create le figure di Fra Cristoforo e Cardinal Borromeo proprio per darsi una
consolazione. Il critico napoletano parla dell‟ideale, ne parla proprio a proposito dell‟arte
realistica dei Promessi sposi. A tale proposito leggiamo cosa scrive Pirandello: “Un ideale
può esserci, ripetiamo, questo dipende dalla personalità del poeta ma se c‟è, ecco, è per
vedersi decomposto, limitato, rappresentato a questo modo” (UM p. 145).
Un ideale compatibile con il processo umoristico sconvolge il reale e quindi “Il non saper
più da qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza” (UM ivi). Con
De Sanctis esiste una coniugazione tra la limitazione dell‟ideale in Manzoni e l‟arte
idealistica. Il critico dice che nei Promessi sposi l‟ideale è: “Limitato nella sua natura,
partecipe di tutte le imperfezioni dell‟esistenza, non più un ente logico o un tipo, ma
divenuto una vera forza vivente
”
(PC p. 16). La concezione di Pirandello, la quale parla
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della vita come spazio dove le pulsioni psichiche, conscie e incoscie, provocano sbalzi e
contrasti che lasciano l‟uomo in balia di se stesso, pone una netta distinzione dal realismo
desanctiano.
In conclusione, De Sanctis vede nel realismo di Manzoni l‟arrivo di una nuova epoca che,
tramite l‟ironia e la misura dell‟ideale, pone le basi per un nuovo “risorgimento”.
L‟agrigentino ha dei punti in comune con De Sanctis soprattutto se ci riferiamo all‟analisi
fatta dal critico nel 1855 rispetto a Leopardi. De Sanctis analizza la contraddizione e il
“sentimento di essa contraddizione” in Leopardi, affermazione che ricorda il “Sentimento
del contrario” di Pirandello.
L‟immagine e il pensiero, elementi di ogni poesia, sono qui dunque scissi, distruggentisi a vicenda,
in contraddizione, e forse non ci è alcuna poesia moderna nella quale si riveli con coscienza tanto
profonda questa sociale infermità che travaglia le presenti generazioni. Nella poesia leopardiana
non solo vi è contraddizione, ma l‟angoscioso sentimento di essa in contraddizione. (PC p. 166)
Per De Sanctis Leopardi è il moderno Amleto, mentre Pirandello nel Fu Mattia Pascal
pone le differenze tra la tragedia classica e quella moderna attraverso lo strappo nel cielo di
carta.
La “Macchinetta infernale” (UM p.214) della logica dell‟agrigentino è considerata veleno,
in quanto sostanza tossica, alla pari di Leopardi che considera: “Il pensiero avvelena tutte
le gioie della vita” (PC p. 167). Il significato che Pirandello e De Sanctis danno
all‟umorismo sotto il profilo storico e filosofico è uguale. Nel 1908 lo scrittore siciliano
nega il lato storico, ma attraverso l‟approccio estetico organico, che risale al De Sanctis, ne
salva il lato filosofico. Potrebbe a questo punto definirsi anomalo il fatto di non ritrovare la
definizione desanctisiana dell‟umorismo negli scritti di Pirandello. Sorge spontaneo
chiedersi il perché Milone avanzì, l‟ipotesi di un rifiuto della stessa.
“Forma artistica, che ha per suo significato la distruzione del limite, con la coscienza di
essa distruzione” (PC p. 171). La mancata definizione desanctisiana potrebbe attribuirsi ad
un deficit di conoscenza. A questo proposito, ricordiamo Croce che nella sua stroncatura
del 1909 dice: “Forse, benché lo menzioni in un punto, p.146, non ha letto neppure il mio
articolo del Journal of comparative literature” (PC p. 172).
La conoscenza più profonda del De Sanctis, sottolinea la Casella, avrebbe sicuramente
facilitato lo scrittore agrigentino, durante il suo procedere nel saggio, i suoi esempi e
dimostrazioni sarebbero stati più convincenti, per esempio l‟interpretazione di Cecco
Angiolieri che con D‟Ancona sarebbe stata stroncata totalmente con il supporto della
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definizione di De Sanctis. Ma questo è solo un esempio. Le analogie sussistono.
Possibilmente Pirandello non aveva una completa conoscenza del critico, ma possiamo,
esaminando le due personalità, riscoprire la comune concezione organica. Entrambi
mettono in luce il vero significato della forma distinguendo l‟umorismo formale da quello
vero. Importante fu la forte amicizia tra Pirandello e Alfredo Cesareo che dopo diversi alti
e bassi divenne più profonda quando l‟agrigentino lo invitò a collaborare con il
“Messaggero della Domenica” avendo come obiettivo l‟innalzamento e “il rispetto
dell‟arte vera” e l‟imporsi contro il resto della critica. Questi comuni obiettivi ritrovano le
proprie fondamenta in una concezione estetica sentimentale di matrice romantica. Ciò
emerge dall‟opposizione all‟estetica di Croce.
Cesareo è per Pirandello nel 1908 la massima autorità estetica su cui fare leva per opporsi
al Croce. Attraverso Cesareo, Pirandello si oppone in Arte e scienza all‟estetica di Croce:
Perché il fatto estetico avvenga bisogna che si abbia non la espressione, la forma astratta,
meccanica, oggettiva, della intuizione, ma la soggettivazione di essa […]. Perché sia concreta
libera, soggettiva, questa forma dell‟individuale bisogna che cessi d‟esser semplice conoscenza e
ridiventi sentimento e impulso: non la forma d‟una impressione individuale, ma la forma
individuale d‟una impressione, non quella bell‟alba, di cui parla di Cesareo nella nota a p.169, ma
la Bell’alba descritta dal Manzoni nel cap. XVII dei Promessi sposi. (PC p. 179)
Pirandello fa leva su Cesareo per combattere la concezione di Croce secondo cui
l‟umorismo, essendo uno stato psicologico, non può essere definito. Secondo Cesareo:
“Quando il critico estetico avrà dunque saputo lo stato d‟animo che quell‟espressione
d‟arte vuol suscitare, egli avrà da scrutare se i mezzi adoperati dal poeta sono i più acconci
al conseguimento del fine” (PC p. 181). Quindi scoprire il sentimento che l‟autore vuole
provocare nel lettore è il primo tassello che il critico deve scoprire. Possiamo rilevare
diverse analogie tra i due scrittori, come osserva Paola Casella, “Perché le consonanze con
il critico siano state esibite esclusivamente negli scritti approntati in vista del concorso
accademico” (PC p. 183). Si può pensare che “La ragione delle reiterate citazioni di
Cesareo va ravvisata anche (non solo) nel suo ruolo di membro relatore della commissione
esaminatrice” (PC ivi).
Lo scritto di Theodor Lipps Komik und humour (1896) risulta essere l‟unico testo straniero
utilizzato da Pirandello nel suo saggio. Non si esclude che l‟interesse di Pirandello per
Lipps sia determinato dall‟attenzione per le sue teorie che manifesta Croce. Per il tedesco
l‟essenza dell‟umore, osserva Paola Casella sta in un “processo di negazione comica
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rientrata, che finisce col riaffermare i valori morali momentaneamente apparsi ridicoli”
(PC p. 186) L‟agrigentino si oppone con l‟appoggio di Cesareo, facendo leva al tipo sul
sentimento suscitato dall‟opera. Rispetto all‟autonomia estetica dalla morale Pirandello
appoggia Croce, ponendosi contro Lipps, ma non condivide con entrambi l‟approccio
meccanico riservato all‟umore. “Sentiamo in somma che qui il comico è anche superato,
non però dal tragico, ma attraverso il comico stesso. Noi commiseriamo ridendo, o ridiamo
commiserando” (PC p. 187). Secondo Paola Casella “Ciò che lo scrittore estrae dalla teoria
di Lipps è in realtà solo l‟idea, contenuta nel concetto già citato di negazione comica
rientrata” (PC ivi).
Michele Cometa, sottolinea, invece la più profonda conoscenza e adesione di Pirandello
alle teorie estetiche di Lipps di cui seguì i corsi all‟università di Bonn.
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Secondo il punto di vista di Lipps si trova dell‟umorismo già in Socrate “Egli ride solidale
con i propri detrattori, poiché ne comprende il punto di vista, e dall‟altro canto li deride a
sua volta, conscio della superiorità del proprio punto di vista” (PC p. 196). Nella
definizione dell‟umorismo del 1908, Pirandello in un certo senso risulta molto influenzato
da Lipps. “Un umorista dovrebbe dirsi soltanto chi ha il superamento del contrario, chi ha
cioè una filosofica tolleranza spinta fino a tal segno da non sapere più da quel parte tenere
”
(PC p. 190). Possiamo rilevare delle differenze tra la definizione del 1905 e quella del
1908, in quanto lo sdoppiamento tra sentimento e riflessione, menzionata da Pirandello,
viene rivisitata fino a considerare un processo in cui il sentimento viene ad annullarsi
rielaborato dal sentimento del contrario. Quindi nel rifiuto dell‟impianto etico e meccanico,
Pirandello cerca di trovare dei punti di convergenza con le proprie idee per ampliare la sua
teoria. Si tratta di un processo nel quale l‟agrigentino elabora e metabolizza le teorie del
filosofo tedesco prendendone i concetti e assestandoli al suo impianto concettuale.
Finalmente giungiamo alla “famosa” polemica con Croce. Nella prima edizione
dell‟Umorismo Pirandello osserva: “Ma noi abbiamo dimostrato altrove e anche nel corso
di questo lavoro, che il fatto estetico non è e né può essere quel che il Croce intende” (PC
p. 199). Sottolinea, a questo punto, il suo orientamento estetico, citando la definizione di
Cesareo. Nella seconda edizione del saggio L’umorismo, del 1920, vediamo la polemica
con Croce prendere spessore. Ricordiamo la stroncatura di Croce nei confronti di
Pirandello nella “Critica”. L‟appunto mosso da Croce si riferisce all‟impossibilità di
definire, se non in modo empirico, l‟umorismo, dimostrando le carenze dell‟agrigentino nei
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Cfr.: Michele Cometa, Pirandello e Lipps. Due lettere psicologiche dell’umorismo in AA.VV, Pirandello e
la Germania, Palermo, 1984, pp. 303-16.